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Meccanismi del danno epatico

2.3 EZIOPATOGENESI

2.3.6 Meccanismi del danno epatico

Varie ipotesi (Gastaldelli et al. 2008) sono state proposte per spiegare lo sviluppo e la progressione della NAFLD agli stadi avanzati di NASH, di cirrosi e di epatocarcinoma. Mentre la steatosi semplice è una condizione benigna, la NASH si caratterizza per la presenza di infiammazione, fibrosi e danno cellulare che possono portare la patologia epatica all’ultimo stadio. Non tutti i pazienti con steatosi, inoltre, sviluppano infiammazione e danno epatocellulare. Secondo l’ipotesi dei two hits (figura 10), proposta da Day et al., (Day et al. 1998) il primo hit (colpo) consisterebbe nell’accumulo epatico di TG, legato all’IR, cui farebbe seguito un secondo hit, responsabile della progressione della

36 malattia da steatosi pura a NASH e fibrosi, dovuto a meccanismi di stress ossidativo (con aumento delle sostanze reattive dell’ossigeno (ROS), riduzione degli agenti antiossidanti e facilitazione della perossidazione lipidica). In questo modello i due meccanismi sopra descritti (Di Vece et al. 2012), IR (con sviluppo di steatosi) e danno epatocellulare, non risultano necessariamente disgiunti temporalmente, ma possono riconoscere un unico momento patogenetico, ed è verosimile che l’IR rappresenti la chiave d’innesco ed il punto di contatto tra MS, obesità e dislipidemia da una parte e NAFLD dall’altra. In realtà, anche se fattori quali lo stress ossidativo, le alterazioni delle adipochine/citochine ed altre condizioni favorenti sono stati implicati nel meccanismo eziopatogenetico del danno epatico, ad oggi (Gastaldelli et al. 2008) i meccanismi precisi non sono ancora stati

Figura 10 Lo stress ossidativo è coinvolto nella progressione della NAFLD. Da Lizana et al.

37 identificati e le condizioni che promuovono la steatosi rimangono quelle più spesso associate all’evoluzione del danno. Così, la progressione della NAFLD dipende essa stessa dalla presenza di obesità, di IR e di diabete che restano le condizioni cliniche nelle quali maggiore è la probabilità di progressione. Tuttavia, così come non tutti i soggetti obesi, insulino-resistenti e/o portatori di MS sviluppano steatosi, così non tutti i soggetti con steatosi epatica sviluppano NASH o cirrosi e la definizione di criteri di rischio rimane probabilmente il problema più spinoso in termini prognostici.

Diversi studi (Gastaldelli et al. 2008) hanno tuttavia dimostrato che l’aumentata ossidazione dei FFA e/o l’alterata sintesi o secrezione delle VLDL sono i punti centrali per lo sviluppo della steatosi epatica. L’accumulo epatocitario di TG potrebbe non essere il meccanismo primario del danno epatico, ma soltanto la causa della steatosi, potenzialmente senza effetti dannosi. In un modello sperimentale (Yamaguchi et al. 2007) di steatosi indotta da una dieta iperlipidica, il trattamento con un oligonucleotide antisenso, in grado di inibire la sintesi di TG, riduce la steatosi, ma produce un aumento del danno epatico, espresso da elevati valori di transaminasi ed aumento dell’apoptosi. Tutto questo si associa ad elevati livelli di FFA intraepatici. Sulla base di questi dati, gli autori (Yamaguchi et al. 2007) hanno ipotizzato che la sintesi di TG sia quindi un meccanismo favorevole in grado di compartimentalizzare l’eccesso di FFA e impedire la lipotossicità. La lipotossicità promuove l’apoptosi, la necrosi, lo stress ossidativo e l’infiammazione. Negli epatociti dei pazienti con steatosi (Di Vece et al. 2012) si è anche osservata una riduzione di acidi grassi polinsaturi in particolare di quelli della serie omega-3 (n-3 PUFAs), possibile concausa di danno cellulare. Studi su modelli animali (Byrne 2010) (successivamente confermati anche nell’uomo) hanno infatti evidenziato un effetto protettivo dei PUFA, capaci di svolgere un’azione antinfiammatoria e di ridurre la lipogenesi e l’accumulo di grasso a livello viscerale.

