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Indicatori statistici per il monitoraggio degli obiettivi di sviluppo sostenibile: Il Goal 1 dell'Agenda Onu 2030

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Scienze Politiche

Corso di Laurea Magistrale in Scienze delle Pubbliche Amministrazioni

Tesi di Laurea

Indicatori statistici per il monitoraggio degli obiettivi di sviluppo sostenibile:

Il Goal 1 dell’Agenda Onu 2030

Candidata Relatrice

Elisa Centofanti Chiar.ma Prof.ssa Barbara Pacini

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Desidero vivamente ringraziare i miei genitori, che mi hanno sempre sostenuto e senza i quali, tutto questo non sarebbe stato possibile; ringrazio la mia relatrice, la Professoressa Barbara Pacini per i confronti costruttivi, gli approfondimenti e per le conoscenze trasmesse durante tutto il percorso di stesura dell’elaborato oltre che per la sua infinita disponibilità mai venuta meno; ed infine desidero ringraziare tutte le persone, amici e colleghi di università che mi sono stati vicini in questo percorso non solo di studi bensì di crescita personale;

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Indice

1 Introduzione... 9

2 Agenda 2030 delle Nazioni Unite ... 10

2.1 Agenda Onu 2030 obiettivi e target ... 10

2.2 L’importanza degli indicatori statistici ... 18

3 Goal 1 dell’Agenda 2030: porre fine ad ogni forma di povertà nel mondo ... 22

3.1 La misura della povertà ... 22

3.2 L’impostazione assiomatica e gli indicatori di povertà ... 32

3.2.1 Povertà multidimensionale ... 35

3.3 La misura della disuguaglianza ... 40

3.5 Le politiche di contrasto alla povertà in Italia ed in Europa ... 55

4 Analisi dei dati ... 64

4.1 Descrizione delle fonti utilizzate ... 64

4.2 Analisi descrittiva ... 66

4.3 Modello di regressione lineare multipla ... 138

5 Conclusioni... 148

Bibliografia ... 153

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Indice Tabelle e Figure

 Tabella 1 Elenco degli indicatori SDG e degli indicatori diffusi dall’Istat – Fonte: Istat,

Rapporto SDGs 2019 ... 21

 Tabella 2 Stima di regressione Modello Pooled Stati europei variabile dipendente Grave deprivazione materiale (eccetto Croazia) 2006-2018 ... 139

 Tabella 3 Stima di regressione Modello Pooled Stati europei variabile dipendente Indice di Gini (eccetto Croazia) 2006-2018 ... 140

 Tabella 4 Stima di regressione Modello Pooled Stati europei variabile dipendente Rischio di povertà ed esclusione sociale (eccetto Croazia) 2006-2018 ... 141

 Tabella 5 Stima di regressione modello panel Stati europei variabile dipendente Grave deprivazione materiale (eccetto Croazia) 2006-2018 ... 143

 Tabella 6 Stima di regressione modello panel Stati europei variabile dipendente Indice di Gini (eccetto Croazia) 2006-2018 ... 145

 Tabella 7 Stima di regressione modello panel Stati europei variabile dipendente Rischio di povertà ed esclusione sociale (eccetto Croazia) 2006-2018 ... 146

 Figura 1 Goals Agenda Onu 2030 – Fonte Istat ... 10

 Figura 2 Distribuzione globale del reddito nel 2004 ... 41

 Figura 3 Il coefficiente di Gini e la curva di Lorenz per la distribuzione del reddito ... 44

 Figura 4 Percentuale rischio povertà per gli occupati negli Stati Europei dal 2006 al 201866  Figura 5 Percentuale rischio di povertà per gli occupati negli Stati Europei dal 2006 al 2018 ... 67

 Figura 6 Percentuale rischio di povertà per gli occupati degli Stati Europei con welfare social-democratico dal 2006 al 2018 ... 69

 Figura 7 Percentuale rischio di povertà per gli occupati degli Stati Europei con welfare corporativo dal 2006 al 2018 ... 70

 Figura 8 Percentuale rischio di povertà per gli occupati degli Stati Europei con welfare liberale dal 2006 al 2018 ... 72

 Figura 9 Percentuale rischio di povertà per gli occupati degli Stati Europei con welfare mediterraneo dal 2006 al 2018 ... 72

 Figura 10 Percentuale rischio di povertà per gli occupati degli Stati Europei con altri sistemi di welfare dal 2006 al 2018 ... 73

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 Figura 11 Percentuale rischio di povertà per gli occupati confronto tra i diversi sistemi di welfare negli Stati Europei dal 2006 al 2018 ... 75  Figura 12 Tasso di occupazione 20-64 anni Unione Europea 2020 ... 76  Figura 13 Percentuale rischio di povertà per gli occupati confronto in base al tasso di

occupazione negli Stati Europei dal 2006 al 2018 ... 77  Figura 14 Percentuale rischio di povertà per gli occupati in Italia dal 2004 al 2018 ... 78  Figura 15 Percentuale di persone a rischio povertà o esclusione sociale negli Stati Europei

dal 2006 al 2018 ... 79  Figura 16 Percentuale di persone a rischio povertà o esclusione sociale negli Stati Europei

dal 2006 al 2018 ... 81  Figura 17 Percentuale di persone a rischio povertà o esclusione sociale negli Stati Europei

con welfare social-democratico dal 2006 al 2018 ... 82  Figura 18 Percentuale di persone a rischio povertà o esclusione sociale negli Stati Europei

con welfare corporativo dal 2006 al 2018 ... 82  Figura 19 Percentuale di persone a rischio povertà o esclusione sociale negli Stati Europei

con welfare liberale dal 2006 al 2018 ... 84  Figura 20 Percentuale di persone a rischio povertà o esclusione sociale negli Stati Europei

con welfare mediterraneo dal 2006 al 2018 ... 84  Figura 21 Percentuale di persone a rischio povertà o esclusione sociale negli Stati Europei

con altri sistemi di welfare dal 2006 al 2018 ... 85  Figura 22 Percentuale di persone a rischio povertà o esclusione sociale confronto tra i

diversi sistemi di welfare negli Stati Europei dal 2006 al 2018 ... 87  Figura 23 Percentuale di persone a rischio povertà o esclusione sociale confronto in base al

tasso di occupazione negli Stati Europei dal 2006 al 2018 ... 88  Figura 24 Percentuale di persone a rischio povertà o esclusione sociale in Italia dal 2004 al

2018 ... 89  Figura 25 Percentuale di persone con grave deprivazione materiale negli Stati Europei dal

2004 al 2018 ... 90  Figura 26 Percentuale di persone con grave deprivazione materiale negli Stati Europei dal

2006 al 2018 ... 91  Figura 27 Percentuale di persone con grave deprivazione materiale negli Stati Europei con

welfare social-democratico dal 2006 al 2018 ... 92  Figura 28 Percentuale di persone con grave deprivazione materiale negli Stati Europei con

welfare corporativo dal 2006 al 2018 ... 92  Figura 29 Percentuale di persone con grave deprivazione materiale negli Stati Europei con

(6)

 Figura 30 Percentuale di persone con grave deprivazione materiale negli Stati Europei con welfare mediterraneo dal 2006 al 2018 ... 94  Figura 31 Percentuale di persone con grave deprivazione materiale negli Stati Europei con

altri sistemi di welfare dal 2006 al 2018 ... 95  Figura 32 Percentuale di persone con grave deprivazione materiale confronto tra i diversi

sistemi di welfare negli Stati Europei dal 2006 al 2018 ... 96  Figura 33 Percentuale di persone con grave deprivazione materiale confronto in base al

tasso di occupazione negli Stati Europei dal 2006 al 2018 ... 97  Figura 34 Percentuale di persone con grave deprivazione materiale in Italia dal 2004 al

