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Internazionale, dopo Lee Mingsheng nel 1993, Shulea Cheang nel 2003 (l’unica ad essere stata contemporaneamente presente alla mostra principale e al padiglione) e Chen Chiehjen nel 2005. Questo numero risulta piuttosto ridotto385, considerando che la Biennale ha presentato ad ognuna

delle 57 edizioni, tra i 100 e 150 artisti e che in 12 anni dalla sua fondazione, il PT ha portato a Venezia, e quindi sulla scena globale, una media di più di 3 nuovi artisti taiwanesi per edizione, 38 in totale.386

Lee Mingwei

Nacque a Taichung, nel 1964, da una famiglia di medici benestanti che, al compimento del 12° anno di età, lo mandarono prima in Repubblica Dominicana e poi negli USA, per sfuggire il servizio militare obbligatorio. Seguendo le orme paterne studiò inizialmente medicina, ma si rese conto di necessitare di maggiore libertà espressiva e così si laureò prima in Arte tessile al California College of Arts nel 1993 e poi in Scultura a Yale nel 1997.

385 Data la scarsità di studi sulla Biennale, non è stato possibile rintracciare una stima per nazione, in

compenso si possono trovare delle percentuali di partecipazione per continente ed etnia nell’articolo “Venice Biennale artists by the numbers”, in www.artsy.net, 3 maggio 2017.

386 Nelle 12 edizioni del Padiglione tra il 1995 e il 2017 sono state presentate opere di 42 artisti in totale, di

cui 2 di nazionalità non taiwanese e 4 che sono stati presenti a più edizioni: Chen Chieh-jen 1999 e 2009, Chang Chien-chi 2001 e 2009, Hsieh Ying-chun 2006 (Biennale Architettura) e 2009, Wu Tienchang 1997 e 2015.

Ha iniziato ad interessarsi all’arte performativa e concettuale dopo l’incontro, al California College, con Susan Lacy (n.1945)387, una degli artisti performativi che nella Los Angeles degli anni

Settanta avevano dato vita all’arte socialmente impegnata.388

Sul suo sito web ufficiale, Lee Mingwei viene descritto come un artista che:

creates participatory installations, where strangers can explore issues of trust, intimacy, and self-awareness, and one-on-one events, where visitors contemplate these issues with the artist through eating, sleeping, walking and conversation. Lee's projects are often open- ended scenarios for everyday interaction, and take on different forms with the involvement

of participants and change during the course of an exhibition.389

Lee eleva interazioni e situazioni effimere della quotidianità al rango di gesti artistici, per farne il punto di partenza delle sue installazioni partecipative, sposando quindi la proposizione di Joseph Beuys (1921-1986):

If you choose to, you can make every action a creative act.390

La sua pratica viene spesso associata all’arte relazionale, ma questa è, a detta dello stesso artista391,

una categorizzazione riduttiva della sua poetica. Innanzitutto, come scrive il curatore del Centre Pompidou Yung Ma, a differenza della maggior parte dell’arte definita relazionale, l’opera di Lee non è correlata a una specifica problematica sociale,

ma abbraccia piuttosto esperienze e condizioni che definiscono un’umanità più ampia. (…) Lee concepisce e realizza opere come mezzi per esplorare e divulgare idee di scambio, generosità, rito, perdita, ricordi, domande sul concetto di esperienza della vita e della morte

e, in ultima analisi, bellezza392

387 BECKY DEVIS, “«My most complex work» conceptual artist Lee Mingwei on his installation Luminous

depths – interview”, in www.artradarjournal.com, 11 ottobre 2013.

388 Per approfondire si veda www.suzannelacy.com. 389 “Artist statement”, in www.leemingwei.com.

390 TOM FINKELPEARL, What we made: conversations on art and social cooperation, Duke University Press, 2013, p.

301.

