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Povertà e disuguaglianza spesso vengono trattate separatamente, ma in realtà risultano essere collegate tra loro, "Di tutte le tendenze dannose per una disciplina economica sensata, la più seducente e, secondo me, la più velenosa è quella di concentrarsi sulle questioni distributive […]" Lucas, 2003 premio Nobel per l’economia, egli puntava esclusivamente sulla crescita, la quale a sua volta, fa crescere anche il reddito dei poveri e quindi riduce la povertà, principio ben rappresentato dalla metafora secondo cui "la marea che sale fa salire tutte le barche". La storia recente si è incaricata di smentire l'ottimismo di Lucas e dei tanti economisti, sottolineando il nesso tra disuguaglianza e povertà, vari studi recenti di origine Imf (International Monetary Fund) e Ocse mostrano come la stessa crescita economica è influenzata negativamente dalla disuguaglianza. Ogni aumento della disuguaglianza nei redditi equivalenti riduce la crescita economica e quindi la possibilità di combattere la povertà tramite la crescita.

Negli ultimi trent’anni più di un miliardo di persone è uscito da una condizione di povertà estrema. Tuttavia, nonostante la produzione economica mondiale sia più che triplicata dal 1990, nello stesso periodo la percentuale di reddito della metà più povera dell’umanità è rimasta pressoché invariata, il progresso economico è compromesso dalle disuguaglianze. All’interno e fra i diversi Paesi le disuguaglianze derivanti da reddito, età, genere, etnia, disabilità, orientamento sessuale, posizione geografica, classe sociale e religione, continuano ad esistere condizionando opportunità, parità di accesso ecc. queste disparità in alcune parti del mondo stanno divenendo sempre più evidenti. Nel 1992 il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo pubblicò un grafico raffigurante la distribuzione globale del reddito, la forma che ne risultò era a “coppa di champagne”, tale

41 grafico divenne il simbolo facilmente riconoscibile del divario tra ricchi e poveri. Nel 2004 il grafico aveva la medesima forma, riportata in Figura 3.

Figura 2 Distribuzione globale del reddito nel 2004 - Fonte: T. McDonald “The Global Human Right to Health” (2007, p. 52)

A distanza di quasi trent’anni, la percentuale di reddito che percepisce il 20% più povero della popolazione rimane sotto il 2%, mentre è cresciuta dal 18% (nel 1990) al 22% (nel 2016) la quota che percepisce l’1% più ricco, la cui soglia di appartenenza è circa di 32.000 dollari. Dalla crisi finanziaria globale del 2008, il numero di miliardari nel mondo è più che raddoppiato. Secondo il Credit Suisse, l’82% della ricchezza creata nel 2018 è andata all’1% più ricco, mentre non ne ha beneficiato la parte più povera dell’umanità; l’aumento della disparità di reddito e ricchezza è dovuto a diversi fattori quali i salari fermi e la diminuzione della quota del reddito da lavoro, il graduale calo dello stato di benessere nelle economie sviluppate, l’inadeguata previdenza sociale nei Paesi in via di sviluppo, le modifiche alla tassazione, la deregolamentazione finanziaria, il rapido cambiamento tecnologico, l’automazione, ecc. un fattore molto importante è dato dalla posizione geografica, negli ultimi anni la disuguaglianza in America Latina e nei Caraibi è diminuita in modo considerevole, nonostante i livelli rimangano alti, mentre in molte economie industriali avanzate è aumentata leggermente rispetto ai bassi livelli iniziali. Alcuni Paesi dell’Est Europa hanno assistito a un aumento notevole dell’ineguaglianza, mentre in Africa e in Asia

42 l’andamento è stato più vario, con forti somiglianze tra economie emergenti e tra aree rurali o urbane. Nel complesso, più di due terzi della popolazione mondiale sta sperimentando l’aumento del reddito e la disparità di ricchezza, fenomeni che purtroppo tendono a compromettere ogni prospettiva di sviluppo sostenibile. Esistono anche disuguaglianze all’interno di comunità e famiglie, infatti fino a un 30% della disparità di reddito deriva dalle disuguaglianze nei nuclei familiari. Nonostante le disuguaglianze di genere si siano ridotte notevolmente, come si può vedere per quanto concerne il fatto che il divario retributivo di genere è diminuito negli ultimi vent’anni, le donne sono ancora soggette a un diverso trattamento economico, legale, politico e sociale; inoltre, una porzione considerevole, circa la metà della parte più povera del mondo, è costituita da bambini. Occorre sottolineare che la disuguaglianza non influisce solo sul poter di acquisto di ciascun soggetto, infatti i suoi effetti influiscono sull’aspettativa di vita delle persone e sull’accesso ai servizi di base come assistenza sanitaria, istruzione, acqua e servizi igienico-sanitari inoltre un elevato livello di disparità non incentiva la formazione personale, al contrario, blocca la mobilità economica e sociale e lo sviluppo umano e, di conseguenza, frena la crescita economica creando così un aumento dell’incertezza, della vulnerabilità e dell’insicurezza, infine compromette la fiducia nelle istituzioni e nel governo aumentando i dissensi e le tensioni sociali provocando violenze e conflitti.

