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La steatosi epatica non alcolica: aspetti diagnostici e terapeutici

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI FARMACIA

Corso di Laurea Magistrale in Farmacia

TESI DI LAUREA

La steatosi epatica non alcolica: aspetti diagnostici e terapeutici

Relatore: Prof.ssa Maria Rosa Mazzoni

ANNO ACCADEMICO 2018/2019

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Indice

INTRODUZIONE ... 1 1.IL FEGATO ... 4 1.1 Anatomia macroscopica ... 4 1.2 Anatomia microscopica ... 9

1.3 Funzioni del fegato ... 10

1.4 Enzimi epatici ... 11

1.5 Alterazione degli enzimi epatici ... 16

1.6 Test di funzionalità epatica ... 17

1.7 Biopsia epatica ... 18

2.NAFLD ... 20

2.1 EPIDEMIOLOGIA ... 20

2.2 DEFINIZIONE, STADIAZIONE E CRITERI DIAGNOSTICI ... 22

2.2.1 Definizione e criteri diagnostici ... 22

2.2.2 NAFLD e steatosi isolata ... 22

2.2.3 NASH ... 24

2.2.4 Fibrosi ... 24

2.2.5 Cirrosi e cancro epatocellulare ... 25

2.2.6 Altri aspetti della NAFLD ... 26

2.3 EZIOPATOGENESI ... 28

2.3.1 Insulino-resistenza ... 29

2.3.2 Alterazione del microbiota intestinale ... 32

2.3.3 Obesità addominale ... 34

2.3.4 Fattori ambientali (dieta) ... 34

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2.3.6 Meccanismi del danno epatico ... 35

2.3.7 Il fegato steatosico indotto da farmaci ... 43

2.4 FATTORI DI RISCHIO ... 44

2.4.1 Obesità ... 44

2.4.2 Sindrome metabolica (MS) ... 45

2.4.3 Diabete mellito di tipo 2 ... 45

2.4.4 Il fegato steatosico nelle malattie sistemiche ... 46

3.TERAPIA ... 48

3.1 FARMACI PER L'IR ... 48

3.1.1 Metformina ... 48

3.1.2 Tiazolidinedioni (TZD) ... 49

3.1.3 Agonisti GLP-1r ed inibitori della DPP-4 ... 50

3.2 AGENTI IPOLIPEMIZZANTI ... 51

3.2.1 Statine ... 51

3.2.2 Fibrati... 53

3.3 FARMACI IN FASE DI SPERIMENTAZIONE CLINICA ... 54

3.3.1 Farmaci che hanno completato la fase II e stanno iniziando la fase III di sviluppo ... 55

3.3.2 Agenti farmacologici promettenti negli studi di fase IIA e IIB ... 57

3.4 CITOPROTETTORI ... 58

3.4.1 Vitamina E ... 58

3.4.2 Betaina ... 61

3.5 IL RUOLO DELLA DIETA... 62

3.6 PROSPETTIVE FUTURE ... 64 4.DIAGNOSI ... 66 4.1 INTRODUZIONE ... 66 4.2 TECNICHE DI IMAGING ... 68 4.3 MICRO-RNA ... 70 4.3.1 Descrizione ... 70

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4.3.2 I miRNA come biomarcatori ... 72 4.4 BIOMARCATORI METABOLICI ... 75 4.4.1 Diagnosi di NAFL ... 75 4.4.2 Diagnosi di NASH ... 78 4.4.3 Diagnosi di fibrosi ... 82 4.5 CONCLUSIONE ... 88 BIBLIOGRAFIA ... 89

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INTRODUZIONE

La steatosi epatica non alcolica (NAFLD) colpisce più del 30% della popolazione degli Stati Uniti ed è previsto che diventerà la causa principale di malattia cronica del fegato a partire dal 2020. Come risultato, gli oneri sociali ed economici della NAFLD sono di vasta portata (Ofosu et al., 2018). Questo elaborato che rappresenta un sommario delle attuali conoscenze sulla NAFLD, con un accento particolare nell’identificazione delle carenze nella sua diagnosi e nella sua gestione, descrive anche le direzioni future da intraprendere per affrontare queste limitazioni. Nonostante la prevalenza in aumento della NAFLD, ci sono limitate conoscenze riguardo la sua storia naturale e gli approcci pratici della sua stadiazione, della sua diagnosi e della sua gestione. La patologia epatica non alcolica è istologicamente simile alla patologia epatica da abuso di alcol, ma senza una storia di consumo di alcool. La NAFLD rappresenta uno spettro di patologie epatiche non alcoliche, dalla malattia del fegato steatosico non alcolico (NAFL), caratterizzata da accumulo di grasso epatico senza infiammazione, alla steatoepatite non alcolica (NASH), caratterizzata da deposito di grasso epatico con infiammazione, accumulo progressivo di fibrosi ed in ultima analisi cirrosi epatica. La cirrosi associata a NASH è attualmente la causa principale della patologia epatica cronica ed è associata con il cancro epatocellulare (Ofosu, et al.,2018). La NAFLD è fortemente associata con l’obesità, il diabete e la sindrome metabolica, non soltanto nelle società occidentali, ma nel ventunesimo secolo anche nella maggior parte delle altre regioni del mondo (Koch e Yeh, 2018). È generalmente accettato che molteplici vie e meccanismi sono coinvolti nella patogenesi della NASH. Questi meccanismi includono fattori dietetici, l’insulino-resistenza, i polimorfismi genetici, la lipotossicità e un microbiota intestinale alterato (Sarwar, et al., 2018). Inoltre, attualmente, la diagnosi di NASH dipende dall’esame istologico della biopsia epatica (Koch e Yeh, 2018). L’aumento dell’incidenza della NAFLD richiede uno sforzo amplificato per rivelare precocemente la malattia così da ridurre la sua progressione. A causa della sua complessa patofisiologia, diversi percorsi molecolari vengono analizzati per lo sviluppo di farmaci come le vie metaboliche, quelle dell’infiammazione e del rallentamento o dell’inversione

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2 della fibrosi. Ci sono parecchi agenti farmacologici che stanno progredendo verso gli studi clinici, e sono stati osservati risultati promettenti con farmaci che agiscono sulla fibrosi, sull’infiammazione e sulla steatosi epatica (Sarwar, et al., 2018). I principali farmaci utilizzati nella NAFLD e nella NASH sono le statine ed i fibrati, mentre gli ipoglicemizzanti orali, l’acido obeticolico e elafibranor sono utilizzati nella NASH. Trovano inoltre largo impiego alcuni agenti citoprotettori (vitamina E, betaina), anche se il trattamento ottimale della NASH resta incerto. Dieta ed esercizio fisico rimangono invece il cardine della gestione dei pazienti con NAFLD, la fase più precoce della steatosi epatica non alcolica.

C’è un urgente bisogno di sviluppare biomarcatori per identificare la NAFLD e la NASH e per selezionare i pazienti sia per il trattamento che per il monitoraggio. Questo requisito è particolarmente vero poiché l’utilità della biopsia del fegato è limitata dalla sua natura invasiva, dalla scarsa accettazione da parte del paziente e dalla variabilità di campionamento (Wong, et al., 2018). Esistono dei biomarcatori non invasivi che sono attualmente disponibili o in fase di sviluppo per la valutazione della NAFLD. Oltre ai marcatori biochimici, ci sono anche gli studi di imaging, i test genetici e le nuove informazioni che derivano dall’epoca dell’“omica”. Diverse strategie di imaging non invasive, tra cui l’ecografia, la tomografia computerizzata (TC), l’imaging di risonanza magnetica (MRI) e la spettroscopia magnetica protonica, sono state recentemente introdotte per sostituire o integrare le biopsie; tuttavia, tutte queste tecniche sono fortemente dipendenti dalle competenze dell’operatore e dalla disponibilità delle costose apparecchiature. Tipi meno costosi di imaging, compresi gli ultrasuoni, soffrono la mancanza di un’analisi quantitativa obiettiva (Turchinovich, et al., 2018). Diversi approcci nella diagnostica di NAFLD sono basati sulla rivelazione di determinate proteine ematiche e sulla misurazione di singoli parametri clinici. L’utilità predominante di questi biomarcatori ematici è nella valutazione non invasiva della fibrosi epatica in tutta una varietà di condizioni, comprese quelle legate alle infezioni virali croniche (Baranova e Younossi, 2008; Baranova et al., 2011). Tuttavia, la loro sensibilità e specificità nel contesto della NAFLD rimangono altamente limitate. I biomarcatori ideali per la NAFLD dovrebbero possedere non solo elevata specificità e sensibilità, ma dovrebbero essere

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3 anche minimamente invasivi, poco costosi da misurare e facilmente quantificabili (Turchinovich, Baranova, et al., 2018).

