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Dopo aver visto quali sono le forme e i livelli di ri-elaborazione del passato -e quindi i processi di conservazione e rimozione che condizionano la visione e la percezione presente di eventi trascorsi- giungo al nucleo di questa tesi il cui scopo è quello di riflettere circa la possibilità di dar forma alle memorie traumatiche attraverso il linguaggio (verbale e non verbale), nonché quello di determinare se e come si possa tradurre il trauma.

Una delle domande che bisogna porsi è la seguente: quanti e quali sono i linguaggi265 del

trauma? Non è un caso che parli di ‘linguaggi’ al plurale, infatti: qualunque evento passato e rielaborato nel presente ritorna sotto diverse forme, attraverso differenti linguaggi.

I linguaggi con cui il passato si manifesta nel presente altro non sono che delle rappresentazioni con fortissimo potere comunicativo. Ciò è particolarmente vero nel caso di eventi traumatici (non elaborati o comunque di difficile elaborazione) le cui rappresentazioni contengono le tracce del trauma e ne sono al contempo una traduzione. Ma bisogna fare un’altra precisazione, non è detto che le tracce prodotte e riversate dall’evento traumatico sui soggetti, i gruppi e la sfera pubblica siano le stesse che emergono dalle loro rappresentazioni

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È bene fare alcune precisazioni terminologiche. In questo capitolo parlerò di linguaggi e lingue della memoria, questo rende necessario rivedere le definizioni che in linguistica vengono date per i due termini, nonché il come e il perché li uso in questo contesto. La parola ‘linguaggio’ suona per molti di noi assolutamente familiare. Tuttavia si parla frequentemente di vari tipi di linguaggio: linguaggio degli animali, dei computer, dei gesti, dell’arte, e ancora, linguaggio dei media, delle immagini, dei fiori e così via… La domanda da porsi è la seguente: tutti questi linguaggi sono la stessa cosa o sono diversi tra loro? E se sono diversi perché usiamo un unico termine per definirli? Senza entrare in considerazioni strettamente linguistiche, è importante prendere coscienza di una cosa: tutti i linguaggi realizzano una forma di comunicazione. Ciò però non significa che sono costituiti in base agli stessi principi e che sono dunque manifestazioni di un unico sistema. Per analogia possiamo parlare anche di linguaggi della memoria cioè la capacità di comunicare qualcosa grazie ai processi di selezione propri della memoria stessa. Vi è però un’altra considerazione: sebbene l’inglese e il tedesco usino una parola sola per parlare indistintamente di due entità diverse, lingua e linguaggio, (Language e Sprache, rispettivamente) in italiano si usano due termini distinti: lingua e linguaggio, appunto. In linguistica (scienza che si occupa dello studio del linguaggio umano) si parla di linguaggio al singolare per far riferimento alla capacità propria del genere umano; invece, per lingua s’intende la forma specifica che il linguaggio, in quanto sistema di comunicazione, assume nelle varie comunità. Di conseguenza, una lingua non realizza tutte le possibilità del linguaggio. In questo capitolo parlerò di linguaggi della memoria facendo riferimento ai vari sistemi di comunicazione di un dato evento traumatico (su cui, appunto, si fa memoria) e quindi l’arte, i monumenti, le strutture, ma soprattutto la scrittura, la testimonianza, la letteratura. Continuando con l’analogia possiamo dire che ognuno di questi sistemi “linguistici” usa delle lingue diverse e quindi diverse forme che i linguaggi della memoria possono assumere. Per un approfondimento sugli usi linguistici dei due termini rimando a: Chomsky, N. (1975), Reflections on Languages, Random House, New York; Chomsky, N. (1986), Rules and Representations, Praeger, New York; Saussure, F. De (1913), Corso di linguistica generale, tr. it., Laterza, Roma-Bari, 1967.

e, soprattutto, dall’interpretazione data da un soggetto terzo rispetto alla rappresentazione stessa. Questo processo ha molto a che fare con il modo in cui si ricorda, con ciò che si ricorda e con chi si fa carico di dare forma nel presente a un passato che perdura. In definitiva si tratta di un processo che non può prescindere dai processi di rimozione e conservazione attraverso i quali definiamo la memoria.

