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Come è noto, dopo la firma del trattato di Luneville, avvenuta nel feb- braio del 1801, e prima dell’arrivo a Firenze il 12 agosto dello stesso anno, Ludovico e Maria Luigia, nuovi sovrani di Toscana, si fermarono a Parigi per officiare alle cerimonie in loro onore volute da Napoleone Bonaparte. Si trattava di una tappa significativa per portare a compi- mento il non semplice lavoro diplomatico, iniziato con i preliminari di Sant’Ildefonso, firmati dal generale Berthier e dal consigliere di Stato del re di Spagna, Mariano Luis d’Urqujo, che avevano segnato l’avvicinamento della Spagna del potente ministro Godoy al nascente astro napoleonico. In particolare la regina di Spagna, Maria Luisa di Parma, aveva manifestato le proprie ambizioni perché un Borbone potesse ottenere il trono toscano. Uno dei manuali più diffusi nella Toscana dell’Ottocento, quello dell’abate Antonio Ferrini, così rico- struiva, in maniera decisamente schematica, la vicenda rubricata sotto la titolazione “La Toscana ceduta alla Spagna”: “ In quest’epoca Napoli e l’Austria e la Spagna fecero la pace con Napoleone, e quest’ultima desiderosa di acquistare lo Stato di Toscana offrì al Console la cessione della Lunigiana, il dono di 5 vascelli, non pochi milioni di denaro e la promessa di compensare il granduca Ferdinando III in Alemagna se a lei ne cedesse il possesso e l’ottenne”1.

Nei mesi immediatamente successivi, le vittorie francesi sugli au- striaci avevano creato le condizioni per il già ricordato trattato di

1 A. Ferrini, Compendio di storia della Toscana dall’origine degli Etruschi fino

ai nostri tempi dedicato ai giovanett, Firenze, Tipografia di Sansone Coen,

Luneville con cui “l’infante duca di Parma” Ludovico, poteva di- ventare sovrano di Toscana, sia pur – notava il Drei – con qualche “scrupolo” da parte del duca di Parma, Ferdinando, suo padre, dal momento che tale atto contribuiva, oltre che alla propria, alla “spo- gliazione dei Lorenesi” sovrani legittimi e consegnava ad un Borbone Parma “un trono illegittimo”, concesso “dai rivoluzionari, i cui prin- cipi detestava”2. Simili scrupoli erano stati forzatamente superati il 20

marzo con il Trattato di Aranjuez, che sanciva la rinuncia del duca don Ferdinando ai suoi possessi parmensi a favore della Francia e, al contempo, la solenne assunzione del Principe don Ludovico a “re indipendente della Toscana”. Nei confronti della soluzione emersa a Luneville, e resa operativa ad Aranjuez, non mancarono diverse, e convinte, resistenze - accanto a quelle più che ovvie di Ferdinando III - provenienti da alcuni ambienti toscani che non si rassegnavano all’idea di una nuova dominazione “monarchica”, tanto più “stranie- ra”, come quella dei Borboni; un clima sapientemente descritto da Carlo Mangio, che ha messo in luce sia le “illusioni di una repubblica leopoldina”, coltivate ancora a Firenze, prima della firma di Luneville, sia la successiva, rapida conversione dei triunviri, che reggevano il go- verno provvisorio, in direzione di un “costituzionalismo monarchico” toscano, quale estrema difesa di una almeno parziale autonomia3. In

tale quadro, si erano inserite le inutili missioni di Leopoldo Vaccà a Parigi, nel gennaio 1801, in qualità di deputato presso il primo console per difendere gli interessi, “repubblicani”, della Toscana, e di Angelo Roncioni a Parma, presso il ministro Ventura, perché venisse riconosciuta l’opportunità di una Costituzione4.

2 Cfr. G. Drei, Il Regno d’Etruria, (1801-1807), Modena, Società tipogra- fica modenese, 1935, p. 26. Più in generale su queste convulse fasi si veda R.P. Coppini, Il granducato di Toscana. Dagli “anni francesi” all’unità, Torino, Utet, 1993, pp.3-4. Il lavoro di Coppini utilizza ampiamente sia le ricos- truzioni di Zobi, sia quelle di Drei e Marmottan.