L’infiammazione gioca un ruolo importante nella progressione della NAFLD. Il meccanismo patogenetico è verosimilmente legato al sistema NF-kB7 e a IKK-28, il cui

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L'NF-κB ("nuclear factor kappa-light-chain-enhancer of activated B cells") è un complesso proteico funzionante come fattore di trascrizione. NF-κB si può trovare in tutti i tipi di cellule ed è coinvolto nella risposta delle cellule a molteplici stimoli, quali citochine infiammatorie, prodotti batterici o virali, danni al DNA ed altre situazioni di stress cellulare.

38 blocco previene il danno epatocitario indotto dalla dieta iperlipidica. Da notare che JNK ed NF-kB, due vie proinfiammatorie che contribuiscono a determinare IR, hanno effetti opposti sulla sopravvivenza cellulare e pertanto diversi possono essere gli effetti secondari di farmaci che ne inibiscono le azioni (Gastaldelli et al. 2008).

I FFA, presenti in eccesso, sono in grado di favorire l’apoptosi cellulare attraverso diversi meccanismi: vie di segnalazione lisosomiale, recettori di membrana ed apoptosi mediata dalla chinasi c-Jun N-terminale (JNK9). Gli epatociti steatosici, inoltre, sono maggiormente vulnerabili all’apoptosi indotta da acidi biliari in rapporto ad una aumentata attivazione delle caspasi 3 e 7 e della trascrizione di IL-8 ed IL-22 (Di Vece et al. 2012).

Altri meccanismi possono entrare in gioco (Gastaldelli et al. 2008), in particolare alterazioni delle citochine e delle adipochine circolanti (figura 11). L’eccessiva presenza di grasso viscerale si associa ad una diminuzione della concentrazione plasmatica di citochine insulino-sensibilizzanti ed anti-infiammatorie e a un’aumentata espressione di molecole che, al contrario, promuovono l’infiammazione. L’IR, a sua volta, si associa all’infiammazione del tessuto adiposo che modifica ulteriormente la secrezione di diverse citochine, tra cui la chemochina MCP-1 (monocyte chemoattractant protein-1). Poiché questa adipochina risulta iperespressa nei topi obesi, si potrebbe ipotizzare che questa anomalia sia presente anche nei soggetti obesi. Recenti evidenze (Kanda et al. 2006) mostrano come MCP-1 sia coinvolta nella generazione dell’infiammazione a livello del tessuto adiposo, attraverso l’aumentato reclutamento di macrofagi, con conseguente comparsa di fegato steatosico e di IR. MCP-1 è inoltre coinvolta nei processi di amplificazione del danno e nella fibrogenesi a livello epatico. Bassi livelli di adiponectina circolante si associano ad un aumento dell’accumulo di TG nel fegato e allo sviluppo di infiammazione. Poiché l’adiponectina, oltre a stimolare il metabolismo glucidico e lipidico, inibisce l’espressione di diverse citochine proinfiammatorie, incluso il tumor necrosis factor (TNF)-α, un suo deficit si traduce in un’iperespressione di questi fattori

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IKK-β, noto anche come subunità  della chinasi dell’inibitore del fattore nucleare kappa-B è una serino chinasi che funge da subunità catalitica della chinasi dell’inibitore di NF-κB (IκB), che una volta fosforilato viene degradato e quindi non inibisce più NF-κB che può traslocare nel nucleo.

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Le chinasi c-Jun N-terminale appartengono alla famiglia delle chinasi che rispondono agli stimoli che provocano stress cellulare ed appartengono alla famiglia delle chinasi di proteine attivate da mitogeni (MAPK) (Ip et al. 1998).

39 infiammatori che contribuiscono all’attivazione di quei processi che portano alla progressione della steatosi verso l’infiammazione e la fibrosi. Il TNF-α promuove la lipolisi, incrementa il flusso di FFA e, insieme all’interleuchina (IL)-6, è responsabile della disfunzione mitocondriale.

