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2.2 La ri-elaborazione del passato: memorie presenti e retroattive

2.2.1 Gli usi sociali dell’oblio

Ritornando al caso argentino, porci il problema di quali siano state le pratiche sociali di memoria nell’Argentina post-dittatoriale e quali siano state le forme con cui quelle memorie

192

Cfr. Lotman, J. M. Uspenkij, B. (1971), Tipologia della cultura, tr. it., Bompiani, Milano, 1975.

193

La sfera pubblica può esssere intesa come la cornice entro la quale le diverse memorie collettive si collocano, ovvero come il sistema generale di idee in cui ci si riconosce. Essa somiglia a un’arena in cui gruppi diversi competono per l’egemonia sui discorsi plausibili e rilevanti all’interno della società e lottano per definire il passato secondo quanto a ciascuno conviene. Ecco perché la memoria può essere intesa come un campo di battaglia in cui si attuano usi, abusi o disusi del passato. Rimando a: Habermas, J. (1984), Storia e critica dell’opinione pubblica, Laterza, Roma-Bari.

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Rimando a: Jedlowski, P. (2002), Memoria, esperienza e modernità, Milano, Franco Angeli; Jedlowski P. (2011), “Cinema europeo e memorie autocritiche”, in: Quaderni di sociologia, 55 (1), pp. 91-105.

si sono manifestate in rappresentazioni letterarie è di fondamentale importanza, si tratta di un contributo che può aggiungere un tassello in più a quel grande mosaico che è il Novecento che, ben conosciuto come il Secolo dei Genocidi, può essere anche definito come il ‘secolo delle memorie contese’, come le definirebbe Anna Lisa Tota195

. Il Novecento è stato lo sfondo di molti casi controversi, passati difficili e scomodi da rielaborare in una sorta di utopica memoria condivisa, per questo mi sembra calzante una definizione che renda conto della pluralità di memorie particolarmente contese.

Ricordare e dimenticare sono spesso due processi considerati come antitetici che si escludono vicendevolmente. In realtà, la memoria non si oppone affatto all’oblio196. I due termini antitetici sono piuttosto conservazione e rimozione. La memoria è una selezione e quindi un’interazione di entrambi i processi. La restituzione integrale del passato è impossibile. Paradossalmente, la memoria è anche oblio. Sono le due facce di una stessa medaglia. I modi di ricordare e i modi di dimenticare sono il risultato di processi corrispondenti. D’altro canto, in questa riflessione sulla memoria di eventi passati non si può assolutamente prescindere dal rapporto tra memoria e storia197. Gli uomini non ricordano sempre allo stesso modo e, studiando la dimensione dei rapporti tra memoria e storia, Jedlowski ha precisato come gli atteggiamenti nei confronti del passato cambino a seconda degli individui che ricordano; anche ogni singolo individuo crea la sua memoria individuale di un dato evento in maniera diversa in base al momento, l’età, le varie vicissitudini del proprio cammino biografico198. Di conseguenza si possono riconoscere diverse memorie collettive riferibili a ogni singolo evento. Il riconoscimento di varie interpretazioni del passato influenza la storia, nel senso che dette interpretazioni agiscono, di volta in volta, sul controllo della verità storica contribuendo, così, alla creazione di oblii che, alternandosi alle memorie, possono produrre una visione manipolatrice della storia stessa199.

Sebbene spesso qualcosa venga perduto, la memoria non si oppone affatto all’oblio. Si tratta di una tesi tanto semplice quanto complessa proprio perché le due cose non si escludono vicendevolmente ma vivono in due dimensioni parallele e si influenzano costantemente. Teresa Grande ha precisato al riguardo che: “la memoria è sempre il risultato di una dialettica tra l’oblio di alcuni elementi del passato e la conservazione di altri. Essa presuppone sempre una scelta (convincente o non) di ciò che del passato deve essere ricordato”200. Rimuovere determinati elementi nel processo di selezione è un processo tanto naturale quanto necessario.

La scelta tra conservazione e rimozione dipende, ovviamente, dalle circostanze.

195

Rimando a: Tota, A. L. (a cura di) (2001), La memoria contesa. Studi sulla comunicazione sociale del passato, Franco Angeli, Milano.

196

Cfr. Todorov, T. (2001), Gli abusi della memoria, Ipermedium, Napoli (ed. or. Les abus de la mémoire, Arléa, Paris, 1995).