3 C. Mangio, I patrioti toscani fra “repubblica etrusca” e restaurazione, Firenze, Olschki, 1991, in particolare pp. 325-372

La tappa parigina acquisiva, in un simile contesto, dunque un si- gnificato particolare. Era infatti, rispetto al tragitto che da Madrid, dove Ludovico e Maria Luigia risiedevano ormai da sei anni, li avrebbe portati a Firenze, una importante deviazione voluta espres- samente da Napoleone primo console. Una deviazione che gli stessi sposi, preoccupati per gli echi dei recenti avvenimenti rivoluzionari francesi, avevano cercato in tutti i modi di evitare5. Ma Napoleone

si mostrò intransigente pretendendo il solenne omaggio dei nuovi sovrani ed è ipotizzabile che tale fermezza avesse buone ragioni. La sosta nella capitale francese avrebbe dovuto costituire la sanzione formale, agli occhi dei nuovi sudditi toscani, dell’imminente passag- gio di poteri che era ufficializzato presso la più importante delle sedi politiche europee, mettendo ordine nelle caotiche aspettative locali. Rappresentava però soprattutto un momento cruciale per valutare l’impatto nell’opinione pubblica continentale del fatto che l’espres- sione di un potere nato dalla rivoluzione avallava la creazione di una monarchia, per giunta legata ai Borbone, su un trono tutt’altro che insignificante come quello dell’ex granducato di Toscana, retto nel recente passato dalla tanto celebrata amministrazione di Pietro Leopoldo. Thiers, che nell’ Histoire du Consulat ha dedicato uno spa- zio non trascurabile al “singulier spectacle” della visita dei Borbone nella Francia consolare, riteneva un simile passaggio la testimonian- za del nuovo clima “post rivoluzionario” presente nella capitale tran- salpina, destinato a preludere ad una “restaurazione” monarchica sotto l’egida napoleonica. Il primo console infatti “aimait cette scène vraiment romaine, d’un roi fait par lui, de ses mains républicaines; il aimait surtout à montrer qu’il ne craignait pas la présence d’un

Rivista Storica», XXXI (1947), pp. 1-80.

5 Drei, Il Regno d’Etruria, cit., p. 29. Sul soggiorno parigino dei sovrani d’Etruria hanno scritto P. Covoni, Il regno d’Etruria, Firenze, Cellini, 1894, pp. 24-41 e P. Marmottan, Le royaume d’Etrurie (1801-1807), Paris, Ollendorff, 1896, pp. 59-69. Secondo Marmottan, in realtà, i nuovi sovrani abbandonarono rapidamente i loro pregiudizi nei confronti della Francia per nutrire invece un convinto senso di riconoscenza nei riguardi di Napoleone.

Bourbon, et que sa gloire le mettait au-dessus de toute comparaison avec l’antique dynastie, dont il occupait la place. Il aimait aussi, aux yeux du monde, à étaler dans ce Paris, tout récemment encore le théatre d’une révolution sanglante, une pompe, une élégance dignes des rois. Tout cela devait marquer mieux encore quel changement subit s’était opéré en France, sous son gouvernement réparateur”6.

Drei riprendeva simili giudizi corroborandoli con la citazione delle memorie di Maria Luigia, secondo la quale Napoleone “volle co- noscere che impressione avrebbe fatto sui Francesi la presenza nella capitale dei due sovrani Borboni, sue creature”7. Si trattava, notava

ancora Drei, di una sorta di prova generale degli effetti del ripristino di un assetto monarchico: “Certo che già germinava in quella fervi- da mente l’idea di ristabilire in suo favore il regime monarchico e la presenza dei diretti discendenti di Luigi XIV doveva far dimenticare al popolo per una parte il regicidio e per l’altra preparare l’opinio- ne pubblica alla sognata restaurazione”8. Romano Paolo Coppini ha

richiamato questi giudizi affermando, in termini ancora più specifi- ci, che le celebrazioni parigine per i nuovi regnanti costituivano un efficace banco di prova per “vedere come l’opinione pubblica della capitale avrebbe reagito di fronte alla restaurazione dei cerimoniali e dell’etichetta monarchici”9. Una reazione che, aveva espresso con

chiarezza Marmottan, fu sicuramente positiva dato il grande bisogno di feste ed occasioni conviviali maturato a Parigi dopo anni molto cupi: “D’ailleurs, la grande ville privée de fetes depuis longtemps, revoyait avec plasir s’étaler un luxe tout princier”10.

