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1. Utopie / Mitologie

1.3 Antche leggende milanesi

1.3.3 Mitologia di una fondazione

Quando nel 1947 fondai insieme con Paolo Grassi il Piccolo Teatro, penso oggi a distanza di vent'anni che non si tratò soltanto di un gesto teatrale, di una volontà di fare il teatro in un certo modo piutosto che in un altro.222

Come intuibile dalle descrizioni di Milano nella fase immediatamente successiva alla Liberazione,

la Milano del primo dopoguerra '45-'47 era cronaca. Cronaca della nascita fatcosissima di una capitale della cultura. Parallelamente al cammino delle forze democratche che avevano “depurato” lo stvale con le armi, s'era sviluppato un altro cammino che nel giro di pochi mesi aveva fato convergere proprio a Milano personalità, idee, speranze, ideologie di una multforme, anche se tut'ora confusa, “Italia libera”.

Un'Italia che doveva “recuperare”. Politcamente, umanamente e culturalmente.

E non è certo un caso che l'esperienza del Piccolo Teatro sia avvenuta a Milano, e non altrove:

[...] Se Roma assunse la sigla di capitale giuridica di questa libertà, Milano si assunse l'onore di capitale della cultura. Onere, sì, onere! Era infnitamente complesso riunire e assortre, confrontare e sceverare i diversi temi, motvi, appelli, le diversifcate personalità, le valanghe di cultura da recuperare: quelle valanghe che il fascismo aveva soltanto spazzato oltre il confne ma che, una volta abbatuto il regime, si erano riversate indiscriminatamente su di noi. Al mito accatvante di una nuova Carboneria occorreva far seguire la realtà di una società. Una società che non doveva nascondersi, non doveva mentre. Doveva fnalmente essere.223

Ed è un appello rivolto all'intera scena teatrale, e culturale, milanese:

La raccomandazione che vorrei fare è quella di esortare gli uomini di teatro a creare un teatro, prima singolarmente, poi colletvamente, perché un giorno possa nascere il teatro.224

Il Piccolo Teatro nasce soto questo segno. [...] Il fato che quel luogo [...] sia diventato il

222 Giorgio Strehler, in G. Vergani (a cura di), Per Paolo Grassi, cit.. Si trata di un frammento d'intervista presente in un flmato risalente alla seconda metà degli anni sessanta.

223 Giorgio Strehler, Il mio Piccolo così europeo, in «Arrivederci» delle Edizioni Alitalia, 1 aprile 1991, riportato in Giorgio Strehler, Nessuno è incolpevole: scrit politci e civili, Melampo, Milano 2007, pp. 143-144.

224 Giorgio Strehler, intervento al Convegno Nazionale del Teatro (Milano, 8-20 giugno 1948), prima giornata, seconda sessione. [Cfr. Alberto Bentoglio (a cura di), Milano, 1948: un convegno per il teatro: document,

simbolo della libertà stessa – libertà culturale per un'Europa unita, ma anche indissolubilmente legata alla cità che ne ha voluto la nascita e l'evoluzione – può bastare da solo a sotolineare il rapporto fra Milano e noi. Eppure so che non basta!225

Figlio di quella ritrovata libertà culturale volle essere

[…] un contnuo tentatvo di rompere la solitudine dell'uomo contemporaneo, per ricercare un'unità, non formale ma sostanziale, dialetca, tra noi teatrant, e costruire, prima tra noi, una colletvità teatrale, operante in afet e comprensioni umane, capacità espressive, talent ed esperienze comuni, su un fondo di metodo comune per proporla, afdata con estrema umiltà alle parole da dire, agli “altri” nella platea. Contnuo tentatvo di creare prima, per poi coinvolgerlo, un pubblico in un lavoro creatvo, di trasformare una semplice moltplicazione numerica in una colletvità. […] Dovevamo costruire un “luogo” per sperimentare tale programma, proprio dove talent e capacità più sicuri dei nostri avevano fallito, non solo per un cieco caso maligno, ma urtando contro complesse ragioni storiche e perfno di disponibilità di un popolo verso determinate forme d'arte, o ragioni nazionali: quelle che distnguono un'enttà umana nelle sue inconfondibili carateristche, quando essa si considera raccolta in un certo suo paesaggio, anche geografco, da un'altra enttà, altrove raccolta e con altre voci, altri bisogni interiori, altre possibilità di esprimersi. 226

E nella ricerca, nella creazione di tale “luogo”,

Milano era stata più ancora che una sede, un grembo fecondo, Milano non tardò ad eleggere il Piccolo a simbolo del suo spirito. Della sua “spiritualità” ma anche della sua concretezza culturale.