I miRNA sono stati trovati in tutti i liquidi biologici umani, compreso il sangue e si sono dimostrati promettenti come biomarcatori non-invasivi. E’ stato ipotizzato che i miRNA circulanti influenzino alcuni processi metabolici, compresi quelli che contribuiscono alla progressione del fegato steatosico. I profili dei miRNA circolanti possono riflettere i processi patologici in corso nei tessuti e negli organi del corpo e così permettere una diagnosi non invasiva altamente sensibile di molteplici disordini (Turchinovich, et al., 2018).

In questo elaborato verranno discussi la centralità del fegato nella maggior parte dei processi metabolici che avvengono nell’organismo, le sue funzioni e l’alterazione degli enzimi epatici nella NAFLD, l’eziopatogenesi della malattia, i fattori di rischio, il decorso clinico e il trattamento terapeutico. Verranno infine esaminate le alternative diagnostiche alla biopsia epatica attualmente esistenti, in particolare verranno elencati i principali biomarcatori metabolici non invasivi che possono essere indice di NASH o precoci marcatori di NAFLD e verranno descritti i saggi biochimici utilizzati per la loro individuazione e quantificazione.

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1. IL FEGATO

1.1 Anatomia macroscopica

Il fegato è un organo dell’apparato digerente che rappresenta la ghiandola più voluminosa del nostro corpo. È posto nella parte alta della cavità addominale dove occupa l’ipocondrio destro e parte dell’epigastrio ed è ricoperto dalle ultime sette-otto coste. Il fegato superiormente, con la mediazione del diaframma, è in rapporto con i polmoni e il cuore, mentre inferiormente si trovano lo stomaco e l’intestino, e posteriormente si trova a ridosso delle ultime tre vertebre toraciche (figura 1).

Il fegato ha normalmente un colore rosso bruno e un peso di circa 1,5 Kg. Il tessuto del fegato è duro, ma friabile, ha notevoli proprietà plastiche, si modella nello spazio che gli è riservato e le numerose impronte che si ritrovano in corrispondenza dell’organo sono dovute a pressioni lievi e continue degli organi adiacenti. Questa proprietà è dovuta alla sua attitudine a svilupparsi e crescere nei punti dove trova minore resistenza ed a ridursi laddove le resistenze sono maggiori. Nel vivente quest’organo si lacera facilmente in seguito a urti o pressioni (Gesi et al. 2007). Nella NAFLD le dimensioni dell’organo aumentano a dismisura ed aumenta anche il suo peso (figura 2).

La forma del fegato può essere paragonata a quella di un ovoide con l’asse maggiore trasversale a cui è stata asportata la parte inferiore sinistra secondo un piano obliquo diretto da sinistra verso destra e dall’alto verso il basso (figura 3). L’estremità destra, particolarmente rappresentata, raggiunge il fianco destro e scivola in basso. Il fegato offre

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5 a considerare una faccia antero-superiore (o diaframmatica), una postero-inferiore (o viscerale) e due margini, uno antero-inferiore libero (o margine acuto) e uno posteriore arrotondato (o margine ottuso). Il fegato è divisibile in lobi; questa divisione interessa la superficie e non le parti interne dell’organo. La faccia antero-superiore presenta due lobi, destro e sinistro. Il lobo destro occupa l’ipocondrio destro, il sinistro trova posto nell’epigastrio. Nella faccia postero inferiore troviamo un lobo destro e un lobo sinistro, ma tra di loro sono intercalati, indietro, il lobo caudato (o dello Spigelio) e, in avanti, il lobo quadrato. La faccia antero-superiore è divisa in due lobi dalla linea di inserzione di un dispositivo peritoneale, il legamento falciforme. Il fegato in corrispondenza del lobo destro presenta le impronte costali dirette trasversalmente e i solchi antero-posteriori, detti solchi diaframmatici. Il lobo sinistro è assai piccolo, la sua faccia antero-superiore è leggermente convessa con una leggera depressione, l’impronta cardiaca, dovuta al suo rapporto, seppur mediato dal diaframma, con la porzione apicale del cuore. La faccia postero-inferiore del fegato è percorsa nella sua parte centrale da alcuni solchi, due ad andamento sagittale e uno trasversale, disposti in modo che si usa paragonare il loro decorso a una H. Il solco

Figura 2 TC di un fegato sano (pannello superiore)

e di un fegato steatosico (pannello inferiore). Da: Wikipedia, www.de.wikipedia.org/wiki/Fettleber.

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6 trasversale rappresenta l’ilo del fegato, dove transitano vasi, nervi ed i condotti escretori. Nell’ilo del fegato, oltre ai numerosi vasi linfatici, si osservano, in senso dorso-ventrale, la vena porta con i suoi due rami di divisione destro e sinistro, l’arteria epatica propria con i suoi rami di divisione e il condotto epatico con i suoi rami di origine. Le due fosse sagittali destra e sinistra insieme all’ilo concorrono a confinare, sulla faccia inferiore del fegato, quattro lobi: i lobi destro e sinistro, il lobo quadrato, anteriore all’ilo e il lobo caudato posteriore all’ilo (Gesi et al. 2007). I principali vasi che portano il sangue al fegato sono l’arteria epatica propria (1/3 del totale) e la vena porta (i restanti 2/3). Il ritorno venoso avviene tramite le vene epatiche che si aprono nella vena cava inferiore. I vasi arteriosi hanno il compito di portare al fegato sangue ossigenato, la vena porta sostanze chimiche e nutritizie assorbite a livello dell’intestino (Martini et al.2000) (figura 4).

La superficie del fegato è quasi interamente ricoperta da peritoneo, che gli aderisce intimamente, mentre i legamenti peritoneali principali del fegato sono il legamento falciforme, il piccolo omento, il legamento coronario e i legamenti triangolari. Un altro mezzo di fissità è rappresentato dalla vena cava inferiore che è fissata al centro frenico del diaframma e al fegato per mezzo delle vene epatiche e delle loro ramificazioni. Comunque il fegato non è immobile, ma può subire movimenti limitati che dipendono dall’atteggiamento del corpo, dalla replezione del canale alimentare e dalla respirazione (Gesi et al. 2007).

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Figura 3 Il fegato. Da:"Nuovo atlante del corpo umano", Gruppo Editoriale Fabbri,

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Figura 4 Vascolarizzazione del fegato. Da: “Anatomia del fegato”,

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1.2 Anatomia microscopica

Il fegato è un organo pieno che presenta una capsula fibrosa esterna o capsula di Glisson e una struttura lobulare. La capsula di Glisson sprofonda nel parenchima epatico sottostante con brevi e robusti setti connettivali. I lobuli epatici, che rappresentano l’unità funzionale del fegato, appaiono di forma piramidale a base poligonale con apice tronco, alti circa 2 mm e larghi circa 1 mm. I lobuli epatici sono strettamente ravvicinati gli uni agli altri, separati solamente da esili spazi detti fessure interlobulari che in prossimità degli spigoli, comuni a tre o più lobuli, confluiscono negli spazi portali. In tali spazi, in un ricco tessuto connettivale, di dipendenza della capsula di Glisson, transitano i rami della vena porta e dell’arteria epatica propria, i dotti biliari e i vasi linfatici. Ciascun lobulo risulta costituito da numerose lamine di cellule epiteliali dette epatociti (nell’intero organo sono circa 100 miliardi). Tali lamine convergono radialmente verso il centro del lobulo epatico e delimitano una fitta organizzazione labirintica di spazi irregolari in cui transita una tortuosa rete di capillari sinusoidi, interposta tra due sistemi venosi. La direzione del sangue all’interno del lobulo è centripeta. I capillari sinusoidali, riccamente anastomizzati tra loro, sono caratterizzati dall’avere la parete endoteliale sottile e ampiamente discontinua, il lume ampio (7-15 µm) e un decorso molto tortuoso. Nella parete dei capillari sinusoidi, tra le cellule endoteliali, sul versante interno si trovano particolari cellule con attività fagocitaria, le cellule di Kupffer (Gesi et al. 2007). La bile viene secreta dagli epatociti a livello di canalicoli ristretti (canalicoli biliari) presenti tra le membrane di epatociti adiacenti. Da qui viene convogliata verso condotti di dimensioni maggiori, i condotti biliari, che si trovano negli spazi portali, e da qui fino ai 2 condotti epatici destro e sinistro, che raccolgono la bile dei due rispettivi lobi destro e sinistro, e convergono nel condotto epatico comune che esce dal fegato a livello dell’ilo. Dal dotto epatico comune la bile può fluire nel dotto coledoco che si apre nel duodeno, o fluire nel condotto cistico diretto alla cistifellea (Martini et al. 2000), ovvero un organo con funzione di accumulare e concentrare la bile prima che questa raggiunga l’intestino tenue.