Peraltro, il trattato di Aranjuez prevedeva che i sudditi toscani pre- stassero nei confronti del nuovo sovrano “il giuramento di vassallag- gio” e che la Francia si impegnasse nel garantire la legittimità del regno

6 A. Thiers, Histoire du Consulat et de l’Empire, vol. III, Paris, Paulin, 1845, p. 139.

7 Drei, Il Regno d’Etruria, cit., p. 29. 8 Ibid.

9 Coppini, Il granducato, cit, p. 9.

nei confronti delle altre potenze; il passaggio parigino era quindi un gesto necessario come sanzione ultima di un trasferimento di poteri destinato a conferire ai Borbone una “proprietà” piena della Toscana11.

In tal senso, la visita, che senza dubbio lusingava la regina di Spagna forse più di ogni altro, rendeva assai più solido il vincolo tra i due paesi vicini. Sempre Marmottan, citando testimonianze del periodo, ben sintetizzava questo mutuo interesse, che contribuiva a circondare Ludovico, durante il suo soggiorno in terra francese, di una grande attenzione: “Si, assez généralement, le peuple s’est porté à sa rencon- tre, si un sentiment de curiosité et d’intéret a attiré la foule sur les pas d’un roi allié de la République, et proclamé par elle, l’esprit de parti n’a eu nulle part à s’applaudir que l’aspect d’un prince de la Maison de Bourbon ait réveillé de facheux souvenirs, ou des regrets injurieux au système répubblicain”12. Proprio nella consapevolezza di questo

insieme di ricadute, le diplomazie di Francia e Spagna ritennero co- munque opportuno ammantare il soggiorno parigino della coppia di una coltre di mistero, facendola viaggiare sotto le spoglie, in realtà facilmente smascherabili, di “conti di Livorno”, nei confronti dei quali non sarebbe stato necessario applicare il protocollo delle visite reali13.

L’incognito tuttavia non durò molto se già il 27 maggio, quindi poco dopo l’arrivo a Parigi di Ludovico e Maria Luigia, il già ricordato Luigi Angiolini, forse un po’ ingenuamente, annotava nel suo diario stupito le “occupazioni che da a tutti l’arrivo del nuovo Re di Toscana princi- palmente al Cav. Azara” ritenute “non proporzionate al (suo) peso”14.

11 P. Finzi, Il Regno di Ludovico I d’Etruria in un carteggio diplomatico inedito, Roma, Tipografia Italia, 1911, p. 10.

12 Marmottan, Le royaume d’Etrurie, cit., p. 70.

13 Scrive Finzi, citando di fatto Thiers, : “A Parigi intanto i tre consoli discusse- ro lungamente sulla forma nella quale il Re e la Regina d’Etruria dovevano essere ricevuti e sul cerimoniale da seguire in questo incontro. E per togliere molte difficoltà fu convenuto che i nuovi sovrani assumerebbero in Francia il. Titolo di conte e contessa di Livorno e che sarebbero trattati come ospiti illustri” (Finzi, Il Regno di Ludovico d’Etruria, cit., p. 15).

Il viaggio ebbe inizio il 21 aprile, allorché Ludovico e Maria Luigia, accompagnati da un vasto seguito, mossero alla volta di Parigi scor- tati da un distaccamento della guardia spagnola fino al confine, dove erano attesi da Luigi Bonaparte, alla testa del quinto reggimento di dragoni. Il tragitto, quanto più possibile rapido, doveva però rap- presentare una festosa accoglienza per la giovane coppia che avrebbe dovuto convincersi della benevolenza di Bonaparte nei confronti dei discendenti dei Borbone e trasmettere una simile impressione agli au- gusti parenti. Per questo il generale di brigata Bessières, comandante in seconda della guardia del primo console, era stato espressamente incaricato di precedere il corteggio reale in maniera da preparare ad esso un caldo benvenuto nei luoghi attraversati15. Accoglienze ben

organizzate furono predisposte in particolare a Bayonne, a Mont-de- Marsan e a Bordeaux, ma in tutte le stazioni di posta, lungo l’itinera- rio, erano stati messi a disposizione 36 cavalli freschi e un centinaio di muli come segno di estremo riguardo. Thiers, nella già ricordata ricostruzione delle tappe salienti del viaggio, constatava la straordi- naria puntigliosità del primo console nel definire ogni dettaglio, che veniva seguito come se si fosse trattato della più importante opera- zione militare: “il tenait à règler les moindres détails, à pourvoir à toutes les convenances, à mettre chaque chose à sa place; et cela ètait nécessaire dans un ordre social entièrement nouveau, creé sur les dé- bris d’un monde détruit”16. In realtà, in alcuni momenti, la volontà

di ben figurare risultò persino eccessiva perché minacciava di risve- gliare le aspirazioni dei filoborbonici che, di fronte al trattamento riservato alla coppia “etrusca”, si erano convinti della possibilità di un ripristino della dinastia anche in Francia17; per questo lo stesso

Napoleone dovette adoperarsi per evitare che l’ “apparition royale” si

Roma-Napoli, Soc. Dante Alighieri, 1947, p. 26.

