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“Song of My Modern Sorrow”: Decostruendo Orpheus Emerged

3.1 Tempo, musica e linguaggio

Il problema del tempo si insinua in quello del linguaggio, specie quando quest’ultimo tende alla musica. Se la lingua vuole ispirarsi alla musica ed imitarla, le dimensioni spazio-temporali si devono avvicinare e fondere; la pagina deve farsi cronotopo e ricalcare nelle battute dei caratteri le battute delle partiture. Le righe, elevandosi a pentagramma, devono riuscire con parole e punteggiatura a riprodurre scale, ʿcrescendoʾ, ʿariosiʾ ed ʿallegrettiʾ, ʿmaestosiʾ ed ʿandantiʾ, pause e ʿcoroneʾ.

Parlare di musica in letteratura significa in buona parte parlare di stile, di ritmo. Kerouac era molto interessato alla questione stilistica, al punto da spingere ed approfondire la sua ricerca in questo senso per trovare una lingua con un ritmo che adeguatamente ricalcasse il linguaggio parlato, con la sua frenesia, l’eccitazione, i dubbi e le pause: On the Road ne è un eloquente esempio.

Disquisire di musica in riferimento a Kerouac significa anche immergersi nei suoni di un’intera epoca: le sue opere ʿrisuonanoʾ, nel vero senso della parola, poiché numerosi sono i riferimenti alla musica e ai musicisti del tempo e non si può cogliere appieno lo

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spirito delle feste e delle scorribande raccontate – ad esempio in On the Road – senza conoscere i ritmi frenetici del jazz. Bisognerebbe leggere ed ascoltare, come se vi fosse una ʿcolonna sonoraʾ immaginaria per il lettore.

Negli anni Quaranta il jazz conosceva in America la sua fase esplosiva. Figure come quella di Charlie “Bird” Parker, sassofonista, e John Birks “Dizzy” Gillespie, trombettista, sono passate alla storia come capisaldi del bebop142. Come ricorda Nicosia, Kerouac amava molto il jazz, ed in particolare un piccolo gruppo Dixieland di New York chiamato Muggsy Spanier’s143. Come è noto, il jazz ed il bop (un suo sotto-genere) sono state le colonne sonore degli scrittori beat, fornendo loro un modello ritmico, ma non solo, di composizione, che si unisce direttamente alla poesia, come spiega Town Send:

Jazz, and especially bebop, stood to the beat writers as a suggestive and historical available model for their own activity as writers […] The Beats were inheritors of an American philosophy of composition which descended from Emerson, Whitman and William Carlos Williams. Whitman stressed the need for the poet to be the “free channel of himself” and Williams spoke of the usefulness of “headlong composition”. These elements […] affected and reinforced, as the example of jazz did, the ways in which Kerouac, Ginsberg and the Beat writers approached composition144.

Il jazz appariva il mezzo più adeguato per esprimere l’emozione del momento: esso dava la possibilità, nell’attimo, di tradurre in note i sentimenti, improvvisando, inventando. Il jazz creava, con la sua immediatezza e profonda umanità, una sorta di spazio magico in grado di unire le persone, facendole partecipare attivamente alla creazione, come osserva Bulgheroni:

Il jazz è musica di protesta, è musica irrazionale; nel jazz l’emozionarsi si esprime con la voce del momento, s’inventa una vicenda di note, il jazz è un fatto corale, crea uno spazio magico in cui la comunicazione è diretta e immediata, come se

142 Su forme, modalità e diffusione della musica in America, si veda, tra gli altri, Gilbert Chase, America’s

Music. From the Pilgrims to the Present, New York-Toronto-Sydney, McGraw-Hill, 1966, p. 480. Nello

stesso volume si chiariscono anche le influenze dei compositori europei su quelli americani in merito alla musica classica.

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Gerald Nicosia, Memory Babe, cit., p. 63. Bevilacqua ricorda che Kerouac amava molto anche Thelonious Monk, Lionel Hampton, Gillespie, Billie Holiday e, naturalmente, Charlie Parker. In alcuni casi i musicisti ricambiarono la stima e l’affetto: ad esempio, Mark Murphy e Richie Cole incisero Bop for

Kerouac riproducendo sulla copertina un passaggio di Mexico City Blues. Si veda Emanuele Bevilacqua, Guida alla Beat Generation, Roma-Napoli, Theoria, 1994, pp. 63-68.

