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Il Regno d’Etruria nei rapporti di Giuseppe de Silva, informatore

di Acton

Se la nascita del Regno d’Etruria si inserisce nei rivolgimenti di un quadro europeo mobilissimo, dominato dal protagonismo francese nel fare e disfare stati e regimi, quale è quello degli anni dal Brumaio all’Impero, può essere un privilegio guardare a quanto un contem- poraneo chiama la ‘rivoluzione delle cose’, in un’accezione antica del termine, che rimanda alla ciclicità del mutamento politico, attraver- so gli occhi di un unico spettatore. Si tratta del marchese Giuseppe de Silva, discendente da una nobile famiglia napoletana impegnata da generazioni nel servizio diplomatico in Toscana. De Silva è con- sole a Livorno prima del 1799; in seguito – negli anni dal 1801 al 1803 – lo troviamo a Napoli, ma anche da qui rimane riferimento per le cose di Toscana, conservando un canale di comunicazione con Acton che nel frattempo si era spostato a Palermo (del resto non si attestano nel periodo rapporti diplomatici particolarmente stretti con la Toscana, dove, negli anni della ‘prima restaurazione’ borbo- nica, non risulta esservi alcun console napoletano). Nella fase della costituzione del Regno d’Etruria de Silva è quindi l’informatore di Acton, e si serve a sua volta della rete di conoscenze che gli deriva dalle sue passate mansioni; si tratta di un personaggio che rimane avvolto nell’ombra. Dai suoi scritti si evince un rapporto privilegiato con Acton; ritrasferendosi dal 1804 in Toscana, stavolta a Firenze, offrirà i suoi servigi anche al successivo ministro degli esteri napo- letano, Micheroux, e, dopo l’ascesa di Giuseppe Bonaparte al trono di Napoli, al marchese del Gallo, che del resto li accoglie piuttosto

tiepidamente. L’ex-console si rivela così una vittima degli stessi scon- volgimenti politici che con acume registra e analizza.

Di de Silva ci sono pervenute le relazioni inviate ad Acton dal 1801 al 1803, che vengono stilate secondo uno schema ricorrente (notizie sui sovrani; situazione politica in Toscana; cenni sulla si- tuazione politica italiana ed europea), più alcune lettere posteriori, del 1804 e del 1807, rivolte appunto ai successori di Acton nella carica di ministro degli Esteri. Questo corpus documentario riguar- da quindi la prima fase del Regno d’Etruria, spesso estendendo l’at- tenzione a tutta l’’Italia superiore’ e, soprattutto, segue i molteplici momenti di transizione che segnano la storia toscana dalla fase gia- cobina all’annessione all’Impero, e più in generale la storia italiana ed europea nel periodo. Abbiamo così il privilegio di guardare una pellicola estremamente movimentata da un punto di vista unitario; un campo visivo fisso, nel quale passano e vengono registrati uomi- ni, voci, cose, e la grande politica si incrocia alle notazioni minute di interesse umano. Uno spettatore unico insomma ma non certo

unus testis: la nostra fonte si presta a molteplici incroci e confron-

ti. Abbiamo usato il termine ‘deriva’ come possibile cifra del perio- do, che renda conto degli ‘anni bui’ del Regno d’Etruria e, più in generale, del processo di svuotamento delle prospettive aperte con la rivoluzione nella svolta autocratica napoleonica1 (come del resto

all’indomani del 1815 si parlerà di ‘naufragio’2). Si cercherà allora

di focalizzare l’attenzione proprio sulla complessità della transizione politica in una fase di rapidi e ravvicinati cambiamenti di regime, una fase quasi sperimentale di ‘crolli dello stato’ – per usare una cate- goria storiografica recente3 – e di costruzione di nuovi ‘sistemi’ (che

1 Sul 1798 come anno di svolta in senso moderato e antilibertario della po- litica francese nei riguardi delle repubbliche vassalle C. Zaghi, Bonaparte e

il Direttorio dopo Campoformio, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1956.

Cfr. inoltre Id., L’Italia di Napoleone, Torino, Utet Libreria, 1990.

2 M. Meriggi, Gli stati italiani prima dell’Unità, Bologna, Il Mulino, 2002, p. 12.

è un termine anche coevo). E da questo punto di vista il caso toscano è certo di particolare interesse, con la precoce istituzione di una mo- narchia, ‘regalata’ ai nemici Borboni con una mossa di machiavelli- ca Realpolitik4 (che effettivamente – a voler sottolineare in maniera

forse un po’ vecchio stile l’importanza degli atteggiamenti personali - esprime bene il pragmatismo e anche il cinismo di Napoleone, di cui si hanno numerosissime testimonianze, amiche e nemiche).