Anche la leptina10 è coinvolta nello sviluppo della steatosi epatica, sia attraverso meccanismi che regolano il metabolismo e la distribuzione del grasso a livello epatico, sia attraverso la modulazione dei processi ossidativi all’interno del fegato. Sembra che nei soggetti obesi con NAFLD vi sia una resistenza alla leptina, non correlata all’IR, che promuove l’accumulo di grasso e che favorisce il processo infiammatorio (Gastaldelli et al. 2008). Una volta accumulatosi il grasso a livello parenchimale, alterazioni metaboliche e mitocondriali e lo stress ossidativo intervengono nel determinare quel danno cellulare e quelle alterazioni genetiche che portano all’apoptosi cellulare e che contribuiscono

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La leptina è un ormone peptidico che regola il senso di sazietà.

Figura 11 Lo schema riassume i principali fattori che possono portare la patologia all’ultimo

stadio. Da: “Beyond HCV: Non Invasive Assessment of Non-Alcoholic Fatty Liver Disease”, www.healio.com/hepatology

40 all’inizio del processo infiammatorio. Le alterazioni mitocondriali, sia funzionali sia morfologiche, sono la conseguenza dell’IR e della lipotossicità e portano a β-ossidazione degli FFA e alla aumentata formazione di ROS. La presenza di citochine infiammatorie, come il TNF-α, contribuisce ad incrementare il danno mitocondriale, attraverso la produzione di specie reattive dell’azoto (RNS) e dell’anione superossido. ROS e RNS inducono modificazioni chimiche delle biomolecole che comportano la morte cellulare o l’instaurarsi di risposte di adattamento, come ad esempio l’attivazione di fattori di trascrizione redox-sensibili (NF-kB), che contribuiscono alla produzione di mediatori proinfiammatori e fibrogenici da parte delle cellule di Kupffer e delle cellule stellate epatiche. Recentemente è stata dimostrata una correlazione tra l’alterata produzione di ROS e l’IR (Houstis et al. 2006). Nonostante la forte capacità antiossidante del fegato, gli epatociti soffrono per l’effetto citotossico conseguente allo stress ossidativo e vanno incontro a necrosi e apoptosi che scatenano processi infiammatori. Tutte queste alterazioni inducono il processo fibrogenetico epatico che in alcuni pazienti giunge a determinare il quadro della cirrosi e delle sue complicanze (figura 11).

Tra i vari componenti dell’infiltrato infiammatorio (Gastaldelli et al. 2008), oltre ai monociti, i neutrofili rappresentano un’importante sorgente di molecole correlate allo stress ossidativo. Nella NASH l’infiammazione è il risultato dell’azione di mediatori solubili bioattivi che agiscono sia sulle cellule parenchimali sia su quelle non parenchimali. Le cellule epatiche sono inoltre il bersaglio di fattori generati dal tessuto adiposo, soprattutto quando questo è infiltrato da cellule infiammatorie, come nell’obesità. Un recente studio (Bigorgne et al. 2008) ha evidenziato come uno dei meccanismi implicati nello sviluppo di infiammazione sia correlato ad una disfunzione linfocitaria mediata dall’obesità che porta ad una anormale sensibilizzazione agli agenti chemiotattici. Sebbene il meccanismo non sia ancora del tutto chiarito, la presenza di obesità potrebbe stimolare il reclutamento di linfociti B all’interno del parenchima epatico, con conseguente attivazione del processo infiammatorio. I linfociti B (Gastaldelli et al. 2008), attraverso la produzione di citochine, giocano un ruolo fondamentale nell’avvio del processo fibrotico. L’attivazione delle cellule di Kupffer e delle cellule stellate epatiche contribuisce ulteriormente all’espressione delle citochine nella NASH. Un ruolo importante nella