2018 ... 99  Figura 35 Percentuale di persone a rischio povertà negli Stati Europei dal 2006 al 2018 100  Figura 36 Percentuale a rischio povertà negli Stati Europei dal 2006 al 2018 ... 101  Figura 37 Percentuale di persone a rischio povertà negli Stati Europei con welfare

social-democratico dal 2006 al 2018 ... 102  Figura 38 Percentuale di persone a rischio povertà negli Stati Europei con welfare

corporativo dal 2006 al 2018 ... 102  Figura 39 Percentuale di persone a rischio povertà negli Stati Europei con welfare liberale

dal 2006 al 2018 ... 104  Figura 40 Percentuale di persone a rischio povertà negli Stati Europei con welfare

mediterraneo dal 2006 al 2018 ... 104  Figura 41 Percentuale di persone a rischio povertà negli Stati Europei con altri sistemi di

welfare dal 2006 al 2018 ... 105  Figura 42 Percentuale di persone a rischio povertà confronto tra i diversi sistemi di welfare

negli Stati Europei dal 2006 al 2018 ... 107  Figura 43 Percentuale di persone a rischio povertà confronto in base al tasso di

occupazione negli Stati Europei dal 2006 al 2018 ... 108  Figura 44 Percentuale a rischio povertà in Italia dal 2004 al 2018 ... 109  Figura 45 Percentuale di popolazione di 16 anni e più che non ha effettuato cure mediche

di cui aveva bisogno negli Stati Europei dal 2008 al 2018 ... 110  Figura 46 Percentuale di popolazione di 16 anni e più che non ha effettuato cure mediche

di cui aveva bisogno negli Stati Europei dal 2008 al 2018 ... 111  Figura 47 Percentuale di popolazione di 16 anni e più che non ha effettuato cure mediche

di cui aveva bisogno negli Stati Europei con welfare social-democratico dal 2008 al 2018 ... 112  Figura 48 Percentuale di popolazione di 16 anni e più che non ha effettuato cure mediche

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 Figura 49 Percentuale di popolazione di 16 anni e più che non ha effettuato cure mediche di cui aveva bisogno negli Stati Europei con welfare liberale dal 2008 al 2018 ... 115  Figura 50 Percentuale di popolazione di 16 anni e più che non ha effettuato cure mediche

di cui aveva bisogno negli Stati Europei con welfare mediterraneo dal 2008 al 2018 ... 115  Figura 51 Percentuale di popolazione di 16 anni e più che non ha effettuato cure mediche

di cui aveva bisogno negli Stati Europei con altri sistemi di welfare dal 2008 al 2018 .... 116  Figura 52 Percentuale di popolazione di 16 anni e più che non ha effettuato cure mediche

di cui aveva bisogno confronto tra i diversi sistemi di welfare negli Stati Europei dal 2008 al 2018 ... 118  Figura 53 Percentuale di popolazione di 16 anni e più che non ha effettuato cure mediche

di cui aveva bisogno negli Stati Europei confronto in base al tasso di occupazione dal 2008 al 2018 ... 119  Figura 54 Percentuale di persone che non riescono a riscaldare adeguatamente la casa negli

Stati Europei dal 2008 al 2018 ... 121  Figura 55 Percentuale di persone che non riescono a riscaldare adeguatamente la casa negli

Stati Europei dal 2006 al 2018 ... 122  Figura 56 Percentuale di persone che non riescono a riscaldare adeguatamente la casa negli

Stati Europei con welfare social-democratico dal 2006 al 2018 ... 123  Figura 57 Percentuale di persone che non riescono a riscaldare adeguatamente la casa negli

Stati Europei con welfare corporativo dal 2006 al 2018 ... 123  Figura 58 Percentuale di persone che non riescono a riscaldare adeguatamente la casa negli

Stati Europei con welfare liberale dal 2006 al 2018 ... 125  Figura 59 Percentuale di persone che non riescono a riscaldare adeguatamente la casa negli

Stati Europei con welfare mediterraneo dal 2006 al 2018 ... 125  Figura 60 Percentuale di persone che non riescono a riscaldare adeguatamente la casa negli

Stati Europei con altri sistemi di welfare dal 2006 al 2018... 126  Figura 61 Percentuale di persone che non riescono a riscaldare adeguatamente la casa

confronto tra i diversi sistemi di welfare negli Stati Europei dal 2006 al 2018 ... 127  Figura 62 Percentuale di persone che non riescono a riscaldare adeguatamente la casa

confronto in base al tasso di occupazione negli Stati Europei dal 2008 al 2018... 128  Figura 63 Percentuale di persone che non riescono a riscaldare adeguatamente la casa in

Italia dal 2004 al 2018 ... 129  Figura 64 Percentuale di persone che vivono in abitazioni non idonee negli Stati Europei

dal 2007 al 2018 ... 130  Figura 65 Percentuale di persone che vivono in abitazioni non idonee negli Stati Europei

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 Figura 66 Percentuale di persone che vivono in abitazioni non idonee negli Stati Europei con welfare social-democratico dal 2006 al 2018 ... 132  Figura 67 Percentuale di persone che vivono in abitazioni non idonee negli Stati Europei

con welfare corporativo dal 2006 al 2018 ... 132  Figura 68 Percentuale di persone che vivono in abitazioni non idonee negli Stati Europei

con welfare liberale dal 2006 al 2018 ... 134  Figura 69 Percentuale di persone che vivono in abitazioni non idonee negli Stati Europei

con welfare mediterraneo dal 2006 al 2018 ... 134  Figura 70 Percentuale di persone che vivono in abitazioni non idonee negli Stati Europei

con altri sistemi di welfare dal 2006 al 2018 ... 135  Figura 71 Percentuale di persone che vivono in abitazioni non idonee confronto tra i diversi sistemi di welfare negli Stati Europei dal 2006 al 2018 ... 136  Figura 72 Percentuale di persone che vivono in abitazioni non idonee confronto in base al

tasso di occupazione negli Stati Europei dal 2006 al 2018 ... 137  Figura 73 Dashboard monitoraggio obiettivi Goal 1 – Fonte Eurostat ... 150  Figura 74 Andamento dei Goal dell’ultimo anno disponibile rispetto ai 10 anni precedenti – Fonte Istat ... 152

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1 Introduzione

Il lavoro di tesi ha per oggetto l’analisi del Goal 1 dell’Agenda Onu 2030, “Porre fine ad ogni forma di povertà nel mondo”; in particolare si pone l’attenzione sugli indicatori statistici per il monitoraggio del raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile ed attraverso la stima di due tipologie di modelli di regressione, avvenuta con l’ausilio del software statistico STATA 14: (Modello Pooled e Modello Panel a effetti fissi), si vuole capire in che modo per gli Stati europei le variabili: PIL pro-capite, tasso di occupazione e sistema di welfare (variabile qualitativa) siano correlate con una misura di povertà monetaria, una di deprivazione materiale e una di disuguaglianza.

Le motivazioni che mi hanno spinto ad affrontare questo tema sono molteplici, innanzitutto il fatto che si tratta di un tema attuale che riguarda tutti noi da vicino interessando il nostro presente ed il nostro futuro; ancora, perché credo sia interessante capire la relazione che intercorre tra le variabili esplicative e quelle dipendenti e quindi dedurre se stiamo andando o meno nella direzione corretta e cioè verso la realizzazione degli obiettivi prefissati dall’Agenda 2030. L’obiettivo di questo elaborato è proprio quello di condurre un’analisi riguardante gli indicatori statistici inerenti la povertà sia a livello europeo, sia a livello nazionale attraverso l’ausilio dei dati forniti rispettivamente da Eurostat ed OECD per l’Europa ed Istat per l’Italia e di confrontare, attraverso la costruzione di grafici, gli andamenti e le differenze che caratterizzano i vari Paesi europei ed a livello nazionale, l’Italia.

La tesi si articola in quattro capitoli, nel primo capitolo viene introdotta l’Agenda Onu 2030 attraverso la spiegazione del programma di azione; successivamente nel secondo capitolo viene analizzato il concetto di povertà e disuguaglianza a livello economico, sociale e multidimensionale, vengono poi spiegati uno ad uno gli indicatori specifici con riferimento ai target del Goal 1 e vengono poste in evidenza le politiche di contrasto alla povertà messe in atto sia a livello europeo che a livello nazionale. Il terzo capitolo riguarda invece l’analisi dei dati, attraverso la costruzione di grafici e dei modelli di regressione multipla. Infine, nell’ultimo capitolo, sono commentati i risultati ottenuti dall’elaborazione dei dati e viene tracciato il quadro evolutivo circa il raggiungimento degli obiettivi prefissati dal Goal 1 dell’Agenda Onu 2030.

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2 Agenda 2030 delle Nazioni Unite

In questo capitolo mi concentrerò sull’Agenda Onu 2030 e sul relativo programma d’azione attraverso l’analisi degli indicatori e degli obiettivi preposti alla trasformazione del pianeta, elencando e spiegando i vari Sustainable Development Goals, (SDGs) e sottolineando in che modo gli Stati rispondono a tale Agenda sia a livello globale, sia a livello europeo che nazionale. Il punto cardine riguarda lo sviluppo sostenibile, il quale consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri.

