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1.3 L’ultima dittatura: terrorismo di stato e desaparecidos

1.3.2 Le vetrine della dittatura:

Non importa quello che hanno fatto di noi, importa ciò che noi facciamo di

quello che gli altri hanno fatto a noi Jean Paul Sartre

Spesso, quando si legge la storia, si tende ad associare l’idea del pericoloso sovversivo a quella di un guerrigliero, rivoluzionario, e quasi sempre uomo. Ebbene non fu così nel caso argentino: tra le tante vittime della repressione c’erano migliaia di donne, donne che subirono le peggiori torture, donne che ritroveremo anche più avanti, in questo lavoro, come maggiore esempio di vittime assolute, vittime tra le vittime di quella che si potrebbe quasi definire una

doppia repressione del represso. Non dico che gli uomini non siano stati sottoposti a torture

terrificanti, sia fisiche che psicologiche, assolutamente no, né intendo dare un taglio femminista a quest’argomentazione, dico che le donne sono l’esempio della vittima assoluta perché sulla figura femminile si sono applicate tutte le possibili forme di tortura.

Tanto per cominciare le donne non avevano un riconosciuto ‘diritto sociale’ all’attivismo politico: l’essere donna era associato principalmente alla sfera privata, alla purezza sessuale, e le sue uniche preoccupazioni dovevano essere la casa e la famiglia; gli uomini invece godevano della possibilità di far parte della sfera pubblica, diritto riconosciuto loro dalla sola identità maschile. In poche parole: la donna in casa l’uomo per strada. Sostanzialmente la stigmatizzazione che proveniva dal di fuori delle mura domestiche impediva alle donne di essere accettate come parte attiva della militanza politica. Questo rendeva ancora più allettante la punizione da parte dei sadici militari. Poi, altro punto fondamentale: l’essere donna significava essere ‘penetrabile’ e dunque essere umiliata attraverso le più feroci forme di violenza sessuale (certo anche l’uomo veniva violentato e brutalmente umiliato ma i casi furono sporadici e come dichiaratomi da uno dei medici che presenziavano le torture gli uomini erano prede meno succulente). Così racconta un’ex detenuta politica:

“Puta ¿te gusta? Decime cuanto te gusta que yo sea tu padrón, sos un perro, ¿te gusta luchar? ¿te gusta la lucha política? Y decime ¿te gustan los fusiles?” Y bueno... ni había terminado con las preguntas que ya me había puesto ese largo fusil en la vagina y lo dejó ahí durante todo el interrogatorio. Es terrible... de terror, no quiero pero sigue ahi... y me mira con ojos de desafío, me mira, y sigue mirándome cada noche en mi cama... 146

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“ ‘Puttana, ti piace? Dimmi quanto ti piace che io sia il tuo padrone, sei una cagna. Ti piace lottare? Ti piace la lotta politica? E dimmi ti piacciono i fucili?’ beh, neanche aveva finito con le domande che già aveva infilato quel lungo fucile nella vagina e lo lasciò lì durante tutto l’interrogatorio. È terribile... terrificante, non voglio ma è ancora lì... e mi guarda con occhi di sfida, mi guarda e continua a guardarmi ogni notte nel mio letto ”. Si tratta della testimonianza rilasciatemi da un’ex detenuta politica il 20 marzo 2014 nella città di Rosario e di cui, per espressa richiesta della donna, mantengo l’anonimato.

Queste parole permettono di capire quanto i militari abbiano usato l’invasione di un campo prettamente maschile come pretesto per aggravare le sofferenze delle donne nei campi. Altro punto fondamentale: le donne spesso venivano catturate in stato di gravidanza. Molte donne erano incinte al momento del sequestro e molte altre diedero alla luce i loro figli su squallidi pavimenti rischiando gravi infezioni e subendo, in molti casi (se ne contano circa 500) la perdita dei figli che non furono uccisi, ma letteralmente appropriati dai repressori e consegnati a coppie iscritte alle lunghe liste di attesa per le adozioni, o a coppie di militari che non potevano avere bambini propri. Insomma: tra le memorie buie dell’argentina aggiungerei questa doppia, se non tripla, repressione di persone che oltre ad essere ‘pericolosi sovversivi’ ebbero la ‘colpa’ di essere anche donne e madri.

