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1.2 I Disability Studies

1.2.2 Minority Model

Negli stessi anni, negli Stati Uniti, è emersa una diversa tipologia di risposta, il minority model, in cui confluiscono la versione socio-costruzionista americana del modello sociale inglese e la versione politica della minoranza oppressa318, che ha legato la difesa dei diritti delle persone con disabilità a quella delle altre minoranze. In questa prospettiva gli individui disabilitati possono essere definiti come una minoranza discriminata come quella delle donne, dei gay o degli afro-americani, ovvero “una categoria sociale elastica contemporaneamente soggetta al controllo sociale e capace di attuare un cambiamento sociale”319.

Secondo questo approccio, la minoranza delle persone disabilitate ha subito negli anni le stesse forme di pregiudizio, discriminazione, segregazione e oppressione vissute da altri gruppi minoritari e classificati anch’essi in relazione a specifiche caratteristiche

315 Cfr. Ivi.

316 M. Oliver, The social model in action: if I had a hammer. In C. Barnes, G. Mercer (a cura di),

Implementing the social model of disability. Theory and Research, Leeds, The disability press, 2004, pp. 18-47.

317 R. Medeghini, Il linguaggio come problema, cit., pp. 54-55.

318 Cfr. D. Pfeiffer, The philosophical foundations of Disability Studies, cit.; D. Pfeiffer, The

Conceptualization of Disability. Exploring Theories and Expanding Methodologies: Where We Are and Where We Need to Go, cit.

dell’essere umano. Tre illustri autori appartenenti al modello sociale ritengono che “questa corrente, così come più in generale gli approcci teorici americani, non ha riconosciuto il significato della partizione tra menomazione e disabilità che caratterizza il modello sociale inglese. Mantenendosi nella tradizione del pragmatismo americano, le perorazioni dei diritti civili per le persone disabili sono state collegate a un atteggiamento da «minority group», piuttosto che fornire una spiegazione teorica generale della disabilità e dell’esclusione delle persone disabili dalla vita sociale”320. Adottare la visione della minoranza presuppone che vengano individuate nella cultura, negli atteggiamenti, nei valori e nelle conseguenti scelte politiche di una società le cause della disabilitazione degli individui appartenenti alla minoranza, “in ciò che in termini marxisti si definirebbe […] la sovrastruttura, costituita da quegli ‘atteggiamenti e valori’ che […] ispirano l’elaborazione delle politiche”321.

Questa differente visione fa emergere l’aspetto culturale della disabilitazione, sviluppata dal Cultural Model, spostando lo sguardo dai soli aspetti sociali a quelli culturali, interessando quindi non solo le scienze sociali ma anche le discipline umanistiche “perché esse contribuiscono da un lato ad individuare, se non proprio smascherare, i presupposti culturali a partire dai quali la stessa idea di ‘disabilità’ viene costruita, e dall’altro a fornire le basi per un cambiamento più ampio e diffuso di quello che potrebbe aversi attraverso la sola, benché certo necessaria, rimozione delle barriere e degli ostacoli strutturali”322.

È nell’incontro di minoranze che nascono i Feminist Disability Studies323 che in origine hanno avuto il merito di portare alla luce la doppia condizione di svantaggio delle donne disabilitate sia in relazione agli uomini disabilitati che alle donne non- disabilitate324. In questa prospettiva, i saperi provenienti dai due approcci di studio si arricchiscono e influenzano vicendevolmente consegnandoci una nuova visione critica

320 C. Barnes, M. Oliver, L. Barton (a cura di), Disability Studies today, cit., p. 7. 321 F. Monceri, Etica e disabilità, cit., pp. 27-28.

322 Ivi, p. 29.

323 Cfr. R. Garland-Thomson, Integrating Disability, Trasforming Feminist Theory, in «NWSA

Journal», 14, 3, 2002, pp. 1-32.

324 Cfr. A. Bê, Feminism and Disability. A Cartography of Multiplicity, in N. Watson, A.

sia del femminismo sia dei Disability Studies, fino a giungere ad acquisire un taglio politico con forte energia critica325.

T. Shakespeare ci invita però a riflettere sul rischio di un’esagerazione di parallelismi in quanto ritiene che questi siano fondati su una distorta analogia quando in realtà “genere, etnia e sessualità hanno una base biologica minima, mentre la disabilità ha sempre una dimensione biologica che di solito implica un limite o incapacità, e a volte fragilità e dolore”326.

Interessante sviluppo interno a questo modello è rappresentato dal pensiero di I. K. Zola che introduce il concetto di continuità. L’autore ritiene infatti che la questione della disabilità non possa essere considerata una questione che interessa una piccola minoranza delle persone in quanto, prima o poi, toccherà a tutti in relazione alla crescente aspettativa di vita e al normale deterioramento del corpo nell’invecchiamento327. Questa prospettiva apre sicuramente ad una riflessione profonda e invita a ripensare radicalmente il concetto di disabilità visto in continuità con quello di norma328. Inoltre, viene spontaneo ritenere che sia lo stesso approccio medico- individuale che abbia di fatto determinato questo allargamento della base degli appartenenti alla categoria degli individui che manifestano una qualche forma di impairment, e che gli stessi appartenenti alla classe dominante, prima o poi, faranno esperienza dell’appartenere ad una classe oppressa.