Attraverso i diligenti rapporti di de Silva si possono quindi legge- re gli ‘anni etruschi’ (esperienza fra quelle italiane particolarmente traumatica), alla luce della più ampia casistica italiana ed europea, e al tempo stesso cogliere le dinamiche sullo sfondo tenendo in pri- mo piano le immagini toscane. A de Silva in ogni caso, per quanto ovviamente legittimista, interessa maggiormente fornire informazio- ne veridiche che esprimere a tutti i costi un giudizio politico, ed è costantemente preoccupato di essere obiettivo (almeno quanto lo storico: è parte del suo mestiere!), e soprattutto è sensibile alla psico- logia collettiva, all’orizzonte d’attesa, evidenziando gli stati d’animo tipici di quegli anni, l’incertezza in primissimo luogo (voci, fausses

nouvelles e anche pettegolezzi sui destini dei regimi – e dei confini,

a proposito di entità territoriali grandi e piccole: Lucca; Parma e Piacenza; Venezia), incertezza che si intreccia spesso con la sorpresa (di fronte alle spregiudicate mosse napoleoniche) e con il malcon- tento (di fronte alla rapacità degli occupanti francesi e al meccani- smo della coscrizione; ma anche il malumore tutto politico che si manifesta soprattutto nella Repubblica italiana e in Olanda di fron- te all’incoronazione imperiale del 1804). Cercheremo insomma di mettere l’accento sul cambiamento politico sottolineandone soprat- tutto la qualità comunicativa. Del resto, la natura della nostra fonte (lettere che rimandano ad altre lettere, a giornali, a ‘voci’; un testo

di P. Macry, Napoli, Liguori, 2003.

4 Sulla creazione del Regno d’Etruria v. G Drei, Il Regno d’Etruria 1801-

1807, Modena, Società Tipografica Modenese, 1935, pp. 29 ss. Indicazioni

anche nel più antico studio di P. Covoni, Il Regno d’Etruria, Tip. Cellini e C., 1894.

che rimanda a, ed è confluenza di, altri testi) spinge a focalizzare la complessità e centralità dei fenomeni comunicativi in questa fase di intenso cambiamento politico. Metteremo in luce tre aspetti distin- ti: l’incertezza; la gestione della transizione; il linguaggio delle cose.

L’incertezza

Gli eventi che portano alla letterale ‘invenzione’ del Regno d’Etruria sono noti. Forse è rimasta un po’ più nell’ombra la costante girando- la di supposizioni e voci che accompagnano gli anni dall’abbandono della scena toscana da parte della dinastia lorenese alla incorporazio- ne della Toscana nella Francia, quando il marchese del Gallo a ragion veduta può scrivere a de Silva (siamo negli ultimi giorni del 1807): “il destino della Toscana va ormai a prendere una forma decisa”5.

Le relazioni di de Silva evidenziano la ridda delle congetture e delle voci, che emergono secondo un meccanismo che corrisponde bene a quello delle fausses nouvelles di Bloch e si correla alle aspettative generali (soprattutto verso il ritorno dell’Arciduca, visto come un Salvatore); al tempo stesso de Silva parla più volte di “voci messe in giro dai Francesi”, quindi di azioni volte a pilotare l’opinione pub- blica e anche a lasciare aperta l’incertezza e il disorientamento. Le dinamiche della comunicazione collettiva, al di là della restituzione di contenuti oggettivi, rivelano tutta la loro valenza di elemento centrale del gioco politico.

Per fare una rapida carrellata: a inizio maggio 1801 de Silva riporta notizie risalenti a due mesi prima che riferiscono dei preparativi per l’arrivo di Ludovico e delle attese: “Si attendeva [a Firenze] emanato il nuovo Piano Costituzionale e Legislativo che debbe giungere da Parigi colla nomina de’ Soggetti che formeranno il Governo perma- nente, e in tal guisa pare che sarà tutto disposto, sì nel Politico, che nell’Economico, e Militare […] D’altronde se giova prestar fede ad alcune Lettere di Vienna prende sempre più consistenza (special- mente dopo l’ultimo avvenimento in Russia) la lusinga di conser- varsi il Granducato all’antico suo Signore”. A fine marzo 1801 de