15 Marmottan, Le royaume d’Etrurie, cit., p. 64, Covoni, Il Regno d’Etruria, cit., pp. 25-26, e Drei, Il Regno d’Etruria, cit., p. 30.

16 Thiers, Histoire du Consulat et de l’Empire, cit., III, pp. 139-140. 17 Ibid, p. 142.

trasformasse in “un trop grand événement”18. Insomma, le prove di

una nuova fase monarchica non dovevano tradursi certo nel ritorno di qualche Borbone, rischio da non sottovalutare se è vero, notava Thiers, che a Bordeaux la presenza in teatro dei due Borbone aveva scatenato salve, contrapposte, di fischi e applausi al grido di “Vive le roi” e “A bas les rois”19.

Il 25 maggio Ludovico e il suo seguito giunsero a Parigi e furono ospitati presso il palazzo Montesson, residenza dell’ambasciatore di Spagna, il conte di Azara, ricevendo quello stesso giorno l’omaggio formale dei consoli Combacérès e Lebrun. Il giorno successivo il nuovo sovrano incontrava Napoleone al castello di Malmaison, dove Bonaparte aveva preparato un’accurata scenografia, facendo in modo di essere circondato dall’intero Stato maggiore20. Si trattava di un ce-

rimoniale ben studiato che intendeva dare massimo risalto al ruolo del primo console come “rappresentante” della Francia, prerogativa non riconosciuta invece agli altri due consoli, che avevano dovuto “omaggiare” i Borbone, mentre questi ultimi avrebbero reso omag- gio a Napoleone. La presentazione al pubblico sarebbe dovuta avve- nire al Teatro dell’Opera, ma una indisposizione del primo console – non è chiaro quanto reale – fece sì che tale uscita in pubblico fosse presenziata soltanto da Cambacérès21, insieme al quale i due sovrani

assistettero, dal palco di Bonaparte, all’Edipo, la sera del 30 maggio. Le attenzioni continuarono nel corso dei giorni seguenti, quando si svolsero numerose manifestazioni in onore di Ludovico e Maria Luigia, quest’ultima solerte nello stabilire un buon rapporto con Giuseppina e con le sorelle del primo console. Il re fu condotto nelle sale del Museo di Storia Naturale, dove incontrò Cuvier, Laplace, Herschell e Lalande, le principali “glorie” del sapere nazionale che dimostravano di aver acquisito nel pantheon francese un peso di as- soluto rilievo tanto da essere oggetto di visite reali. La centralità dei

18 Ibid., p.141. 19 Ibid.

20 Drei, Il Regno d’Etruria, cit., p. 30.

simboli della nuova scienza “utile” veniva ribadita dalla sosta presso numerose manifatture, tra cui quella delle porcellane di Sèvres, e alla Zecca, il 10 giugno, durante la quale fu coniata una moneta dedicata a “Marie-Louise Joséphine” e raffigurante un fascio littorio con so- pra il codice toscano e l’esergo “Au Roi d’Etrurie”. La scelta di questa dizione, in contrasto con quanto contenuto nel Trattato di Aranjuez che usava la definizione di Toscana, risentiva dunque del dominante clima neoclassico della Parigi consolare; in tale contesto, la Toscana era prima di tutto Etruria, culturalmente fecondata dalla romanità di cui Bonaparte si faceva interprete nella contemporaneità, in pri- mo luogo superando l’antinomia, successivamente consolidatasi nel tempo, tra forme di governo repubblicane e monarchiche. Il codi- ce toscano rappresentava, nei confronti di una simile operazione di costruita suggestione, un’ottima mediazione perché legittimava in chiave “regia” uno dei prodotti più tipici dell’ondata rivoluzionaria - la costituzionalizzazione delle regole della convivenza civile - aven- dolo persino precorso. Nella medesima prospettiva, di celebrazione di una solenne continuità simbolica, che riusciva a rendere meno laceranti le fratture, si collocavano gli ampollosi versi indirizzati dal marchese di Ximenes ai sovrani etruschi sulle pagine del “Journal de Paris” (prairial, an. IX): “Entre les descendants du plus grand des Henris/Bonaparte choisit comme aurait fait la France/La Toscane autrefois nous donna Médicis/Aujourd’hui la vertu va régner dans Florence”. Il vecchio amico di Voltaire sintetizzava molto bene l’im-”. Il vecchio amico di Voltaire sintetizzava molto bene l’im-. Il vecchio amico di Voltaire sintetizzava molto bene l’im-Il vecchio amico di Voltaire sintetizzava molto bene l’im- magine napoleonica del procedere della storia che traeva la propria verità dal tortuoso scambio di governanti, libero dai vincoli della mera legittimità dinastica e dipendente invece dal “bene” espresso dalle “virtù” delle nazioni, capace di riassumere il meglio del passato e del presente. Lo spettacolo del pallone aerostatico, sopra Chantilly, salutato dalle bandierine che inneggiavano al Re d’Etruria, forni- va l’efficace paradigma di quanto stava avvenendo in quei giorni a Parigi.

