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CAPITOLO 5: IL TROFISMO, LA FAME E LE LEGGI DELLA SOPRAV- SOPRAV-VIVENZA

5.1 Il pesce grosso mangia il pesce piccolo

Nel suo libro Anatomie verghiane, Sergio Campailla descrive un disegno molto particolare, che ben si collega ai concetti che verranno affrontati in questo capitolo: si tratta di un’opera realizzata da Brueghel il Vecchio nel 1556 e ora conservata presso l’Ac-cademia Albertina di Vienna; essa è intitolata, in maniera emblematica, Il pesce grosso mangia il pesce piccolo. Al centro si trova il corpo morto di un grandissimo pesce che è adagiato su un pezzo di terra e dalle cui fauci fuoriescono molti pesci più piccoli, i quali a loro volta “vomitano” pesci di dimensioni via via sempre più modeste. Un uomo con il volto nascosto da un grande cappello, pratica un’incisione all’altezza del ventre dell’ani-male e anche da qui spuntano molluschi, valve, anguille, tutti mescolati insieme, quasi a dare l’idea dell’ingordigia della bestia morta. Il disegno è ricolmo di immagini zoomorfe, ciascuna rappresentata con la bocca spalancata, come se stesse chiedendo del cibo. Tra le diverse figure umane, le due che spiccano di più sono quelle che colpiscono l’animale, o montandovi sopra con una scala, o ferendolo alla pancia con una lama. Tutto si svolge sotto lo sguardo di un’altra coppia di personaggi, posti su una barca: un vecchio e un bambino che contemplano la scena, la quale si carica così di un valore didascalico, come se il piccolo, osservando l’accaduto, dovesse apprendere una lezione di vita.173

Stando anche al titolo dell’opera, la lotta tra le creature si esplica nella forma del “mangiare”, in una sorta di bellum omnium contra omnes, dove la vittoria consiste nell’af-fermazione del diritto alla vita da parte del vincitore e nella negazione dello stesso da parte del vinto: il primo divora il secondo. In maniera semplice ed immediata, il pittore fiammingo riuscì a spiegare come funziona il mondo, prendendo spunto dalla saggezza popolare, che già risultava intuitiva del futuro darwinismo. La “morale” che viene qui rappresentata è la seguente: il pesce più grande e forte mangia quello più piccolo e debole, che a sua volta ha mangiato creature ancora più indifese, ma anche il primo finisce per avere lo stesso destino degli altri perché verrà divorato dall’uomo.174 La logica della lotta per la sopravvivenza si esplicita in natura come una competizione per procurarsi il cibo. Senza nutrimento nessun essere vivente può esistere (o resistere): dunque la fame diventa

173Cfr. CAMPAILLA, Anatomie verghiane, pp. 20-24. 174Ivi, pp. 25-26.

il motore principale che provoca lo svilupparsi dell’azione, esattamente come sosterrà Darwin, secoli dopo Brueghel, teorizzando questo conflitto non solo all’interno della stessa specie animale, ma anche in rapporto le une con le altre:

Poiché nascono più individui di quanti ne possono sopravvivere, deve necessariamente esistere una lotta per l’esistenza, fra gli individui della stessa specie, fra quelli di specie diverse, e di tutti gli individui contro le condizioni fisiche della vita.175

La guerra si configura come universale, senza esclusione alcuna, tanto da potersi genericamente riassumere nel detto latino “mors tua, vita mea”, che Verga pone in bocca al marchese Limòli nel Mastro, commentando il fatto che gli sposi Bianca e Gesualdo si sono recati a vivere nella dimora che appartenne ai La Gurna, i quali sono ormai decaduti e costretti a condurre una misera esistenza. Nell’ideologia verghiana l’allegoria del pesce grosso che mangia il pesce piccolo è centrale e ricorrente: i Malavoglia stessi, se ci si riflette, sono ambientati in un mondo di pescatori, dove le prede provengono dal mare e sono i pesci, ma non è sempre dato per scontato che sia così: può anche accadere che i flutti inghiottano le barche dei poveri abitanti di Trezza, o che questi abbiano a che fare con pericolosi animali che mettono a repentaglio la loro giornata lavorativa o addirittura la loro medesima sopravvivenza.176

L’immagine offerta da Brueghel diventa dunque rappresentativa della logica fa-mistica che sottende alle dinamiche delle vicende verghiane: gli infelici personaggi sono tutti sottoposti, indistintamente, alla necessità dell’alimentazione, al desiderio di appaga-mento del proprio appetito, alla fame incessante che li costringe ad un’esistenza anima-lesca, sempre alla ricerca costante di migliorare la propria condizione per potersi procu-rare il cibo, fondamentale per la nutrizione.