Come già ampiamente discusso, la memoria è da intendersi come una sorta di generatore di ricordi sempre diversi tra di loro; il passato che diventa presente nell’atto del ricordo non corrisponde a un ricordo integrale ma è piuttosto l’esito di processi di ricostruzione che offrono del passato un’immagine selettiva e parziale, una ricostruzione costantemente suscettibile di revisioni e cambiamenti.

La memoria è il presente del passato, essa rappresenta il cosa ed il come si ricorda, è un processo di selezione in cui il modo di ricordare il passato è per forza di cose condizionato dalla costante interazione tra l’individuo e i gruppi dei quali fa parte.

Dunque, va da sé che la memoria non è un semplice serbatoio di ricordi e l’evento trascorso non è un oggetto conservato passivamente al suo interno, esso è piuttosto oggetto di una costante trasformazione e ricostruzione a partire dagli interessi del presente e la memoria, a sua volta, un processo attivo di elaborazione degli eventi trascorsi che può oggettivarsi in supporti esterni, tangibili e performativi.

Le memorie, in quanto ricostruzione e trasmissione di eventi trascorsi, possono costruire una o più versioni del passato in grado di estendersi al gruppo sociale o alla società nel suo insieme. I linguaggi266 che conservano e tramandano il passato sono protagonisti di un processo continuo di costruzione di discorsi ufficiali sul passato dei gruppi e delle società. Tale processo è orientato a creare uno spazio conoscitivo che coinvolge direttamente tanto la memoria quanto le identità individuali e collettive, le tendenze, gli interessi sociali e i giudizi sul presente e il futuro trasformando il passato. Questi discorsi ufficiali insieme alle immagini del passato che essi veicolano non sono altro che il risultato dell’atto comunicativo compiuto dai diversi linguaggi della memoria, dalle diverse rappresentazioni, che di un evento trascorso circolano nella sfera pubblica e tra i gruppi.

3.1.1 Tradurre il Trauma: da un evento passato a un presente continuo

È bene concentrarsi a questo punto sulla comprensione di ciò che può essere definito ‘rappresentazione sociale’. La rappresentazione sociale si costituisce come un modo di pensare o interpretare la realtà, essa è, in senso ampio, una forma di conoscenza tipica delle società contemporanee che si sviluppa a partire dalle nostre esperienze ma anche dalle informazioni e dai modelli di pensiero che riceviamo e trasmettiamo, a nostra volta, attraverso la tradizione267. Le varie rappresentazioni sociali sono uno strumento attraverso il quale poter

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Come accennato in precedenza per linguaggi della memoria intendo le diverse forme comunicative attraverso le quali si trasmette l’evento trascorso. Essi possono essere innumerevoli (l’atto narrativo, la testimonianza, le più varie forme d’arte non verbale, i musei, la commemorazione). Questi linguaggi che conservano e tramandano il passato sono definiti da Teresa Grande come gesti (Grande T. (2001), “Le origini sociali della memoria”, in Tota, A. L. (a cura di), La memoria contesa. Studi sulla comunicazione sociale del passato, cit., p. 79).

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analizzare i processi psicologici e sociali attraverso cui le definizioni socialmente elaborate di un evento o di un oggetto sociale concorrono alla costruzione sociale della realtà268. La teoria delle rappresentazioni sociali269 permette di capire come si sono costruiti i discorsi su un certo evento passato e come questi hanno acquisito attendibilità e legittimità diventando collettivi e condivisi. Quando si creano delle rappresentazioni sociali del passato si contribuisce alla costruzione di tanti piccoli tasselli che andranno a formare un grande mosaico, un’immagine dell’evento trascorso socialmente elaborata e condivisa. Le rappresentazioni sono, in qualche modo, il risultato del modo che abbiamo di vedere le cose, del significato che attribuiamo loro, e di quello che vorremmo gli altri vi attribuiscano270

.