2.1 Agenda Onu 2030: obiettivi e target

L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU. Essa si compone di 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile - Sustainable Development Goals, (SDGs) - in un grande programma d’azione per un totale di 169 Target. I 17 Obiettivi (Goals) soni illustrato in Figura 1:

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11 L’Agenda 2030 si basa su cinque concetti chiave:

- Persone: eliminare fame e povertà in tutte le forme, garantire dignità e uguaglianza; - Prosperità: garantire vite prospere e piene in armonia con la natura;

- Pace: promuovere società pacifiche, giuste e inclusive;

- Partnership: implementare l’Agenda attraverso solide partnership;

- Pianeta: proteggere le risorse naturali e il clima del pianeta per le generazioni future.

Gli SDGs sono universali, rimandano infatti alla presenza di problemi che accomunano tutte le nazioni, per questo motivo, tutti i Paesi sono chiamati per dare il loro contributo alla sfida per portare il mondo su un sentiero sostenibile, senza più distinzione tra Paesi sviluppati, emergenti e in via di sviluppo. Questo sta a significare che ogni Paese deve impegnarsi nel definire una propria strategia di sviluppo sostenibile in modo da consentire il raggiungimento degli SDGs e nel rendicontare i propri risultati all'Onu. Inoltre all'interno di ciascun Paese serve un coinvolgimento decisivo di tutte le componenti della società, dalle imprese al settore pubblico, dalla società civile alle istituzioni filantropiche, dalle università e centri di ricerca agli operatori dell’informazione e della cultura. L’avvio ufficiale degli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile ha coinciso con l’inizio del 2016, e predispone la strada da percorrere nell’arco dei prossimi 15 anni: i Paesi, infatti, si sono impegnati a raggiungerli entro il 2030. Gli Obiettivi per lo Sviluppo danno seguito ai risultati degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals) che li hanno preceduti, e rappresentano obiettivi comuni su un insieme di questioni importanti per lo sviluppo, andando a descriverli in ordine troviamo (https://asvis.it/agenda-2030/):

1. Porre fine alla povertà in tutte le sue forme: questo primo Goal è quello su cui si concentra questo elaborato di tesi e mira ad eliminare la povertà in tutte le sue manifestazioni ed a garantire la protezione sociale per i poveri e i vulnerabili, mira inoltre ad aumentare l'accesso ai servizi di base ed a sostenere le persone danneggiate da catastrofi naturali, crisi economiche e sociali, questo Goal ha come obiettivo quello di assicurare alle persone in ogni parte del mondo il sostegno di cui hanno bisogno, anche attraverso la promozione di sistemi di protezione sociale, è, infatti,

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12 l’essenza stessa dello sviluppo sostenibile. Esso si declina in sette target, gli ultimi due dei quali sono riferiti agli strumenti di attuazione;

2. Sconfiggere la fame: tale obiettivo prevede di azzerare la fame, realizzare la sicurezza alimentare e migliorare la nutrizione, è quindi inteso a garantire all’intera umanità l’accesso a un’alimentazione sana e nutriente. Benché i problemi della fame e della sicurezza alimentare si concentrino nei Paesi in via di sviluppo, la strategia coinvolge tutti i paesi del mondo in uno sforzo di miglioramento degli aspetti quantitativi e qualitativi della nutrizione e di promozione dell’agricoltura sostenibile, concorrono diversi fattori per attuare tale strategia, come: un equo accesso alla terra e alla tecnologia, il buon funzionamento del mercato agricolo e le politiche di sostegno allo sviluppo rurale alla conservazione della diversità genetica vegetale e animale. Il Goal 2 si declina in otto target: due con riferimento alla nutrizione, tre alla produzione del cibo ed altri tre riguardanti le politiche agricole e gli strumenti di attuazione;

3. Salute e benessere: Il Goal 3 si pone l’obiettivo di garantire la salute e di promuovere il benessere per tutti e a tutte le età, tale obiettivo si focalizza su diversi ambiti di intervento: ridurre la mortalità materno-infantile, debellare le epidemie, contrastare sia le malattie trasmissibili, sia le malattie croniche, promuovendo benessere e salute mentale. Occorre sottolineare che nel tempo si sono fatti decisamente elevati progressi, testimoniati dal continuo aumento della speranza di vita e dai risultati ottenuti nella salute riproduttiva, materna e infantile. I requisiti necessari per questi avanzamenti, sono stati principalmente la diffusione di migliori condizioni igieniche e l’attenzione ai fattori ambientali. Alcuni dei target di questo Goal si riferiscono ai rischi e alle condizioni sanitarie di popolazioni nelle prime fasi della transizione sanitaria, dove la mortalità è ancora molto alta, in Italia, invece, ci sono pochi margini di miglioramento per la mortalità materna e le malattie trasmissibili, mentre le aree più rilevanti sono legate al nuovo contesto epidemiologico ambientale e all’invecchiamento della popolazione. Si fa particolare riferimento alla diffusione delle patologie croniche, all’accesso, alla prevenzione ed al contrasto agli stili di vita poco corretti nonché alla mortalità per incidenti stradali. Per riuscire a raggiungere tale obiettivo occorrono politiche mirate di tipo sanitario, attraverso il meccanismo di responsabilizzazione dei cittadini nel salvaguardare la propria salute ed anche di

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13 tipo non sanitario attraverso il contrasto delle disuguaglianze. Il Goal 3 è declinato in tredici target, di cui gli ultimi quattro riferiti agli strumenti di attuazione;

4. Istruzione di qualità: il Goal 4 si occupa del tema dell’istruzione di qualità, fattore rilevante per migliorare la vita delle persone e rendere attuabile uno sviluppo sostenibile. I target da monitorare riguardano diverse dimensioni: l’accesso per tutti all’istruzione di ogni ordine e grado come scuola dell’infanzia, primaria, secondaria e terziaria, la qualità dell’istruzione impartita, il possesso delle conoscenze e delle competenze per l’occupazione e per lo sviluppo sostenibile. L’eliminazione delle disparità di genere nell’istruzione e la parità di accesso per i più vulnerabili ed il monitoraggio delle strutture scolastiche, in modo che siano adatte alle esigenze di tutti. Negli ultimi anni, occorre sottolineare che il livello di alfabetizzazione è notevolmente migliorato ma risulta comunque necessario rafforzare ancora le azioni per ottenere risultati migliori. Tale Goal si articola in dieci target, tre dei quali riferiti agli strumenti di attuazione;

5. Raggiungere l’uguaglianza di genere: le donne e le ragazze continuano ad essere vittime di discriminazioni e violenza nonostante i progressi ottenuti nel mondo nella parità di genere e nell’empowerment, il Goal 5 si propone di eliminare ogni forma di discriminazione e violenza per tutte le donne, di tutte le età, così come ogni tipo di pratica dannosa, come i matrimoni precoci o forzati e le mutilazioni genitali. Tale Goal chiede per tutte le donne e le ragazze parità di diritti e di accesso alle risorse economiche, naturali e tecnologiche; la piena ed efficace partecipazione e la pari opportunità di leadership a tutti i livelli decisionali politici ed economici, così come il riconoscimento delle attività svolte a titolo gratuito per la cura della famiglia e per il lavoro domestico. Il Goal 5 è declinato in nove target, gli ultimi tre dei quali sono riferiti agli strumenti di attuazione;

6. Acqua pulita e servizi igienico sanitari: tale Goal ha come obiettivo quello di garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico sanitarie, il Goal 6 è focalizzato sulla disponibilità di acqua, risorsa vitale e indispensabile per tutte le forme di vita. Il pianeta possiede sufficiente acqua potabile, ma in numerose aree nel mondo, molte persone, soprattutto bambini, muoiono ancora per malattie dovute all’utilizzo di acqua non idonea al consumo umano, servizi sanitari insufficienti e livelli d’igiene inadeguati. Rendere l’acqua accessibile alla popolazione e agli ecosistemi è cruciale per garantire la loro