Il nodo del messaggio è già presente nella novella Fantasticheria, dove viene de-scritto l’atteggiamento di coloro che cercano di staccarsi dall’ambiente di provenienza, per andare alla ricerca di miglior fortuna, al contrario di come fanno le ostriche, che do-vrebbero rimanere aggrappate allo scoglio per non andare incontro a rischi:

Un dramma che qualche volta forse vi racconterò, e di cui parmi tutto il nodo debba consistere in ciò: - che allorquando uno di quei piccoli, o più debole, o più incauto, o più egoista degli altri,

175Cfr. C.DARWIN, L’origine delle specie, Torino, 1975, p. 133. 176Cfr.CAMPAILLA, Anatomie verghiane, pp. 27-29.

volle staccarsi dai suoi per vaghezza dell’ignoto, o per brama di meglio, o per curiosità di cono-scere il mondo; il mondo da pesce vorace ch’egli è, se lo ingoiò, e i suoi prossimi con lui.177

Tale novella venne pubblicata nel 1879, in un momento di profonda crisi interiore per Verga, dovuto alla morte della madre, Caterina: il racconto, con tutte le sue dichiara-zioni di Verismo, l’“ideale dell’ostrica”, la “religione della famiglia”, l’“esercito di for-miche”, doveva quindi contenere un motivo anche di tipo autobiografico.178

È interessante notare un cambiamento di prospettiva all’interno delle opere del letterato: i personaggi dei primi romanzi, di ambientazione borghese e mondana, consi-deravano l’atto del mangiare come qualcosa di degradante, di mortificante, di inadatto al loro rango sociale, come se si trattasse di una necessità puramente animale: ne I Carbo-nari della montagna, Corrado, il Gran Maestro della Carboneria, non mangia mai, perché non ha tempo per soddisfare tale necessità, troppo terrena e concreta per lui, tutto assor-bito dalla propria missione; per Pietro Brusio in Una peccatrice, Maria in Storia di una capinera e Giorgio La Ferlita in Tigre reale, vale la stessa cosa. Rifiutarsi di nutrirsi in-dica la volontà di un distacco dalla realtà, troppo deludente per essere osservata da vicino, e troppo dolorosa da accettare: il cibo incarna molto bene tale idea, in quanto riporta tutti gli interessi elevati e le passioni dei protagonisti ad un livello di mera sussistenza mate-riale.179

Nelle successive opere rusticane, invece, il mondo intero è concepito come un “corpo sociale” che si sfama e soddisfa le proprie necessità biologiche e dove ogni parte anatomica ha un ruolo e una funzione precisi: sembra ricordare da vicino il celebre apo-logo di Menenio Agrippa e rappresenta una vera celebrazione della concordia delle classi sociali, in nome della quale lo status quo, a parere dei ceti dominanti, risulta inalterabile, immodificabile, necessario.180

Per questa ragione, il “primitivo” verghiano mangia non solo quando ha fame o qualora ne senta il bisogno, ma è portato a vedere ogni cosa ed ogni occasione come una promessa di nutrimento, da non lasciarsi sfuggire, perché non si sa quando e se capite-ranno altre opportunità del genere. Questa “ossessione per il cibo” determina la presenza ridondante di verbi legati al concetto di trofismo, di cui i più ricorrenti sono: in primo

177Cfr.VERGA, Vita dei campi, p. 12.

178Cfr.CAMPAILLA, Anatomie verghiane, pp. 29-30. 179Ivi, pp. 38-40.

luogo, naturalmente, “mangiare”, “pappare” o “papparsi”, “gustare”, “ingoiare”, “rosi-care” (che è tipicamente animale), “spolpare” (talvolta con riferimenti all’ambito ses-suale). Più raro il caso di “poppare”. Ognuno di questi verbi è dotato di un suo significato preciso, che lo differenzia dagli altri e lo carica di valenze anche di tipo simbolico, meta-forico o allusivo, ampliando la sfera del “mangiare” anche ad istanze slegate dalla mera alimentazione, ma connotate di un senso altro:181 allo zio Crocifisso, creditore dei Mala-voglia ed usuraio, viene spesso chiesto, per esempio,

perché non ci andasse lui a rischiare la pelle come tutti gli altri, che si pappava il meglio della pesca senza pericolo.182

Talvolta alcuni verbi, generalmente attribuiti ad animali, vengono affibbiati anche alle persone, per meglio evidenziare la riduzione degli istinti fagici umani a quelli bestiali, come accade nel caso della novella Il Reverendo:

Cotesto l’approvavano i villani, perché i cani grossi si fanno sempre la guerra fra di loro, se capita un osso buono, e ai poveretti non resta mai nulla da rosicare.183