Una vita dedicata a difendere la dignità e i diritti delle donne al di là dei confini e delle etnie
2.6. Il Minotauro Indiano e le testimonianze dirette estratte dal resoconto Josh
Importantissimo contributo nel Minotauro sono le testimonianze dirette di medici, suore, giudici e civili residenti all’epoca in India. In tutte queste testimonianze vengono riportate le esperienze personali dei testimoni che videro o assistettero le spose bambine al momento dei parti in ospedale, con un risultato che turba profondamente il lettore. La ragazzina veniva fatta partorire in ospedale solo se le circostanze costringevano la famiglia del marito a portarcela. Infatti, le sventurate passavano talvolta giorni di travaglio in casa e solo una volta che la situazione si complicava venivano portate all’ospedale, dove i medici si trovavano a dover far fronte a delle situazioni disperate. La morte della puerpera era considerata parte normale della vita di una donna, quindi il marito si portava la corda per legare il cadavere della moglie al letto di morte. Spesso le ragazzine costrette a giorni di 72
travaglio in casa perdevano la salute mentale ed impazzivano per il dolore. 73
Di seguito sono esposte brevemente le testimonianze più gravi elencate dalla
Rathbone, le quali dimostrano, ad esempio, come un uomo di sessant’anni, già
nonno, potesse contrarre matrimonio con una ragazzina di 12 o 14 anni. Visto che 74
la mortalità era attorno ai 50 anni, la ragazzina poteva già considerarsi quasi una vedova. Un altro caso riportato è quello di un ragazzino di 12 anni dalla salute
Ivi, pp.47-48.
71
Usanza indiana per cui il cadavere di una persona appena morta doveva essere legato al letto.
72
Bianchi, Eleanor Rathbone e l’etica della responsabilità. op. cit., p. 116; e Rathbone, op. cit., p. 127.
73
Rathbone, op. cit., p. 27.
cagionevole e che già aveva una moglie, il quale fu fatto sposare anche con un’altra 75
bambina e che lasciò poco dopo due vedove bambine. 76
Dalle testimonianze dei dottori si evince invece che le ragazzine dai 12 ai 16 anni e mezzo dopo la prima gravidanza prematura, sembravano invecchiate di cinque o dieci anni, il fisico ne usciva fortemente debilitato, molte contraevano la tubercolosi durante la gravidanza o l’allattamento e i loro figli erano piccoli e deboli. Molte 77
ragazzine sotto i 13 anni soffrivano di osteomalacia a causa delle gravidanze, alcune arrivavano anche ad una settimana di travaglio, molte altre ne morivano. Furono riscontrati anche frequenti casi di eclampsia.
Uno dei casi più gravi fu quello riportato dal dottor E. A. Douglas, che lavorava al
Kinnaird Memorial Hospital, Lucknow:
Vidi una ragazzina di 12 anni la cui vulva e vagina erano state brutalmente mutilate e che aveva perso la ragione tanto da divenire quasi demente.
La sorella l’aveva portata via con la forza dalla casa del marito, oltre ad avere la gonorrea, la vulva le brulicava di larve. Il marito rivendicò poi i suoi diritti maritali e gli furono concessi.
[…]
Le madri sotto i quindici anni sono molto più difficili da curare rispetto alle più adulte. 78
Un altro caso emblematico fu quello raccontato dalla dottoressa Edith Ghosh, Calcutta, la quale racconta la vicenda di una ragazza di 22 anni alla sua ottava gravidanza. Alla fine della gravidanza precedente la dottoressa le aveva raccomandato di non avere più figli, visto che continuando cosi non si sarebbe più rimessa. Alla raccomandazione la ragazza le rispose:
«
É inutile vivere, perché la maternità arriva ogni anno».
Alla ragazza non interessava più vivere, infatti pochi mesi dopo morì di inanizione. La dottoressa aggiunse anche che le ingiurie fisiche delle gravidanze ripetute su un corpo prematuro, nulla erano a confronto dello shockEra ammessa la poligamia.
75
Rathbone, op. cit., p. 49.
76
Ivi, p. 28.
77
Ivi, p. 29.
mentale che ne derivava. Sconcertante fu anche la sua dichiarazione riguardo al 79
caso di un settantacinquenne sposato con una tredicenne. L’uomo, molto ricco e conosciuto a Calcutta, aveva avuto altre due o tre mogli bambine, tutte morte poco dopo il matrimonio. 80
Fino ad ora sono stati considerati casi di parti in ospedale, misura estrema alle quali ricorrevano le famiglie, la memoria dei quali ci è pervenuta grazie principalmente alle testimonianze dei medici che vi lavoravano. La normalità consisteva però nel parto in casa, in condizioni igienico sanitarie deplorevoli. Le ragazze erano confinate in una stanza con la porta chiusa e le finestre serrate, senza alcun tipo di ventilazione e senza la luce del giorno. Non vi erano camini o focolari nelle case indiane, c’era solo un piccolo fuoco in un Angethi e una piccola candela tenuti accesi giorno e notte per allontanare gli spiriti maligni. Ad aiutare le ragazze, e a completare l’orrore, c’erano delle specie di levatici della classe medio bassa provenienti dall’intoccabile casta dei
Chamar o dei Dosad. Queste avevano unghie lunghe e sporche, le mani piene di
anelli e usavano tagliare i cordoni ombelicali servendosi di lamette da bagno arrugginite. Esse applicavano inoltre impacchi caldi sul corpo delle sventurate e facevano bere loro dei decotti di verdure e frutta secca per periodi dalle tre settimane ai quaranta giorni. Durante tale periodo il bambino non veniva mai portato fuori dalla stanza, per paura del malocchio, della strega del villaggio e degli spiriti maligni. In molti casi era vietata anche la presenza della madre della partoriente.
Non è difficile immaginare con che facilità e frequenza la situazione evolvesse in episodi di sepsi, febbre/sepsi puerperale, tetano infantile ed altre malattie che trovavano un ambiente più che adatto per proliferare. 81
Ibidem.
79
Ivi, p. 30.
80
Rathbone, op. cit., p.39.