CAPITOLO 3:IL MONDO DI VERGA
3.2 La mentalità e le credenze
Attraverso la condizione di estrema miseria in cui vivono molti dei suoi pernaggi, Verga si è sforzato di rappresentare un Meridione che accetta fatalisticamente so-prusi ed ingiustizie per il semplice fatto che essi vengono spiegati e giustificati alla luce della quotidiana lotta per la vita, che impegna tutti gli esseri viventi in inutili tentativi di riscattare se stessi. Nel fare ciò, si sono sviluppate molte credenze, usi e costumi, che rientrano nell’ambito del folklore e che ben rispecchiano lo stile di vita delle comunità rurali siciliane, strettamente legate alla propria terra ed alla miseria che le caratterizza in quest’epoca storica: per studiare al meglio tutti questi aspetti, il letterato ricorse all’osser-vazione diretta ed ai testi di importanti esperti del settore, del calibro di Pitré, Salomone Marino, Guastella, oltre che alle inchieste condotte da Franchetti e Sonnino. In tale ma-niera, l’autore diede voce a tante antiche vicende umane che egli raccolse a partire dalla tradizione orale, che spesso costituiva l’unica via di comunicazione per le classi più umili, che ebbero così la possibilità di esprimersi nella forma più genuina ed autentica, consen-tendo a Verga di “salvare” la saggezza popolare siciliana e di partecipare alle tristi vi-cende su cui essa si fondava.110 Si pensi anche alle ricorrenze, così frequenti nelle opere dello scrittore, dei proverbi: si tratta di espressioni rappresentative di una cristallizzazione ideologica che si tramuta in fissità di formula, dotata di un proprio schema metrico e sintattico preciso; esse possono riguardare qualunque aspetto dell’esistenza umana, dalle consuetudini sociali ai lavori agricoli, alle condizioni atmosferiche, alle norme
compor-109Cfr. VERGA, I Malavoglia, a cura di F. Cecco, Catania; Novara, Fondazione Verga, Interlinea, 2014, p. 13.
110Cfr. L. GIANCRISTOFARO, Il segno dei vinti: antropologia e letteratura in Verga, Lanciano, Rocco Carabba, 2005.
tamentali, riflettendo sinteticamente le parole degli anziani del paese, che mettono al ser-vizio della comunità la propria sapienza di derivazione antica ed esperienziale. D’altra parte, come dice Padron ‘Ntoni, «il motto degli antichi mai mentì».111
In un mondo fatto di stenti e sofferenze e sulla base della concezione evoluzioni-stica delle creature, il letterato inizia ad interpretare, analizzandola alla luce del fagismo animale, la realtà circostante,112 la quale segue i cicli meteorologici e produttivi della terra, ed in cui ogni elemento trova la propria collocazione all’interno di un preciso si-stema economico, magico-religioso, artistico e simbolico, che permette di tenere sotto controllo le frustrazioni e le angosce che rendono l’esistenza dei contadini ancora più tetra. A fungere da valvola di sfogo in tale contesto intervengono le occasioni festive, in cui si mescolano elementi cristiani e pagani, dando vita a fenomeni di sincretismo reli-gioso: si tratta di momenti in cui la comunità può liberare i freni inibitori creando oppor-tunità di adesione ad ideali condivisi e di socializzazione.113
Non sempre però tali riti e cerimonie sono sufficienti a stornare i timori delle di-sgrazie che finiscono per ritornare a tediare i poveri villani: in questo caso si sviluppano fenomeni legati ancora una volta alla sfera del divino, o almeno del soprannaturale, ma con una netta tendenza al superstizioso. Diffusa è la credenza secondo la quale, per mezzo di incantesimi e formule magiche, si possa intervenire direttamente sui fatti futuri, come altrettanto in voga è pure la pratica di osservare determinati eventi considerandoli come una forma di prefigurazione dell’avvenire: numerosi sono, per esempio, i segnali che ven-gono percepiti come forieri di morte, legati soprattutto a determinate presenze zoomorfe (il canto di una civetta, l’ululato di un cane, un tarlo che rode un mobile, una gallina che emana il verso del gallo…).
Si pensa anche che le sciagure siano dovute alla concretizzazione di arti magiche o di maledizioni indirizzate dal prossimo sui malcapitati destinatari; la jettatura e il ma-locchio, invece, corrispondono ad occhiate invidiose, latrici di effetti negativi su coloro che le ricevono. Ai diversi fenomeni legati al paranormale, come sedute spiritiche ed ap-parizioni di fantasmi, infine, Verga dedica due novelle apposite, La festa dei morti e Le storie del castello di Trezza.