Proprio le feste, infatti, erano la sostanza vera del viaggio in terra francese di Ludovico; lì si doveva misurare la tenuta del legame tra tradizione e rivoluzione, tra continuità e rottura. Lì, nei balli e nei

fuochi, si sarebbe capito se la Parigi delle barricate e delle ghigliot- tine era pronta ad accettare gli inevitabili riti di una monarchia, o di un impero. Ludovico e Maria Luigia erano cioè le cavie di un esperimento volto a valutare se le manifestazioni del potere regio non rappresentassero una realtà ormai divenuta inammissibile per chi aveva rovesciato il vecchio ordine. Perché tale esperimento risul- tasse utile occorreva quindi che le feste fossero quanto più rumorose e sfavillanti possibile e a perseguire questo scopo si impegnarono in molti – sembra che i due sovrani abbiano ricevuto in un mese più di mille inviti e abbiano partecipato a 800 visite - peraltro senza trop- po sforzo vista la già ricordata voglia di svago diffusa nella capitale transalpina. Naturalmente nelle celebrazioni non doveva mancare l’aspetto militare, la parata, o meglio ancora la rivista, condotta da Napoleone in persona davanti alle Tuileries a dimostrazione inequi- vocabile che il nuovo ordine avrebbe declinato gli elementi consueti del potere regio, i sui gusti e i suoi costumi, secondo modalità origi- nali, fondate, ancora una volta, sul coraggio e sulle capacità dei sin- goli, in sintesi sulle virtù laiche, che erano individuate come il vero discrimine della “modernità”. Non è un caso in tal senso che l’unica cerimonia “pubblica” a cui fu ammesso un ecclesiastico di rango fu il pranzo tenutosi il 23 giugno, alla Tuileries, al termine di una ras- segna presenziata da Bonaparte e dal suo stato maggiore: a quella tavola, popolata da militari in alta uniforme, fu accolto, anche dietro sollecitazione dei due Borbone, molto devoti, il cardinal Consalvi, nella capitale francese per trattare il concordato. Non è causale nep- pure che una grande festa fosse organizzata dal Ministro della guerra Berthier in occasione dell’anniversario di Marengo.

Per quel che concerne lo sfarzo, invece, il compito di esibirlo a pro- fusione fu attribuito a Talleyrand, artefice nel castello di Neuilly di una serata molto intensa, introdotta da musicisti italiani del calibro di Crescentini e della Grassini, e soprattutto ravvivata da giochi di illuminazione destinati a riprodurre il profilo di Palazzo Vecchio e di Pitti22. Il cliché della toscanità “italiana” era poi completato dalla

improvvisa comparsa di leggiadre fanciulle vestite da contadinelle toscane che cantavano canzoni “popolari” italiche in omaggio alla regina. Musica, bel canto e scenari agresti componevano un’efficace quanto diffusa semplificazione del genius loci della terra dove i due sovrani erano indirizzati; non avrebbero dovuto dunque preoccupar- si troppo, sembrava essere il messaggio augurale di Talleyrand che caldeggiava però di assegnare ai Borbone un prezioso aiuto, come quello del generale Clarke23. Certo, al di là delle gustose rappresen-Certo, al di là delle gustose rappresen-

tazioni di terre felici, la serata a Neuilly ebbe ricadute concrete ben tangibili, come rilevava Thiers, e del resto non avrebbe potuto essere che così visto il regista: “Modèle du gout et de l’élégance sous l’an- cien régime, il était à bien plus juste titre sous le nouveau, et il donna au chateau de Neuilly une fete magnifique, où la plus belle société de France accourut, où figurèrent des noms depuis long-temps écartés