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Era naturale quindi che un simile soggiorno attirasse l’attenzione di numerosi osservatori e divenisse oggetto di gustose ricostruzio-e divenisse oggetto di gustose ricostruzio- ni memorialistiche, in alcune delle quali ricorrono giudizi molto aspri, destinati poi a riversarsi anche sul più complessivo periodo del Regno d’Etruria e sulle condizioni della Toscana in tale fase. Già nel soggiorno parigino, in altri termini, presero forma quegli stereotipi, in gran parte mutuati dai codici di rappresentazione della dinastia Borbonica di Spagna, che sarebbero ricorsi nelle interpretazioni del

25 Ibid.

governo di Ludovico e Maria Luigia e, di riflesso, dello “spagnoli- smo” in quanto tale agli occhi degli osservatori di primo Ottocento. Proprio le considerazioni dell’Angiolini, già fedele servitore dei Lorena, in seguito francofilo “avveduto”, per usare le espressioni di Giovanni Ferretti, e infine alla ricerca di una dignitosa soluzione per Ferdinando III, ben riassumono questo clima. Il 30 maggio scrive- va: “La presenza peraltro di questo Re d’Etruria ritarda tutto. Non può darsi idea della distrazione che essa produce. Non so prevedere come terminerà la commedia che lo riguarda. Veramente tutto quel che riguarda questo Principe è commedia, e di una umiliazione cui in nessun conto vorrei aver parte per chicchessia. Non sarei pun- to meravigliato se il medesimo, con tutto l’apparato da cui si trova circondato di Maestà e di Regno Etrusco, neppur mettesse i piedi nella Toscana”27. In realtà, fino a qualche giorno prima, Angiolini

aveva espresso giudizi migliori nei confronti di Ludovico riferendo al fratello Francesco le voci che fosse “un buon principe, amabile e di talento”28. Le successive vicende parigine però avevano rapida-

mente convinto il diplomatico toscano a ricredersi, anche alla luce delle spregiudicate manovre di politica estera francese che sembrava riservare ben poco spazio di reale autonomia ai nuovi reggitori della Toscana rispetto agli interessi della Francia napoleonica. Il 14 giugno, poi, dopo averlo incontrato personalmente, Angiolini confermava le riserve espresse il 30 maggio: “son diverse le opinioni sul carattere di questo Principe. Concordano tutte nel darlo amante del denaro e economo. Qui non ha dati ancora 10 soldi a nessuno”. Risultava inoltre molto taciturno, “colla fisionomia borbonica” e con una sola passione manifesta, per “la chimica”. La consorte era pressoché invi- sibile perché afflitta da “terzana”29. In tal senso Angiolini esprimeva

27 Ferretti, Bonaparte e il Granduca, cit., p. 29. 28 Ibid., p. 46.

29 Ibid., p. 50. Un giudizio durissimo sulla coppia borbonica e sul suo sog- giorno parigino fu espresso da Giuseppe Conti nelle pagine di “Firenze vec- chia”: “Il 21 aprile 1801 i due nuovi regnanti della Toscana lasciaron Madrid scortati da due reggimenti di cavalleria “vestiti a nuovo” fino al confine

una valutazione simile a quella formulata più tardi da Thiers, se- condo cui proprio la goffaggine e lo scarso allure dei due Borbone