197

La memoria, lungi dall’essere un grande pozzo senza fondo in cui è possibile conservare qualunque così, non trattiene tutto, essa on registra fedelmente il passato. Se da un lato, dunque, ogni individuo o ogni gruppo trattiene del passato solo ciò che ritiene utile per il presente, dall’altro la storia non può assolutamente allontanarsi dall’oggettività dei fatti storici.

198

Cfr. Jedlowski, P. (1989), Memoria, esperienza e modernità, Franco Angeli, Milano.

199

Cfr. Ferro, M. (1985), L’histoire sous surveillance, Calman Lévy, Paris.

200

Grande, T. (2001), “Le origini sociali della memoria”, in A. L. Tota (a cura di), La memoria contesa. Studi sulla comunicazione sociale del passato, Franco Angeli, Milano, p. 73.

Come sostiene Todorov, in riferimento a passati difficili, se da un lato la memoria del male rischia di creare squilibri sociali, dall’altro anche l’oblio rischia di avere effetti devastanti. Si tratta di piccoli inganni della memoria. Spesso dimenticare è una necessità impellente, a volte terapeutica o forse è qualcosa sostanzialmente e semplicemente inevitabile.

2.2.1.1 Gli inganni della memoria: riflessioni attraverso la finzione

Vorrei riflettere su questi temi attraverso due opere, la prima è un racconto letterario,

Funes el memorioso di Jorge Luis Borges, la seconda è un monologo intitolato Smemoraz di

Paolo Jedlowski. La prima ci permette di conoscere metaforicamente le conseguenze devastanti di una memoria prodigiosa, mi riferisco all’enorme vaciadero de basuras (una sorta di discarica di memoria) contro cui lotta Funes ‘el memorioso’ protagonista dell’amaro racconto201 di Borges.

In seguito ad un incidente Funes rimane paralizzato ma acquista una memoria, come dicevo prima, prodigiosa: la sua mente diventa un incontrollato accumulo d’informazioni, di dettagli, e così se da un lato Funes acquista una mostruosa capacità di ricordare ogni cosa dall’altro diventa incapace di formulare pensieri generali o concetti concreti. Funes non riesce a distrarsi dai suoi ricordi, non riesce a liberarsene, sono così vivi, sempre presenti con stupefacente abbondanza di dettagli da impedire al protagonista borgesiano non solo il pensiero ma anche il sonno:

Sospecho, sin embargo que no era muy capaz de pensar. Pensar es olvidar diferencias, es generalizar, abstraer. En el abarrotado mundo de Funes no había sino detalles, casi inmediatos202.

Quello di Funes è un mondo sovraccarico di dettagli, un mondo in cui non c’è spazio per il pensiero perché pensare è astrarre e lui non ci riesce, così come non risce a dormire perché dormire significa distrarsi dal mondo, riuscire a dimenticarlo. Nella sua mente, come su una lastra fotografica, si imprimono alla perfezione i particolari di una vita, è addirittura capace di ricordare con sicurezza la forma che assumevano le nuvole all’alba del trenta aprile del 1882. Come si spiega la sua incapacità di pensare lucidamente? Una memoria così infallibile non dovrebbe compromettere il pensiero, anzi, dovrebbe potenziarlo. Ognuno di noi porta con sé, nella sua memoria a lungo termine, informazioni di un passato remoto, che non si cancelleranno mai, non saranno tante quante quelle di Funes, ma sono sicuramente più di quanto possiamo immaginare. Come mai allora riusciamo a pensare e ad astrarre senza fatica? Perché non soffriamo d’insonnia come invece soffre Funes? Abbiamo sicuramente molti ricordi, magari non così precisi, ma possiamo accantonarli e pensare logicamente. È chiaro che il problema del protagonista di Borges non è legato alla sua capacità di ricordare; piuttosto alla sua capacità di dimenticare. Non è la profondità della sua memoria il problema, né la sua estensione, ma la sua eterna presenza. Funes non riesce a staccarsi dai ricordi, che

201

Borges, J. L. (1944), “Funes el memorioso”, in Ficciones, Alianza, Madrid.

