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vi I mezzi di impugnazione

davanti alla Corte d’appello.

237 Art. 1, comma 57, legge n. 92 del 2012.

238 A prescindere dal fatto che l’ordinanza sia di accoglimento o di rigetto, come evidenziato da Trib.

Genova, ord. 9 gennaio 2013, cit., 1364.

239

Contra, DE CRISTOFARO-GIOIA,Il nuovo rito dei licenziamenti, cit., che ritengono analogicamente

Anche in questo caso, il legislatore non ha riproposto quanto già previsto per il processo sommario di cognizione, che pur essendo introdotto da ricorso, si conclude con un’ordinanza (che però ha la sostanza di una sentenza), assoggettabile ad appello240

. Nel procedimento qui analizzato, la forma prescelta è quella del reclamo, che però non mostra alcuna differenza sostanziale con il mezzo di impugnazione dell’appello, tanto che diversi esponenti della dottrina hanno criticato questa scelta, definendola puramente terminologica241.

La disciplina di questo mezzo di impugnazione, infatti, è mutuata quasi integralmente da quella dell’appello, dal quale si discosta quasi esclusivamente per quanto concerne i presupposti per la concessione della sospensione dell’esecutività della sentenza, come sopra accennato242.

Per tutto quanto non espressamente previsto dalla legge n. 92 del 2012, come già visto per altri aspetti, sono applicabili al giudizio in sede di reclamo le norme codicistiche relative al procedimento d’appello del rito del lavoro.

Il reclamo si propone con ricorso da depositarsi, a pena di decadenza, entro trenta giorni dalla comunicazione della sentenza, o dalla notificazione se anteriore.

Da ultimo, si nota che l’art. 436-bis c.p.c. rende applicabile anche all’appello del rito ordinario del lavoro il nuovo istituto del cd. filtro in appello, previsto dagli artt. 348-bis e 348-ter c.p.c.

Ci si chiede, quindi, se lo stesso sia applicabile anche al nuovo procedimento di opposizione ai licenziamenti oggetto di questa trattazione, oppure, trattandosi formalmente di un reclamo, quest’ultimo non rientri in alcun modo nella previsione della riforma.

A parere di chi scrive, premesso che il cd. filtro in appello si applica ai soli giudizi (appunto) di appello, il procedimento di reclamo di cui si tratta non dovrà essere sottoposto al vaglio di ammissibilità. Benché si concordi sul fatto che, nella sostanza, il giudizio di reclamo sia quasi identico all’appello, il fatto che formalmente il legislatore l’abbia identificato in modo differente deve avere una qualche valenza.

240 G

UARISO, Nuovo rito sul licenziamento, cit., 309.

241 D

E CRISTOFARO-GIOIA, Il nuovo rito dei licenziamenti, cit., che definiscono “inintelligibile” la scelta di chiamare lo strumento impugnatorio reclamo; CONSOLO-RIZZARDO, Vere o presunte novità, cit., 736.

242 C

Pertanto, trattandosi di reclamo, non risentirà delle limitazioni previste per il solo procedimento di appello in forza della recente riforma.

In aggiunta, si nota che il legislatore, per quanto concerne l’appello nel rito ordinario del lavoro, ha previsto esplicitamente che allo stesso si applichi il cd. filtro, attraverso il rinvio dell’art. 436-bis c.p.c.; questo lascia intendere che il predetto vaglio di ammissibilità, introdotto per il solo giudizio di appello ordinario, per essere applicato nei giudizi di impugnazione trattati con riti speciali, dovrà essere esplicitamente previsto dalla disciplina di questi ultimi.

Questo, mi pare, vale ancor di più nei casi in cui il legislatore ha identificato il processo di secondo grado non come appello, bensì come reclamo, come nell’ipotesi analizzata in questa trattazione.

Nella prima – e tendenzialmente unica – udienza, che viene fissata entro sessanta giorni dal deposito del ricorso introduttivo, la Corte può sospendere su istanza di parte l’efficacia della sentenza reclamata laddove ricorrano gravi motivi.

Questo rappresenta un ulteriore aspetto di diversità del nuovo rito in commento rispetto al rito del lavoro previsto dal codice, che si aggiunge a quelli evidenziati nel precedente paragrafo.

Nell’appello del rito del lavoro, infatti, la parte può richiedere la sospensione dell’esecutività (o dell’esecuzione, se già iniziata) della sentenza, ed il giudice la concederà laddove vi sia un gravissimo danno (se la sentenza è favorevole al lavoratore), ovvero qualora riscontri la sussistenza di gravi motivi (nel caso, opposto, in cui la parte vittoriosa sia il datore di lavoro).

La riforma in esame prende in considerazione l’istituto della sospensione dell’efficacia della sentenza solamente laddove ricorrano gravi motivi243, locuzione sicuramente meno intensa e di più facile dimostrazione, dal punto di vista della prova, rispetto al gravissimo danno sopra menzionato.

La sussistenza di tale requisito è identificabile, attraverso una valutazione sommaria, nella (presunta) esistenza di vizi del provvedimento, tali da far ritenere molto probabile la riforma dello stesso in sede di riesame, onde evitare che il protrarsi dell’efficacia

243

Critici sul punto DE CRISTOFARO-GIOIA,Il nuovo rito dei licenziamenti, cit.; CONSOLO-RIZZARDO,

esecutiva della sentenza possa comportare il rischio di creare effetti giuridici o di fatto difficilmente eliminabili, laddove la pronuncia in sede di reclamo (eventualmente) smentisca quanto statuito in primo grado.

Non manca, poi, la (ormai nota) formula per cui la Corte, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, possa e debba procedere, nel modo che ritiene più opportuno, agli atti istruzione.

Per quanto concerne questi ultimi, il comma 59 ripropone la disposizione di cui all’art. 437 c.p.c., ovvero il limite dei nova in appello, e permette l’ingresso, nel secondo grado di giudizio, solamente ai nuovi mezzi di prova o documenti ritenuti dal Collegio

“indispensabili ai fini della decisione” ovvero a quelli che la parte non aveva proposto

in primo grado per causa alla stessa non imputabile.

Esaurita la fase istruttoria, la Corte d’appello fissa con decreto l’udienza di discussione nei successivi sessanta giorni.

Questa ulteriore fase si chiude con l’emanazione di una sentenza, la quale, completa di motivazione, deve essere depositata in cancelleria entro dieci giorni dall’udienza di discussione.

Contro tale provvedimento, da ultimo, è ammessa la proposizione del ricorso per cassazione, a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla comunicazione dello stesso, o dalla notificazione se anteriore.

In tal caso, l'udienza di discussione è fissata non oltre il termine di sei mesi dalla proposizione del ricorso.

vii.

La sommarietà nel nuovo procedimento di opposizione ai