“La storia recente ha descrito la scoperta di questa sede con toni mitci, se non di più almeno pari

a quelli usat per la scintlla eletrica fata brillare da Alessandro Volta.”

227

Ma, come ogni leggenda,

anche quella del “Piccolo Teatro di Milano” subisce e gode il destno dell'imprecisione, della

molteplicità, della variazione sul tema. Il punto di partenza comune, tutavia, vede Paolo Grassi e

225 Giorgio Strehler, Il mio Piccolo così europeo, in «Arrivederci» delle Edizioni Alitalia, 1 aprile 1991, riportato in Giorgio Strehler, Nessuno è incolpevole: scrit politci e civili, Melampo, Milano 2007, pp. 143-144.

226 Giorgio Strehler in A. Lazzari e S. Morando (a cura di), Piccolo Teatro 1947-1958, Nicola Moneta Editore, Milano 1958, pp. 12-17.

Giorgio Strehler in via Rovello, in piedi davant al portone del Palazzo Carmagnola, che è stato

indicato loro dal sindaco Greppi come possibile sede di quel teatro municipale sulla cui nascita

insistono da tempo.

È un pomeriggio di metà febbraio, e fa freddo.

È il caso che li fa fermare davant al cinema Broleto, in via Rovello, del quale si ricordavano come di un cinemino per coppiete. Era stata anche la sala del dopolavoro comunale per la Compagnia flodrammatca direta dal cavaliere De Liguoro, padre di Rina De Liguoro. Negli ultmi mesi era diventato luogo di divertmento per gli sgherri della Mut che avevano la loro caserma nell'edifcio, adatando i camerini a celle per i prigionieri. Dopo il 25 aprile il locale era stato trasformato in uno dei tant club riservat alle truppe di occupazione. Sulla porta, un po' scolorito, si leggeva ancora «of limits». Grassi e Strehler entrano nel cortle e si trovano davant ad una porta sbarrata da un luccheto. Grassi non ci pensa due volte. Assesta un potente calcio e la porta di legno, un po' sgangherata, cede: di fronte a Grassi, a Giorgio Strehler e a Giovanna Gallet che li accompagnava, appare una sala buia.228

S. - D'accordo. Cominciamo. Da dove?

R. - Da un giorno, insieme immaginario e reale, dell'inverno del 1947. Eri solo nella platea in abbandono, con le poltrone sconnesse, della sala di via Rovello. Eri stato a visitarla con Paolo Grassi e l'atrice Giovanna Gallet. Uno sfacelo. La sede della Filodrammatca direta dal cavaliere De Liguoro, padre di Rina De Liguoro, era stata durante la repubblica di Salò bivacco della Mut, con i camerini trasformat in celle per i prigionieri; e dopo il 25 aprile era diventata un club riservato alle truppe di occupazione, con tanto di of limits. Per entrarci, Grassi aveva divelto con un calcio la porta sgangherata. Domanda di Grassi: «Giorgio, te la sent di fare con me un teatro stabile qui dentro?». E tu: «Fammici pensare, t do la risposta stasera». Secondo l'“aurea leggenda” delle vostre origini, te ne rimanest solo per quatro ore.229

Queste parole sono raccolte in Io, Strehler. Una vita per il teatro, volume che raccoglie una serie di

“conversazioni” fra il regista e il curatore, Ugo Ronfani. Ed è curioso notare come quelle stesse

pagine siano citate da Strehler in un'altra occasione, il quale tutavia vi include framment assent

nel libro. Non essendovi la possibilità di reperire le bozze della pubblicazione, non è dato stabilire

228 Paolo Grassi, Una sala abbandonata in via Rovello, in Paolo Grassi: quarant'anni di palcoscenico, a cura di Emilio Pozzi, Mursia, Milano 1977, pp. 149-150.

229 Giorgio Strehler, Io, Strehler. Una vita per il teatro, Conversazioni con Ugo Ronfani , Rusconi, Milano 1986, pp. 40- 42.

se si trat di contenut efetvamente present in una prima stesura e poi rimossi da quella

defnitva, oppure se non sia invece un'ulteriore stratfcazione della “leggenda” operata dal regista

dodici anni dopo le “conversazioni”.