Negli Stati Uniti, “l’assenza di un sistema welfaristico sviluppato e la tradizione storica di lotta civile per i diritti dei neri e delle donne fanno sì che l’enfasi sia sulla partecipazione del singolo individuo alla vita sociale, sull’auto-aiuto e sulla possibilità di condurre una vita più simile a quella delle persone ‘normali’ piuttosto che di modificare la società nel suo insieme”329. È anche per queste ragioni che proprio in seno a questo modello nasce il movimento per la vita indipendente come “proposta positiva

325 Cfr. R. Garland-Thomson, Integrating Disability, Trasforming Feminist Theory, cit.; F.

Monceri, Etica e disabilità, cit.; J. Morris, Personal and Political. A Feminist Perspective on Researching Physical Disability, in «Disability, Handicap & Society», 7, 2, 1992, pp.157-166.

326 T. Shakespeare, Disability Rights and Wrong revisited. Second edition, Routledge, London and

New York, 2014, trad. it., Disabilità e società. Diritti, falsi miti, percezioni sociali, cit., p. 75.

327 Cfr. I. K. Zola, Toward the necessary universalizing of a disability policy, in «The Milbank

Quarterly», 83.4, 2005, pp. 1-27.

328 Cfr. E. Valtellina, Storie dei Disability Studies, cit.

329 S. D’Alessio, Disability Studies in education: implicazioni per la ricerca educativa e la pratica

complementare alla decostruzione del modello medico di gestione della disabilità”330. Il movimento si propone di difendere il diritto di autoaffermazione e autodeterminazione di ciascun individuo attraverso la possibilità di compiere scelte personali sulla propria condizione di vita.

C. Barnes enuclea quattro principi fondamentali che caratterizzano la filosofia della vita indipendente:

 tutte le forme di vita umana hanno lo stesso valore;

 ciascuno ha delle capacità di operare delle scelte;

 ciascuno ha il diritto di esercitare il controllo della propria vita;

 tutti hanno il diritto di partecipare pienamente e completamente alla vita della comunità in cui vivono331.

E. Roberts viene considerato il padre fondatore di questo movimento negli Stati Uniti avendo ottenuto nel 1962, dopo una lunga battaglia, di essere ammesso, anche se poliomielitico e precedentemente ritenuto non in grado di seguire i corsi regolari, all’Università della California, facendo registrare la prima ammissione universitaria di una persona disabile332. Negli Stati Uniti si sono registrate diverse ondate di attivismo delle persone con disabilità che si sono aggregate in diversi movimenti: il movimento per la deistituzionalizzazione, quello per i diritti civili delle persone con disabilità e quello per la demedicalizzazione333.

Il paradigma dell’Indipendent Living è stato elaborato da G. DeJong alla fine degli anni Settanta, mettendo in evidenza la dipendenza delle persone con disabilità da professionisti e parenti e imputando all’ambiente e ai processi di trattamento medico- individuale la responsabilità della disabilitazione e della privazione di libertà a danno delle persone con disabilità. La soluzione a questo problema viene trovata nell’aiuto tra pari, in percorsi di auto-aiuto, nel controllo individuale delle stesse persone con disabilità dei servizi e nella rimozione di tutte quelle barriere che impediscono la

330 Ivi., p. 39.

331Cfr. C. Barnes, Independent living. Politics and implications, Citazioni bibliografiche

https://www.independentliving.org/docs6/barnes2003.html, cons. 08-10-2018.

332 Cfr. E. Valtellina, Storie dei Disability Studies, cit.; Heumann, J. E., Foreword to The

Independent Living Movement. International Experiences, 2003,

<www.independentliving.org/docs6/heumann2003.html>, cons. 08-10-2018.

partecipazione diretta delle persone con disabilità. In questa prospettiva, la persona con disabilità potrà acquisire il controllo diretto della propria vita insieme al proprio ruolo sociale nella direzione di poter vivere una vita indipendente334.

In sintesi, il movimento definisce l’indipendenza come “la capacità di controllare la propria vita rendendo possibili scelte differenti tra uno spettro di opzioni accettabili”335

da e per lo stesso individuo. L. Pampaloni336 scrive che “il concetto di «Vita Indipendente» implica che le persone con disabilità esercitino e siano titolari dei diritti fondamentali di libertà e di uguaglianza, primo fra tutti quello di autorganizzare la propria vita come ogni altra cittadina o altro cittadino. Inoltre, «Vita Indipendente» significa che le persone con disabilità non devono lasciarsi condizionare da presunti «esperti» senza disabilità che troppo spesso finiscono per esercitare su di noi forme asfissianti di controllo e potere”337.

Il movimento per la vita indipendente si è sviluppato parallelamente anche nel Regno Unito, conosciuto come movimento per la vita integrata e indipendente per rimarcare l’appartenenza al modello sociale inglese e successivamente si è sviluppato in molti Paesi europei. Tutte le articolazioni del movimento si caratterizzano per l’attivazione di centri di supporto per la vita indipendente che, secondo il principio dell’aiuto tra pari, forniscono supporto per l’attivazione di percorsi di indipendenza come l’assistenza personale.

Una delle questioni che differenzia sostanzialmente il movimento nato negli Stati Uniti e la sua successiva diffusione in altri Paesi, e quello che si è sviluppato nel Regno Unito riguarda l’uso del linguaggio in riferimento all’individuo, cioè alla persona con disabilità o alla persona disabile.