5 Archivio di Stato di Napoli (d’ora in poi ASN), Ministero degli Affari Esteri, f. 5455.

Silva aveva riferito ad Acton che al Granduca di Toscana residente a Vienna era stata notificato ufficialmente il passaggio di mano, con grande strepito da parte di questi. De Silva registra voci (secondo lui messe in giro a bella posta dai Francesi): dicono “essere arrivato a Milano il marchese Lucchesini incaricato di trattare col Governo Cisalpino per mettere alla testa del medesimo lo Staatolder d’Olan- da, e darli così un compenso delle sue perdite. Finalmente preten- dono che il re di Sardegna assumerà in Roma le Redini del Governo secolare di quello Stato, e che il Papa avrà una grossa annua Pensione come Capo della Chiesa Cattolica”6.

Mentre Ludovico si avvicina, paradossalmente prende sempre più consistenza la voce di un ritorno dei Lorena. Il 12 luglio de Silva scri- ve: “Si aumentano ogni giorno le speranze di conservarsi alla Toscana il suo legittimo Sovrano Arciduca Ferdinando”, ingrandendo Parma con le Legazioni. Questo secondo ‘Pubblici Fogli’ di Parigi. E due settimane dopo, il 26 luglio: “In Firenze non si fa alcun preparativo di fatto per la venuta del Monarca, e ciò conferma nell’opinione de’ Toscani che sia per tornare l’antico loro Padrone”7.

Il 12 agosto de Silva da Napoli manda ad Acton una lettera riser- vata di suo pugno, comunicando che il marchese Ventura8 si è messo

in contatto con lui per antica amicizia ma egli non si è sbilanciato. La lettera comincia così: “continua a esser problematico assai il vero destino della Toscana, destino da cui dipende in gran parte la futu- ra sorte d’Italia non meno che la statistica sistemazione dell’Impe- ro germanico”. Gira infatti voce che Ludovico avrà porzione della Lombardia e Parma, e Firenze tornerà ai Lorena. Questo, commenta de Silva, si augurano sia coloro che sono vicini ai Borboni, sia coloro che hanno apprezzato il Granduca. Nella stessa data, con una lettera

6 ASN, Ministero Affari Esteri, f. 3074. 7 Ibid.

8 Sulla figura e il ruolo di Ventura cfr. R. P. Coppini, Il Granducato di Toscana:

dagli ‘anni francesi’ all’Unità, Torino, UTET, 1993, p. 9 ss.; Drei, Il Regno d’Etruria, cit., p. 41 e passim (per Drei il Ventura è “politicamente la testa

a parte che segue lo schema usuale, de Silva ancora rimarca l’incer- tezza, visto che il Granduca non ha mai rinunciato ufficialmente ai suoi domini, e ripete che si crede Ludovico si fermerà a Parma. Riporta a distanza di pochi giorni la notizia che un comandante della piazza di Portoferraio si sarebbe rifiutato di prestare il nuovo giuramento non essendo stato mai prosciolto dal primo (dato che Ferdinando non ha mai rinunciato al trono)9.

Ma l’aspettativa di un ritorno del vecchio sovrano non finisce con l’arrivo di Ludovico a Firenze: a inizio settembre ancora de Silva ventila la possibilità della cessione di parte della Cisalpina a Parma, che andrebbe a Ludovico (altra parte sarebbe unita invece al Piemonte con ritorno del re di Sardegna) e del ritorno di Ferdinando in Toscana. Ciò potrebbe essere vantaggioso anche per i Borbone di Napoli. De Silva non manca, qui e altrove, di sottolineare la condi- zione di un’Italia sacrificata agli interessi francesi10.

A novembre 1801 de Silva riferisce per la prima volta degli attacchi di epilessia di Ludovico. Ancora si pensa alla possibilità del ritorno di Ferdinando, diventando invece Ludovico ‘re dell’Insubria’ (costi- tuendo regno che corrisponderebbe al Ducato di Parma allargato). Tutto dipende dalla pace con l’Inghilterra. In lettera riservata del 15 de Silva esprime tutta la preoccupazione per gli ‘insulti epilettici’ del sovrano e i rumori di una Reggenza decisa da Francia o Spagna11.