Ogni rappresentazione di un evento trascorso può essere intesa come il prodotto di un processo d’interpretazione271

di un passato elaborato e condiviso. In altre parole, la memoria diventa una pratica e attraverso di essa un evento viene trasformato, tra-dotto, in una rappresentazione sociale. Le pratiche di memoria, in quanto forme di organizzazione del passato, costruiscono la base per la creazione di rappresentazioni sociali attraverso le quali comunicare un certo modo di guardare a quello stesso passato. In tal modo esse diventano un atto performativo e comunicativo, in definitiva: linguaggio.

La costruzione di un’immagine del passato (di una rappresentazione sociale) scaturisce da due processi; il primo processo ha a che fare con la ricostruzione di una determinata memoria (per esempio gli eventi problematici dell’Argentina tra il 1976 e il 1982) e con la sua ricostruzione ad opera di attori sociali specifici: emittenti della memoria. In un secondo momento, l’immagine che viene fuori dal primo processo inizia ad essere diffusa attraverso i media all’interno della società. Il processo di formazione di una rappresentazione sociale del passato si rende comprensibile attraverso un processo comunicativo che risulta governato al suo interno da processi di selezione sociale. Come scrive Cavalli, all’inizio del processo si collocano i produttori di memoria, nel mezzo i trasmettitori di memoria, al termine del

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Cfr. Berger, P., Luckmann, T. (1966), La realtà come costruzione sociale, tr. It, il Mulino, Bologna, 1969.

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Sebbene il concetto di rappresentazione sia stato definito in forma compiuta da Durkheim in un saggio del 1898, l’interesse per l’aspetto collettivo delle rappresentazioni si alimenta a partire dal lavoro di Serge Moscovici. Moscovici a differenza di Durkheim non parla di rappresentazioni collettive, preferisce parlare di rappresentazioni sociali: “Se, in senso classico, le rappresentazioni collettive (quelle proprie designate da Durkheim) sono un termine esplicativo) e si riferiscono ad una classe generale dì idee e credenze (scienza, mito, religione, ecc.), per noi esse sono dei fenomeni che necessitano di essere descritti e spiegati. Esse sono fenomeni specifici correlati ad un modo particolare di comprendere e comunicare, un modo che crea sia la realtà, sia il senso comune. È per porre enfasi su tale distinzione che io uso il termine “sociale” invece dei termine collettivo!” (Farr, R. Moscovici, S. (a cura di) (1984), Rappresentazioni sociali, tr. it., il Mulino, Bologna, 1989, p. 41). Nel 1961 Moscovici pubblica La psychanalyse son ìmage etson public, si tratta del lavoro con cui fonda, teoricamente e metodologicamente, la teoria delle rappresentazioni sociali. Per Moscovici le rappresentazioni sociali possono essere intese come i contenuti del senso comune. Per il loro carattere, al contempo rigido e flessibile, esse si dimostrano particolarmente adatte per lo studio dei rapporti tra senso comune e mutamento sociale. La teoria di Moscovici si avvicina molto anche a quella filosofica di Cassirer il quale intendeva la rappresentazione come una sorta di mediazione simbolica tra l’oggetto e il soggetto conoscente (Cfr. Cassirer, E. (1923), Filosofie delle forme simboliche, vol. 111, tr. It, La Nuova Italia, Firenze, 1961).

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In Heidegger, M. (1987), Lettera sull’umanesimo, Adelphi, Milano, p. 267 leggiamo: “Il linguaggio è la casa dell’essere. Nella sua dimora abita l’uomo. I pensatori e i poeti sono custodi di questa dimora. Il loro vegliare è il loro portare a compimento la manifestatività dell’essere; essi, infatti, mediante il loro dire, la conducono al linguaggio e nel linguaggio la custodiscono”.

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processo i destinatari di memoria e ad ognuno di questi livelli si verificano processi di selezione272.

La rappresentazione va intesa, dunque, come la trasformazione costante di un evento passato in un presente continuo, capace di creare un ponte tra il passato e il futuro. Gli eventi del passato rivivono nel tempo presente, riformulati e adattati alle esigenze dei gruppi che si fanno carico di dar voce a quel passato e al tempo stesso il passato influenza inevitabilmente il futuro. A tal proposito, ciò che m’interessa porre in evidenza è la circolarità dei tempi che deriva dai processi della memoria, e la loro capacità esemplare di rompere la trama del tempo lineare e irreversibile della storia.