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14 sopravvivenza. Il problema della disponibilità di acqua e le previsioni per il futuro sono tutt’altro che favorevoli, l’Italia non è estranea al problema, dato dal fatto che in alcune zone del Paese troviamo una carenza d’acqua. A questo si aggiungono persistenti inefficienze della rete idrica, che causano, ancora oggi, sprechi e ingenti perdite di questo bene prezioso. La conservazione ed il buon uso dell’acqua consentono di limitare lo stress idrico, ovvero, non alterare ma preservare il naturale ripristino della risorsa. Il Goal 6 è declinato in otto target, gli ultimi due dei quali sono riferiti agli strumenti di attuazione;

7. Energia pulita ed accessibile: il Goal 7 ha come scopo quello di assicurare a tutti l’accesso a sistemi di energia economici, affidabili, sostenibili e moderni, tale scopo risulta avere particolare importanza per garantire inclusione ed equità nella fruizione delle risorse energetiche e per le positive ricadute che un utilizzo più efficiente e razionale di tali risorse, può avere sia sullo sviluppo economico e sociale, sia in termini di sostenibilità energetica sia in termini ambientali. La lotta al cambiamento climatico rappresenta una sfida a livello globale, che richiede in primo luogo, e in tempi rapidi, uno spostamento verso un’economia a basse emissioni di carbonio. È necessario che tale transizione sia equa all’insegna della solidarietà e della tutela dei diritti umani e dei lavoratori, così come richiesto dalla Convenzione-quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP-24) del dicembre 2018. Il Goal 7 è declinato in cinque target, di cui due riferiti agli strumenti di attuazione;

8. Lavoro dignitoso e crescita economica: il Goal 8 ha come proposito quello di promuovere una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, una occupazione piena e produttiva ed un lavoro dignitoso per tutti. Il Goal 8 è incentrato sulla promozione di un nuovo modello di sviluppo economico che possa unire la crescita e la salvaguardia ambientale, garantendo inclusione ed equità nella distribuzione delle risorse economiche e delle condizioni lavorative. La tematica del lavoro viene affrontata con riferimento all’obiettivo di assicurare la piena occupazione e un lavoro dignitoso per tutti, comprese le categorie a più elevato rischio di esclusione quali giovani, donne, persone con disabilità, migranti, ecc. assicurando quindi: equità nelle retribuzioni, migliorando le condizioni di sicurezza sui luoghi di lavoro ed eliminando ogni forma di sfruttamento del lavoro. Il Goal 8 è declinato in dodici target, di cui due riferiti agli strumenti di attuazione;

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15 9. Imprese, innovazione ed infrastrutture: il Goal 9 ha il fine di far sì che vengano costruite infrastrutture resilienti e di promuovere innovazione ed industrializzazione eque, responsabili e sostenibili. Si tratta di un obiettivo trasversale rispetto all’Agenda 2030 e propedeutico al raggiungimento di molti altri obiettivi di sostenibilità, infatti il potenziamento e l’ammodernamento delle infrastrutture è necessario a sostenere nel tempo l’erogazione di quei servizi quali sanità, istruzione, approvvigionamento energetico e idrico, sicurezza e giustizia, trasporti, gestione dei rifiuti, ecc. che favoriscono la crescita economica e il miglioramento del benessere sociale. Il Goal 9 è declinato in otto target, di cui gli ultimi tre riferiti agli strumenti di attuazione;

10. Ridurre le disuguaglianze: Il Goal 10 riguarda l’adeguamento delle politiche e degli strumenti legislativi per ridurre, in ogni paese le disparità basate sul reddito, sul sesso, l’età, la disabilità, la razza, la classe, l’etnia, la religione, lo status economico o di altra natura. Mira a migliorare la regolamentazione e il monitoraggio dei mercati finanziari e delle istituzioni, tale Goal affronta anche le disuguaglianze inerenti i vari Paesi incoraggiando l’assistenza allo sviluppo e gli investimenti diretti a favore delle nazioni più bisognose. La comunità internazionale e le nazioni più vulnerabili hanno fatto progressi significativi nel diminuire la povertà, tuttavia, persistono situazioni di forte disuguaglianza e grandi disparità di accesso alla sanità, all’istruzione e ad altri servizi. Il Goal 10 è declinato in dieci target, gli ultimi tre dei quali sono riferiti agli strumenti di attuazione;

11. Città e comunità sostenibili: il Goal 11 ha come obiettivo quello di rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili. Tale Goal si occupa quindi del tema della sostenibilità urbana, le città svolgono un ruolo essenziale per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile: la metà della popolazione mondiale e i tre quarti della popolazione europea vive in aree urbane, in tutti i paesi, e in misura maggiore nei paesi in via di sviluppo, si assiste a una crescente concentrazione della popolazione nelle aree urbane. Le città sono responsabili della maggiore quota di consumo energetico e di emissioni di carbonio, della crescente pressione sull’ambiente e delle connesse problematiche legate alla salute pubblica. Il Goal 11 è declinato in dieci target, tre dei quali riferiti agli strumenti di attuazione; 12. Consumo e produzione responsabili: il Goal 12 promuove modelli sostenibili di

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16 Less”, condizioni di sostenibilità di produzione e consumo possono essere raggiunte attraverso la transizione verso un modello di economia circolare, che “chiuda il ciclo” di produzione dei beni, attraverso il riutilizzo e il riciclo assicurando una crescita economica più coerente con la tutela dell’ambiente. Gli strumenti attraverso i quali è possibile tutelare beni e servizi eco-sistemici riducendo i carichi sull’ambiente in termini, sia di prelievi di risorse naturali, sia di cessioni sotto forma di gas climalteranti e di inquinanti atmosferici, del suolo e delle acque sono: una gestione sostenibile delle risorse naturali nelle attività di produzione e distribuzione, un consumo consapevole e l’implementazione di un efficiente ciclo dei rifiuti. Il Goal 12 si declina in undici target, gli ultimi tre si riferiscono agli strumenti di attuazione; 13. Lotta contro il cambiamento climatico: il Goal 13 ha come fine quello di adottare misure urgenti per combattere il cambiamento climatico e le sue conseguenze, a tal proposito si propone di adottare misure urgenti e di impatto sostanziale. La natura multidimensionale dei cambiamenti climatici che coinvolgono sia aspetti economici, sia aspetti sociali che ambientali, richiedono strategie di risposta sistemiche e integrate che investono con urgenza tutti i paesi. Proprio in questa direzione vanno la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e gli accordi a essa collegati quali: il Protocollo di Kyoto e gli Accordi di Parigi, questi ultimi, sanciti nel 2015, impegnano 195 Paesi a contenere l’aumento della temperatura media globale ed elaborare strategie di mitigazione e di adattamento, per difendersi dalle conseguenze. Il Goal 13 si declina in 5 target, due dei quali, riferiti agli strumenti di attuazione;

14. La vita sott’acqua: il Goal 14 prevede di conservare ed utilizzare gli oceani ed i mari in modo sostenibile, si prefigge infatti la conservazione degli oceani, dei mari e delle risorse marine, elementi fondamentali per la salute e la salvaguardia dell’intero pianeta. Oceani sani e produttivi preservano gli ecosistemi marini e costieri, garantendo ai paesi e alle popolazioni che si affacciano sul mare un’economia florida. La tutela del mare si basa sulla protezione e sulle azioni di recupero e di ripristino degli ecosistemi tramite il contrasto degli effetti negativi provocati dai processi di acidificazione, dall’inquinamento marino proveniente dalle attività terrestri e dalle pratiche di pesca distruttive. Il Goal 14 è declinato in dieci target, gli ultimi tre dei quali sono riferiti agli strumenti di attuazione;

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17 15. La vita sulla terra: il Goal 15 prevede di proteggere, ripristinare e favorire un uso sostenibile degli ecosistemi terrestri, gestire in modo sostenibile le foreste, combattere la desertificazione, arrestare e invertire il degrado del territorio e arrestare la perdita di biodiversità. La strategia per far sì che tale obiettivo possa essere raggiunto non può essere circoscritta ai superstiti ambienti naturali o alle grandi riserve della biosfera, ma deve investire l’intero pianeta. Il Goal 15 è declinato in dodici target;

16. Pace, giustizia ed istituzioni solide: il Goal 16 ha come obiettivo quello di promuovere società pacifiche e inclusive per uno sviluppo sostenibile, di rendere disponibile l’accesso alla giustizia per tutti e creare organismi efficaci, responsabili e inclusivi a tutti i livelli. Per il monitoraggio dell’obiettivo vengono considerate diverse misure che, nel complesso, danno conto del livello di sicurezza, giustizia, partecipazione e libertà del Paese. Il Goal 16 è declinato in dodici target, di cui gli ultimi due riferiti agli strumenti di attuazione;

17. Partnership per gli obiettivi: il Goal 17 ha come obiettivo quello di rafforzare i mezzi di attuazione e rinnovare il partenariato mondiale per lo sviluppo sostenibile, esso si incentra sul rafforzamento dei mezzi di attuazione dell’Agenda 2030 e rappresenta quindi un obiettivo con uno spiccato carattere trasversale rispetto ai vari Goal, che propongono invece, mezzi di attuazione specifici. La cooperazione, è dunque il principio insito nel concetto stesso di sostenibilità, quindi presupposto di base per l’attuazione dell’Agenda, che lo esplicita chiaramente: “Tutti i paesi e tutte le parti in causa, agendo in associazione collaborativa, attueranno questo programma” (Agenda Onu 2030). Il Goal 17 si declina in diciassette target, i quali si riferiscono a diversi ambiti entro i quali sviluppare la partnership globale come quello economico finanziario, tecnologico, commerciale, ecc.