francese, poiché si recavano a Parigi a ricever scettro e corona dalle mani del primo console. Gusti quelli, che non poteva levarsi un altro console che non si chiamasse Napoleone. [...] Napoleone preparava a Parigi accoglienze sfarzose agli sposi Borboni; ed aveva ordinato che fossero ricevuti con grande onore nelle città della Francia. ove ad essi fosse piaciuto di fermarsi. Infatti, appena arrivati a Bordeaux la trovarono in festa, e quando la sera si recarono con le autorità al teatro che era tutto illuminato, furono accolti da grandi applausi, spesso però superati da fischi sibilanti e acutissimi; cosicché una cosa bilanciò l’altra se non la sorpassò. A Parigi arrivarono il 25 maggio, ed il giorno seguente si recarono alla Malmaison, nome di cattivo augurio, in un antico carrozzone tirato da quattro muli. Alla Malmaison, Napoleone li ricevé da regnante più che da console, circondato dal suo stato maggiore. L’infante e la moglie viaggiavano col titolo imposto loro da Napoleone stesso, cioè, di conte e contessa di Livorno. Appena Lodovico vide il primo console, l’abbracciò e lo baciò come se fosse stato suo padre. Napoleone che non s’aspettava l’amplesso di quel fanciullone, credendo che avesse inciampato, gli stese le braccia per sorreggerlo. I sovrani d’Etruria si trattennero a Parigi vario tempo; e quell’ingenuo principe che Napoleone regalava alla Toscana, diede la maggior prova della sua pusillanimità il dì 3 giugno, nella circostanza della grande rivista fatta in suo onore davanti alle Tuilleries. Nientemeno, che cotesto tipo novissimo di sovrano, avendo una indecente paura dei cavalli, preferì di stare a godersi lo spettacolo da un terrazzino, motteggiato e deriso dai generali e dagli ufficiali che si burlavan così per causa sua della Toscana e dei fiorentini che dovevano ossequiarlo come re! Ma ciò non è tutto. Questo sovrano buffone, poiché tale è il titolo che gli spetta nella storia, profittando della confidenza che a mano a mano prendeva coi coniugi Bonaparte, smet- tendo la timidezza che gli era abituale, faceva spesso in loro presenza, e dei familiari, pare incredibile, le capriole sul tappeto della sala, come fanno i ragazzacci di strada, o i pagliacci delle arene!... Di più, insegnava ai generali ed al seguito militare di Napoleone, a cantare il Tantum ergo ed altri inni sacri, facendosi deridere da quella gente fiera e guerresca, che aveva tutt’altro da pensare che al Pange linguae. [...]” (G. Conti, Firenze vecchia, Firenze, Vallecchi, 1985, capitolo III).

rendevano un ottimo servizio alla causa di Napoleone che dunque bene aveva fatto a convocare a Parigi i nuovi sovrani30.

Alcune di queste notazioni riemergevano in altre ricostruzioni me- morialistiche tra cui spicca per la sua natura salace quella tracciata da Laure Junot, duchessa d’Abrantès, autrice di un volume di Mémoires, uscito a metà degli anni trenta a Parigi per i tipi di L. Mame, editore con sede in Rue Guenégaud, al numero 23. Madame Junot, figlia di un funzionario comandato in Corsica, aveva condotto un’esistenza difficile che l’aveva spinta, dopo il suicidio del marito, generale bo- napartiano, nominato duca d’Abrantes, a dedicarsi alle lettere, stabi- lendo una fertile amicizia con l’ancora sconosciuto Balzac. Tale voca- zione aveva preso corpo in gran parte per effetto della volontà della signora di raccontare i legami della madre, Panoria Commène, con Napoleone, che avrebbe chiesto la sua mano appena divenuta vedova. Intendeva così rendere nota la sua stessa intimità con il futuro impe- ratore, da cui era affettuosamente definita “petite peste”. Soprattutto, l’intento di mettere sulla carta le proprie Memorie era però maturato in seguito ai già accennati rovesci successivi. Il marito aveva combat- tuto in Spagna, a lungo con la moglie al seguito, e aveva accumulato una significativa ricchezza sperperata in debiti di varia natura che lo avevano spinto al suicidio. La Junot, allora, dopo essere caduta in disgrazia presso la corte imperiale, si era trasferita a Roma, da dove sarebbe ritornata negli anni della Restaurazione con una fervida fede borbonica e con la ferma decisione di colpire il mito napoleonico; anche nella speranza di rimettere in sesto le sue disgraziate finanze, non risanate neppure dalla vendita dei propri gioielli. I Mémoires sono espressione di questo stato d’animo, arricchiti sul piano formale dalle pazienti correzioni del giovane Balzac, divenuto suo amante31.

Risultano un testo dominato dal livore, che cerca di ammantarsi di una distaccata causticità, rischiando in alcuni passaggi di apparire per-

30 Thiers, Histoire du Consulat et de l’Empire, cit., III, p. 144.

31 Oltre agli scritti di Henri Malo, risalenti alla fine degli anni Venti del XX secolo, cfr. N. Toussaint du Wast, Laure Junot, duchesse d’Abrantès, Paris, Fanval, 1985.