Ma bisogna affrontare un altro quesito, come si oggettivano le memorie diventando così immagini e rappresentazioni di eventi trascorsi? Le memorie si oggettivano in diverse pratiche: cerimonie commemorative, discorsi, testi scritti, manufatti, musei, biblioteche, etc. Ciascuna pratica può mettere a fuoco cose diverse, a volte capaci di coerente convivenza, altre no. Pensiamo a una cosa semplice, ma che credo possa essere d’aiuto per mettere a fuoco il problema: immaginiamo che più critici debbano recensire lo stesso libro; ognuno di loro parlerà di aspetti diversi del libro, si concentrerà su alcuni tralasciandone altri (alcuni parleranno dello stile, altri della trama, altri ancora dei personaggi e così via), il risultato saranno tante diverse interpretazioni che messe insieme contribuiranno all’idea che i lettori si faranno di quel testo. Può succedere anche un’altra cosa, i diversi critici possono interpretare il libro in maniera totalmente diversa, alcuni vedranno in esso un testo esemplare e portatore di sani principi, altri invece lo considereranno come libro “proibito” e assolutamente amorale.

Avremo dunque diverse rappresentazioni dello stesso ‘evento’ (il testo in questo caso) che si collocano su due piani diversi, il primo piano è un piano di possibile e coerente convivenza, un piano in cui le varie rappresentazioni si comportano come i tasselli di un unico mosaico; il secondo piano è un piano di incoerenza e impossibile convivenza, un piano in cui le varie rappresentazioni si comportano come tasselli di mosaici diversi. Si tratta sicuramente di una questione d’interpretazione e conseguente rappresentazione degli eventi che, però, sul secondo piano produce memorie diverse e contrastanti tra loro.

Tanto gli individui quanto i gruppi comunicano incessantemente rappresentazioni creando dei meccanismi attraverso i quali vengono trasmesse delle informazioni relative all’oggetto di discussione ma vengono anche confermati valori e abitudini del gruppo. Così, attraverso lo studio delle circostanze in cui i gruppi comunicano, prendono decisioni e cercano di rivelare o nascondere qualcosa, nonché delle loro azioni, delle loro credenze e delle loro conoscenze, la teoria delle rappresentazioni sociali attribuisce, da un lato, un ruolo di rilievo all’individuo (alle sue decisioni, ai suoi comportamenti) e, dall’altro lato, alla dimensione squisitamente sociale di ciò che è prodotto durante l’interazione273. Va da sé che il motore di quest’interazione è proprio l’interazione stessa o per meglio dire: la comunicazione. Infatti, ogni rappresentazione prende forma a partire da una dinamica intersoggettiva ed è essa stessa una forma di comunicazione, e quindi un linguaggio.

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Cavalli, A. (1991), “Lineamenti di una sociologia della memoria”, in: P. Jedlowski e M. Rampazi (a cura di), Il senso del passato, Franco Angeli, Milano, p. 34.

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Nelle sue differenti dimensioni sociali (istituzionale, interindividuale o mediatica) la comunicazione gioca un ruolo essenziale nelle interazioni individuali, è proprio attraverso il flusso comunicativo relativo a eventi, oggetti o situazioni socialmente rilevanti che emergono, si costruiscono, evolvono e, anche, vengono decostruite le rappresentazioni sociali274. Ciò è tanto più vero nei casi di quelle che Tota definisce memorie contese275, memorie difficili, controverse che, nella grande maggioranza dei casi implicano il confronto e lo scontro tra due posizioni diverse: quella delle vittime e quella dei carnefici. Questi ultimi rappresentano modi diversi, antitetici e complementari dell’evento e in quanto tali rendono possibili differenti pratiche sociali di memoria. Come ricorda Tota in un omaggio a Italo Calvino, le strade mute e anonime delle metropoli, che percorriamo quotidianamente, acquisiscono nuova luce, quando le pietre di cui sono lastricate, iniziano a parlare, raccontando e rappresentando un passato che non passa, per dirla con Rusconi276. Che le pietre iniziano a parlare significa che gli spazi, gli oggetti, e tutto ciò che l’individuo ha prodotto su un dato evento cominciano a