Per capire come si misura la disuguaglianza occorre costruire un indice di disuguaglianza e soprattutto, occorre capire come scegliere l’indice ritenuto ottimale; la ricerca ha previsto essenzialmente tre strade: un approccio statistico, un approccio del benessere sociale ed infine un approccio assiomatico. L’approccio statistico rientra nelle misure che hanno trovato frequente applicazione anche nello studio del grado di concentrazione di variabili diverse dal reddito, oltre che per l’analisi della diseguaglianza economica. Le misure del benessere sociale sono anche note come misure normative, esse hanno un’impostazione esplicita in termini di funzioni del benessere sociale. Infine, l’idea di base fondamento dell’approccio degli assiomi è che per disporre di indicatori, occorre che essi abbiano delle determinate proprietà. Secondo gran parte degli studiosi, come per la misura della povertà, un indice di disuguaglianza dovrebbe avere i seguenti assiomi:

43 - Simmetria: secondo cui l’indice deve essere insensibile alle permutazioni del

vettore dei redditi;

- Indipendenza dalla media: o indipendenza di scala, secondo tale assioma se tutti i redditi vengono moltiplicati per una costante, l’indice non cambia, quindi si assicura che l’indice dipenda dalle differenze relative e non da quelle assolute;

- Indipendenza dalla popolazione;

- Principio del trasferimento: o di Pigou-Dalton12, secondo cui il valore

dell’indice si riduce in seguito ad un trasferimento progressivo, che non modifica l’ordinamento dei soggetti;

- Scomponibilità per gruppi: secondo cui l’indice è scomponibile per determinati gruppi, se può essere espresso come una somma ponderata di valori che l’indice assume in ciascun sottogruppo. La diseguaglianza può essere all’interno dei gruppi (within groups) dipendendo dalla dispersione delle risorse all’interno di ciascuno dei gruppi oppure tra gruppi (between

groups) riflettendo solo le distanze tra i redditi medi dei gruppi.

Tra i principali indici di disuguaglianza troviamo la varianza, la quale misura la media degli scarti dalla media elevati al quadrato, tale indice soddisfa la simmetria, l’indipendenza dalla popolazione, il principio del trasferimento e la scomponibilità per gruppi ma non soddisfa l’indipendenza dalla media. Il coefficiente di variazione dato dal rapporto tra lo scarto quadratico medio e la media, rispetta gli assiomi di simmetria, di indipendenza dalla popolazione, il principio del trasferimento. La varianza dei logaritmi, risulta essere una misura molto diffusa della disuguaglianza, tale indice soddisfa la proprietà di simmetria, l’indipendenza dalla media e l’indipendenza dalla popolazione, ha però lo svantaggio di non rispettare il principio del trasferimento. Abbiamo poi la curva di Lorenz che incorpora gli assiomi di simmetria, indipendenza dalla popolazione e dalla media ed il principio del trasferimento. Infine abbiamo l’indice di Gini, tale indice risulta essere la misura della disuguaglianza più popolare, proposta dallo statistico italiano Corrado Gini (1912), questo indice misura la diseguaglianza in rapporto a una ipotetica distribuzione del reddito perfettamente egualitaria e soddisfa le proprietà di simmetria, di indipendenza dalla media e

44 dalla popolazione ed il principio del trasferimento; in Figura 4 possiamo osservare il coefficiente di Gini e la curva di Lorenz per la distribuzione del reddito.