sino strampalato, curato sintatticamente quanto superficiale nelle va- lutazioni, che confermano l’epiteto di “duchesse d’Abracadabrantes”, coniato per la signora Junot dall’amico Théophile Gautier. I giudizi sulla coppia reale a Parigi offrono una efficace conferma di ciò: fin dalla prima pagina loro dedicata, la duchessa, rileva che Ludovico e Maria Luigia avevano un figlio “qui, bien qu’il n’eut pas trois ans accomplis, valait à lui seul ses illustres parens”32. Le note velenose pro-Le note velenose pro-

seguono nelle pagine seguenti in cui il tono diventa sprezzante: “Leur entrée dans Paris aurait seule suffi pour leur donner un manteau et une couronne de ridicule, au lieu des insignes royaux qu’ils y venaient chercher”33. Al ridicolo si accompagnava il senso della ripetizione di

un cliché già visto dal momento che il corteggio assegnato ai due Borbone era lo stesso di cui aveva potuto disporre il duca d’Anjou “lorsqu il avait été à Madrid prendre le nom de Philippe V”. Del tutto nuove, e intrise di sconcerto, erano invece le reazioni suscitate dallo stato di salute di Ludovico, colpito da un evidente attacco di epilessia mentre si recava alla Malmaison, una condizione decisamente scon- veniente, chiosava la duchessa, testimone dell’evento, anche per un sovrano “insignificante”: “Je traversais le vestibule à colonnes pour me rendre dans le salon, lorsque je me trovai au milieu du tumulte qu’oc- casion cet événement. Le reine parassait fort en peine et voulait cacher son mari; mais il n’y avait pas moyen de dérober à tant de personnes attentives la figures d’un roi, quelque insignifiant qu’il soit, lorsqu’il tombe du haut-mal”34. Di nessun credito poteva dunque godere un re

tanto malmesso da suscitare apprensioni ed imbarazzi persino quan- do si intendeva soltanto festeggiarlo. Con questi timori di fondo si consumavano così le varie feste, nell’incertezza di una probabile “au- gusta” figuraccia che comunque finiva per risultare inevitabile a cau- sa dei troppi limiti di Ludovico; durante il ricevimento organizzato da Talleyrand, il giovane Borbone era rimasto inebetito di fronte “al

32 Mémoires de la Madame la Duchesse d’Abrantes, t. IV, Paris, L. Mame, 1835, p. 145.

33 Ibid., p. 146. 34 Ibid., pp. 147-48.

fameux improvisateur Gianni”, che si era cimentato con alcuni versi dedicati al radioso futuro del re d’Etruria, suscitando l’apprezzamento di tutti meno che quello del diretto interessato35. Accanto alla sequen-

za di cattiverie rivolte alla coppia “etrusca”, madame d’Abrantes po- neva interessanti considerazioni sul gusto parigino di quei mesi. Così rilevava la competizione posta nei riguardi di Talleyrand dal ministro degli interni Chaptal nell’organizzare un evento festoso più convin- cente di quello tenutosi a Neuilly. Lo scopo era di rendere il primo console più sensibile verso i riti della mondanità, strumento indispen- sabile per conquistare i cuori dell’alta società della capitale e quindi premessa per il consolidamento del suo potere. Chi restava, sempre e comunque, ottusamente impietrito era il povero Ludovico, incapace di esprimere il più banale apprezzamento anche davanti alle più inge- gnose scenografie. Non bastava la ricostruzione di un villaggio tosca- no, popolato da affascinanti contadine che recitavano versi del Tasso e del Petrarca, per indurlo a dire due misere parole sul prestigioso “uf- ficio” che si apprestava a rivestire36. Da questo straordinario torpore, il

re d’Etruria pareva risvegliarsi in maniera improvvisa soltanto quando si trattava di ballare, attività, purtroppo, scriveva la duchessa, che in- terpretava in forme decisamente stravaganti: “Il faisait des sauts et des bonds, qui n’étaient pas du tout dans la dignità royale, à qui de telles cabriolet ne sont pas ordinaires”. Peraltro in tali circostanze, quel taci- turno saltimbanco poteva compiere i gesti più inconsulti come quello di gettare per aria oggetti di varia natura, colpendo inevitabilmente gli astanti, come aveva sperimentato di persona la stessa duchessa, allibita37. Era naturale che per un personaggio siffatto la festa più no-

iosa fosse quella organizzata dal ministro della guerra con toni sobri ed appunto militari, esattamente quelli che la resero la più gradita al primo console, ancora abituato, notava madame Junot, al clima dei bivacchi. Altrettanto scontato, quindi, era, alla luce di tutto ciò, il pessimo giudizio rapidamente maturato nei confronti di Ludovico