Ancora a luglio 1802 de Silva allega copia di una lettera di Antonio Aldini (1755-1826), membro della Consulta di Stato a Milano, man- data a un certo Costa di Faenza, lettera evidentemente intercettata, che lui ritiene certamente autentica (anche se non necessariamente veridica). La lettera, di acceso tono giacobino, insieme ad alcuni mo- vimenti di truppe, “conferma la probabilità del ritorno dell’antico sovrano”. Il documento è del resto molto interessante come testi- monianza dello stato d’animo dei repubblicani. “L’iniquo, ed empio Bonaparte ha osato, ed osa tradire l’infelice Repubblica Italiana […]

9 ASN, Ministero Affari Esteri, f. 3074. 10 Ibid.

Siamo agl’ultimi periodi Repubblicani. Il furbo, ed astuto Frate che stà in Roma ha ottenuto dal Primo Console la restituzione delle tre Provincie”. I tedeschi occuperanno tutta l’Italia settentrionale, per “poi passare a cuoprire la Toscana, ora sede di uno sciocco, e imbe- cille Sovrano, cui succederà l’empio e malvagio egoista Ferdinando, cui il diavolo non ha ancora spenta la sete del trono”. In Lombardia torneranno gli Austriaci, i Savoia in Piemonte… “Questo è il vero quadro d’orrore che sta sul tappeto del mio Principale [Melzi]. Egli pensa a Parigi, e io sarò con lui, e avrai tu il coraggio di vivere con questi despoti? […] Non ti spaventi un continuo moto che fra poco vedrai di Corrieri, e di Truppe, passando forse ancora di Firenze di tragitto, perché lo sciocco Lodovico figuravasi eterno il suo trono, e più lo credevano quei Ladri che lo circondano […] massime il Conte più vicino a lui che io non conosco. Da 48 giorni e più, egli doveva esser partito sulla Flottiglia; non lo ha fatto per amore, lo farà per forza; mandami i ridicoli suoi Proclami, non per altro che per calpestarli, come feci di quello dei Preti, e per sempre più odiare i perfidi, e malvagj Tiranni d’Italia, cui sempre augurerò la morte”12.

Nell’agosto 1802 de Silva riferisce: “Se si voglia prestar fede ad alcune lettere”, la Spagna sollecita il viaggio perché un ministro plenipotenziario in qualità di reggente possa riordinare le finanze. Secondo una lettera spedita a De Silva da Parma, il 27 luglio sareb- bero arrivate munizioni a Piacenza dalla Lombardia, e restano lì “fa- cendosi di ciò il più grande mistero”. Intanto 6000 francesi di stanza in Piemonte hanno avuto l’ordine di portarsi a Livorno: è truppa ‘inquieta e malcontenta’. In ogni caso de Silva parla di ‘ignote cause’ a proposito del viaggio di Ludovico in Spagna13.

A settembre de Silva sottolinea che con la partenza del re sorge la necessità di far venire truppe francesi e lombarde: “per la tranquil- lità interna dello stato che già minaccierebbe [sic] qualche turba-

12 Ibid. Su Aldini si veda E. Piscitelli, Dizionario Biografico degli Italiani, ad

vocem, vol. 2, 1960.

mento, nell’universale popolar presunzione del bramato ritorno del Granduca Arciduca Ferdinando”. Segue postilla di suo pugno: “La massima delle sventure, che poi accader potesse alla brava, e Leale Nazione Toscana, sarebbe, che non tornassero più a reggerla, né l’an- tico né il moderno Sovrano”. E’ ormai ‘verità conosciuta’ che, non riuscendo Ferdinando a riprendersi il Granducato, la cosa migliore sono gli Attuali Principi, “per la naturale Bontà Loro, e le Auguste Loro Aderenze”. Qualunque governo al di fuori della monarchia sa- rebbe ‘l’ultima delle rovine’14.

In ottobre 1802 si parla di una possibile riunione della Liguria alla Repubblica italiana: “sono accaduti in Genova sussurri per tal voce”. In Toscana è tutto tranquillo, tranne ‘pochi pretesi Repubblicani’ che fanno progetti cui la Francia è sorda. Ma alla fine del mese con la morte del padre di Ludovico si impone il problema di Parma: quale ne sarà la sorte? Anche qui de Silva parla di ‘contraddittorie voci’15.

Nel marzo 1803 dirà, guardando a sud: “Voglio sperar essere senza fondamento, la tacita inquietudine destatasi in Toscana pel supposto prossimo passaggio di nuove Truppe Francesi, e molto più l’annun- ziato loro destino”. E in quegli stessi giorni, riferendo che Ludovico ‘ha sofferto di un attacco maniaco’, de Silva registra ancora ‘voci’ del distacco del Senese per riunirlo allo Stato dei Presidi e poi ce- derlo al re di Sardegna, mentre all’Etruria sarebbe annessa Parma e Guastalla16.