202“Sospetto, nonostante tutto, che non fosse capace di pensare. Pensare significa dimenticare differenze,

continuano ad agire nella sua mente come se fossero percezioni sensoriali. Funes non riesce a pensare perché è disturbato, per esempio, dai canti di tutti i bambini che sono passati fuori dalla sua finestra, canti che continuano ad echeggiare nella sua mente in un frastuono mostruoso, caotica sommatoria di tutti i suoni che ha sentito durante la sua esistenza. La patologia di Funes, se tale si può chiamare, è legata alla vivacità dei suoi ricordi, all’incapacità di dimenticarli e richiamarli alla memoria quando servono: restano, presenze inquietanti come Erinni, nei suoi circuiti cerebrali e gli impediscono la riflessione. La memoria di Funes potrebbe essere definita come epidermica, ovvero, una capacità mnemonica che rimane viva e presente quanto una percezione sensoriale, che non riesce a scolorirsi nel tempo. Non riuscendo ad accantonare i ricordi, Funes non può servirsene come facciamo noi, in sintesi: non è padrone della propria memoria. La lunga metafora borgesiana di ‘un’insonnia eterna’ torna utile al fine di capire come dimenticare è assolutamente necessario e di conseguenza funzionale a quelle pratiche sociali di memoria cui accennavo poco fa e, di conseguenza, anche a pratiche sociali di rimozione.

Andiamo ora al monologo teatrale Smemoraz203. Qui Paolo Jedlowski dà voce a una persona che non vuole ricordare e al tempo stesso fa intravedere le possibili e devastanti conseguenze dell’oblio. Smemoraz manifesta il desiderio di dimenticare:

Scordare.

Cancellare i giorni dal mio diario, ad esempio.

Andare a ritroso sull’agenda, cancellare con un pennarello tutti gli appuntamenti, gli impegni, gli incontri, le ore e i minuti in cui ho fatto qualcosa... perché ne ho fatte di cose, ma non le voglio più ricordare.

L’oblio è liberazione.

Smemoraz ricorda molto, “la bomba di piazza fontana a Milano nel 1969”, “l’aereo abbattuto nei pressi di Ustica”, ricorda tante e tante cose ma desidera di eliminarle dalla sua mente. Vi riesce, ma così, ad un tratto, non riesce più a mettere insieme due parole, non associa più i significati a i significanti:

Sta cercando di uscire, ma ha sbagliato la porta: quello dove cerca di entrare è un armadio. Sapete, non ricorda che cosa è un armadio. Sbatte il naso, rincula; poi riparte, e sbatte di nuovo. E ancora, e poi ancora.

Smemoraz non ricorda più eppure non ricordando di aver preso una botta la prende di nuovo. Ecco l’effetto devastante dell’oblio: non ricordare il male potrebbe portare a una sua rinascita. Jedlowski chiude interrogando il suo pubblico: “Quando un uomo perde la memoria dobbiamo dire che, purtroppo, è diventato scemo, e se a perderla fosse un popolo intero?”.

Mi sembra chiaro che si tirino in ballo almeno due temi: quello della responsabilità204 (individuale e collettiva) e quello dell’identità205. L’esistenza di politiche della memoria

203

Il monologo teatrale Smemoraz è stato messo in scena al Teatro dell’Angolo di Torino.

204

Decidere come e cosa ricordare implica, dunque, una selezione i cui effetti possono essere devastanti nel momento in cui i processi di memoria sono direttamente correlati alla necessità di dimenticare una

presuppone l’esistenza di politiche dell’oblio. Questo ha molto a che fare con la relazione molto forte tra memoria e rapporti di potere. Come dimostra il Novecento, e come ben nota Todorov, i governi dittatoriali e totalitari hanno, nel tempo, dimostrato come le società siano fragili e suscettibili di manipolazione silenziando il passato e incoraggiando amnesie collettive. I regimi dittatoriali, come quell’argentino appunto, hanno temuto fortemente la memoria, e giacché essa è la coscienza del tempo che passa e la capacità di interpretare cause ed effetti di eventi passati, i regimi si allineano con politiche di oblio206. Le politiche di memoria o oblio messe in atto dai regimi, e penso per esempio al controllo dell’informazione, dei mass media, hanno come effetto principale il condizionamento di quei quadri culturali e sociali attraverso cui la società, i gruppi, gli individui, configurano la loro visione degli eventi. Generalmente le memorie delle vittime dei regimi, o peggio ancora delle repressioni da essi attuate, narrano le loro esperienze quando si presentano situazioni favorevoli, come la transizione alla democrazia per esempio. Tuttavia, questo non significa che le vittime non parlino anche nei periodo di repressione (alcuni scrivevano per esempio le loro esperienze con metafore volte ad aggirare l’ostacolo ‘censura’). Spesso quelle che un tempo erano contro- memorie, intese come memorie oppositive, minoritarie, non ufficiali sono destinate a ribaltare le posizioni egemoniche e diventare memorie dominanti. Si tratta di una complessa rete d’interazione tra memoria e oblio, in cui si rimescolano spesso le carte. Questo può provocare delle fratture identitarie nei singoli o nei gruppi207.