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2.2 L’importanza degli indicatori statistici

Come abbiamo precedentemente indicato, l’Agenda Onu 2030, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, è costituita da 17 Obiettivi, i quali si declinano a loro volta in 169 sotto obiettivi facenti riferimento a diversi domini dello sviluppo relativi a tematiche di ordine ambientale, economico, istituzionale e sociale, tutti finalizzati a realizzare un progresso sostenibile. Lo United Nations Inter Agency Expert Group on SDGs (UN-IAEG-SDGs), creato dalla Commissione statistica delle Nazioni Unite e composto dagli Stati membri e che include agenzie regionali e internazionali, ha proposto una lista di 244 indicatori per il loro monitoraggio, i quali costituiscono il quadro di riferimento statistico a livello mondiale. La Commissione Statistica delle Nazioni Unite ha adottato un sistema di indicatori che vede al suo interno sia indicatori consolidati e disponibili per la gran parte dei paesi, sia indicatori che non sempre vengono correntemente prodotti e/o resi disponibili dalla statistica ufficiale. La comunità internazionale ha quindi la necessità di costruire un sistema informativo per il monitoraggio degli SDGs che, a prescindere dai risultati raggiunti sulle tematiche specifiche, devono essere dotati degli strumenti necessari all’osservazione dei fenomeni distintivi dello sviluppo sostenibile.

A livello globale, il ruolo centrale per il controllo dell’adozione dell’Agenda Onu 2030 e per il monitoraggio dei risultati delle politiche concretamente sviluppate è assegnato all’High-level Political Forum on Sustainable Development1 (HLPF), di cui fanno parte tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite. L’HLPF si riunisce ogni anno sotto il patrocinio del Comitato Economico e Sociale (ECOSOC) delle Nazioni Unite e nel suo ambito si valutano i progressi, i risultati e le sfide per tutti i Paesi. Ogni quattro anni si svolge la riunione che prevede la partecipazione di Capi di Stato e di Governo.

A livello europeo, invece, il controllo spetta alla Commissione Europea, la quale, sin dal 2016, ha assicurato il suo coinvolgimento nel percorso di attuazione dell’Agenda 2030. Il Consiglio ha inizialmente adottato le conclusioni relativamente al “A Sustainable European future: The EU response to the 2030 Agenda for Sustainable Development”, sollecitando la

1 HLPF è un organo sussidiario sia dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite che del Consiglio economico e

sociale delle Nazioni Unite responsabile della politica dell'intera organizzazione sullo sviluppo sostenibile. Adotta dichiarazioni negoziate, riesamina l'impegno e il progresso dell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Il Forum ha sostituito la Commissione sullo sviluppo sostenibile il 24 settembre 2013 e le sue riunioni sono aperte a tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite.

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19 Commissione ad effettuare un regolare controllo degli SDGs a livello europeo. Il monitoraggio spetta invece ad Eurostat, ufficio statistico dell’Unione Europea, il quale raccoglie ed elabora dati provenienti dagli Stati membri per il monitoraggio degli Sustainable Development Goals. Tali dati vengono raccolti nei diversi Rapporti di monitoraggio sugli SDGs dell’UE, attualmente tali Rapporti riguardano gli anni 2018, 2019 e 2020. Lo sviluppo sostenibile si configura, quindi, come uno degli obiettivi a lungo termine dell’Unione Europea, la quale, ha svolto un ruolo decisivo nella definizione dell’Agenda. Nel gennaio 2019 è stato presentato un documento di riflessione sull’Agenda 2030, dal titolo “Verso un’Europa sostenibile nel 2030”, nel quale è stato nuovamente confermato l’impegno dell’UE per il conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile sul piano sociale e ambientale e si è preparato il terreno per la strategia globale dell’UE per gli anni 2019-2024, indicando come priorità quella di “costruire un’Europa verde, equa, sociale e ad impatto climatico zero”.

In Italia, il coordinamento delle azioni e delle politiche per l’attuazione della strategia, cui concorrono politiche di competenza di numerosi Ministeri, è esercitato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri: per ciò che riguarda la dimensione interna, in raccordo con i Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e per ciò che riguarda la dimensione esterna in accordo con il Ministero degli affari esteri.

Al Ministero dell’economia e delle finanze è affidato invece il compito di raccordare l’attuazione della Strategia con i documenti di programmazione economico finanziaria, in particolare il Piano Nazionale di Riforma (PNR), oltre a quello che prevede di presentare al Parlamento le valutazioni relative agli Indicatori di Benessere Equo e Sostenibile. L’Istat, come gli altri istituti nazionali di statistica, ha il compito di costruire l’informazione statistica necessaria al monitoraggio dell’Agenda 2030 per il nostro Paese contribuendo, quindi, alla realizzazione di questo progetto globale. A partire dal dicembre 2016 l’Istat ha reso disponibili con cadenza semestrale gli indicatori per l’Italia sulla piattaforma informativa dedicata agli SDGs del proprio sito2. Inoltre l’Istat è chiamato dalla Commissione statistica delle Nazioni Unite a svolgere un ruolo attivo di coordinamento nazionale nella produzione

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20 degli indicatori per la misurazione dello sviluppo sostenibile e il monitoraggio dei suoi obiettivi.

L’Istituto periodicamente presenta un aggiornamento e un ampliamento delle disaggregazioni degli indicatori utili alla misurazione dello sviluppo sostenibile e al monitoraggio dei suoi obiettivi e pubblica ogni anno il Rapporto sugli SDGs, il quale evidenzia il progresso compiuto globalmente dalla Comunità Internazionale e, in particolare, dal nostro Paese; all’interno di tale rapporto si rendono disponibili, inoltre, diverse misure statistiche per il monitoraggio dei Sustainable Development Goals relative alle Regioni e alle Province autonome con riferimento all’ultimo anno disponibile. Attualmente i Rapporti Istat sugli Obiettivi di sviluppo sostenibile sono tre: Rapporto SDGs 2018, Rapporto SDGs 2019 e Rapporto SDGs 2020.

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Tabella 1 Elenco degli indicatori SDG e degli indicatori diffusi dall’Istat – Fonte: Istat, Rapporto SDGs 2019

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3 Goal 1 dell’Agenda 2030: porre fine ad ogni forma di

povertà nel mondo

In questo capitolo analizzerò il goal 1 dell’Agenda Onu 2030: “Porre fine ad ogni povertà nel mondo” inizialmente, nel primo paragrafo, attraverso una rassegna generale della letteratura e dei diversi approcci inerenti alla misura della povertà. Successivamente, nel secondo paragrafo, introdurrò l’identificazione e la definizione degli indicatori secondo l’impostazione assiomatica riportando una sintesi dell’ampia letteratura riguardante gli indici unidimensionali di povertà. Sempre nel secondo paragrafo, saranno trattati la povertà multidimensionale e gli approcci intrinsechi di quest’ultima. Per la stretta connessione con il fenomeno della povertà, una parte di questa rassegna è dedicata alla misura della disuguaglianza sia economica che sociale attraverso assiomi specifici ed indici quali l’Indice di Gini e la curva di Lorenz. Infine saranno analizzati gli indicatori statistici specifici per i target del Goal 1 e le politiche di contrasto alla povertà attivate in anni recenti sia a livello nazionale che a livello europeo.