Sempre attento alla situazione della Repubblica Italiana, de Silva non manca di riferire voci (solo voci) di arresti eccellenti; sarebbe coinvolto anche il poeta Ceroni. “Pretendesi che questo sia derivato da una satirica Composizione, nella quale la Nazion francese è assai insultata”17. L’affare Ceroni, come Zaghi evidenzia, è chiaro sintomo

della decisa inversione autoritaria di Napoleone (occasione di con-

14 Ibid. 15 Ibid.

16 ASN, Ministero Affari Esteri, f. 3075. 17 Ibid.

trasto con Melzi)18, e ne indica bene l’ipersensibilità nei confronti

del ceto intellettuale e la volontà di assoggettarlo.

Ancora a fine luglio 1804 de Silva, ora da Firenze, scrive a Micheroux, illustrando un complicato meccanismo di ricomposi- zioni territoriali: Parma e Piacenza al re di Sardegna, Lucca all’Etru- ria, e soggiunge: “Le notizie che abbiamo dell’Italia Superiore, ma che per altro non portano seco, sino ad ora, alcuna positiva autenti- cità, sono favorevoli alla Pace Universale”. Due mesi dopo gli parlerà invece di venti di guerra, di truppe che giungono in Italia, “in que- sta sventurata Penisola”. “Sono queste presentemente le più esatte, sebbene spiacevolissime notizie, che siano a mia cognizione, notizie molto allarmanti la futura quiete dell’innocente Italia, straniera af- fatto alle attuali contese di lontane Potenze”19.

E nell’agosto 1804 riferisce un episodio estremamente significa- tivo a proposito della enorme diffusione di fausses nouvelles: “sulla fede di un privato rapporto di un certo Berenger” si diffonde la notizia di un ‘embargo’ (questo il termine usato) a carico di vascel- li russi, svedesi e prussiani, che poi viene revocato perché falso, e quello tratto in arresto. Ne deriva danno al commercio, e soprat- tutto sono gravi “le politiche conseguenze […] essendosi sparsa per tutta l’Europa una simile, e forse unicamente prematura no- tizia”, almeno per quel che riguarda Russia e Svezia. Confermano nella disgustosa apprensione di una nuova Guerra Continentale […] il leggersi in un foglio ufficiale [Monitore Francese] delle forti diatribe non solo contro il Re di Svezia ma contro l’Impera- tore di Germania eziandio, scritte in stile, che appena adoperavasi sotto l’antico democratico regime, quando erasi in aperta guerra, e sempre contro i scambievoli riguardi, che debbonsi i Governi fra loro”20.

18 C. Zaghi, L’affare Ceroni, in Id., Potere, Chiesa e società. Studi e ricerche

sull’Italia giacobina e napoleonica, Napoli, Istituto Universitario Orientale,

1984.

19 ASN, Ministero Affari Esteri, f. 3075. 20 Ibid.

In una fonte che dimostra costante preoccupazione per l’autentici- tà delle notizie (preoccupazione almeno pari a quella dello storico!), la fenomenologia della comunicazione politica emerge con grande evidenza: comunicazione spesso gonfiata da voci e fausses nouvelles, comunicazione distorta mistificata pilotata (anche l’attesa religiosa del ritorno di Ferdinando potrebbe essere alimentata dagli ambienti legittimisti). Certo, l’incertezza che emerge come filo rosso ha una sua solida base, e parte delle predizioni si compiranno nella scom- posizione e ricomposizione del mosaico europeo (altre del resto si avvereranno con il 1815). Ma del gioco politico napoleonico nella sua spregiudicatezza fa parte un uso estremamente consapevole dei media, in primo luogo della stampa, come già è emerso da alcune notazioni di de Silva. La rivoluzione comunicativa che si accompa- gna alla rivoluzione politica cede il passo, nella lunga e complicata transizione dal Consolato all’Impero, a un’implosione comunicati- va. Da un lato la tirannia delle ‘voci’, tipica dello stile di dominio napoleonico: voci sulle intenzioni dell’imperatore (insieme al mal- contento che tutto si decide in Francia: nella Repubblica italiana ad esempio), ma anche, come abbiamo visto, grande abbondanza di rumori e diffusione di ‘leggende’; dall’altro, l’informazione pilotata delle Gazzette (in primo luogo il «Monitore francese»), dei giornali in livrea, pilotata ma non per questo chiara.