Parlando di oblio dunque è forse opportuno distinguerne due tipologie: l’oblio o silenzio terapeutico e l’oblio o silenzio imposto per l’impunità dei colpevoli e la manipolazione della coscienza collettiva.

Come si vedrà più nel dettaglio attraverso le testimonianze/interviste raccolte sul campo, e le narrazioni che dell’evento mi si sono state fatte da persone che hanno vissuto il periodo dittatoriale, ricordando delle cose se ne rimuovono necessariamente delle altre. La cosa interessante è che spesso le memorie collettive di alcuni gruppi corrispondono all’oblio di responsabilità. è forse attraverso il concetto di deresponsabilizzazione che si può tentare di fornire una valida interpretazione dei motivi che, nell’Argentina di Videla, spinsero milioni di persone ad obbedire ai comandi del regime, o comunque a diventare parte di una “macchina distruttiva” che si riassume in quella che l’autore calabro-argentino Ernesto Sábato ha più volte definito come triste privilegio argentino: il caso dei desaparecidos.

205

Il nesso che lega memoria e responsabilità passa inevitabilmente attraverso la nozione d’identità. La metodologia adottata per sopprimere ogni forma di dissidenza non ha risparmiato né bambini, né donne incinte. Molti bambini vennero costretti ad assistere alle torture dei propri genitori, altri venero abbandonati, altri ancora divennero i figli di “nuovi” genitori che non potevano avere bambini e che nella stragrande maggioranza dei casi erano militari. Tutto questo, e molto altro, emerge dal Nunca Más, in particolare il Capitolo 2 è interamente dedicato alle vittime e alle violenze perpetrate ai danni di donne sottoposte a crudeli abusi sessuali e costrette a partorire da sole, su un pavimento sporco, per poi essere umiliate, violentate e separate dai loro bambini. Portate via con la forza, all’improvviso molte persone hanno smesso di far parte della società, hanno perso per sempre la loro identità e la loro dignità.

206

Cfr. Fabietti, U. Matera, V. (1999), Memorie e identità, Maltemi, Roma.

207

Tanto le memorie collettive quanto gli oblii sono meccanismi in grado di rafforzare o indebolire l’identità del gruppo o del singolo. Questo è particolarmente vero nel caso di esperienze traumatiche. Jan Assmann ricorda come l’identità è una questione che riguarda la memoria e il ricordo [Cfr. Assmann, J. (1997), La memoria culturale. Scrittura, ricordo e identità politica nelle grandi civiltà antiche, Einaudi, Torino]. Todorov in una sua conferenza in Cile, nel novembre del 2012, offre un’immagine esemplificativa, e che a mio avviso funziona molto bene, per spiegare lo stretto rapporto tra memoria e identità: l’Alzheimer che, oltre a comportare una perdita di memoria, demolisce totalmente il nucleo più profondo dell’esperienza umana, l’identità appunto.

altri. Allora mi chiedo: si può parlare di oblii collettivi? Credo di sì. Ho provato a pensare a questo importante nodo teorico partendo da un’ipotesi: in Argentina, in alcuni gruppi, la memoria del desaparecido in quanto vittima e quindi dal momento della sua sparizione ha prodotto la rimozione della memoria del desaparecido in quanto militante o responsabile di attentati (e questo è vero tanto se pensiamo ai musei della memoria quanto all’idea, seppur vaga, che si ha oggi del desaparecido soprattutto a livello internazionale). La questione è complessa e la riprenderò in seguito, ma è importante ora rilevare come i processi di memoria possano essere funzionali all’oblio – non dico sia così, ma è un’idea che vale la pena di essere approfondita. Così come si produce la memoria di un gruppo, e quindi una memoria collettiva, si producono contemporaneamente processi di rimozione collettiva che passano attraverso la lingua e/o il non detto.