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1.3 Funzioni del fegato

Il tessuto epatico ha numerose funzioni metaboliche, tra cui la fabbricazione di sostanze come alcune apolipoproteine, il glucosio tramite la gluconeogenesi, e altre cataboliche, ad esempio la deaminazione e transaminazione degli aminoacidi, oltre ad essere il principale organo responsabile della trasformazione dei farmaci in metaboliti generalmente idrofili e più facilmente eliminabili dall’organismo.

Il fegato è un organo molto importante che ha la proprietà di modificare e distribuire le sostanze nutrienti e funziona da ghiandola esocrina che secerne nel tubo digerente la bile, un liquido coinvolto nella digestione e nell’eliminazione di sostanze indesiderate.

Le funzioni del fegato possono essere riassunte in: funzioni di sintesi, funzioni di accumulo, funzioni cataboliche, funzioni di escrezione.

Funzioni di sintesi

A livello epatico vengono sintetizzate la maggior parte delle proteine plasmatiche come albumina, globuline (ad eccezione delle immunoglobuline), dei fattori della coagulazione (protrombina), dei composti azotati non proteici (urea, purine, pirimidine, eparina ecc.). Il fegato svolge un ruolo principale nell’omeostasi di proteine, carboidrati e lipidi. Le vie metaboliche della glicolisi, del ciclo di Krebs, della sintesi degli amminoacidi e i processi di fosforilazione ossidativa avvengono tutti all’interno degli epatociti, che sono particolarmente ricchi di mitocondri. Il fegato interviene nel metabolismo di quasi tutte le sostanze organiche: (1) metabolismo glucidico: mantiene l’omeostasi glucidica, regolando gluconeogenesi, glicogenesi, glicogenolisi; (2) metabolismo lipidico: sintesi di trigliceridi, di acidi grassi, di lipoproteine, con formazione di corpi chetonici, scissione dei trigliceridi, sintesi ed escrezione del colesterolo, fissazione, formazione, scissione dei fosfolipidi; (3) metabolismo di vitamine (vitamina B12) e degli acidi biliari; (4) metabolismo dei pigmenti biliari (bilirubina).

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11 Funzioni di accumulo

Il fegato costituisce la sede di deposito dei trigliceridi, degli acidi grassi, dei fosfolipidi, del colesterolo, delle proteine plasmatiche, delle vitamine idro- e liposolubili, dei fattori emopoietici come ferro, rame, acido folico e vitamina B12.

Funzioni cataboliche

Attraverso reazioni di ossidazione, riduzione, idrolisi, decarbossilazione e ossidrilazione, il fegato catabolizza sostanze endogene come l’insulina, il glucagone, gli estrogeni, e detossifica da sostanze esogene, dannose per l’organismo, come prodotti chimici inquinanti e farmaci.

Funzioni di escrezione

Coniugando composti, sia esogeni che endogeni, con molecole come l’acido glucuronico (prodotto solo dagli epatociti), la glicina, l’acido solforico, l’acido acetico e la taurina, ne consente l’escrezione. Produce e secerne la bile, costituita da pigmenti biliari, acidi biliari, colesterolo, fosfolipidi, ioni inorganici e proteine in limitata quantità.

Altre funzioni

Altre funzioni sono l’accumulo di sangue e la fagocitosi: il fegato rappresenta la principale riserva di sangue del nostro organismo e riceve circa il 25% della gittata cardiaca. Mentre il sangue passa attraverso i sinusoidi epatici i fagociti (cellule di Kupffer) rimuovono i globuli rossi invecchiati o danneggiati, i detriti cellulari e i microrganismi patogeni (Martini et al. 2000).

1.4 Enzimi epatici

Poiché il fegato svolge molteplici funzioni, la determinazione di un danno richiede l’impiego combinato di diversi test, non essendo sufficiente un singolo esame a determinare una disfunzione o una patologia epatica. Ci sono diversi test biochimici che vengono comunemente considerati diagnostici per le patologie epatiche. I test biochimici epatici possono essere suddivisi in quelli che riflettono un danno e in quelli che indicano la

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12 funzione di sintesi ed escretoria. Considereremo test di funzionalità epatica (LFT) questi ultimi, e non quelli che in genere riflettono il danno, le aminotransferasi. I test epatici più comunemente utilizzati sono la bilirubina, la fosfatasi alcalina, la -glutamiltranspeptidasi (-GT) e le amino transferasi (tabella 1). Altri test meno comunemente utilizzati, ma molto utili sono la 5’-nucleotidasi (5’NT), l’albumina e il tempo di protrombina (PT). Le aminotransferasi comprendono l’aspartato aminotransferasi (AST), in passato chiamato transaminasi sierica glutammico ossalacetica (GOT), e l’alanino aminotransferasi (ALT), in passato denominata transaminasi sierica glutammico piruvica (GPT), che contribuiscono entrambe alla gluconeogenesi epatica (Bayless et al.2005). Le transaminasi catalizzano la reazione di trasferimento di un gruppo amminico da un aminoacido ad un chetoacido (figura 5). L’incremento di questi enzimi nel siero indica danno e morte epatocellulare. Mentre l’ALT è un enzima relativamente epatospecifico, la AST è comunemente riscontrabile nel tessuto muscolare scheletrico e cardiaco. Le amino transferasi sono generalmente indice di danno epatico parenchimale, come nel caso delle epatiti infettive e di numerose patologie da accumulo, come il deficit di 1-antitripsina e la steatosi epatica.

In caso di danno epatico la fosfatasi alcalina e la -GT possono essere elevate in una certa misura, ma la bilirubina non si eleva mai in assenza di ostruzione biliare o di insufficienza epatica o di altro danno significativo (Bayless et al. 2005). La fosfatasi alcalina (ALP) è un enzima ubiquitario e aspecifico che presenta diverse forme isoenzimatiche (almeno 4) e catalizza l’idrolisi di monoesteri fosforici. Risulta spesso elevato in malattie del tratto biliare, ma può anche essere lievemente alterato in varie patologie che coinvolgono primitivamente il parenchima epatico, forse come risultato del danno a carico dei piccoli dotti biliari. Livelli elevati di fosfatasi alcalina si possono riscontrare anche in situazioni fisiologiche come la gravidanza (isoforma placentare della fosfatasi alcalina), l’infanzia e in soggetti con patologie ossee (isoforma ossea della fosfatasi alcalina). La bilirubina deriva dalla porzione porfirinica dell’emoglobina quando, al termine del loro periodo vitale, i globuli rossi vengono degradati dalle cellule del Kupffer. La bilirubina (bilirubina indiretta o non coniugata) viene successivamente escreta nel sangue dove si lega all’albumina. La bilirubina viene captata dagli epatociti e successivamente coniugata a una

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13 o due molecole di acido glucuronico (bilirubina diretta o coniugata) e i composti coniugati secreti nella bile (Berne e Levy 2000).

La bilirubina può essere elevata per diverse ragioni, alcune attribuibili ad una disfunzione escretoria epatica o a danno epatico importante, altre non minimamente correlate al fegato (es. anemie emolitiche). Le cause più importanti di rialzo della bilirubinemia sono le patologie ostruttive biliari e le disfunzioni epatiche lievi o indicative di insufficienza epatica (Bayless et al.2005). La -GT è invece un parametro di stasi biliare. È un enzima glicoproteico legato alla membrana plasmatica coinvolto nel trasferimento del gruppo gamma-glutamilico da un peptide all’altro. È coinvolto nel metabolismo del glutatione. È influenzato dall’assunzione di alcool ed ha un’utilità preminente nello screening e nel follow-up di alcolisti sottoposti a terapia. È presente in grande quantità nel fegato sia negli epatociti che nelle cellule epiteliali dei canalicoli biliari e nell’epitelio del tubulo renale. Aumenta per danno epatocellulare, ma soprattutto in presenza di colestasi, negli alcolisti, perché l’alcol etilico ne stimola la sintesi epatica, e per induzione da farmaci (rifampicina, antiepilettici).

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ASPARTATO AMINOTRANSFERASI (AST)

α-CHETOGLUTARATO C=O CH 2 CH NH2 GLUTAMMATO AST COOH COOH COOH COOH COOH COOH COOH COOH CH2 CH2 CH2 CH2 NH2 CH CH2 C=O ASPARTATO AC. OSSALACETICO

ALANINO AMINOTRANSFERASI (ALT)

COOH COOH COOH COOH COOH COOH CH CH2 CH2 NH2 GLUTAMMATO α-CHETOGLUTARATO ALT C=O C=O CH3 CH NH2 CH3 C=O CH2 CH2 ALANINA AC. PIRUVICO

Figura 5 Le reazioni catalizzate dalle transaminasi.

+ +

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Tabella 1 Test epatici (Bayless et al.2005).