Figura 3 Il coefficiente di Gini e la curva di Lorenz per la distribuzione del reddito

Dopo aver analizzato su che base viene misurata la disuguaglianza occorre fare anche una distinzione tra disuguaglianza sociale e disuguaglianza economica, partendo dal concetto di disuguaglianza sociale, si può affermare che tale fenomeno nella società moderna sta assumendo una pluralità di dimensioni che si intersecano con vari elementi, i quali, descrivono la disuguaglianza economica. Provando ad analizzare i concetti chiave della disuguaglianza sociale troviamo delle caratteristiche intrinseche quali:

- La stratificazione sociale: tale concetto è stato usato per mostrare come la società si sia organizzata in un sistema di disuguaglianze strutturate tra i vari gruppi sociali, la società sarebbe quindi costituita da strati ordinati gerarchicamente nei quali troveremo i più privilegiati al vertice ed i meno privilegiati alla base. (Giddens 2006). La stratificazione sociale risulta inoltre essere determinata da alcuni fattori quali l’età, le risorse economiche, l’appartenenza religiosa, il potere, il genere ed il prestigio;

- La vulnerabilità sociale: è un concetto utilizzato recentemente per descrivere le trasformazioni in atto che determinano un senso di instabilità che colpisce

45 determinati ceti sociali, tale concetto introduce una nuova dimensione della disuguaglianza sociale che si sviluppa trasversalmente alla stratificazione sociale, comprende l’instabilità reddituale, la crescita dei lavori temporanei, le difficoltà di conciliazione tra cura e lavoro, tutti aspetti che caratterizzano tutti gli strati sociali portando ad un aumento della vulnerabilità sociale di tutti i ceti (Ranci, 2007);

- La disuguaglianza di genere: essa è una delle dimensioni del fenomeno in oggetto più accentuate al mondo, l’Italia si caratterizza per evidenti differenze tra uomini e donne per molteplici aspetti della vita economia e sociale tra cui il lavoro, la retribuzione, le carriere, l’istruzione, la salute e la politica come precedentemente accennato questo fenomeno risulta essere decisamente in calo rispetto al ventennio precedente;

- La disuguaglianza di mobilità sociale: tale disuguaglianza è determinata dal rallentamento della mobilità economica tra le generazioni e da un’ereditarietà delle condizioni di povertà, quando la disuguaglianza cresce la mobilità intergenerazionale tende a ridursi;

- La disuguaglianza nell’acceso all’istruzione e alla formazione professionale: la variabilità nella opportunità di accesso all’istruzione degli individui risulta essere un fattore importante nel determinare disuguaglianza economica, i livelli di istruzione elevati, specialmente in presenza di una forte domanda di lavoratori qualificati, portano a salari alti per coloro che li raggiungono, invece coloro che non possono permettersi un’istruzione, o coloro che scelgono di non perseguire livelli più elevati di studio, tendono a ricevere compensi più ridotti;

- La disuguaglianza nell’accesso al welfare: le politiche di welfare da sempre considerate uno strumento privilegiato per ridurre le disuguaglianze prodotte dalle origini sociali e dalla partecipazione al mercato del lavoro, non sembrano più essere capaci di assolvere a questo compito, in Italia un’analisi dell’articolazione delle competenze dello Stato e degli enti locali mostra infatti la debolezza dell’impianto istituzionale dei diritti sociali e come i diversi sistemi di welfare di fatto finiscano per consolidare alcune dimensioni caratteristiche della disuguaglianza (Benassi, 2012);

46 - La disuguaglianza generazionale: essa è caratterizzata da salari bassi, un livello basso di sicurezza del posto di lavoro, elevati tassi di disoccupazione, tassi di occupazione bassi, mancanza di diritti sociali e difficoltà nel trovare alloggi;

- Il divario digitale: infine troviamo questo concetto con il quale si indica una forma di disuguaglianza che riguarda l’accesso alle nuove tecnologie della comunicazione, e in particolare ad Internet, infatti pur vivendo tutti in una realtà che va di pari passo alla tecnologia, non tutte le famiglie hanno a disposizione mezzi adeguati per usufruire di tale tecnologia (Sartori, 2006).

Le disuguaglianze economiche derivano anch’esse da processi complessi, che possono essere osservati da prospettive diverse e nei quali operano molteplici fattori quali il reddito disponibile, le condizioni contrattuali, la durata dell’impiego, la frequenza dei periodi di disoccupazione, il livello dei consumi, i patrimoni, le rendite, i redditi da lavoro dei componenti del nucleo familiare. Analizzando alcune caratteristiche di tale disuguaglianze troviamo:

- La disparità nella distribuzione della ricchezza e del reddito tra gli individui

di una stessa popolazione: negli anni tra il 1980 e il 2002 la diseguaglianza

tra paesi è cresciuta impetuosamente per poi diminuire leggermente per effetto della crescita dei Paesi emergenti e della Cina, abbiamo contemporaneamente assistito al fenomeno della crescita del divario non solo tra i paesi, ma all’interno degli stessi, quest’ultimo è diventato il fenomeno principale dell’ultimo decennio il quale ha mostrato un’inedita geografia della povertà e della diseguaglianza;