111Cfr. A.M.CIRESE, Il mondo popolare nei “Malavoglia”, in «Letteratura» vol. III, 1955, p. 76. 112Cfr. GIANCRISTOFARO,Il segno dei vinti, pp. 29-30.
Per proteggersi dalle sciagure in Sicilia si utilizzano, ai tempi del letterato, nume-rosi oggetti dotati di una valenza apotropaica: ferri di cavallo, corni, statuine di santi, che possono essere portati addosso, in modo tale da averli sempre con sé, oppure appesi dietro gli usci delle case. Il segno della croce ed il contatto con reliquie o con panni benedetti serve a scongiurare il pericolo della morte.114 La devozione alla Vergine induce frequen-temente i fedeli ad indossare il cosiddetto «abitino della Madonna»: la Longa stessa nutre molta fiducia nella capacità protettrice di tale oggetto, che spera venga indossato anche da ‘Ntoni al momento di partire per la leva militare: 115
gli andava raccomandando di tenersi sempre sul petto l’abitino della Madonna116
Le donne medesime sono considerate simbolo di malasorte, in quanto costitui-scono un onere per la loro famiglia, a causa della dote che richiedono al momento del matrimonio, e spesso si pensa che siano portatrici di significati maligni connessi al dia-volo e alle streghe.
A Satana vengono associati anche determinati fenomeni meteorologici, come la cosiddetta «coda draunara», anche chiamata «coda del diavolo», corrispondente alla tromba marina, manifestazione procellosa che unisce cielo e terra e che si crede sia opera del demonio: per allontanarla è necessario utilizzare un coltello dal manico nero con il quale “tagliare” la colonna d’acqua, ripetendo contemporaneamente degli scongiuri, e delle invocazioni al Battista.117 Essa si manifesta anche nella novella Pane nero:
Sul poggio […] c’era un gran brulichìo di comari […], a vedere in cielo la coda del diavolo, una striscia color di pece, che puzzava di zolfo, dicevano, e voleva essere una brutta notte. La notte gli facevano gli scongiuri con le dita, al drago, gli mostravano l’abitino della Madonna sul petto nudo, e gli sputavano in faccia, tirando giù la croce sull’ombelico.118
Maghi, guaritrici e praticoni hanno il loro bel daffare quando scoppiano le epide-mie o quando gli individui sono affetti da qualsiasi tipo di morbo: essi ricorrono alla me-dicina popolare, ossia una vasta gamma di rimedi a base di infusi, erbe, radici, foglie,
114
Ivi, pp. 85-91.
115Cfr. C.CICCIA, Il mondo popolare di Giovanni Verga, Milano, Gastaldi, 1967, p. 107: l’«abitino della Madonna» è formato da due pezze quadrate su cui vengono applicate delle immagini, appunto, della Madonna (quella del Carmelo, in particolare), legate tra di loro da due cordicine, all’interno delle quali si fa passare il capo, per far ricadere le due pezze una sul petto e l’altra sulla schiena.
116Cfr. VERGA, I Malavoglia, p. 18.
117Cfr. GIANCRISTOFARO, Il segno dei vinti, pp. 96-99. 118Cfr. VERGA, Novelle rusticane, pp. 131-132.