Fonte Valori normali

AST – aspartato amino- transferasi Catalizza il trasferimento di un gruppo aminico dell’acido aspartico all’acido chetoglutarico per produrre acido ossalacetico

Fegato, cuore, rene, pancreas, cervello, globuli rossi e bianchi Valori normali fino a 19 U/l (m) e 15 U/l (f) ALT – alanino amino- transferasi Catalizza il trasferimento di un gruppo aminico dell’alanina all’acido chetoglutarico per produrre acido piruvico Catalizza il trasferimento di un gruppo aminico dell’alanina all’acido chetoglutarico per produrre acido piruvico

Fegato Valori normali fino a 20 U/L (m) 18 U/L (f) ALP – fosfatasi alcalina Gruppo di isoenzimi glicoproteici che catalizza l’idrolisi degli esteri fosfati

Fegato, ossa, rene, intestino, placenta, tumori, globuli bianchi Valori normali:adulti 50-150 U/l Bilirubina coniugata Bilirubina non coniugata Bilirubina glucoronide, che origina dalla coniugazione della bilirubina nel fegato, idrosolubile. Anione organico che deriva dalla

degradazione dell’emoglobina, liposolubile.

Fegato

Emolisi, difetti della coniugazione o della captazione epatica Bilirubina diretta: 0,2-0,8 mg/dl. Bilirubina indiretta: 0,1-0,3 mg/dl. GT -  -glutamil transpeptidasi Catalizza il trasferimento di gruppi -glutammici dei peptidi ad altri aminoacidi

Fegato, milza, rene, cervello, cuore, polmone, pancreas, vescicole seminali Valori normali 55 U/L (m) e 38 U/L (f) Funzione fisiologica Test

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1.5 Alterazione degli enzimi epatici

I meccanismi responsabili delle variazioni dell’attività degli enzimi del siero in condizioni patologiche sono: (1) l’aumento della mobilizzazione degli enzimi cellulari:”enzimi della

lisi” quali AST, ALT, CK, LDH, AMY, ecc.; (2) l’incremento della sintesi enzimatica: può

aver luogo per induzione o riattivazione genica del meccanismo di sintesi, oppure per abnorme proliferazione delle cellule nelle quali l’enzima viene sintetizzato; tra questi enzimi troviamo alcuni enzimi epatici, quali -GT, ALP, LAP; la colestasi è la causa più frequente di induzione, ma anche farmaci ed alcool possono indurre la sintesi di -GT; (3) la diminuita escrezione urinaria: questo meccanismo riguarda solo alcuni enzimi come l’amilasi.

La funzionalità epatica è mantenuta fino a che rimane attivo anche solo il 10% del parenchima epatico. Il rialzo delle transaminasi indica tipicamente danno epatocellulare, che può spesso verificarsi anche in presenza di livelli normali o quasi di bilirubina e di fosfatasi alcalina. L’ALT è localizzata essenzialmente nel fegato ed aumenta marcatamente nel: epatite virale, necrosi epatica su base tossica.

Aumenti di minore entità si osservano in corso di: cirrosi epatica, ittero colo statico, stasi epatica da insufficienza cardiaca, mononucleosi infettiva.

L’AST esiste come frazione citosolica (60%) e frazione mitocondriale (40%), ASTI e II, ed aumenta: fisiologicamente nel neonato, marcatamente in caso di infarto del miocardio, epatite virale, necrosi epatica su base tossica, moderatamente in caso di cirrosi epatica, ittero colostatico, metastasi epatiche e carcinoma epatico, mononucleosi infettiva, malattie muscolari, emolisi anche in vitro.

Lo studio dei rapporti tra enzimi di origine mitocondriale (ASTII e OCT o ornitina carbamil transferasi) e citosolica (ALT e ASTI) è utile ai fini diagnostici e prognostici. In quasi tutte le patologie epatiche il rapporto AST/ALT è inferiore a 1 fino all’insorgere di una cirrosi in cui si ha un capovolgimento del rapporto. La causa del più comune rialzo delle ALT è la tossicità da farmaco, generalmente lieve e transitoria. Le infezioni virali croniche, come l’epatite B (HB) o C (HC), e la steatosi epatica rappresentano le cause più comuni di costante alterazione degli enzimi. In queste condizioni raramente i valori delle ALT superano le 300 U/l. La steatosi epatica non alcolica (NAFLD o NASH) viene

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17 diagnosticata sempre più frequentemente anche in assenza dei classici fattori di rischio, quali obesità e diabete mellito. Recenti evidenze hanno mostrato che la steatosi può manifestarsi anche senza un rialzo significativo delle transaminasi. Il tipico pattern enzimatico in caso di steatosi è un rapporto AST/ALT inferiore a 1, con valori che possono arrivare a circa 5 volte la norma. Sfortunatamente l’alterazione enzimatica non correla con il grado di steatosi, la presenza di infiammazione o la steatoepatite non alcolica (NASH), considerata la variante più aggressiva di questa patologia. La diagnosi di NASH deve essere confermata con una biopsia epatica, anche se le indagini radiologiche possono essere suggestive di steatosi. Il danno epatico da alcol è comunque ancora fenomeno comune ed è quindi sempre necessaria un’attenta anamnesi (Bayless et al.2005).

1.6 Test di funzionalità epatica

I test di funzionalità epatica riflettono la capacità di sintesi del fegato e comprendono come indici di funzionalità la coniugazione e l’escrezione della bilirubina, la concentrazione sierica degli acidi biliari, il tempo di protrombina e l’albumina. L’albumina viene sintetizzata nel fegato in quantità di 10-15 g al giorno con una riserva funzionale di 500 g (Bayless et al. 2005). Nonostante non sia utilizzabile come marker di epatite acuta e la sua utilità clinica debba essere valutata nel contesto di altri esami di sintesi epatica, è molto utile come indicatore di patologia cronica. Inoltre il valore di diverse molecole lipidiche varia in corso di patologie epatiche acute e croniche.

Il profilo di screening per la funzionalità d’organo del fegato è il seguente: proteine totali, albumina, metaboliti epatici, bilirubina totale e diretta, glucidi, lipidi e lipoproteine; enzimi di sortita relativi all’epatocita: AST, ALT, LDH (isoforma 5, anche 4), ALP e -GT. In particolare, le indagini biochimiche relative a bilirubina, enzimi epatici, proteine plasmatiche e fattori della coagulazione possono aiutare nella differenziazione delle seguenti diagnosi: ostruzione del tratto biliare, danno acuto epatocellulare, malattia epatica cronica.

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1.7 Biopsia epatica

Lo scopo principale di una biopsia epatica percutanea è quello di confermare una sospetta diagnosi e di quantificare l’entità del danno epatico eventualmente presente. La procedura è invasiva, ma è attualmente una delle più diffuse in epatologia e non esistono, al momento, alternative non invasive affidabili. Rimane l’unico mezzo per la diagnosi di steatosi epatica. Esistono poche vere controindicazioni alla biopsia epatica. Ad esempio alcune controindicazioni relative includono ascite, grossi emangiomi od infezioni intraddominali. La compliance del paziente è fondamentale e in caso di mancata collaborazione la biopsia non deve essere effettuata. In queste situazioni il campione può essere ottenuto in altro modo, ad esempio utilizzando la via trans venosa. La tecnica e gli strumenti utilizzati per la biopsia sono in continua evoluzione. La maggior parte dei centri dispongono di aghi o pistole monouso per ridurre i costi ed eseguire il maggior numero di biopsie possibili. La modalità più comune è la biopsia percutanea in regime di day hospital, con o senza sedazione, seguita da un periodo di osservazione di 2-6 ore prima della dimissione. L’esecuzione di un’ecografia prima della biopsia viene considerata una misura di sicurezza per prevenire una perforazione della colecisti o di grossi vasi intraepatici durante la manovra. Le complicanze includono dolore, perforazione della colecisti, del colon, del rene o del polmone, sanguinamento intraddominale, infezione, pneumotorace, risposta vasovagale ed altre complicanze cardiovascolari. Queste alterazioni si risolvono spontaneamente con trattamento conservativo. Alterazioni emodinamiche ed il dolore si verificano in caso di sanguinamento significativo. In situazioni in cui la biopsia percutanea è considerata rischiosa, è possibile intervenire radiologicamente con una biopsia trans venosa, tipicamente trans giugulare. Nonostante l’accuratezza e la riproducibilità della biopsia, esistono anche gli errori di campionamento, che si attestano intorno al 30% in termini di differenze minime nell’infiammazione e nella fibrosi. Questo dipende in parte dalla dimensione del campione ottenuto e dal numero di spazi portali visibili al suo interno. La biopsia è attualmente ancora considerata il gold standard e, attualmente, non esistono altri marcatori di infiammazione o di fibrosi universalmente riconosciuti. L’uso combinato di marker sierici e della biopsia epatica rappresentano lo standard diagnostico nelle malattie epatiche. Queste metodiche, in associazione con un’anamnesi accurata ed un

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19 esame obiettivo, permettono al clinico di formulare una diagnosi nella maggior parte dei casi. Il costante sviluppo di marker non invasivi di infiammazione, steatosi e fibrosi continuerà a modificare lo scenario della diagnosi e della terapia delle patologie epatiche. Inoltre nuove tecniche di imaging, come la spettroscopia di risonanza magnetica, potranno ampliare la disponibilità di esami, soprattutto per malattie comuni tra cui la steatosi epatica (Bayless et al.2005).