-

Il differenziale retributivo: ossia la disuguaglianza nei redditi da lavoro, essa

è un’importante componente della disuguaglianza nei redditi disponibili, dipende da quest’ultima in modo diretto la disuguaglianza nelle condizioni di vita. Nei paesi avanzati l’aumento nella disuguaglianza dei redditi da lavoro si è accompagnata alla tendenza della disuguaglianza nei redditi disponibili a crescere nella quasi totalità dei casi, in questo senso l’aumento dei lavoratori poveri, sia in Italia che in Europa, è emblematico;

47 - Lo studio delle carriere lavorative: esso ha mostrato come le opportunità di mobilità verso l’alto non siano particolarmente elevate nel nostro paese e che la modalità con cui un soggetto entra a far parte del mercato del lavoro hanno spesso un forte impatto sulle successive opportunità di carriera;

-

Le diseguaglianze economiche collegate alle scelte politiche: secondo tale

caratteristica le disuguagliane e le opportunità presenti nei determinati Stati del mondo ed il fatto che queste ultime possano aumentare o diminuire, non deriva dal fatto che le leggi economiche oppure i mercati funzionano in modo eterogeneo, ma bensì esse dipendono essenzialmente dalla cornice istituzionale, legale e sociale che contribuisce a favorire o contrastare la disuguaglianza.

Per concludere si sottolinea il fatto che le disuguaglianze economiche hanno notevoli conseguenze sull’intera società, tra queste ricordiamo l’aumento della vulnerabilità e l’esclusione sociale, inoltre la crescita nelle differenze di reddito fra i più ricchi e i più poveri non è solo iniqua ma fa perdere diversi punti percentuali al Pil di ogni Paese, questo emerge dallo studio “Focus On Inequality And Growth” che ha analizzato la correlazione fra aumento nelle disuguaglianze sociali e frenata della crescita economica in 21 paesi aderenti all’OCSE, fra cui l’Italia (OECD 2014, "Focus on Inequality and Growth - December 2014”). Infine, le disuguaglianze incidono notevolmente anche sulla propensione al consumo.

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3.4 Definizione degli indicatori specifici con riferimento ai target del

Goal 1

Il tasso di povertà estrema ha mostrato un drastico calo nell’ultimo ventennio: nel 2013 era un terzo del valore del 1990. Il dato globale, riferito al 2013, stima che l’11% della popolazione mondiale, 783 milioni di persone, vivano al di sotto della soglia di povertà estrema di 1,90$ al giorno, non riuscendo a soddisfare i bisogni più elementari, come l’alimentazione, la salute, l’istruzione, l’accesso all’acqua e ai servizi igienici. La proporzione nel mondo di lavoratori che vivono con meno di 1,90$13 a persona al giorno è

diminuita significativamente negli ultimi due decenni, passando dal 26,9% nel 2000 al 9,2% nel 2017. Nel 2015, con la firma dell’Agenda 2030, i governi si sono impegnati a porre fine alla povertà nei successivi 15 anni, in modo che tutte le persone, ovunque nel mondo, possano godere di uno standard di vita adeguato. Per consentire alle persone di uscire dalla condizione di povertà è necessario garantire la parità di diritti, l’accesso alle risorse economiche e naturali, a quelle tecnologiche, alla proprietà ed ai servizi di base. È necessario, inoltre, garantire tutti gli aiuti necessari alle comunità colpite da disastri legati al clima.14

Il tema del Goal 1 ha appunto come obiettivo quello di porre fine ad ogni forma di povertà, in tutte le sue manifestazioni, comprese le più estreme, attraverso diverse strategie interconnesse, si pone inoltre l’intento di assicurare alle persone in ogni parte del mondo il sostegno di cui hanno bisogno, anche attraverso la promozione di sistemi di protezione sociale.

Il Goal 1 è declinato in sette target, gli ultimi due dei quali sono riferiti agli strumenti di attuazione:

I. “Entro il 2030, eliminare completamente in tutto il mondo la povertà estrema,

attualmente misurata come numero di persone che vivono con meno di 1,25$ al giorno”;

13 La linea di povertà internazionale è stata alzata nell’ottobre 2015 a 1,90$ giornalieri pro-capite, a parità di

potere d’acquisto (PPP), rispetto agli originari 1,25$.