41 progressione della malattia è da attribuire anche alle cellule endoteliali sinusoidali che, tramite l’espressione di molecole di adesione, interagiscono con i leucociti circolanti. Il danno epatocitario e lo stress ossidativo rappresentano i fattori iniziali per lo sviluppo dell’infiammazione; secondariamente, fattori aggiuntivi, tra cui lo stress del reticolo endoplasmatico, contribuiscono alla generazione di segnali infiammatori e di IR e all’immissione in circolo di leucociti. Anche in questo caso, l’attivazione del sistema NF- kB, fattore nucleare che contribuisce alla formazione di fattori proinfiammatori e fibrogenici da parte delle cellule stellate epatiche e dalle cellule di Kupffer, gioca un ruolo cruciale per l’infiammazione, nonostante sia coinvolto anche nel processo di sopravvivenza cellulare. Nei pazienti con NASH, il complesso NF-kB (Dela Pena et al. 2005) è iperattivo e questo è sufficiente per innescare l’infiammazione e la steatosi.

Recentemente Tilg e Moschen (Di Vece et al. 2012) hanno rivisto la ricostruzione patogenetica di Day et al., considerando la NASH come un’entità distinta dalla steatosi epatica semplice e non una semplice evoluzione di quest’ultima. Tali autori hanno proposto un nuovo modello in cui molteplici fattori causali agendo simultaneamente, sono in grado di determinare la comparsa della malattia epatica (modello “a colpi multipli paralleli”, figura 12). Secondo questa nuova interpretazione la steatoepatite e la steatosi rappresentano due entità nosologiche distinte; addirittura l’infiammazione, intesa come risposta dell’epatocita allo stress causato da fattori ambientali e genetici diversi, può precedere la comparsa di steatosi in corso di NASH e condurre ad essa. Osservazioni di pazienti con NASH in cui la steatosi è pressoché assente tendono a confermare tale ipotesi, così come il riscontro in modelli animali (topi con fenotipo obeso ob/ob) di regressione della steatosi dopo terapia antinfiammatoria con anticorpi monoclonali anti-TNF-α, o con metformina (anch’essa capace di ridurre l’espressione di TNF-α).

L’ipotesi di Tilg e Moshen (Tilg e Moschen 2010; Herbert e Alexander 2010) sottolinea il ruolo patogenetico preminente svolto da diversi fattori di derivazione extraepatica (in particolare intestino e tessuto adiposo) nel determinare la flogosi e la fibrosi epatica, sottolineando il possibile ruolo patogenetico delle alterazioni correlate allo stress del reticolo endoplasmatico. Le modificazioni della microflora intestinale, secondarie a dieta ricca di grassi/carboidrati o ad una alterazione del sistema immunitario, possono favorire la

42 comparsa di uno stato pro-infiammatorio, peggiorare il livello di adiposità viscerale e indurre IR e steatosi epatica. L’aumento delle endotossine batteriche circolanti (in rapporto ad un’alterata funzionalità del sequestro epatico), la ridotta sintesi di acidi grassi a catena corta (in grado di svolgere una azione anti-infiammatoria), l’alterata espressione a livello dell’epitelio intestinale di recettori toll-like (TLR) (regolatori dell’infiammazione e coinvolti nell’immunità innata) possono rappresentare dei “mediatori molecolari” del danno epatico, inducendo accumulo lipidico a livello epatico, lipotossicità, fibrosi ed, infine, l’insorgenza di neoplasie. Nel modello “a colpi multipli paralleli” viene sottolineato anche il possibile ruolo di fattori genetici, come i polimorfismi di alcune fosfolipasi, che sono stati associati ad una accelerazione della progressione del danno epatico in alcuni individui. In entrambi i modelli patogenetici proposti, lo stato pro-infiammatorio svolge una azione centrale; può essere il risultato di vie metaboliche differenti e rappresentare il

Figura 12 Molteplici fattori causali, ovvero in particolare l’alterazione del microbiota intestinale e la

lipotossicità, agiscono simultaneamente nel determinare la comparsa della patologia epatica. Da Buzzetti et al. 2016.

43 substrato comune per l’insorgenza di IR, di steatosi epatica e del correlato rischio cardiovascolare (Di Vece et al. 2012).

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