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2. NAFLD

2.1 EPIDEMIOLOGIA

La NAFLD è attualmente il più comune disturbo epatico particolarmente nei paesi occidentali. È difficile determinare la prevalenza1 della NAFLD, dato che il gold standard per la diagnosi, e soprattutto la distinzione tra NAFLD e NASH, è la biopsia epatica, che è relativamente invasiva per l’utilizzo nello screening di routine (Koch e Yeh 2018). In tutto il mondo, la prevalenza della NAFLD è circa del 25%, con i tassi più alti che sono stati riportati in Sud America (31%) e nel Medio Oriente (32%), seguiti dall’Asia (27%), dagli USA (24%) e dall’Europa (23%); la NAFLD è meno comune in Africa (14%). Relazioni dalla National Health and Nutrition Examination Survey hanno mostrato che la prevalenza della malattia del fegato steatosico nei pazienti con malattia cronica del fegato è aumentata dal 47% al 75% tra il 1999 e il 2008. Nel complesso, la prevalenza della NAFLD sta aumentando, in particolare negli Stati Uniti ed è proiettata a diventare una delle principali cause di malattia cronica del fegato oltre il 2020 (Ofosu et al. 2018). La maggior parte degli autori stima che la prevalenza sia del 20-30% negli Stati Uniti, cosa che è correlata con il tasso di obesità. Circa il 10% di questi pazienti (o il 2-5% dell’intera popolazione) hanno NASH. Mentre i tassi di NAFLD tendono ad essere più alti nei paesi occidentali, la prevalenza sta aumentando in Asia, dove la NAFLD è spesso segnalata negli individui non-obesi (Koch e Yeh 2018).

La prevalenza della NAFLD, infatti, tende ad essere parallela a quella dei gruppi ad alto rischio con sindrome metabolica (MS), sebbene la NAFLD possa verificarsi anche nei pazienti con un normale indice metabolico di base. Un’alta prevalenza di condizioni di comorbidità nei pazienti con NAFLD, e vice versa, hanno permesso di stabilire da lungo tempo una relazione causale di direzionalità che sollecita ulteriori indagini. Tra i pazienti con il diabete di tipo 2 la prevalenza della NAFLD varia dal 33% al 66%, mentre la prevalenza del diabete tra i pazienti con NAFLD è stata riportata essere del 43%. Tra i

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La prevalenza è il numero di casi di malattia in una popolazione in un determinato momento, presi come proporzione del numero totale di persone in quella popolazione (malati più sani).

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21 pazienti con obesità, la prevalenza della NAFLD può superare il 95%. Inoltre altre condizioni di comorbidità sono state riportate tra i pazienti con NAFLD, inclusa l’iperlipidemia (69%), l’ipertrigliceridemia (41%), MS (43%) e l’ipertensione (39%). La maggior parte dei pazienti diagnosticati con la NAFLD hanno tra i 40 e i 50 anni; tuttavia, ci sono dati contrastanti per quanto riguarda la sua distribuzione tra i due sessi. Tuttavia, mentre la prevalenza della NAFLD potrebbe variare con il sesso e con il gruppo etnico, l’avanzare dell’età è stata associata con un aumento della frequenza e con lo stadio (figura 6) della malattia epatica (Ofosu et al. 2018). Inoltre, il carcinoma epatocellulare (HCC) si verifica in assenza di cirrosi più comunemente nella NAFLD che in molte altre patologie epatiche; in uno studio, solo il 35% dei pazienti con HCC-NAFLD hanno raggiunto lo stadio 3 o 4 di fibrosi come diagnosticato dalle indagini di imaging, confrontato con il 75% dei pazienti con HCC associato ad altre patologie epatiche (Koch e Yeh 2018).

Figura 6 Approssimativamente il 30% dei pazienti con NAFLD sviluppano NASH. Circa il 20-40%

dei pazienti con NASH sono suscettibili di sviluppare una fibrosi progressiva del fegato. In meno del 5 % dei pazienti con NASH, la fibrosi progredisce a cirrosi (Ofosu et al. 2018). La cirrosi è associata a HCC. Immagine da: “Non-alcoholic fatty liver disease”, www.kauveryhospital.com.

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2.2 DEFINIZIONE, STADIAZIONE E CRITERI DIAGNOSTICI

2.2.1 Definizione e criteri diagnostici

La malattia del fegato steatosico non alcolico (NAFLD) include una gamma di malattie metaboliche del fegato dalla semplice steatosi epatica alla steatoepatite non-alcolica (NASH). Può portare a cirrosi del fegato e carcinoma epatocellulare (HCC) (Koch e Yeh 2018). Attualmente, la diagnosi di NASH dipende dall’esame istologico della biopsia epatica, mentre la NAFLD (Sarwar et al. 2018) può essere diagnosticata con l’evidenza di steatosi epatica all’imaging o all’istologia e la mancanza di cause secondarie di accumulo di grasso epatico (steatosi alcolica, da farmaci o da disturbi ereditari).

2.2.2 NAFLD e steatosi isolata

La NAFLD, detta anche steatosi epatica non alcolica, ha suscitato crescente interesse per la sua prevalenza in aumento, per i meccanismi fisiopatologici, per le condizioni ad essa correlate e per il riconoscimento dei rischi legati alla sua evoluzione clinica. La steatosi epatica è definita dal punto di vista anatomo-patologico come un accumulo di lipidi nel fegato superiore al 5-10% del peso dell’organo o dalla presenza di gocciole lipidiche in più del 5% degli epatociti. Si definisce NAFLD una condizione di steatosi in assenza di evidenza clinica/anamnestica di abuso di alcol etilico o di altra causa nota di danno epatico (Di Vece et al.2012). NAFL è la correlazione istologica della diagnosi clinica di NAFLD definita come fegato steatosico senza lesione degli epatociti nella forma balloniforme2, con o senza infiammazione. Istologicamente, il fegato steatosico è definito dalla presenza di steatosi in più del 5% degli epatociti. I lipidi vengono depositati in grandi goccioline, ed il nucleo viene spostato alla periferia dell’epatocita; questa è definita steatosi “macrovescicolare”. Il lipide viene dissolto nella lavorazione del tessuto, lasciando uno spazio vuoto all’istologia (figura 7).

2 Degenerazione balloniforme degli epatociti: l’epatocita appare edematoso, rigonfio, il citosol presenta

ampie aree chiare ed è generalmente causato da danno tossico/immunologico. La steatosi invece prevede un accumulo di grasso intracellulare, che può essere microvescicolare (generalmente da alcol/gravidanza) o macrovescicolare (da diabete mellito, da obesità, da alcol etilico)(da: “Fegato in Medina Intensiva (Capitolo 4.2.0)”, www.manualidimedicina.blogspot.com/2015).

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23 Negli adulti, la steatosi inizia tipicamente intorno alle vene centrali, definito un pattern di “Zona 3”. La “steatosi semplice” è relativamente benigna e può essere reversibile (Koch e Yeh 2018). Un sistema di punteggio stabilito per la valutazione dell’esame istologico nella NAFLD è il punteggio di attività della NAFLD (NAFLD activity score o NAS). Il NAS è quantificato utilizzando le seguenti caratteristiche: steatosi (0-3), infiammazione lobulare (0-3), ed epatociti balloniformi (0-2), che vengono sommati insieme per arrivare ad un punteggio finale (0-8). Il NAS è ora frequentemente utilizzato come un criterio di inclusione per le sperimentazioni cliniche, ed il miglioramento del NAS è spesso usato anche nella fase finale del trattamento per la valutazione della risposta. Infine, l’esame istologico del tessuto epatico può anche mostrare segni di fibrosi, cosa che desta preoccupazione perché l’affezione epatica è in uno stato di progressione più avanzato

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24 (Sarwar et al. 2018). Nel 10-20% dei pazienti con NAFLD, la steatosi progredisce a NASH, che è caratterizzata da lesioni degli epatociti (Koch e Yeh 2018).