fiori, solfato ed altri prodotti della natura. I medici, (che generalmente sono ricchi pro-prietari che curano i poveri la domenica, nei ritagli di tempo), non godono di grande cre-dibilità a quell’epoca, considerati spesso alla stregua di ladri e traditori, perché accade frequentemente che, una volta venuti a visitare il malato, quest’ultimo peggiori o muoia.119
A regolare la vita sessuale e riproduttiva interviene l’istituzione del matrimonio, la quale prevede che la donna giunga “pura”, ossia vergine, al giorno delle nozze: si tratta, per le ragazze, di un passaggio da uno stato di soggezione da un’autorità (il padre) ad un’altra (il marito). A scegliere la futura moglie, ci pensa la madre dello sposo, sulla base della sua ricchezza, e di qualità morali e caratteriali come ritegno, laboriosità, umiltà. Le donne vivono totalmente sottomesse alla volontà del coniuge e possono lavorare in genere all’interno della casa, svolgendo mansioni specifiche, come quella della tessitura (si pensi a Mena Malavoglia, soprannominata Sant’Agata): soltanto se orfane, vedove, ragazze-madri o abbandonate dal marito, si affaticano nei campi.120
Accanto alla vita del contadino e del pastore, si svolge quella del pescatore, uno dei mestieri più diffusi nella Sicilia dell’Ottocento, ma anche uno di quelli su cui si pos-siedono meno informazioni, ad eccezione di qualche annotazione di mano di D’Annunzio e delle testimonianze letterarie di Verga stesso: totalmente slegata dalla terra e dai suoi cicli produttivi, questa professione impone a chi la pratica di vivere in spiaggia o sulle banchine, oppure nelle imbarcazioni, delle quali esistono diverse tipologie, tra cui le pa-ranze. La compattezza del nucleo familiare dei pescatori in genere è più solida di quella degli agricoltori, perché essi vivono in una condizione di maggior isolamento all’interno della società e, per tale motivo, vengono guardati con sospetto e diffidenza e “bollati” come spergiuri e traditori, sulla base di alcuni detti popolari. La loro vita è costantemente esposta a rischi e pericoli, quali tempeste e naufragi. La barca è come una vera e propria casa nomade, nella quale si mangia, si dorme e si soffre, specialmente: perciò la paranza dei Malavoglia si chiama Provvidenza, in quanto, almeno nel nome, doveva fungere da mezzo benaugurante per i protagonisti.
Una triste alternativa alla vita del contadino o del pescatore è offerta dalla miniera, luogo sotterraneo, in cui il lavoro appare caratterizzato dal pericolo, dall’aria malsana,
119Cfr. GIANCRISTOFARO, Il segno dei vinti, pp. 116-118. 120Ivi, pp. 163-210.
dalla mancanza di luce e dalle vessazioni subite: i lavori difficili vengono appaltati a chi, più povero degli altri, accetta di correre il rischio maggiore. Spesso vengono impiegati anche i bambini, a partire dall’età di sette anni, per la loro facilità nell’addentrarsi negli stretti cunicoli delle cave: a loro viene affidato l’incarico di trasportare i corbelli sulla schiena, dal luogo di scavo all’esterno.121
D’altra parte, se sul posto di lavoro avvengono così tanti soprusi, è normale che i personaggi verghiani nutrano una certa sfiducia nei confronti della giustizia dello Stato, percepita sempre, paradossalmente, come iniqua: l’unico rimedio valido che il popolo riconosce nel momento in cui viene perpetrato un torto, è quello del duello rusticano, basato sull’idea della vendetta privata, residuo di una mentalità “primitiva” e non progre-dita.122
Il mondo dei contadini è scandito, oltre che dai cicli della natura, anche dai ritmi dei canti che accompagnano le attività quotidiane: per ogni occasione c’è una melodia, dalla ninna nanna alla serenata per la donna amata. La tematica più ricorrente consiste nella celebrazione della bellezza della natura, con costanti riferimenti al divino, ai santi e alla Madonna; lo zufolo ed il tamburo sono gli strumenti principali, ma molto utilizzata è anche la cornamusa. La musica svolge, quindi, la funzione di cadenzare i vari momenti della giornata, quasi ritmandoli, come accade ne La Roba:
il lettighiere canta la sua canzone malinconica per non lasciarsi vincere dal sonno.123
Durante il periodo del raccolto, se gli agricoltori non sono troppo stanchi, sulle aie delle fattorie, alla sera, si è soliti ballare, spesso tra persone dello stesso sesso. Diver-timento e svago di ben altra portata e significato è invece il gioco, specie quello del Lotto, pratica che estrinseca tutta la voglia ed il desiderio cocente di trovare fortuna, che spinge i personaggi verghiani ad avvicinarsi a tale tipo di distrazione dalla vita di tutti i giorni. Dotati di valenze ben precise, come insegna la cabala, i numeri su cui puntare possono essere suggeriti dai sogni, secondo le credenze diffuse al tempo.124
Alcool e tabacco costituiscono, invece, i due vezzi primari a cui si dedicano i buontemponi, che la notte si lasciano coinvolgere in risse e litigi, proprio a causa
dell’eb-121Ivi, pp. 291-295. 122Ivi, pp. 315-317.
123Cfr. VERGA, Novelle rusticane, p. 71.
brezza, all’interno delle osterie di paese, nel tentativo di trovare un mero ed illusorio mezzo per evadere da una realtà fatta prevalentemente di miseria, nella quale anche un buon bicchiere di vino o una boccata di fumo possono assurgere al ruolo di piccole con-quiste da godere in pace e spensieratezza.125
CAPITOLO 4: I MALAVOGLIA