3.1

La misura della povertà

Pensare al concetto di povertà significa sostanzialmente identificare situazioni che sono considerate inaccettabili, ingiuste ed inique, in una determinata società. Può apparire un concetto semplice e intuitivo, ma non è così, la povertà è facile da riconoscere ma al contempo non è facile fornire una definizione compiuta di tale nozione. Pensando alla povertà viene alla mente per prima cosa la scarsità dei mezzi di sussistenza e l’impossibilità di soddisfare i bisogni primari. La povertà è quindi, senza alcun dubbio, la mancanza di qualcosa di importante e, talvolta, di fondamentale nella vita di un individuo. Già agli inizi del ‘900 i termini della definizione di povertà andavano mano a mano mutandosi, le prime misure di assistenza ai poveri adottate dagli Stati europei risalgono al XVI secolo successivamente sono state poi raggruppate in un insieme organico di leggi, tutte di carattere repressivo-assistenziale.

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23 L’aspetto peculiare che caratterizza il problema della misura della povertà è che presuppone l’identificazione dei soggetti da considerare poveri; tale riconoscimento si basa tradizionalmente sulla fissazione di una “linea della povertà”, vale a dire una soglia che fa da confine tra chi è povero e chi non lo è. Come si può intuire il metodo di costruzione della linea di povertà assume un’importanza cruciale ai fini della misura della povertà e di conseguenza della valutazione dell’efficacia delle politiche pubbliche nel debellarla. L’analisi dei criteri di determinazione della linea della povertà richiede che si dia una definizione del concetto di povertà in modo schematico e sufficientemente generale in modo da poter essere compatibile con definizioni anche molto diverse di povertà, per tale motivo, supponiamo che essa coincida con uno stato di disagio economico tale da rendere l’individuo incapace di soddisfare un livello minimo di bisogni ritenuto socialmente accettabile. Tale soglia assume valori radicalmente diversi a seconda del Paese preso in considerazione: paesi sviluppati o paesi in via di sviluppo. La soglia di povertà rappresenta il valore monetario, a prezzi correnti, del paniere di beni e servizi considerati essenziali per ciascuna famiglia, definita in base all’età dei componenti, alla ripartizione geografica e alla tipologia del comune di residenza, una famiglia è assolutamente povera se sostiene una spesa mensile per consumi pari o inferiore a tale valore monetario. A tale riguardo la letteratura identifica tre approcci prevalenti (Baldini M., Toso S.,2004; Cervia, 2013; Istat, 2017):

- Povertà assoluta:

la nozione di povertà assoluta si basa sull’idea che sia possibile individuare un paniere di beni e servizi primari il cui consumo è ritenuto necessario per evitare di cadere in uno stato di privazione. Tale paniere può essere anche esprimibile in termini monetari in modo tale da determinare un livello assoluto di spesa, il cui mancato raggiungimento segnala una condizione di povertà. Tale criterio è noto anche come “budget standard approach”, si ispira a quest’ultimo anche il metodo dei minimi calorici, utilizzato da molteplici organizzazioni internazionali per lo studio delle economie sottosviluppate (Baldini e Toso, 2004). Per determinare la linea di povertà sulla base di questo metodo è necessario definire quali siano, in un dato contesto storico e sociale, i bisogni di base che un individuo deve soddisfare per vivere in modo decoroso. Si tratta di un’operazione difficile perché, nonostante il fatto che i criteri che determinano la linea di povertà assoluta si basano su

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24 conoscenze mediche in materia di nutrizione, e per tale motivo quindi hanno un carattere scientifico, in realtà le valutazioni degli esperti non risultano mai totalmente oggettive (basti pensare ai margini di arbitrarietà presenti nella determinazione delle quantità minime e nella stessa scelta dei beni primari da inserire nel paniere di riferimento). Inoltre, se la scelta del paniere di base dipende dalla specifica realtà socio-economica in cui si è inseriti, il concetto di povertà assoluta assume inevitabilmente un contenuto piuttosto relativo che avrà significati diversi da paese a paese. Un ulteriore aspetto problematico è dato dal fatto che, per come è determinata la soglia, la povertà assoluta tende a ridursi nel tempo in presenza di un aumento duraturo del reddito reale pro-capite e della spesa per consumi. Questo fenomeno nasce dal fatto che, una volta stimata la linea di povertà assoluta, viene poi rivalutata annualmente in proporzione al solo incremento del costo della vita e non anche in base alla variazione del valore reale dei consumi, detto ciò risulta quindi prevedibile che. nel medio-lungo periodo grazie all’avanzare del progresso tecnologico ed al miglioramento delle condizioni di vita della popolazione, tutti i poveri finiscano per oltrepassare la soglia. Nonostante questi inconvenienti si cerca ancora di quantificare l’estensione della povertà assoluta, sia perché anche nei paesi economicamente sviluppati rimane comunque una certa quota di persone affette da difficoltà nel raggiungere standard di vita minimali, sia perché nei paesi in via di sviluppo è decisamente opportuno fissare ancora oggi una linea di povertà sulla base della carenza di beni e servizi di base. A livello mondiale si nota che i paesi che privilegiano l’approccio assoluto alla povertà sono pochi, troviamo tale approccio in Canada, nel quale manca una misura ufficiale, ma si è comunque consolidato un approccio assoluto secondo cui una famiglia è povera se non riesce ad acquistare un paniere di beni e servizi necessari per soddisfare i bisogni di base (alimentari, abitazione ed abbigliamento); negli Stati Uniti, in cui negli anni 60 venne definita una linea di povertà unica per tutti gli stati costruita moltiplicando per tre il valore di un paniere di riferimento che però era composto solo da generi alimentari3. Questa linea è in uso ancora oggi anche se aggiornata per l’inflazione e possiamo notare che per una coppia senza figli la linea di povertà per il 2008 era pari al 14.417 dollari all’anno e 17.330 per una coppia con un figlio. Al lordo delle imposte dirette, una famiglia è considerata povera se ha un reddito inferiore alla soglia. In Italia la linea di povertà è di tipo relativo come in quasi tutti i paesi europei, ma da circa un

3 La moltiplicazione per tre è dovuta al fatto che la propensione media al consumo alimentare era stimata

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25 decennio, il nostro paese ha mostrato interesse per l’approccio assoluto, infatti, l’Istat ha iniziato ad elaborare statistiche sulla povertà assoluta in Italia inserendo una maggiore differenziazione delle soglie di povertà per caratteristiche familiari4. Per quanto riguarda i panieri dei beni e dei servizi, si sottolinea come i bisogni siano uguali in tutto il paese, ma non i prezzi dei beni e servizi necessari per soddisfarli, per questo motivo vengono proposte delle linee di povertà variabili in base alla ripartizione geografica ed alla dimensione del comune di residenza. Per l’Italia il paniere minimale è composto da generi alimentari, abitazione ed una quota residuale per abbigliamento trasporto ed altro; il paniere alimentare identifica, sulla base dei livelli di assunzione raccomandati dalla Società Italiana di nutrizione umana, qualità e quantità dei beni che assicurano un’adeguata alimentazione. La componente abitativa è composta dal costo che una famiglia dovrebbe sostenere per affittare un’abitazione con dimensioni adeguate e dal costo del consumo energetico minimo sulla base delle indicazioni fornite dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas. Infine, la componente residuale comprende le altre voci fino ad ora non citate che permettono ad un individuo di vivere in modo dignitoso. Otteniamo così un vettore di 342 linee di povertà incrociando 38 tipologie di famiglie con 3 aree geografiche e con 3 densità abitative, ad esempio per una famiglia composta da due adulti e due adolescenti, residente in un’area metropolitana nel 2005 la linea della povertà era la seguente5: 1.467 euro al mese nell’Italia settentrionale, 1.303 euro al Centro e 1.130 euro al Sud.

Per comprendere al meglio: “La stima della povertà assoluta diffusa dall'Istat definisce povera una famiglia con una spesa per consumi inferiore o uguale al valore monetario di un paniere di beni e servizi considerati essenziali per evitare gravi forme di esclusione sociale. Il valore monetario del paniere di povertà assoluta viene annualmente rivalutato alla luce della dinamica dei prezzi e confrontato con i livelli di spesa per consumi delle famiglie. Per sintetizzare l'informazione sui vari aspetti della povertà (diffusione, gravità) vengono calcolati due indici: il primo è la proporzione dei poveri (incidenza), cioè il rapporto tra il numero di famiglie (individui) in condizione di povertà e il numero di famiglie (individui)

4 Si tiene conto non solo del numero dei componenti, ma anche della loro età, e per la prima volta vengono

introdotte soglie diverse per le macro aree (Nord, Centro e Mezzogiorno) e per dimensione del comune di residenza: troviamo infatti aree metropolitane, grandi comuni e piccoli comuni.