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II. “Entro il 2030, ridurre almeno della metà la percentuale di uomini, donne e bambini di ogni età che vivono in povertà in tutte le sue dimensioni in base alle definizioni nazionali”;

III. “Applicare a livello nazionale sistemi e misure di protezione sociale adeguati per tutti, includendo i livelli minimi, ed entro il 2030 raggiungere la copertura sostanziale dei poveri e dei vulnerabili”;

IV. “Entro il 2030, assicurare che tutti gli uomini e le donne, in particolare i poveri e i vulnerabili, abbiano uguali diritti riguardo alle risorse economiche, accesso ai servizi di base, alla proprietà e al controllo sulla terra e ad altre forme di proprietà, eredità, risorse naturali, nuove tecnologie e servizi finanziari appropriati, tra cui la micro-finanza”;

V. “Entro il 2030, costruire la resilienza dei poveri e delle persone in situazioni vulnerabili e ridurre la loro esposizione e vulnerabilità ad eventi estremi legati al clima e ad altri shock e disastri economici, sociali e ambientali”;

VI. “Garantire una mobilitazione significativa di risorse da una varietà di fonti, anche attraverso il rafforzamento della cooperazione allo sviluppo, per fornire ai paesi in via di sviluppo, in particolare ai paesi meno sviluppati, mezzi adeguati e affidabili per attuare programmi e politiche che pongano fine alla povertà in tutte le sue dimensioni”;

VII. “Creare solidi quadri di riferimento politici a livello nazionale, regionale e internazionale, basati su strategie di sviluppo a favore dei poveri e attenti alla parità di genere, per sostenere investimenti accelerati nelle azioni di eliminazione radicale della povertà”.

Per avere la certezza che la comunità internazionale vada verso lo sviluppo sostenibile e che gli obiettivi vengano effettivamente attuati, è essenziale disporre di un meccanismo efficace di monitoraggio e di verifica. Quello istituito dall’Agenda 2030 prevede un sistema di controllo articolato su più livelli: globale, europeo e nazionale, il quale, svolge un ruolo fondamentale. A livello globale, il monitoraggio è garantito attraverso un elenco di 244 indicatori elaborati dal gruppo di esperti “Inter-Agency and Expert Group on SDG Indicators” (IAEG-SDGs), ogni Paese è tenuto a fornire dati per questo set di

50 indicatori. Ciascuno Stato viene infatti valutato annualmente in sede ONU attraverso l’attività dell’High-level Political Forum (HLPF), che ha il compito di valutare i progressi, i risultati e le sfide per tutti i Paesi, e dalle opinioni pubbliche nazionali e internazionali. Ogni quattro anni si svolge, inoltre, un dibattito sull’attuazione dell’Agenda 2030 in sede di Assemblea Generale dell’ONU, alla presenza di Capi di Stato e di Governo: la prima verifica di questo tipo è stata realizzata nel settembre 2019. A livello nazionale ogni Stato europeo sviluppa una propria strategia per lo sviluppo sostenibile, in Italia è stata istituita la Cabina di regia “Benessere Italia”, l’organo della Presidenza del Consiglio cui spetta il compito di “coordinare, monitorare, misurare e migliorare le politiche di tutti i Ministeri nel segno del benessere dei cittadini”. Un passo avanti per dotare l’Italia di una governance per l’Agenda 2030, uno strumento che permetterà al Governo di promuovere un benessere equo e sostenibile attraverso la definizione di nuovi approcci e nuove politiche. Sono cinque le macro aree in cui si sviluppano le sue linee programmatiche:

- Rigenerazione equo sostenibile dei territori; - Mobilità e coesione territoriale;

- Transizione energetica; - Qualità della vita; - Economia circolare.

Al fine di monitorare l’andamento per il raggiungimento degli obiettivi previsti dal Goal 1 dell’Agenda Onu 2030, si ricorre per ciascun target, all’individuazione di indicatori specifici sia a livello nazionale (Istat), sia a livello europeo (Eurostat), per i quali esistono dati statistici ufficiali, gli indicatori diffusi dall’Istat per il Goal 1 sono venticinque ma noi andremmo ad analizzare solo quelli per i quali è possibile trovare un riscontro anche a livello Europeo in modo da poter confrontare l’andamento dei differenti Stati Europei.

Primo target: “Entro il 2030, eliminare completamente in tutto il mondo la povertà

estrema, attualmente misurata come numero di persone che vivono con meno di 1,25$ al giorno”:

Rischio di povertà per gli occupati: l'indicatore misura la percentuale di persone dai 18 anni

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