35 Ibid., p.150. 36 Ibid.,p.151. 37 Ibid.

da Bonaparte che, per scusarlo agli occhi di una sconcertata platea, colpita da una delle sue stravaganze improvvise, aveva dichiarato forse in maniera improvvida: “c’est encore un pauvre roi!”. La duchessa, questa volta con grande acume, sottolineava i risvolti politici di si- mile affermazione che mettevano in luce come il primo console non ritenesse la mera legittimità del potere regio la condizione sufficiente della vera grandezza di un governante38. Meno acuti e assai più cat-

tivi erano i giudizi espressi da “madame d’Abracadabrantes” quando ricordava la “presunta” amicizia stabilitasi tra Maria Luigia e le sorelle di Napoleone; neppure la giovane regina si salvava infatti dagli stra- li polemici per le sue eccessive preoccupazioni circa le condizioni di salute del figlio, di cui avrebbe continuato a scrivere alle “amiche” parigine anche dopo l’arrivo a Firenze, suscitandone regolarmente le ilarità a causa dell’inutile profusione dei più minimi dettagli39. Le due

teste coronate, pertanto, avevano dato una eloquente dimostrazione – questa la conclusione – della loro inadeguatezza a governare, tanto più un paese “belle et fertile” come la Toscana; per Ludovico non ci sarebbe stata grossa differenza “si le premier consul lui eut donné la couronne d’Abyssinie”40. A Firenze avrebbero dovuto aspettarsi tempi

molto cupi.

Giudizi assai aspri nei confronti del nuovo re d’Etruria erano espressi anche da un personaggio decisamente intimo al primo con- sole, che forse più di altri era in grado di raccoglierne le impressio- ni spontanee. Si tratta del suo “valet de chambre”, Louis Constant Wairy, a lungo al servizio di Bonaparte e tra l’altro autore di una dettagliatissima e singolare descrizione fisica del futuro imperato- re, contenuta nelle immancabili Memorie. In tale opera, oggetto di diverse e fortunate edizioni, Constant Wairy riportava molte delle deluse valutazioni suscitate dai giovani Borbone, non all’altezza del ruolo rivestito neppure in ambienti ben disposti nei loro confronti. Erano stati ospitati, infatti, nell’ambasciata di Spagna, “ancien hotel

38 Ibid., p.153. 39 Ibid., p. 154. 40 Ibid., p. 148.

Montesson”, dove avevano come vicina proprio Madame Montesson, vedova del duca d’Orleans, che occupava l’importante posizione di ultima discendente in patria dei Borbone di Francia. Napoleone, notava Constant, aveva dunque corso il rischio di alimentare le no- stalgie dei legittimisti pur di mettere Ludovico e Maria Luigia a loro agio e si era spinto a riattivare “une communication condamnée de- puis long-temps”, nel momento in cui aveva riaperto le stanze della sede diplomatica spagnola a esponenti della fazione filoborbonica in terra francese. Lo stesso primo console, grande ammiratore del- la Montesson e consapevole del suo prestigio presso gli ambienti aristocratici della capitale, aveva sperato che un simile gesto, oltre a favorire la coppia reale, potesse essere interpretato come la mani- festazione esplicita della sua intenzione di ripristinare i riti e le ceri- monie “monarchiche”. Dei rischi corsi da Bonaparte di riaccendere nostalgie filoborboniche scrisse anche Jacques-Barthélemy Salgues nel Mémoire pour servire à l’Historie de la France sous le gouvernement

de Napoléon Buonaparte, in cui sottolineava come si andasse diffon-

dendo nella Parigi di quei giorni la strana sensazione di una rivincita della monarchia, alimentata dalla possibilità per i francesi “de crier vive le Roi”. Salgues notava tra l’altro che Bonaparte aveva affidato al secondo console, che “avoit voté la mort de Luois XVI, l’incarico di accompagnare Ludovico nelle varie visite presso palazzi, musei e teatri; un dato che la Spagna avrebbe potuto usare a propri vantaggio ma essendo ormai “dominée par un lache favori, s’étoit depuis longs- temps accoutumée aux humiliations”41. Era evidente dunque che il

rischio corso da Bonaparte era assolutamente controllato.