2.2.3 NASH

Mentre la steatosi semplice è una condizione benigna, la NASH si caratterizza per la presenza di infiammazione, fibrosi e danno cellulare (Gastaldelli et al. 2008). La NASH è caratterizzata dalla presenza di ≥ 5% di steatosi e infiammazione con lesione degli epatociti, con o senza fibrosi (Sarwar et al. 2018). La steatoepatite è tipicamente definita dalla presenza di steatosi macrovescicolare, infiammazione e degenerazione balloniforme epatocellulare, il segno distintivo diagnostico della steatoepatite in una zona prevalentemente 3 di distribuzione. I criteri per gli epatociti balloniformi includono allargamento, arrotondamento, e citoplasma reticolato. I corpi di Mellory-Denk (materiale ialino eosinofilo raggruppato nel citoplasma) possono essere presenti, ma non sono richiesti per la diagnosi. C’è tipicamente una infiammazione lobulare, costituita principalmente da linfociti e cellule di Kupffer. Se sono presenti epatociti balloniformi, l’infiammazione tende a circondarli (Koch e Yeh 2018). La lesione cronica porta a fibrosi. I risultati di parecchi studi a lungo termine hanno suggerito che è la fase di fibrosi, piuttosto che la presenza di NASH o di un NAS elevato, che predice l’esito dei pazienti (Sarwar et al. 2018).

2.2.4 Fibrosi

La fibrosi consiste in una eccessiva deposizione di collagene quale espressione di un processo riparativo in cui, ad una lesione, segue la formazione del tessuto cicatriziale. In questo caso si parla di fibrosi localizzata ad un determinato organo, che è il fegato, ed essa rappresenta un’alterata risposta riparativa a un danno epatico cronico (dovuto principalmente a fattori metabolici) (Moncharmont et al. 2012). La fibrosi inizia intorno alle vene centrali e si estende in un pattern pericellulare, di tipo così detto “filo di pollo” negli adulti. Questo pattern di fibrosi può essere utile per suggerire un’eziologia metabolica nei casi in cui gli epatociti balloniformi siano indefiniti o siano presenti molteplici processi di malattia. È presente anche un’infiammazione portale, sebbene di

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25 solito lieve, e le fibrosi portale e periportale appaiono negli ultimi stadi di malattia (ad eccezione della popolazione pediatrica, in cui la fibrosi comunemente inizia nella regione portale). Successivamente si possono sviluppare fibrosi a ponte ed eventualmente cirrosi (Koch e Yeh 2018).

2.2.5 Cirrosi e cancro epatocellulare

La cirrosi è caratterizzata da un aumento progressivo del tessuto connettivo, ed in particolare del collagene, nel parenchima epatico (sclerosi) accompagnato da zone nodulari di rigenerazione degli epatociti. La progressione della fibrosi determina una massiccia riorganizzazione strutturale del fegato con conseguente deficit funzionale. Le conseguenze della progressione del processo fibrotico sono spesso gravi e coinvolgono tutto l’organismo. Infatti, la circolazione intraepatica è resa difficile dalla fibrosi e ciò porta ad un aumento della pressione a livello della vena porta con, da un lato, splenomegalia e sottrazione di piastrine e leucociti al sangue circolante e dall’altro, dilatazione delle vene addominali e formazione, a livello dell’esofago e dello stomaco, di varici che possono andare incontro ad improvvisa rottura. Il deficit funzionale epatico comporta alterazioni metaboliche quali ridotta produzione di albumina, aumentata attività dell’aldosterone associata ad ascite (accumulo di liquidi nell’addome), ridotta secrezione di bilirubina con comparsa di ittero, diminuita produzione dei fattori della coagulazione con aumentato rischio di emorragie. Inoltre, si ha resistenza all’insulina con insorgenza di diabete per un alterato metabolismo degli zuccheri e insufficiente eliminazione di sostanze tossiche che possono provocare alterazioni cerebrali, fino al coma. L’evoluzione della patologia porta anche ad un aumentato rischio di epatocarcinoma (Moncharmont et al. 2012). L’HCC (carcinoma epatocellulare3) rappresenta la complicanza epatica più temibile della NASH e insorge non soltanto in stadio cirrotico, ma anche in epatopatie croniche pre-cirrotiche. Recenti studi hanno identificato la NAFLD quale fattore eziologico del 13-38,2% degli HCC in individui affetti da forme criptogenetiche4 di epatopatia; proporzionalmente la NASH rappresenta a oggi la seconda causa di trapianto in Europa per HCC. L’obesità ed il

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Il carcinoma epatocellulare è una neoplasia epiteliale maligna.

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La cirrosi cripto genica è una forma di cirrosi in assenza di qualsiasi malattia conosciuta del fegato. L’evidenza suggerisce che molti di questi casi possano essere in realtà dovuti a NASH (Koch e Yeh 2018).

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26 diabete mellito di tipo 2 sono fattori di rischio aggiuntivo, con un probabile effetto sinergico, di sviluppo del HCC, con un ruolo riconosciuto anche in epatopatie di altra eziologia (Bugianesi et al. 2016).

2.2.6 Altri aspetti della NAFLD

I pazienti con NAFLD non presentano generalmente alcuna sintomatologia, fatta eccezione per i soggetti in cui è già presente un quadro di cirrosi. Qualora presenti, i sintomi sono aspecifici e variabili. I più comuni sono l’astenia, la debolezza muscolare e un malessere che possono associarsi a dolore al quadrante superiore destro o a distensione addominale. Rispettivamente nel 25% e nel 75% dei pazienti si riscontrano splenomegalia ed epatomegalia5, che sono difficilmente rilevabili alla palpazione qualora sia presente obesità (Marzocchi et al. 2004).

Per quanto riguarda invece le tipologie di pazienti, i tassi di incidenza della NAFLD pediatrica sono in aumento. La NAFLD pediatrica condivide gli stessi fattori di rischio della malattia dell’età adulta. Tuttavia, sono stati descritti due differenti patterns istologici nella NASH pediatrica (Koch e Yeh 2018): il tipo 1, che ha le caratteristiche tipiche della NASH dell’età adulta, ed il tipo 2, che tende ad avere una steatosi più grave, ma senza degenerazione balloniforme, maggiore infiammazione portale, e una fibrosi portale iniziale senza la fibrosi pericentrale. Il tipo 2 viene osservato nei bambini più piccoli e in quelli con obesità più grave. Molti bambini mostrano caratteristiche di sovrapposizione, suggerendo che i due patterns rappresentino i due estremi di uno spettro.

La NAFLD può portare a complicanze extra-epatiche. La principale causa di morbilità e mortalità nella popolazione affetta da NAFLD è attualmente rappresentata dalle complicanze cardiovascolari, la cui prevalenza appare maggiore tra soggetti con NAFLD che nella popolazione generale, indipendentemente dalla presenza di diabete mellito di tipo 2 ed altri fattori di rischio (Bugianesi et al. 2016).

È bene inoltre sottolineare la distinzione della NAFLD dalla patologia epatica da alcool. La NASH è stata per la prima volta descritta come un quadro istologico sovrapponibile alla steatoepatite alcolica in pazienti che non bevevano alcool. In realtà, non esiste una

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27 caratteristica affidabile per distinguere tra la steatoepatite alcolica (ASH) e la NASH. Detto questo, alcune caratteristiche sono più comuni o gravi in una condizione o l’altra. Le due malattie hanno però molto in comune all’esame istologico e nel complesso, la correlazione con i parametri clinici è il modo più utile per distinguere queste due patologie. Cosa importante, molti pazienti possono avere entrambi i processi in gioco, e la presenza di uno non esclude l’altro (Koch e Yeh 2018).

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2.3 EZIOPATOGENESI

La steatosi epatica non alcolica, non a caso, come suggerisce il nome, ruota intorno alla deposizione di grasso nel fegato (Benedict e Zhang 2017). Il meccanismo responsabile dell'accumulo di trigliceridi (TG) intraepatici non è chiaro (Gastaldelli et al. 2008) e poche informazioni sono disponibili sullo sviluppo temporale della steatosi epatica. Modelli animali suggeriscono come il fegato possa accumulare lipidi nel giro di qualche settimana e anche solo di qualche giorno. I TG epatici possono derivare da un aumentato afflusso di acidi grassi liberi (FFA) e/o da una ridotta ossidazione epatica e/o da una diminuita sintesi o secrezione di very low-density lipoproteins (VLDL). Il flusso di FFA al fegato è considerato il meccanismo principale; può essere dovuto a un aumentato rilascio di FFA da parte degli adipociti, a un eccesso di lipidi nella dieta o a un’incrementata sintesi endogena di FFA nel fegato (de novo lipogenesi, DNL). Quest’ultimo fattore risulta particolarmente rilevante nella NAFLD; la sintesi ex novo di lipidi è responsabile almeno del 25% del totale dei TG epatici – contro un 8–10% in assenza di steatosi – e costituisce quindi un target terapeutico importante per ridurre la steatosi epatica. L’accumulo di TG epatici non sembra invece dovuto a un difetto nel metabolismo lipidico epatico. La sintesi di TG e la secrezione di VLDL non sono ridotte, ma semmai incrementate nei pazienti con NAFLD e l’ossidazione lipidica è aumentata sia a livello epatico, sia sistemico. La presenza di NAFLD si può perciò spiegare non come un difetto intrinseco dell’epatocita, ma come un’incapacità del fegato di “smaltire” l’eccesso di TG prodotti dalla riesterificazione degli FFA circolanti e di quelli prodotti per DNL. Quando la capacità di immagazzinare lipidi nel tessuto adiposo è superata, il grasso si deposita nel fegato e nei muscoli dove il metabolismo dei TG interferisce con i segnali insulinici, il trasporto ed il metabolismo del glucosio, con la sintesi di glicogeno nel muscolo e la gluconeogenesi (GNG) nel fegato, determinando una condizione di lipotossicità. Inoltre, il tessuto adiposo viscerale rilascia adipocitochine associate allo sviluppo della NASH (Gastaldelli et al. 2008). È generalmente accettato che molteplici vie e meccanismi sono coinvolti nella patogenesi della NASH. Questi meccanismi includono fattori dietetici, insulino-resistenza (IR), polimorfismi genetici, lipotossicità e un microbiota intestinale alterato (Sarwar et al. 2018).