61 chi ascolta partecipasse all’avventura di chi suona, o ne

determinasse, in qualche modo, con la sua presenza, l’ispirazione.145

L’improvvisazione jazzistica donava dunque nuova luce ed importanza all’attimo, all’ispirazione, all’invenzione del momento, e richiedeva – qualora si fosse voluto tradurre in parole la sua forza vitalistica – un linguaggio che si adattasse alla velocità della musica e della vita. Ciò incontrava precisamente le esigenze e le aspettative dei

beats, a loro volta interessati a nuove frontiere del linguaggio. Si sancì così una fertile

unione, come chiarisce Bulgheroni, tra musica e parola:

I Beats avevano aggredito il problema del linguaggio: e qui l’improvvisazione acquistava un significato programmatico, perché il grande modello a cui guardava era il jazz, che dell’improvvisazione fa materia d’arte.146

Bisognava restituire alla parola scritta la forza della parola detta, conferirle vitalità, e, come spiega Krim, il jazz in questo indicava una via che poteva essere perseguita:

dare alla poesia la stessa qualità d’immediatezza, restituire alla parola poetica la vitalità, la grazia spontanea, la forza d’urto della parola detta, caricandola del timbro della voce umana, delle inflessioni significative che la stampa distrugge nell’astrazione della pagina, divenne il loro miraggio, il sogno di una cultura rivoluzionaria147.

Bisognava dunque trattare le parole come materia viva, capace di muoversi e far muovere, di coinvolgere e trascinare nel flusso della vita e degli eventi, cioè, echeggiando e parafrasando Whitman, bisognava “trattare le parole in modo da farle cantare, ballare, baciare e far fare loro ogni cosa che l’uomo, la donna e le forze della natura possono fare”148. La forza vitalistica delle parole di Kerouac è espressa, ad esempio, nel celebre On the Road, dove la prosa-fiume segue i ritmi del parlato spingendo e coinvolgendo il lettore nelle avventure di Kerouac, come se egli in persona

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Introduzione di Marisa Bulgheroni a Seymour Krim, I Beats, cit., p. 19.

146 Ibidem, p. 18. 147

Ibidem, p. 19. 148

Ibidem, p. 19. Whitman sosteneva che “a perfect writer would make words sing, dance, kiss, do the male and female act, bear children, weep, bleed, rage, stab, steal, fire cannon, steer ships, sack cities, charge with cavalry or infantry, or do anything that man or woman or the natural powers can do”. Si veda Donald D. Cummings (a cura di), A Companion to Walt Whitman, Montgomery, John Wiley, 2009, p. 364.

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stesse raccontando la sua storia ed invitasse a partecipare. Come osserva Krim, quella di Kerouac è “una prosa da leggersi d’un fiato, come si ascolta il suono di una voce”149. La Beat Generation riconosce quindi al linguaggio un ruolo fondamentale nell’efficacia di espressione ed è parte stessa della sua innovazione stilistica e contenutistica. La parola scritta deve imitare quella parlata, rendendone la stessa eccitazione o l’esitazione. Lo scrittore deve trovare una sua lingua, un suo stile, per esprimere quello che sente, vede e vive: una sorta di idioletto in cui il ritmo, la musicalità e le scelte lessicali integrino e convoglino una determinata Weltanschauung.

Il rapporto tra musica e lingua come forma d’arte era già stato esplorato, tra gli altri, da T.S. Eliot in The Music of Poetry, dove si spiega come ogni linguaggio abbia determinate regole ed il poeta ne debba tener conto:

I believe that any language, as long as it remains the same language, imposes its laws and restrictions and permits its own licence, dictates its own speech rhythms and sound patterns. And a language is always changing; its developments in vocabulary, in syntax, pronunciation and intonation – even, in the long run, its deterioration – must be accepted by the poet and made the best of it. He in turns has the privilege of contributing to the development and maintaining the quality, the capacity of the language to express a wide range, and subtle gradation, of feeling and emotion; his task is both to respond and change and make it conscious, and the battle against degradation below the standards which he has learnt from the past.150

L’influenza di T. S. Eliot su Kerouac si palesa in Orpheus Emerged dove si riscontra un fondamentale trait d’union tra i due scrittori, che concerne la musica (classica)151, il tempo e la ri-unione degli opposti. In merito a Eliot, Kerouac racconta in Vanity of

Duluoz come casualmente si sia avvicinato ai Four Quartets. Si trovava a Londra e si

era recato alla Royal Albert Hall per un concerto di musiche di Tchaikovskij diretto da Barbirolli: seduto nel loggione accanto a un soldato inglese, questi estrasse una copia dei Four Quartets sostenendo che fossero magnifici e Kerouac dichiarò subito il suo interesse per la materia152. Il riferimento ai Four Quartets di Eliot diventa significativo

149 Ibidem, p. 20. 150

Thomas S. Eliot, The Music of Poetry (1942), citato in Helen Gardner, The Art of T. S. Eliot, London, Faber and Faber, 1979, p. 8.

151 Anche T. S. Eliot era intreressato alla musica jazz. In The Waste Land vi fa precisamente riferimento nel verso “OOOO that Shakespeherean Rag” (II, v. 125). The Shakespeherean Rag era il titolo di una canzone popolare del 1912, dal ritmo sincopato tipico del ragtime.

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per il suo riverbero come fonte d’influenza in Orpheus Emerged, legandosi a doppio filo alle tematiche riguardanti il tempo e la musica classica: in Orpheus, infatti, viene specificato che alla festa organizzata da Michael e Maureen, Arthur vi si presenta portando con sé una copia dei Four Quartets e diversi dischi di Brahms, Stravinskij, Shostakovich e Rachmaninoff.