dire e a mostrare qualcosa su di esso. Come una spugna, tutto ciò che sta attorno all’evento ne

ha assorbito le tracce, goccia dopo goccia (ritornando alla metafora proposta da Samojedny). Sono diverse le forme in cui si può cristallizzare una memoria per essere comunicata: istituzioni culturali come musei o gallerie, artefatti urbani come monumenti, lapidi, statue, iscrizioni, narrazioni artistiche o letterarie come romanzi, racconti, testimonianze, quadri, disegni etc. Tutte queste sono forme di ricostruzione di un evento passato, diventano, seguendo con la metafora, le pietre parlanti di cui vengono lastricate le città della memoria e i loro discorsi diventano rilevanti quando trovano interlocutori disposti a vedere e soprattutto ad ascoltare e quando trovano spazio, creando dibattito, all’interno della sfera pubblica.

Le memorie traumatiche, difficili da sanare e complicate da comunicare, spesso ruotano attorno all’opposizione tra vittime e carnefici e, soprattutto, alle logiche di dominazione alla cui base si produce un gioco perverso di disumanizzazione. Si tratta di un nodo fondamentale da sciogliere e analizzare ai fini di questa tesi: la dominazione, il potere sull’altro, le torture, le violenze, la diffusione sistematica del terrore durante eventi destinati a provocare veri e

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Moscovici mette in evidenza il modo in cui la comunicazione incide sulle rappresentazioni e distingue tre differenti livelli: il livello dell’emergere delle rappresentazioni, le cui condizioni influenzano gli aspetti cognitivi. Le informazioni socialmente disponibili non sono infatti recepite dai gruppi destinatari in maniera omogenea: gruppi diversi sottolineano, dell’oggetto rappresentato, solo certi aspetti, in funzione dei propri interessi e della propria posizione all’interno della società; il livello inerente i processi di formazione delle rappresentazioni (come spiega Moscovici (1976) oggettivazione e ancoraggio sono i due processi da cui scaturisce la rappresentazione e tesi a specificare il modo in cui il sociale trasforma una conoscenza in rappresentazione e, in seguito, il modo in cui quest’ultima trasforma il sociale); il livello delle dimensioni delle rappresentazioni. Ciò riguarda la costruzione della condotta sulla quale incide fortemente la comunicazione tramite i media. Nella ricerca di Moscovici (1976), il sistema di comunicazione dei media presenta diversi effetti sui loro destinatari, corrispondenti alla diffusione, alla propagazione e alla propaganda. La diffusione è così messa in relazione con la formazione di opinioni (individuali), la propagazione con quella degli atteggiamenti (di gruppo) e la propaganda con quella degli stereotipi (sociali). Tra rappresentazioni e comunicazione esiste dunque uno scambio reciproco, una dinamica che dà luogo a un incessante lavoro di ricostruzione del reale: le rappresentazioni ci guidano quotidianamente per individuare, definire, interpretare e, all’occorrenza, giudicare e prendere una posizione riguardo i diversi aspetti della vita sociale (Cfr. Jodelet, D. (I992), Le rappresentazioni sociali, Liguori, Napoli).

275

Cfr. Tota, A. L. (a cura di) (2001), La memoria contesa. Studi sulla comunicazione sociale del passato, cit.

276

Cfr. Rusconi, G. E. (1987), Germania: un passato che non passa. I crimini nazisti e l’identità tedesca, Einaudi, Torino.

propri traumi sono importanti punti chiave da analizzare e comprendere per comprendere la natura della lingua del trauma, ciò che essa dice e ciò che invece, semplicemente, non può dire.

Nei paragrafi che seguono tenterò di entrare nei meccanismi su cui poggiano le logiche perverse dei campi di concentramento e farò particolare riferimento al caso che qui analizzo, riprendendo altre interviste fatte ai protagonisti della repressione durante l’ultima dittatura civico-militare argentina. Capire quali siano le relazioni di potere che si creano sarà un elemento da valutare fondamentale al momento della scelta della strategia traduttiva da applicare nel processo di trasposizione interlinguistica che darà vita a una nuova rappresentazione.