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2.3.1 Insulino-resistenza

Il ruolo dell’IR (Gastaldelli et al. 2008) rimane fondamentale nella patogenesi delle alterazioni metaboliche. L’IR è l’incapacità dei tessuti di rispondere normalmente all’insulina. La resistenza insulinica può essere una condizione genetica, indipendente dall’indice di massa corporea (BMI), ma più spesso si tratta di una condizione acquisita legata all’aumento del grasso viscerale, generata da stili di vita sedentari e da eccessivo apporto calorico. È verosimile che le due componenti (congenita e acquisita) abbiano nei vari casi un peso diverso; lo stile di vita condurrebbe così alla manifestazione fenotipica nei genotipi a rischio. Nella NAFLD l’IR è dimostrabile a livello di: a) fegato, con diminuita soppressione della produzione epatica di glucosio durante stimolo insulinico, b) muscolo, come ridotto utilizzo del glucosio e c) tessuto adiposo, come aumentata lipolisi ed elevate concentrazioni di FFA nonostante alti livelli di insulina.

NAFLD ed insulino-resistenza epatica

Mentre in condizioni basali la produzione epatica di glucosio appare largamente associata ai livelli glicemici circolanti - ed è normale in soggetti NAFLD normoglicemici - viene a mancare nella NAFLD la soppressione della produzione epatica di glucosio. Il difetto appare proporzionale all’accumulo di grasso viscerale, alla concentrazione di FFA circolanti e a quella di insulina che aumenta in risposta al grado di insulino-resistenza. Non è ancora chiaro se la steatosi sia la causa o la conseguenza dell’insulino-resistenza che si osserva in questi pazienti. Infatti, se il flusso di FFA (elevato anche in conseguenza dell’IR) genera steatosi epatica, è anche vero che la steatosi promuove la produzione epatica di citochine che a loro volta aumentano l’IR. Si genera così un circolo vizioso che contribuisce a mantenere e ad aggravare la patologia epatica e sistemica.

NAFLD ed insulino-resistenza muscolare

È questa la caratteristica più largamente studiata nella NAFLD. Gli studi hanno confermato una significativa riduzione della sensibilità periferica e sistemica all’insulina per quanto riguarda il metabolismo del glucosio. Il difetto appare simile qualitativamente e quantitativamente a quanto osservabile in presenza di diabete mellito di tipo 2, ma è

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30 presente anche in soggetti con normale glicemia a digiuno, così come in soggetti normopeso con NAFLD. L’IR periferica e muscolare appare progressivamente più severa passando dalla condizione di normopeso a quella di sovrappeso e si aggrava ulteriormente in presenza di diabete. Esiste anche un rapporto tra IR e severità della malattia epatica.

NAFLD ed insulino-resistenza del tessuto adiposo

Consensualmente all’IR nel metabolismo del glucosio, si assiste ad una ridotta attività dell’insulina nel tessuto adiposo (figura 8). Paragonati ai soggetti di controllo, i pazienti con NASH hanno livelli plasmatici aumentati di FFA a digiuno ed anche durante l’oral glucose tolerance test (OGTT), per una mancata soppressione della lipolisi da parte dell’insulina, sia a bassi sia ad alti livelli di insulina circolante. Durante il carico orale di glucosio l’azione regolatoria dell’insulina sulla lipolisi viene a mancare anche in soggetti non diabetici e non obesi, a conferma che il difetto risulta essere primariamente legato alla presenza di steatosi. L’aumentata lipolisi si associa a un incremento dell’ossidazione lipidica, espresso anche dagli elevati livelli di -idrossibutirrato, ed a un'aumentata sintesi di VLDL-TG ed Apo-B, in stretta correlazione con l’entità dei livelli dei TG epatici. L’insulino-resistenza nei pazienti con NAFLD è una caratteristica primaria indipendente dalla presenza di obesità e/o di diabete. L’accumulo di grasso ectopico non è presente solo a livello addominale (fegato e tessuto adiposo viscerale), ma anche a livello intramiocellulare, nell’epicardio, nel miocardio e nel mediastino. Tutto questo si traduce probabilmente in un ulteriore aumento del rischio cardiovascolare, già elevato per la presenza di dislipidemia aterogena. Nei pazienti obesi con NAFLD, la steatosi miocardica si associa anche ad un aumento del rischio cardiovascolare, dipendente dalla concomitante presenza di una disfunzione endoteliale. Recentemente, diversi studi hanno evidenziato un’associazione tra NAFLD e aumento dello spessore dell’intima e della media dei vasi (intima media thickness, IMT), un marker di aterosclerosi generalizzata. L’IMT della carotide è maggiore nei soggetti con NASH rispetto a quelli con steatosi semplice e la severità dell’istopatologia epatica nei pazienti con NAFLD è fortemente associata a forme precoci di aterosclerosi carotidea, indipendentemente dai fattori di rischio classici, dall’IR e alla MS. Possibili meccanismi aterogeni che legano la NAFLD all’IMT possono essere

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31 rappresentati da: a) aumento dello stress ossidativo e dell’infiammazione subclinica, fattori coinvolti nella progressione da NAFLD a NASH e nello sviluppo di disfunzioni endoteliali; b) ridotti livelli plasmatici di adiponectina, citochina secreta dal tessuto adiposo avente proprietà antiaterogene; c) presenza di un alterato metabolismo delle lipoproteine, con conseguente alterazione nella formazione di VLDL e nell’esportazione dei lipidi epatici e secondario aumento plasmatico di LDL residue ricche di TG e colesterolo aterogeni (Gastaldelli et al. 2008).

Figura 8 La NAFLD è caratterizzata da IR, che può portare, oltre che ad alterazione del

metabolismo con aumento di insulina e glucagone, a disfunzione endoteliale ed aterosclerosi. Diversi ormoni secreti dal tratto gastrointestinale regolano il metabolismo glucidico/lipidico, così come l'assunzione di cibo e, quindi, potrebbero essere implicati nello sviluppo di NAFLD. I livelli di GLP-1r diminuiscono, i livelli di adiponectina diminuiscono ed è presente resistenza alla leptina. La grelina (Petta et al. 2016) modula l'appetito e la secrezione di insulina, ed un aumento del rapporto grelina acilata/deacilata esercita proprietà anti-infiammatorie. Il fegato secerne SeP (selenoproteina P), che aumenta ulteriormente la resistenza all'insulina; aumenta la produzione di piccole particelle di LDL che inducono l'aterosclerosi e favoriscono lo stress ossidativo. Le

miochine inoltre influenzano il metabolismo del glucosio e dei lipidi, ad esempio l'irisina, che aumenta, può indurre la conversione delle cellule adipose bianche in cellule adipose brune e la sua secrezione è stimolata dall'esercizio fisico ed induce la termogenesi, sebbene il suo ruolo non sia stato ancora del tutto chiarito. Da Petta et al., 2016.

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32 Meccanismi di insulino-resistenza nella NAFLD in modelli animali

La NAFLD può derivare principalmente dall'aumento della DNL (PRIM) o secondariamente dalla lipolisi del tessuto adiposo (SEC). Jelenik et al. (2017) hanno studiato topi con sovraespressione SREBP-1c6 specifica degli epatociti o degli adipociti come modelli di PRIM e SEC. I topi PRIM presentavano un aumento dell'espressione genica lipogenica nel fegato e nel tessuto adiposo. La loro insulino-resistenza selettiva e specifica per il fegato era associata ad un aumento del contenuto di diacilgliceroli (DAG) e dello sviluppo di NAFLD. I topi SEC sono caratterizzati dalla perdita di tessuto adiposo e lipidico ectopico (DAG, TAG) nel fegato e nei muscoli scheletrici. Inoltre, l'accumulo di lipidi extraepatici in SEC, ma non i lipidi intraepatici in PRIM è associato con l'infiammazione portale e lobulare del fegato. In SEC, il flusso di ossigeno epatico è aumentato in condizioni di alimentazione e stress ossidativo sistemico.