L'occasione è il conferimento del Premio Europa per il Teatro, nella terza edizione dell'evento,

tenutosi a Taormina dal 25 al 27 maggio 1990. In quel frangente Strehler dichiara:

Invece di fare un discorso programmatco che riveli i misteri della mia arte, vorrei semplicemente leggere qualche pagina di un libro che è stato indegnamente trascurato230. Non è un libro in cui si trovano verità fondamentali, né sul teatro né su di me come teatrante. Ma, visto che la leteratura su di me è estremamente scarsa, credo che questo lungo dialogo tra me e Ugo Ronfani sia curioso e interessante, magari più di un libro di poesie di Gassman. Forse si poteva fare meglio, ma è un'occasione per poter discutere e parlare del mio lavoro. Purtroppo il libro è caduto nel vuoto assoluto e quindi, ahimè, la colletvità ha perso delle verità profondissime!231

E prosegue, citando l'intervento di Ronfani sull'“'aurea leggenda' delle origini” e proseguendo con

la letura di quanto segue, presentato come la risposta data a Ronfani ma assente dal libro del

1986:

E io: “Questa è una verità lancinante, ma quando Paolo e io salimmo a visitare questo teatro abbandonato trovammo dei camerini minuscoli in cui c'erano scrite, nomi e tracce di sangue sui muri. Capimmo che quei camerini erano stat adoperat come celle per i giovani della Resistenza che erano stat torturat là. Ci limitammo, naturalmente, a coprire i muri di bianco. Non per abolire quelle scrite, quelle tracce di sangue. Quelle tracce di sangue sono ancora lì. Noi siamo sempre rimast fedeli a quelle scrite, a quello che signifcavano quei camerini-celle. Non abbiamo mai tradito questo, dietro al bianco.”

Ronfani: “Per entrare Grassi aveva divelto con un calcio una porta sgangherata...”

Io: “Veramente non è andata proprio così. Cercavamo di aprire una porta – quella che dà nel cortle – chiusa con un luccheto e un miserabile catenaccio. A un certo punto Paolo ha dato un calcio terribile alla porta: il catenaccio si è spaccato e la porta si è spalancata. Gli ho deto che era un'efrazione, ma lui ha risposto: 'Efrazione o non efrazione non me ne frega niente. Voglio vedere dentro'. Siamo entrat e subito dopo Paolo mi ha chiesto se me la sentvo di fare

230 Giorgio Strehler, Io, Strehler. Una vita per il teatro, Conversazioni con Ugo Ronfani, Rusconi, Milano 1986. 231 Renzo Tian (a cura di), Giorgio Strehler, o la passione teatrale. L'opera di un maestro raccontata al Premio

un teatro lì. E io: 'Fammici pensare, t do la risposta stasera'. Ma anche questa è un po' una leggenda. 232

Ancora una nota di colore comune allo Strehler dell'86 e a quello del '98: “ intrizzito, con il bavero

del cappoto rialzato, in quel pomeriggio di febbraio...”

233

, quindi si passa alla descrizione del

teatro, che nelle parole delle “Conversazioni” risulta più asciuta, più tecnica:

S. - Una posizione centrale, lo sbocco su via Dante, il duomo a due passi. Le suggestoni della storia, è il palazzo del Carmagnola («S'ode a destra uno squillo di tromba»), sede del municipio alla fne del Setecento, quartere della Guardia civica durante l'insurrezione delle Cinque Giornate. Ma la visione non era esaltante: impratcabile la piccola platea devastata dai soldat, nudo l'angusto palcoscenico che doveva fare sete metri di apertura e quatro di profondità, trato a metà lo sbrindellato sipario. Sapevo che il sindaco Antonio Greppi, avvocato e scritore di commedie, ci avrebbe aiutat. Dovevo decidere se avrei potuto impegnarmi in una lunga storia, come mi proponeva Paolo. Un teatro stabile voleva dire che lì, in quel buco, avrei dovuto giocarmi il mio futuro di uomo di teatro, la mia vita. Sensazioni e ragionament si incrociavano. 234

In occasione del Premio Europa la narrazione si dilata:

mi domandavo se quel luogo abbandonato e squallido, ma che aveva una sua stranissima atmosfera... insomma, era un teatro. Noi stavamo cercando un teatro a Milano e non riuscivamo a trovarlo. Poi abbiamo trovato questo luogo. C'era un sipario rosso, con una specie di decorazione barocca, trato su a tre quart con una corda. Chissà cosa ci avevano fato. […] Sento la voce di Giovanna Gallet che dice: 'Ah, ma ci sono anche dei camerini'. Erano quei camerini famosi di cui parlavo.235

Lentamente prosegue l'esplorazione di

questa casa che un giorno Paolo Grassi ed io scoprimmo, semidistruta nella polvere, con le sue vecchie poltrone consunte (e che oggi sono nuovamente consunte) con i suoi muri con