Il suo piano però era miseramente fallito per l’ignavia di Ludovico, colpito – scriveva Constant Wairy- “du haut-mal” ma soprattutto del tutto alieno ad ogni forma di impegno: “Le roi d’Etrurie n’était pas un grand travilleur, et, souc ce rapport, il ne plaisait guère au premier consul, qui ne pouvait souffrir le désceuvrement”42. Il curio-

41 J.B. Salgues, Mémoire pour servire à l’Historie de la France sous le gouverne-

ment de Napoléon Buonaparte, Paris, L. Fayolle, 1820, pp. 205-206.

so valletto riferisce nelle sue Memorie di aver ascoltato Bonaparte a colloquio con Cambacérès proferire espressioni molto dure sull’inet- titudine di Ludovico: “Il passe son temps à caqueter avec des vieillies femmes”, avrebbe affermato Napoleone, lamentandosi peraltro dei contenuti di tali stupidi colloqui che si traducevano in costanti criti- che alla “maudite” repubblica, da cui aveva – povero lui - ottenuto la corona. In maniera molto corrucciata, il primo console dichiarava di ritenere che un simile personaggio, interessato solo da “promenades, chasse, bals et spectacles”, sarebbe stato il peggiore testimone di qual- siasi ipotesi di ripristino della monarchia, una dimensione tutt’altro che estranea in quel momento, notava Constant, a Napoleone43. Per

tali ragioni erano completamente inutili, ed anzi dannose, le gran- diose feste dedicate a Ludovico, che si mostrava incapace di dar vita alla sia pur minima conversazione articolata; un po’meglio sembrava muoversi Maria Luigia, con l’unico effetto però di rendere ancora più evidente la pochezza di spirito del marito, afflitto per giunta da una inspiegabile taccagneria, così pronunciata da impedirgli persino di dare una mancia ai facchini che gli portavano i fastosi doni del primo console44. L’investitura regia del giovane Borbone era pertan-

to fallimentare per più motivi; non favoriva, come detto, la metabo- lizzazione di rinnovate istanze monarchiche, non sembrava suscitare una sincera riconoscenza da parte di Ludovico – “c’est qu’il ne sen- tait pas au fond tout l’enthuosiasme ni toute la reconnaissance qu’il témoignait au premier consul” -, e lasciava presagire pessime conse- guenze per la Toscana45. Di ciò si mostrava persuaso l’ambasciatore

di Spagna che si doleva “de la hauteur du prince à son regard, de sa complète ignorance, et du dégout que lui inspirait toute espèce d’occupation sérieuse” ; questo, aggiungeva sconsolato Constant,

chez Ladvocat Librare, 1830, pp. 100-101. 43 Ibid.,p. 102.

44 Ibid., pp. 103-104. Constant si sofferma a descrivere con sbigottita minuzia i vari episodi in cui tale taccagneria si manifestò, indicandoli come l’espressione più chiara della “singolarità” di re Ludovico.

era il sovrano che avrebbe governato una parte dell’Italia46. Di nuo-

vo, qualche speranza pareva essere riposta semmai in Maria Luigia, giudicata da Napoleone “plus fine et plus avisée que son auguste époux”, per quanto non brillasse né per grazia né per eleganza. Si abbigliava al mattino per tutta la giornata, si portava costantemente appresso il figlioletto, senza darsi minima cura del suo blasone, con l’effetto di presentare a sera una toilette, pericolosamente, “un peu dérangée”. Forse anche per una simile spontaneità materna, chiosa- va Constant, piaceva al primo console. Non era tuttavia altrettanto adatta a raccogliere consensi nelle grandi feste parigine di quei gior- ni, che non a caso, quasi per facilitare una già prevedibile difficile acclimatazione, avevano come tema centrale la Toscana nel pieno del suo splendore. Era naturale dunque che al termine del colloquio di commiato tra Napoleone e Ludovico “ils n’avaient l’air satisfaits ni l’un ni l’autre”47.

La sequenza delle impressioni negative suscitate dai Borbone a Parigi può essere ulteriormente arricchita dai ricordi dell’imperatri- ce Josephine, raccolti da Georgette Ducrest, una delle sue “dames d’honneur” che le era stata accanto durante l’inverno 1810-11 e si era cimentata poi nella stesura di un resoconto memorialistico di notevole diffusione. Con toni solo apparentemente molto pacati, ed uno stile fin troppo artificioso, facendo appello peraltro alla propria giovane età, che rischiava di suggerirle notazioni infantili, la Ducrest avviava la descrizione degli accadimenti di quei giorni partendo dal senso di notevole stupore suscitato dall’evento e dalle sue ricadute possibili: “Rien ne parut plus extraordinarie que la présence d’un