La respirazione mitocondriale epatica è transitoriamente aumentata e diminuita con l'invecchiamento insieme alla maggiore produzione di specie reattive dell'ossigeno muscolare. In conclusione, l'insulino-resistenza epatica ha origine dalla lipotossicità, ma non dalla minore capacità mitocondriale, che può anche adattarsi transitoriamente a una aumentata lipolisi periferica. La resistenza insulinica periferica viene prevenuta durante l'aumento della lipogenesi epatica solo se viene preservata la capacità di stoccaggio dei lipidi del tessuto adiposo (Jelenik et al. 2017).

2.3.2 Alterazione del microbiota intestinale

L’intestino (Bugianesi et al. 2016) contiene un’ampia popolazione batterica, dinamica e responsiva alle alterazioni ambientali, quali dieta ed assunzione di antibiotici, che produce metaboliti attivi che vengono rilasciati nella circolazione splancnica. Il microbiota intestinale dapprima è stato trovato alterato nei pazienti con malattia cronica del fegato più di ottanta anni fa (Yu et al. 2016). Lo squilibrio della flora intestinale, in particolare l’eccessiva crescita batterica del piccolo intestino (SIBO), si verifica in una grande percentuale (20-75%) di pazienti con malattia cronica del fegato. Uno squilibrio

6 SREBP-1c è un fattore di trascrizione che attiva (Chen et al. 2004) la trascrizione dei geni necessari per la

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33 nell’abbondanza relativa di alcune specie (Bugianesi et al. 2016), in particolare Firmicutes e Bacteroidetes, promuove un alterato pattern dell’uptake energetico con effetti sul metabolismo dell’ospite, che favorisce uno stato di insulino-resistenza, e contribuisce ad uno stato di infiammazione generalizzata. La traslocazione batterica conseguente all’alterazione della permeabilità intestinale esercita una funzione principalmente sul fegato, che è mediata dal rilascio di citochine infiammatorie nella circolazione portale (figura 9).

Figura 9 L’immagine illustra il ruolo del microbioma e di alcune varianti genetiche nella NAFLD ed altre

nuove prospettive per il trattamento della patologia: ad esempio i farmaci che bersagliano lo squalene epossidasi (come terbinafina) potrebbero essere considerati per il trattamento di HCC (Younes et al. 2019). Da Younes et al., 2019.

Secondo alcuni studi (Yu et al. 2016), il microbiota intestinale può contribuire alla patogenesi di NAFLD attraverso parecchi meccanismi, inclusi (1) l’aumentata produzione ed assorbimento intestinali di acidi grassi a corta catena; (2) l’alterato metabolismo della colina della dieta da parte del microbiota; (3) l’alterazione del pool degli acidi biliari da parte del microbiota; (4) l’aumento dell’apporto al fegato dell’etanolo derivato dal

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34 microbiota; (5) le alterazioni della permeabilità intestinale ed il rilascio di endotossine; e (6) l’interazione tra una dieta specifica e il microbiota.

2.3.3 Obesità addominale

L’obesità addominale può avere un ruolo causale nella NAFLD in quanto fortemente associata all’insulino-resistenza ed alla lipotossicità.

2.3.4 Fattori ambientali (dieta)

Una dieta ad alto contenuto di grassi rappresenta una probabile concausa per lo sviluppo della NAFLD perché porta ad un aumento della produzione di glucosio, di TG e di VLDL, ed ad un aumento della DNL (Gastaldelli et al. 2008).

2.3.5 Fattori genetici

Negli ultimi anni, i fattori genetici rappresentano i fattori emergenti per il danno e la progressione della steatosi epatica non alcolica. I progressi registrati negli ultimi anni nel campo della genetica delle patologie epatiche sono derivati da GWAS (genome-wide

assocation studies), finalizzati all’identificazione di poliformismi associati alla NAFLD. Il

gene PNPLA3 (patatin-like phospholipase domain containing 3), (Bugianesi et al. 2016) localizzato sul cromosoma 22, è stato identificato quale fattore genetico principale della NAFLD, indipendentemente dall’IR e dall’indice della massa corporea. Esso codifica per una proteina, nominata adiponutrina, con funzione enzimatica (triacilglicerolo lipasi), coinvolta nell’idrolisi dei trigliceridi negli adipociti e nella mobilizzazione e nello stoccaggio dei lipidi. La variante rs738409 del gene PNPLA3, che determina una sostituzione aminoacidica dell’amminoacido codificato dal codone 148, l’isoleucina, in una metionina, è associata a un incrementato del contenuto epatico di trigliceridi ed ha una distribuzione inter-etnica concordante con la diversa prevalenza della NAFLD osservata nella popolazione. Un secondo polimorfismo, la variante rs6006460, è stato inoltre associato a ridotti livelli di trigliceridi intraepatici e presenta una distribuzione geografica opposta alla precedente. Studi successivi (Sookoian et al. 2009, Valenti et al. 2010, Rotman et al. 2010, Hassan et al. 2013) hanno confermato il ruolo preminente di PNPLA3

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35 nel determinare la severità della steatoepatite, dell’evoluzione fibrotica e del rischio di sviluppare il HCC. L’identificazione della variante genetica del gene PNPLA3 ha due principali conseguenze: a) il riconoscimento di un fenotipo di PNPLA3-NAFLD, caratterizzato da un accumulo di grasso epatico in assenza di alterazioni metaboliche, tipico dei soggetti magri, sebbene sia possibile la sovrapposizione con la popolazione IR e b) la prospettiva futura di mettere a punto dei test genetici di screening per la selezione di soggetti a rischio della malattia più avanzata e del HCC (Bugianesi et al. 2016).

Attualmente, non possiamo prevedere con precisione quali individui con fegato steatosico svilupperanno steatoepatite e progrediranno in cirrosi ed insufficienza epatica. La scoperta, in uno studio di associazione genomica, che i markers di infiammazione epatica (livelli sierici elevati degli enzimi di sortita di derivazione epatica) sono elevati nei portatori di PNPLA3 -148M suggerisce che questa variante genetica potrebbe conferire una maggiore suscettibilità alle lesioni epatiche (Romeo et al.2008).

Un altro gene coinvolto nella progressione della NAFLD è il TM6SF2 (transmembrane 6 superfamily member 2), localizzato sul cromosoma 19. Il polimorfismo rs58542926, che si manifesta con la perdita di funzione della proteina codificata, promuove una ridotta secrezione di lipoproteine (VLDL, trigliceridi ed APO-B) con ritenzione e iperaccumulo intraepatico di trigliceridi ed è associato all’intero spettro delle manifestazioni epatiche della NAFLD, dalla necroinfiammazione e degenerazione balloniforme all’evoluzione fibrotica (Kozlitina et al. 2014, Liu et al. 2014).

2.3.6 Meccanismi del danno epatico

Varie ipotesi (Gastaldelli et al. 2008) sono state proposte per spiegare lo sviluppo e la progressione della NAFLD agli stadi avanzati di NASH, di cirrosi e di epatocarcinoma. Mentre la steatosi semplice è una condizione benigna, la NASH si caratterizza per la presenza di infiammazione, fibrosi e danno cellulare che possono portare la patologia epatica all’ultimo stadio. Non tutti i pazienti con steatosi, inoltre, sviluppano infiammazione e danno epatocellulare. Secondo l’ipotesi dei two hits (figura 10), proposta da Day et al., (Day et al. 1998) il primo hit (colpo) consisterebbe nell’accumulo epatico di TG, legato all’IR, cui farebbe seguito un secondo hit, responsabile della progressione della

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36 malattia da steatosi pura a NASH e fibrosi, dovuto a meccanismi di stress ossidativo (con aumento delle sostanze reattive dell’ossigeno (ROS), riduzione degli agenti antiossidanti e facilitazione della perossidazione lipidica). In questo modello i due meccanismi sopra descritti (Di Vece et al. 2012), IR (con sviluppo di steatosi) e danno epatocellulare, non risultano necessariamente disgiunti temporalmente, ma possono riconoscere un unico momento patogenetico, ed è verosimile che l’IR rappresenti la chiave d’innesco ed il punto di contatto tra MS, obesità e dislipidemia da una parte e NAFLD dall’altra. In realtà, anche se fattori quali lo stress ossidativo, le alterazioni delle adipochine/citochine ed altre condizioni favorenti sono stati implicati nel meccanismo eziopatogenetico del danno epatico, ad oggi (Gastaldelli et al. 2008) i meccanismi precisi non sono ancora stati

Figura 10 Lo stress ossidativo è coinvolto nella progressione della NAFLD. Da Lizana et al.

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