A tutte queste illegalità i militari tentarono di dare un volto legale, accettabile dall’opinione pubblica; questo fu un aspetto fondamentale dell’intero sistema repressivo. Per sostenere la dichiarazione secondo la quale non esistevano in Argentina campi di concentramento e i militari non avevano nessuna responsabilità circa la scomparsa di persone fu necessario dare in qualche modo una facciata presentabile a quel lugubre sistema di sterminio occulto. Questo ruolo toccò a Villa Devoto, un luogo dove diverse centinaia di detenuti politici, a disposizione del Potere Esecutivo Nazionale (PEN), subirono torture inaudite e conobbero la morte, e tenuto in vita nel tentativo di spacciare quella come l’unica forma di detenzione praticata nel regime. Villa Devoto era il carcere delle donne (gli uomini venivano portati in altre prigioni ‘legali’), lì vennero portate molte donne sequestrate, torturate, scomparse che accolsero, nella stragrande maggioranza dei casi, il traslado come una sorta di lieto fine, ovvero come l’ingresso dalla sparizione alla legalità. Nonostante tutto, in diversi casi il traslado fu solo l’inizio della fine, dello sterminio: dei diversi imbarchi settimanali a Buenos Aires su due aerei della marina e dell’esercito, circa la metà diventavano veri e propri voli della morte con cui le detenute venivano lanciate, sedate ma vive, nelle acque gelide dell’Atlantico147.

Dalle interviste rilasciatemi, alla domanda: Perché la lotta? nelle risposte di tutte le donne -ex detenute politiche- possono cogliersi ideali comuni: amavano la vita, ma erano disposte a metterla a repentaglio per trasformare profondamente la società; Marta Silvia Ronga mi racconta di come la sua vita fosse tranquilla, serena, ricca di agi, ma mi racconta anche che quella “gabbia di cristallo” non le bastasse, doveva fare di più per sentirsi libera in un paese dove la libertà era di pochi. Erano donne che volevano lavorare, studiare, crescere i loro figli, donne attive, pensanti, militanti sindacali, cristiane, politiche, rivoluzionare. Ma non importava più a quale delle diverse varianti del peronismo e della sinistra appartenessero ormai erano solo ‘sovversive’, ‘terroriste’, ‘comuniste’, ‘bolsceviche’, ‘pericolose rivoluzionarie’ da punire e annientare.

Se Villa Devoto era il carcere-vetrina, com’è stato più volte definito dalla stampa nazionale e internazionale, i Mondiali di calcio del 1978, tenutisi in Argentina, divennero l’occasione (forse non del tutto casuale) per deviare l’attenzione rispetto alle pesanti violazioni dei diritti umani che si stavano perpetrando nelle ‘carceri-legali’ di quel paese bifronte. La Giunta militare si diede un bel da fare per predisporre lo scenario che avrebbe esibito agli occhi dei

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giornalisti internazionali giunti per riferire l’evento sportivo: un paese differente da quello reale e al tempo stesso diverso da quello che traspariva dalle dichiarazioni che giravano il mondo riguardo alle violazioni dei diritti umani. Per restituire al paese l’immagine che più si addice a uno Stato democratico venne messa in atto una manipolazione estrema dell’informazione, vennero derogati i decreti che limitavano le attività delle agenzie di stampa, in particolare quelle straniere, e vennero pubblicate sui quotidiani nazionali notizie relative ai prigionieri politici. I mondiali di calcio furono lo sfondo su cui i militari forgiarono il loro slogan Somos derechos y humanos (siamo dritti e umani). Villa Devoto e i Mondiali di calcio furono le vetrine quasi perfette per eclissare il massacro. I militari tentarono in tutti i modi di ridurre i sospetti, approfittarono di ogni occasione per manipolare l’informazione e negarono spudoratamente la metodologia di sparizione. Anche questo era parte del piano, ovviamente, volevano cancellare i segni del crimine, volevano eliminare le tracce di migliaia di esseri umani, seppellendoli come NN, gettandoli in mare o incenerendoli, cercando di annientare ogni possibilità di recuperare la loro memoria. Ma, i militari non avevano calcolato che l’assenza di un corpo avrebbe reso quel corpo eternamente vivo; del resto, come direbbe Sigmund Freud: non si può sfuggire al rimosso. Volevano farli sparire e invece li hanno resi eterni.