391 Si veda l’intervista a Lee Mingwei riportata in appendice.

392 YUNG MA, “Lee Mingwei”, in CHRISTINE MACEL (a cura di), Biennale Arte 2017 Viva Arte Viva. 57.

Esposizione Internazionale d'Arte della Biennale di Venezia, catalogo della mostra, La Biennale di Venezia, 2017,

Quindi per Lee Mingwei la relazionalità non è un mezzo per ottenere un fine, sia fisico che ideale, ma è l’essenza e il fine ultimo dell’opera.393 Le azioni che compie infatti non diventano atti creativi

per una scelta univoca dell’artista, ma solo nel momento in cui sono fatte insieme all’altro. L’elemento fondamentale del lavoro di Lee infatti è la relazione con gli altri, con i visitatori che, spesso in una relazione uno-a-uno con l’artista, ne completano l’opera e la rendono tale. Ciò accade per Lee con il prerequisito fondamentale che l’altro sia un estraneo: è questo ciò che rende straordinaria (e dunque creativa) un’azione di tutti i giorni. Prendendo ad esempio The dining project (Wǎncān jì huà 晚餐計畫), in cui Lee cucina e cena con una persona sorteggiata tra il pubblico, se

il partecipante fosse conosciuto o scelto dall’artista sarebbe semplicemente una cena tra amici, ovvero una qualunque azione della sua vita quotidiana. Cucinare per uno sconosciuto, condividere un pasto e una conversazione con lui fa emergere invece, insieme una serie di altri fattori, emozioni e problematiche che separano quest’azione dalla normalità. Lee Mingwei prende la quotidianità e ne cambia alcune regole394, così che essa acquisti un significato altro e un carattere quasi spirituale.

L’origine di questa spiritualità non è definibile categoricamente.395 Sebbene Lee Mingwei abbia

realizzato opere fortemente influenzate dal buddismo, come Bodhi tree project (Shēngmìng chóngjiàn-pútí

jìhuà 生命重建-菩提計劃) nato in stretta collaborazione con alcuni monaci dello Sri Lanka396,

sarebbe sicuramente riduttivo definirlo per questo un artista buddista. Tuttavia, benché egli sostenga di essere “una persona spirituale, ma non un artista spirituale”397, non si può non rilevare

la componente trascendente presente in modo più o meno evidente in tutte le sue opere.

Sono proprio gli echi spirituali delle sue azioni minimali che hanno fruttato a Lee un ruolo di primo piano nel panorama artistico internazionale. Nel frastornante mondo dell’arte contemporanea fatta

393 ibid.

394 LEE MINGWEI, Lee Mingwei: the tourist, catalogo della mostra, Sydney: Sherman Galleries, 2006.

395 JOHN L. TRAN, “Lee Mingwei likes getting to know you”, in Japan Times, www.japantimes.co.jp, 23

ottobre 2014.

396 I monaci buddisti di Anuradhapura (Sri Lanka) si occupano di custodire lo Sri Maha Bodhi che, secondo

la tradizione, è l’albero sotto il quale Buddha ebbe l’Illuminazione. Per questo progetto, Lee Mingwei ha piantato una talea dell’albero nel giardino della Queensland Gallery of Mondern Art di Birsbane (Australia). MO XIAOFEI,HSU STEPHANIE, “Presentation by Lee Mingwei”, in Asia Art Archive in America, www.aaa- a.org, 23 Febbraio 2012.

di temi forti e provocazioni, questo artista si è scelto una nicchia affatto comoda, facendo della quotidianità, ormai spesso ritenuta una tematica sentimentale e obsoleta, il suo mezzo espressivo.398

Nonostante egli dichiari di non conoscerne la motivazione, è plausibile che sia stato questo suo metodo espressivo delicato e poetico a far sì che la curatrice Christine Macel (n. 1969) lo scegliesse per l’Esposizione Internazionale d’Arte 2017, pensata come un inno all’arte: Viva Arte Viva.