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Positivismo, Naturalismo, Verismo e l’influsso di Zola

Nella seconda metà del XIX secolo in ambito artistico e letterario si assiste ad alcuni fenomeni quali la nascita dell’Impressionismo e del Realismo in pittura, con le opere di Monet, Manet, Degas, Renoir e di Courbet, e della corrente naturalistica e veri-stica tra Francia ed Italia. La nuova spinta scientifico-razionale che caratterizzò questa fase storica indusse gli autori (e non solo loro) a cercare di ritrarre la realtà nel modo più fedele possibile, cercando di aderire profondamente a quanto osservato nel mondo circo-stante, senza edulcorazioni o falsificazioni di sorta.

A partire dall’Illuminismo, l’Italia nel corso del Settecento si inserì sempre più nell’ambito della cultura europea, specie a causa della crescente insoddisfazione nei con-fronti dei miti romantici, inadeguati a fronteggiare i problemi incipienti della nuova so-cietà: la necessità più cogente era quella di affrontare la realtà in modo concreto e scien-tifico, sulla base dell’osservazione dei “fatti”, senza pregiudizi. È la mentalità del Positi-vismo, che ricollegò il progresso dell’uomo ed il benessere recentemente raggiunto allo sviluppo industriale e tecnologico, in netto contrasto con le astrazioni ed i dogmi della religione, ritenuta un ostacolo all’avanzata delle scienze. Esse si posero come scopo

l’in-60Ivi, pp. 85-86. 61Ivi, p. 88.

dagine delle manifestazioni e dei meccanismi che regolano la società umana, per favo-rirne la conoscenza, tramite l’osservazione diretta e l’esperimento.62

Per vagliare le origini del Naturalismo, mi rifaccio agli studi di Giacomo Debene-detti, al suo Verga e il naturalismo. Stando al critico, esso corrispondeva ad una vera e propria tecnica di esplorazione di alcuni aspetti del mondo, dell’uomo e della società verso cui gli artisti si dimostravano particolarmente sensibili ed i mezzi principali per condurre questa analisi erano quelli dell’arte.63 L’etichetta, tra le altre cose, è tipicamente utilizzata per indicare romanzi e opere nati prevalentemente in ambiente francese.

La prima volta che il termine «Naturalismo» comparve, applicato alla letteratura, fu in un saggio del febbraio 1858, scritto da Ippolito Taine e pubblicato sul «Journal des Dèbats»: secondo il filosofo, l’autore naturalista deve possedere, per essere definito tale, precise caratteristiche: determinismo scientifico, coraggio per affrontare la sordidezza di alcune tematiche e rifiuto dell’ideale.64 Un’altra utile definizione al riguardo fu fornita da Edmond de Goncourt nel 1879, nella prefazione a Les frères Zemganno, dove il Natura-lismo viene identificato con lo studio dal vero, corrispondente all’italiano Verismo. Uno dei temi che maggiormente trovarono spazio all’interno di questo filone, fu quello dell’os-servazione del popolo: basti pensare a Thérèse Raquin, (1868), romanzo psicologico e fisiologico insieme, dedicato alla giovane Teresa, che vive in una squallida merceria. Esattamente come i pittori impressionisti si affezionarono alle prostitute e ai poveri che ritraevano nelle loro opere, così Zola, in modo speciale, concentrò la propria attenzione sulle figure più fragili e deboli della società, quelle per le quali non esiste alcuna forma di giustizia: si tratta di personaggi ai margini della scala sociale, spinti a svolgere i lavori più umilianti e degradanti per tentare di sopravvivere, spesso senza riuscirvi. Questo tipo di arte è un prodotto della società del tempo, una società malata di progresso, di industria e di scienza. Sembra paradossale che l’Ottocento, vivace e variopinto, tutto ballerine e luci, abbia dato vita ad una forma di letteratura che, per contrasto, si interessa ai temi meno edificanti, riprovevoli per certi aspetti, come quelli legati alla corporalità e al sesso, scandalosi, molto vicini alla sensibilità della Scapigliatura milanese. La verità stessa deve rispondere a specifici canoni: deve essere contemporanea, diretta, vagliare la società con

62Ivi, pp. 20-22.