5 Tale metodologia viene applicata ai dati dell’indagine sui consumi delle famiglie che Istat raccoglie ogni anno

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26 residenti; il secondo è il divario medio di povertà (intensità), che misura “quanto poveri sono i poveri”, cioè di quanto, in termini percentuali, la spesa media mensile delle famiglie povere è inferiore al valore monetario del paniere di povertà assoluta. A partire dall'anno 2014, la fonte dell'elaborazione è l'Indagine sulle spese delle famiglie, che ha sostituito l'indagine sui consumi delle famiglie. Le sostanziali modifiche introdotte hanno reso necessario ricostruire le serie storiche della povertà assoluta a partire dal 2005. I confronti temporali tra le stime del 2014 e quelle degli anni precedenti possono dunque essere effettuati esclusivamente con i dati ricostruiti in serie storica” (Istat, 2017).

- Povertà relativa:

la definizione classica di povertà relativa spesso viene associata ai contributi di sociologi contemporanei come W.G. Runciman6 o P. Townsend7, secondo quest’ultimo “Individui,

famiglie e gruppi della popolazione possono dirsi in povertà quando risultano carenti delle risorse necessarie a garantire la dieta alimentare, lo standard di vita, le comodità e la partecipazione alle attività sociali che si ritiene abituali, o almeno meritevoli di essere conseguite nella collettività cui si appartiene […]” (Townsend, 1979).

Gli elementi fondamentali di questo concetto risultano essere due:

Il primo è che la povertà non riguarda solo la sussistenza materiale, ma bensì anche la mancanza di risorse che siano esse culturali, di riconoscimento ecc. e che consentano all’individuo di partecipare alle condizioni di vita comuni. Si sottolinea quindi un concetto di povertà pluridimensionale, che, secondo alcuni approcci condivisi anche dal Programma

6 Walter Garrison Runciman (10 novembre 1934) è un importante sociologo storico britannico, nella sua opera

“Relative deprivation and social justice” (1966) analizza la storia sociale inglese a partire dal 1918 ed arriva a distingue la deprivazione egoistica, in cui l’individuo si sente deprivato a causa della propria posizione nel gruppo dalla deprivazione sociale o fraterna, tipica del contesto inter-gruppi, in cui, l’insoddisfazione scaturisce a causa dello status di gruppo di una persona rispetto ad altri gruppi nella società.

7 Peter Townsend (6 aprile 1928, Middlesbrough – 8 giugno 2009, Dursley) era un famoso sociologo

britannico, si dedicò allo studio della vita dei membri più poveri e portatori di handicap della società scrivendo ampiamente sull'economia della povertà. Durante gli anni '60, Townsend è stato membro del Consiglio per la formazione nel comitato di ricerca del lavoro sociale. Townsend è stato inoltre co-fondatore del “Child Poverty Action Group” nel 1965, del quale è stato presidente per 20 anni e presidente a vita dal 1989.

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27 delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP)8, dall’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) e dalla Banca Mondiale, valgono anche per la povertà assoluta.

Il secondo elemento è quello che attiene specificamente alla relatività, in quanto le condizioni di vita comuni risultano essere contestualizzate nel tempo e nello spazio; infatti, ciò che risulta essere comune in realtà può essere ben diverso da una società ad un'altra o da un dato periodo storico ad un altro. Basti pensare che nell’Italia degli anni ‘30 non avere il bagno in casa e in quella degli anni ‘50 non avere frigorifero o lavatrice, oppure avere la sola licenza elementare, come titolo di studio, indicavano una condizione economica modesta, ma non povera, al contrario oggi queste mancanze fanno tutte parte degli indicatori di povertà materiale. Quindi secondo l’impostazione di Townsend i metodi per derivare la soglia di povertà sono associati ad una qualche misura media o mediana della spesa o del reddito individuale o familiare, essere poveri in senso relativo corrisponde ad avere meno reddito o meno consumo di altri. Sia l’Unione Europea che l’OCSE impiegano da diversi anni un valore medio o mediano perché questo metodo risulta essere di facile intuizione ed al tempo stesso soddisfacente. Come per la povertà assoluta anche per la povertà relativa troviamo qualche inconveniente: infatti la povertà relativa nel commisurare la soglia della povertà al reddito medio, non tiene in considerazione il livello assoluto del reddito e non cambia se i redditi di tutti gli individui si muovono nella medesima percentuale, infatti, notiamo che la riduzione generale dei redditi lascia invariata la povertà relativa non valutando il peggioramento generale del tenore di vita. Un altro difetto potrebbe essere quello di confondere il concetto di povertà relativa con quello di disuguaglianza, per questo motivo è importante sottolineare che si è poveri se si sta sotto la media o la mediana nella distribuzione del reddito. Un ulteriore punto debole è che la povertà relativa può aumentare nella fase espansiva del ciclo economico e viceversa diminuire nella fase di contrazione, questo è quello che è accaduto nell’Italia degli anni ’80, in cui la percentuale di famiglie povere si è associata agli alti tassi di crescita del PIL ed anche nel 2002 con un andamento

inverso.

8 UNDP è un'organizzazione internazionale sorta il 1º gennaio 1966, in seguito alla risoluzione dell'Assemblea

generale delle Nazioni Unite (ONU) del 22 novembre 1965, dalla fusione del Programma ampliato di assistenza tecnica e del fondo speciale delle Nazioni Unite.

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28 Secondo Istat: “La stima della povertà relativa si basa sull'uso di una linea di povertà nota come International Standard of Poverty Line (ISPL) che definisce povera una famiglia di due componenti con una spesa per consumi inferiore o uguale alla spesa media per consumi pro-capite. Per definire le soglie di povertà relativa per famiglie di diversa ampiezza, si utilizzano coefficienti correttivi (scala di equivalenza Carbonaro) che tengono conto dei differenti bisogni e delle economie/diseconomie di scala, che è possibile realizzare al variare del numero dei componenti. Per sintetizzare l'informazione sui vari aspetti della povertà (diffusione, gravità) vengono calcolati due indici: il primo è la proporzione dei poveri (incidenza), cioè il rapporto tra il numero di famiglie (individui) in condizione di povertà e il numero di famiglie (individui) residenti; il secondo è il divario medio di povertà (intensità), che misura “quanto poveri sono i poveri”, cioè di quanto, in termini percentuali, la spesa media mensile delle famiglie povere è inferiore alla linea di povertà. Anche per la povertà relativa a partire dall'anno 2014, la fonte dell'elaborazione è l'Indagine sulle spese delle famiglie, che ha sostituito l'indagine sui consumi delle famiglie. Le sostanziali modifiche introdotte hanno reso necessario ricostruire le serie storiche della povertà relativa a partire dal 1997. I confronti temporali tra le stime del 2014 e quelle degli anni precedenti possono dunque essere effettuati esclusivamente con i dati ricostruiti in serie storica” (Istat, 2017).

- Povertà soggettiva:

il concetto di povertà soggettiva fissa il criterio nella valutazione soggettiva del grado di soddisfazione o insoddisfazione nei confronti delle proprie condizioni di vita, è un concetto trasversale che si pone in antitesi rispetto ai due tradizionali, tale concetto è stato approfondito sempre dal sociologo Peter Townsend, il quale distingue la “absolute poverty” e la “overall poverty”, con la prima si riferisce alla misurazione di aspetti per i quali non è necessario ricorrere al giudizio dell’intervistato, mentre con la seconda si è interessati a percepire i giudizi delle persone coinvolte.