232 Ivi, p. 152.

233 Ibid. e, con minima variazione, in Io, Strehler..., op. cit., p.40 234 Io, Strehler..., op. cit., pp. 40-41.

vecchie tappezzerie scrostate (e che ancora oggi si scrostano) coi suoi camerini su fno agli ultmi piccolissimi, lassù, che aprimmo in silenzio quel giorno e che scorgemmo in un raggio miracoloso di sole, spruzzat di sangue umano. Sangue che era dei nostri compagni qui torturat, proprio dai fascist. E che dunque era sangue nostro,236

anche se seccato sui muri di un'edifcio

con l'acqua che fltrava... fummo terrorizzat dalla scarsezza dei mezzi, dalla scomodità dell'ambiente. Mi ricordo e mi ricorderò sempre che dissi “Giorgio, te la sent di fare del teatro? Tu che dovrai combatere la tua bataglia in palcoscenico, mentre io la combaterò davant a te, dietro di te, intorno a te, su un altro terreno, te la sent su quel palcoscenico di combatere una bataglia d'arte?”237

Allora mi sedet e dissi a Paolo di lasciarmi solo per un po' a pensarci su.238

Poi successe qualcosa.

R. - Successe che andast a cercare un telefono per dire a Grassi: «Se te la sent, per me va bene».239

S. - Questo accadde dopo quatro ore.240

Quatro ore di rifessione in quella

platea abbandonata, con delle poltrone sconnesse, un palcoscenico vuoto con un sipario rosso trato a metà. Improvvisamente da un lucernario, un raggio di sole atraversò il palcoscenico e andò a posarsi in un angolo. Era come se si fosse accesa, prodigiosamente, un proietore e una sapiente lama di luce volesse indicare il palcoscenico, quel palcoscenico. Un invito, una provocazione?241

236 Giorgio Strehler, Combatere il fascismo occulto che è dentro di noi, in «Avant!», 30 aprile 1975 (pronunciato il 25 aprile 1975 al Piccolo Teatro per una manifestazione celebratva del trentennale della Resistenza; citato in Giorgio Strehler, Nessuno è incolpevole: scrit politci e civili, Melampo, Milano 2007, p. 71).

237 Paolo Grassi, in G. Vergani (a cura di), Per Paolo Grassi, documentario RAISAT ALBUM, 2001, regia di Mario Peverada. Intervista realizzata durante la fase scaligera di Grassi, databile quindi fra il 1972 e il 1976.

238 Giorgio Strehler o la passione teatrale, op. cit., pp. 152-153.

239 O, nella versione di Grassi: “Paolo, se marci tu marcio anch'io”. [Paolo Grassi, in G. Vergani (a cura di), Per Paolo

Grassi, cit.]

240 Giorgio Strehler, Io, Strehler. Una vita per il teatro, Conversazioni con Ugo Ronfani , Rusconi, Milano 1986, pp. 40- 42.

241 Parole di Strehler citate in Emilio Pozzi, Paolo Grassi: quarant'anni di palcoscenico, Mursia, Milano 1977, p. 149, e in Francesca Grassi e Antonieta Magli (a cura di), Milano e Paolo Grassi – Un teatro per la cità, «I quaderni

Miracoloso raggio di sole che nel 1986 si ridimensiona in rifetori puntat sul palcoscenico, ma che

non cambia nell'efeto suscitato in Strehler:

Non so se per l'allega incoscienza dell'età, o per un piccolo miracolo. Sul palcoscenico, due o tre proietori erano scampat al saccheggio, e fu in quella poca luce che io dovet vedere il primo guizzo di Arlecchino, Alioscia con la sua fsarmonica nell' Albergo dei poveri, la tetra scala delle Not dell'ira, gli spetacoli che avrei voluto allestre; a poco a poco mi persuadevo che il luogo era minuscolo, modesto il palcoscenico che avremmo più tardi fatcosamente ampliato fno a sforare i nove metri di larghezza e i sei di profondità;242

O ancora, nel '98, l'immagine del proietore e del raggio di sole si fondono “in quella luce, resa

magica dal pulviscolo”

243

:

Improvvisamente un raggio di sole incredibile entrò da una fnestra e fece una specie di diagonale sul palcoscenico vuoto illuminando un po' del sipario e formando una specie di cerchio di luce violentssima. Era un proietore che si era miracolosamente acceso per me, che ero in platea e guardavo questo buco. Era un buco di cinque metri e mezzo di larghezza per sei metri di profondità. Oggi, dopo quarant'anni, siamo arrivat ad avere oto metri e quaranta per oto metri e qualcosa di profondità. Era ed è rimasto piccolo, ma allora era veramente impossibile.244

Quatro ore o forse più, per prendere una decisione molto più longeva, ipotzzando un impegno

almeno decennale in quell'edifcio in stato di abbandono, dove

tutavia avrei potuto, sì, rappresentare Goldoni, e anche Shakespeare, anche Calderón, Cecov, Pirandello e quegli autori che avevamo scoperto con la nostra fame di leture quando in Italia erano ancora proibit, O'Neill, Camus, Sartre.