63Cfr. G.DEBENEDETTI, Verga e il naturalismo: la narrativa del primo Verga e l’esplosione naturalistica in Europa nelle lezioni di un critico veramente europeo, Milano, Garzanti, 1976, p. 294.

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un’indagine oggettiva, (quale è quella della medicina), denunciando così, attraverso le brutture rappresentate nelle opere, la corruzione sociale che circonda il mondo dell’arte.65

Il decennio naturalista si aprì con la data fondamentale del 1877, che vide la pub-blicazione dell’Assommoir zoliano, il quale riscosse un enorme successo di pubblico, no-nostante la vivace polemica letteraria che si accese intorno al romanzo: il suo autore di-venne punto di riferimento per la nuova generazione di scrittori.66

L’approccio originale che il Naturalismo ebbe nei confronti dei nuovi temi, non mondani, portò i lettori a commettere numerosi errori di fraintendimento di tale corrente, trattata talvolta alla stregua di una letteratura superficiale, che ricorre all’osceno, solo per ottenere un più facile successo, o comunque arte dell’esteriorità, che non penetra nel pro-fondo del dramma dei diversi personaggi, come ha subito spiegato all’inizio del suo libro Naturalismo e verismo Pierluigi Pellini.

Il Verismo nacque più tardi (tra gli anni Settanta e Novanta dell’Ottocento) e dub-bio resta il significato da attribuire al termine. In genere è impiegato con due accezioni distinte: una più ampia, in riferimento ad ogni opera italiana che sia ispirata ad autori come Flaubert e Zola, e una più limitata alle opere dei soli tre scrittori siciliani Capuana, Verga e De Roberto, trattando il fenomeno del Verismo, di conseguenza, come un’esclu-siva istanza siciliana (mentre il Naturalismo si configura come una realtà letteraria me-tropolitana). Tale scarto tra le due linee di pensiero è dovuto principalmente alle differenti condizioni di sviluppo di Sicilia e Francia: mentre nella prima l’industrializzazione e l’ur-banesimo iniziavano nell’Ottocento appena ad affiorare, nella seconda avevano già toc-cato punte molto più elevate. Inoltre il Verismo si concentrò molto di più sull’osserva-zione che sulla sperimentasull’osserva-zione, mirando all’impersonalità (si pensi all’ “eclissi dell’au-tore” operata da Verga) e quindi al predominio delle parti dialogate su quelle descrittive, che vanno via via riducendosi.67 Il fine del Verismo era far conoscere un’Italia di cui si ignorava l’esistenza, con la resa dell’ambiente provinciale e un certo riguardo per le pro-blematiche sociali e morali.68

Interessante è anche la proposta di Walter Mauro, che offre un altro tipo di paral-lelo, affiancando questa volta la nascita del Verismo alla Scapigliatura e non è affatto

65Cfr. DEBENEDETTI, Verga e il naturalismo, pp. 316-317. 66Cfr. PELLINI, Naturalismo e verismo, p.15.

67Ivi, pp. 9-13.

casuale il passaggio da una città “moderna” come Milano ad una più arretrata Sicilia: era assolutamente normale che l’elemento di innovazione procedesse da un centro, capitale industriale e culturale, alla periferia, la quale, nel caso dell’isola, si è dimostrata ricettiva e capace di assimilare le tante correnti provenienti dal Nord, sia dall’Italia che dall’Eu-ropa.69