Con la povertà soggettiva, si cerca di cogliere la percezione degli individui in merito all’adeguatezza del proprio reddito familiare per condurre una vita dignitosa, senza cioè privarsi del necessario, una delle peculiarità di questa metodologia è che essa nell’individuare i coefficienti di conversione da applicare ai redditi di famiglie diverse, offre

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29 anche un criterio di calcolo delle scale di equivalenza. Per poter costruire la linea della povertà secondo il criterio soggettivo, occorre avere a disposizione dati raccolti attraverso indagini campionarie relativi alla percezione che gli individui hanno in merito alle condizioni economiche delle rispettive famiglie. Nella valutazione influiscono diversi fattori, non tutti quantificabili in quanto fattori di tipo culturale, sociale, psicologico, quali lo stile di vita e le abitudini di consumo, la percezione del costo della vita, le aspettative ecc. Un approccio semplice consiste nell’utilizzare le risposte ad una domanda tipo la seguente: “In che modo riuscite ad arrivare a fine mese pensando al reddito della propria famiglia?” le risposte potrebbero essere organizzate in una scala di valori che potrebbe andare da “con grande difficoltà” a “molto facilmente”, quindi si potrebbero definire soggettivamente povere tutte le famiglie che hanno risposto di arrivare a fine mese con grande difficoltà o difficoltà. Si tratta chiaramente di un concetto di disagio più ampio di quelli tradizionalmente rilevati dalle statistiche ufficiali, i quali fanno riferimento alla povertà intesa in senso esclusivamente economico cioè come scarsità di risorse, per tale motivo, non deve stupire che la soglia di povertà soggettiva sia sensibilmente più elevata rispetto a quella relativa. Nel nostro paese l’incidenza della povertà soggettiva è più elevata nelle regioni del Mezzogiorno, rispetto al Centro ed al Nord, rispetto ai nuclei più numerosi è maggiormente percepita da single e coppie e tra le famiglie con redditi più bassi; inoltre, la percezione di svantaggio è maggiormente diffusa nei nuclei in cui il capofamiglia ha un basso livello di istruzione, oppure tra quelli dei disoccupati e delle casalinghe; per di più la povertà soggettiva riguarda maggiormente gli individui con contratto da dipendente a tempo determinato rispetto al contratto a tempo indeterminato e chi vive in affitto.

Accanto ai dati relativi all’Italia, per l’Europa, i dati ottenuti dall’indagine EU-SILC9 per il 2018 confermano una diffusione della povertà soggettiva maggiore tra i paesi mediterranei ed orientali e minore in quelli nordici, tale differenza è coerente con quanto

9 La European Union Statistics on Income and Living Conditions (EU-SILC) è uno strumento finalizzato alla

raccolta di micro-dati longitudinali e cross-sectional sul reddito, la povertà e l'esclusione sociale. Rappresenta la principale fonte di riferimento dell'Unione Europea per le statistiche comparative sulla distribuzione del reddito e dell'esclusione sociale a livello comunitario, in particolare nel contesto del "Programma d'azione comunitaria inteso ad incoraggiare la cooperazione tra gli Stati membri per combattere l'esclusione sociale" e per la produzione di indicatori strutturali sulla coesione sociale per la relazione annuale di primavera al Consiglio europeo. EU-SILC viene lanciato nel 2004 in 13 Stati membri (Belgio, Danimarca, Estonia, Grecia, Spagna, Francia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Austria, Portogallo, Finlandia e Svezia) oltre che in Norvegia e Islanda. Attualmente i dati sono disponibili per tutti i 27 Stati membri dell'Unione Europea.

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30 emerge dall’utilizzo degli indicatori di povertà tradizionali, nei paesi scandinavi, viceversa, l’incidenza risulta minima.

In questo quadro complesso e nella varietà degli approcci precedentemente delineati, occorre riuscire a superare la pura dimensione economica e riuscire ad integrarla con variabili capaci di inquadrare altri aspetti in grado di definire uno stato di deprivazione sociale e relazionale, lo standard di vita o benessere può essere valutato facendo ricorso a molte grandezze alternative. Il concetto di povertà economica viene spesso tradotto in due grandezze monetarie: il reddito o il consumo; il reddito può essere definito, in un dato intervallo temporale, come il flusso monetario proveniente da uno stock di ricchezza derivante dal capitale reale quali case, terreni e beni durevoli; finanziario derivante da azioni, depositi bancari ed obbligazioni e dal capitale umano. La definizione di reddito più generale che tiene meglio conto di tutte le componenti di reddito è quella classica proposta negli anni ’30 da Simons10 e nota come “Reddito in entrata”, secondo Simons, il reddito può essere

definito come la somma tra il valore di mercato dei diritti esercitati nel consumo e la variazione del valore dei diritti di proprietà tra l’inizio e la fine del periodo, il reddito che non viene consumato è per definizione risparmiato e quindi va ad aumentare lo stock di ricchezza posseduta (Baldini e Toso, 2009). Questa definizione risulta essere molto soddisfacente dal punto di vista teorico ma al tempo stesso difficile da stimare, ad ogni modo, il reddito si può rilevare attraverso fonti amministrative ed attraverso le dichiarazioni raccolte a fini fiscali caratterizzate dal fatto di avere come riferimento, un orizzonte temporale annuale che argina parzialmente l’effetto delle fluttuazioni temporali in un mercato del lavoro precario e più flessibile.

In alternativa al reddito, alcuni studi empirici utilizzano il consumo per constatare il benessere degli individui, questo perché in molti paesi in via di sviluppo è più facile avere informazioni sul consumo piuttosto che sul reddito, inoltre spesso il tenore di vita di molte persone in questi paesi dipende notevolmente dal consumo di beni autoprodotti al fronte dei quali non corrisponde la percezione di reddito. In realtà le indagini campionarie sui consumi non rilevano il consumo ma la spesa, cioè le uscite monetarie effettuate per qualsiasi attività di godimento di beni e servizi da parte degli individui, in un certo periodo di tempo; al

10 Herbert Alexander Simon (Milwaukee, 15 giugno 1916 – Pittsburgh, 9 febbraio 2001) è stato un economista,

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31 contrario del reddito i consumi risentono meno delle fluttuazioni perché le prospettive di reddito vengono riflesse nel medio-lungo periodo. I comportamenti di consumo vengono rilevati attraverso strumenti come il “diario degli acquisti” che un membro della famiglia campione deve compilare giornalmente per il periodo di tempo indicato, annotando le spese di casa in quel periodo. La variabile consumo, oltre a riflettere le opportunità della famiglia, porta alla luce anche le preferenze di quest’ultima tendendo a sovrastimare o sottostimare le sue reali disponibilità in ragione della maggiore o minore propensione al risparmio. Decidere se valutare il benessere economico in termini di reddito o di consumo non dipende solo dalle considerazioni di carattere teorico ma bensì dall’effettiva disponibilità e dal grado di affidabilità delle statistiche.

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3.2 L’impostazione assiomatica e gli indicatori di povertà

Dopo aver distinto le tre tipologie di povertà sorge il problema di misurare quest’ultima, gli indicatori proposti sono numerosi, tuttavia per identificare quelli più rilevanti occorre fissare a priori alcune proprietà ritenute “desiderabili” ed in seguito verificare se gli indicatori utilizzati possiedono o meno queste caratteristiche. Si tratta dell’impostazione assiomatica introdotta nello studio della povertà in un articolo di Sen11

(1976) il quale come vedremo successivamente ha fatto sì di innovare il tradizionale approccio statistico nello studio della povertà.

Tale metodologia prevede sei assiomi:

- Identificazione: (focus axiom) è il primo assioma che ha come obiettivo quello di canalizzare l’attenzione unicamente sulla popolazione povera anche conosciuto come “Indipendenza dai redditi dei ricchi”;

- Monotonicità: tale assioma pone il fatto che il livello di povertà di una determinata distribuzione deve necessariamente aumentare se il reddito di uno qualunque dei soggetti classificati come poveri diminuisce;

- Simmetria: anche nota come “anonimità”, tale assioma afferma che il valore dell’indice non deve variare rispetto a qualsiasi permutazione del vettore generico dei redditi che non ne modifichi la distribuzione di frequenza; secondo la simmetria, ai fini dell’individuazione della condizione di povero, conta solo il reddito del soggetto e non l’identità dello stesso;

- Indipendenza dalla popolazione;

- Principio del trasferimento: secondo questo assioma la povertà aumenta a seguito di un trasferimento di reddito ad un soggetto povero ad un qualsiasi altro soggetto con reddito superiore.

Individuati tali assiomi possiamo ora indicare gli indicatori che rispettano tali assiomi utilizzati per misurare la povertà, come primo indicatore troviamo “L’indice di diffusione” (headcount ratio), o anche noto come indice di incidenza, tale indice misura la povertà in

11 Amartya Kumar Sen (Santiniketan, 3 novembre 1933) è un economista, filosofo e accademico indiano,

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