R. - Stavi rappresentandot insomma, per dirla con Calderón, il grande teatro del mondo. S. - Tuto, tuto il teatro di un'ingorda giovinezza appena uscita dalla guerra. Ma bada: non sognavo, non deliravo. Prendevo l'esata misura di quel teatro da farsi non per una stagione, non per un anno, ma per un decennio (ricordo che dissi a me stesso, allora, «per dieci anni può

della Fondazione Paolo Grassi, la voce della cultura» n. 2, Passigli, Bagno a Ripoli 2011, p. 13.

242 Giorgio Strehler, Io, Strehler. Una vita per il teatro, Conversazioni con Ugo Ronfani, Rusconi, Milano 1986, p. 41. 243 Piccolo verso il futuro nel segno di Strehler, in «Corriere della Sera» di Milano, 25 gennaio 1998, Guido Vergani. 244 Giorgio Strehler o la passione teatrale, op. cit., p. 153.

andare»; non potevo prevedere che ci sarei rimasto molto di più) sulle dimensioni della sala e del palcoscenico. Ci sono dei regist, come il caro Orazio Costa, che uno spetacolo possono immaginarselo tuto in astrato e poi realizzarlo nel luogo e con i materiali che hanno a disposizione. Io no; ho sempre bisogno di pensare ad uno spetacolo nel contesto di un certo teatro, su un certo palcoscenico, lavorando con un certo gruppo di persone, atori e tecnici. Credo di non averlo mai deto, ma prima di avere motvazioni ideologiche o culturali, la mia fedeltà al Piccolo come teatro stabile credo che sia nata da questo bisogno di avere radici – come dirt? - in un “luogo critco”, in un territorio ben defnito.245

Non so quanto sono rimasto in quella platea. Certo ho dovuto rifetere un po' su quello che poteva succedere: non si tratava di allestre uno spetacolo ma di fare il primo teatro stabile della nostra nazione e di dar vita a decine e decine di drammi. Naturalmente la mia – la nostra – ingenuità era grande. Dovevamo fare Goldoni, Shakespeare, Calderòn e Cechov (che erano ancora proibit) con gli atori che avevamo scoperto e... Insomma tuto il teatro di una giovinezza ingorda appena uscita dalla guerra. Ma non sognavo, non deliravo. In fondo prendevo l'esata misura del teatro da farsi stagione per stagione, anno per anno, e addiritura per un decennio. Ricordo con molta chiarezza che mi dissi: 'Almeno per dieci anni'. Nella mia ingenuità ero convinto che quella storia non sarebbe potuta andare avant più di dieci anni in quelle condizioni, che poi sarebbe successo qualcosa. Invece non è successo niente e io contnuo a fare teatro in quello stesso luogo.246

Luogo che dal setembre 1943 all'aprile 1945

era diventato il comodo bivacco di una fra le più canagliesche polizie della Repubblica Sociale di Salò, la «Legione Mut». Nella sala, le sgangherate risate dei «brigatst neri» durante gli spetacoli allestt su misura per loro; nelle celle, il tormento dei prigionieri politci torturat dai «mutni» del «colonnello» Colombo. Dopo il 25 aprile, a poco a poco, alle divise dei repubblichini si sosttuirono quelle color kaki delle truppe alleate poiché il Cinema-Teatro

Broleto venne adibito a NAAFI-EFI club, cioè a luogo di svago per i militari. Sui muri esterni

apparve, allo stesso modo che all'Excelsior e in altri locali requisit, un'altra famosa e umiliante espressione: «Of limits».247

245 Giorgio Strehler, Io, Strehler. Una vita per il teatro, Conversazioni con Ugo Ronfani , Rusconi, Milano 1986, pp. 41- 42.

246 Giorgio Strehler o la passione teatrale, cit., p. 153.

“Per trasformare il Cinema Broleto in futuro teatro municipale occorrono fantasia e fducia”

248

,

ma nella primavera del 1947, per pronta intercessione del sindaco Greppi, lo “scassatssimo

teatro”

249

riacquista nuovamente una parvenza di agibilità. Ad occuparsi della ristruturazione