Ad ogni modo, tenendo conto dei diversi influssi che agirono più o meno pesan-temente sul Verismo, la posizione di Verga risulta particolare, e all’inizio non fu capita né apprezzata a sufficienza dalla critica. Giovanni Carsaniga ha ripercorso le tappe prin-cipali del progetto letterario dello scrittore: in principio il letterato si dedicò ad esperi-menti di matrice tardo-romantica, legati a temi mondani, che tanto piacevano ai lettori benpensanti del tempo, ma già con la Prefazione al romanzo Eva affiora un mutamento di posizione, una vera e propria polemica nei confronti dello sviluppo di «Banche» e di «Imprese Industriali» del tempo. Con questo testo, Verga dichiarò la propria adesione alla narrazione del vero ed il rifiuto dell’ipocrisia e della corruzione, in nome dell’arte, che costituisce una forma di espressione della società. Con Storia di una capinera, egli mise in pratica uno dei metodi derivati dai compagni francesi, ossia quello documentario: chiese informazioni ad amici e familiari sulla vita nei conventi e su usi e costumi siciliani, per essere più verosimile e credibile agli occhi dei suoi lettori. A Zola si rifece per l’analisi psicopatologica dei personaggi di Tigre Reale, anche se, a giudizio di molti, la prima prova veristica sarebbe stato il “bozzetto siciliano”, Nedda: l’autore si allontana dall’ele-ganza del mondo cittadino per recuperare quella dimensione di semplicità a lui tanto cara, riscontrabile nel mondo dei pescatori e dei contadini di provincia.

Alla sperimentazione tipica del Positivismo, Verga si rifece all’interno delle sue opere Una peccatrice e Storia di una capinera, considerati, appunto due romanzi «speri-mentali», basati su una visione realistica del mondo, totalmente aliena da giudizi morali, che venivano all’epoca percepiti come un ostacolo alla rappresentazione oggettiva dell’universo circostante.70

In Italia tale mentalità scientifica del periodo fu applicata soprattutto da Roberto Ardigò, il quale si ispirò al principio di Evoluzione per interpretare i fatti: tutto ciò che esiste è «formazione naturale»: nella penisola, infatti, circolavano già all’epoca le

ver-69Cfr. W.MAURO, La matrice verista nella narrativa meridionale, in «Nuova Antologia», 1965, pp. 297-298.

sioni delle principali opere di Darwin, tradotte nel 1865 da Michele Lessona.71 Ad aver allargato tale metodo di indagine agli altri campi del sapere fu Hippolyte Taine, secondo il quale un’opera letteraria riflette sempre i costumi del periodo in cui si è sviluppata, tenendo conto di tre fattori che agiscono contemporaneamente all’interno della società: la razza (race), l’ambiente (milieu) e la situazione storica (moment).72 Questi tre elementi sono presenti anche nelle opere dell’autore siciliano, specialmente quello della razza, gra-zie alla mediazione di chi, come Zola, letto da Verga, le fece proprie: si pensi a determi-nate affermazioni di Gesualdo Motta nel Mastro in direzione della moglie Bianca, così diversa da lui, proprio per una questione di sangue, di nobiltà di stirpe, che nulla ha a che vedere con le origini umili del protagonista: tali divergenze creano tra i due coniugi una frattura insanabile. Il testo sarebbe, dunque, il prodotto di una convergenza di fattori na-turali, politici e sociali che lo scrittore deve analizzare con accuratezza e cercare di rico-struire nelle proprie pagine.73

Ciò non significa, tuttavia, che la maggior consapevolezza dell’uomo, acquisita proprio tramite i nuovi orizzonti di pensiero, abbia avuto solamente risvolti positivi e benefici: la critica nei confronti del Progresso mossa dal letterato di Catania fa pensare a ben altro tipo di concezione, che diventa fortemente polemica nei confronti, appunto, dello sviluppo della società che, pur evolvendosi sempre più, finì in realtà per regredire ad uno stadio animalesco, fondato sulla competizione continua tra individui per cercare disperatamente di sopravvivere nel mondo e di affermarsi sugli altri, secondo il modello darwiniano, che presupponeva una derivazione dell’essere umano dalle scimmie e quindi dall’universo zoomorfo.74

71Cfr. OLIVA,MORETTI, Verga e i verismi regionali, 1999, p. 25. 72Ivi, pp. 75-76.

73Ivi, pp. 76-77. 74Ivi, p. 22.

CAPITOLO 2: DARWINISMO ED EVOLUZIONISMO