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1. Utopie / Mitologie

1.2 Palcoscenici di carta: le critche teatrali di Grassi e Strehler

1.2.3 Paolo Grassi su l'«Avant!» (1945-1946)

Anche nella produzione per l'«Avant!», ben più abbondante di quella per «Cinetempo» benché

ricopra il medesimo arco temporale, è possibile individuare alcuni floni interni che, rielaborat e

traspost nell'operatvità di un teatro stabile, saranno present nelle scelte programmatche del

Piccolo Teatro di Milano:

[…] Non sono, i suoi, artcoli di un critco teatrale, che si limita a formulare un giudizio su di un testo, su uno spetacolo: no, sono scrit di un operatore culturale ventseienne che, atraverso la recensione, esprime idee, concet, linee guida che informeranno in seguito la sua stessa

113 Ibid.

atvità al Piccolo Teatro, alla Scala, alla RAI. Una specie di “indice” di temi, indirizzi, proget, che costtuiranno i capisaldi della sua atvità.115

Dilonardo, nella Premessa al libro su Grassi fa riferimento a vere e proprie “visioni”, afermando

che

Rileggere gli artcoli di Paolo Grassi porta il letore a con-fondere i periodi culturali. Non si è dinanzi ad un mero artcolo, ad una pura critca di uno spetacolo. Nei suoi scrit c'è un fervido ed appassionato afresco della cultura e della società che si confronta prima col fascismo e poi con il dopoguerra. Tuto diventa emozionante quando, in taluni casi, tralasciando la data e l'autore dell'artcolo, sembra di leggere una cronaca atualissima, perché Grassi non è stato un uomo del suo tempo, o meglio non è stato solo questo: è andato oltre riuscendo con una operosità senza coordinate spazio-temporali a fare un teatro che, come afermò Odoardo Bertani, “acceta l'impegno e la vita. […] Un teatro non più inteso come fatore digestvo, ma un momento di responsabilità e volano di un contnuo ripensarsi – prima e dopo lo spetacolo – uomini e citadini”.116

Pur lasciando al letore odierno un giudizio in materia, occorre ricordare che persino Claudio

Meldolesi, severo contestatore di larga parte dell'operato di Grassi, ammete: “Avendo soto gli

occhi la grossa mole di artcoli scrit da Grassi nel 1946 […] non si potrà negare al nostro il merito

della coerenza. Dal '46 a oggi le diretrici del pensiero teatrale di Grassi non sono mutate, altro che

per livello di potere realizzatvo. Fin dai primi mesi del '46 [se non dalla seconda metà del '45,

N.d.A.], dunque, Grassi si pose come fautore di un aggiornamento intenso come estensione della

compatbilità della scena borghese.”

117

Milano è libera da meno di una setmana, il Sindaco Greppi ed i suoi collaboratori stanno ancora

computando l'ammontare dei danni causat dalla guerra alla cità, e Paolo Grassi calcola quelli

infert al teatro dal fascismo, per il tramite della borghesia:

115 Carlo Fontana, Prefazione, in Paolo Grassi. Una biografa tra teatro, cultura e società, Skira Editore, Milano 2011, pp. 10-11.

116 Carlo Dilonardo, Paolo Grassi. Il valore civile del teatro. Cronache, raccont, memorie, Saco, Biella 2009, p. 17. La citazione di Bertani è relatva a Ci lascia l'esempio di un teatro che acceta l'impegno e la vita , in «Avvenire». Artcolo privo di riferiment cronologici, riportato nella Rassegna Stampa a cura dell'Ufcio Stampa del Teatro alla Scala, edizione completa aggiornata al 29 mar. 1981, Milano 1981.

117 Claudio Meldolesi, Il 1946 di Grassi e Strehler: fra riconversione e inchiesta teatrale, cronaca di un'inspiegabile

[…] Il fascismo, fra le varie benemerenze acquisite in tut i campi del lavoro e dell'atvità pubblica, ha anche sulla coscienza la vergogna di aver rovinato fnanziariamente il nostro teatro e di averlo prosttuito artstcamente.

Poiché la sostenitrice palese ed occulta, vuoi per interessi diret, vuoi per assenteismo egoistco, del fascismo è sempre stata la borghesia, il teatro “del teatro fascista” non poteva che essere specchio fedele delle ambizioni e delle meschinità di questa classe, causa prima delle rovine del Paese.

Come in tut gli altri setori, così anche nel teatro il fascismo creò i protezionismi, le antcamere ministeriali, il divieto di libera critca, un'odiosa censura, il fnanziamento... a fondo perduto delle compagnie, contribuendo così, appoggiato dalle questoni razziali e dalle liste di autori non gradit, a creare un organismo parassitario, passivo, e impotente dal punto di vista tecnico, nonché banale al massimo e culturalmente negatvo dal punto di vista artstco.118

E già prospeta ai letori dell'“Avant!” la linea che seguirà negli artcoli successivi: “Inutle qui

insistere sui temi che riprenderemo, setore per setore, e che approfondiremo portandone alla

luce tut i dat in nostre mani: ci preme oggi sotolineare come tuto questo teatro fosse il fruto

della servile acquiescenza degli autori alle norme della censura del regno e fosse al tempo stesso il

piacere della borghesia che a teatro andava.”

119

2 maggio 1945: “Riprendono a Milano gli spetacoli. Ritornata la calma in cità, teatri e

cinematograf riaprono le porte”, ma si trata di una libertà che urge impiegare al meglio:

Sarà compito dei collaboratori teatrali e cinematografci di questo e degli altri liberi giornali sort dopo la liberazione, di far valere tuto il peso della loro critca non più asservita a diretve ministeriali, afnché spirino anche nel campo degli spetacoli, all'apparenza forse secondario, ma essenziale in realtà per l'infuenza profonda che essi esercitano sul pubblico d'oggi, un'aria nuova e libera, un fervore di innovazioni, di coraggiosi esperiment al posto del vile conformismo che pervase per tant anni gli schermi e le scene italiane. Quello che ci preme fn d'ora di stabilire è appunto che riapertura non signifca in nessun caso ripresa sulla stessa linea di prima di un'atvità soltanto interrota per motvi estranei, e che non sono più i tempi oggi, specialmente per gli spetacoli, in cui l'arte possa permetersi di non tener conto della politca. Se non altro è dimostrato dalla partecipazione atvissima che cinema, teatro e altre art

118 Paolo Grassi, Teatro del popolo, in «Avant!», 30 aprile 1945. 119 Ibid.

avrebbero forse potuto vivere senza comprometersi, ebbero alla tragica avventura fascista. Naturalmente la liberazione non ha mutato d'incanto né gli artst, atori o regist che siano, né i proprietari di sale, né i repertori pront. Per i cinema, arriveranno i flms americani. Per i teatri, i capocomici si afreteranno a far tradurre commedie sinora vietate. Nulla di più legitmo.

Si metano tutavia bene in mente, queste persone che tanto rapidamente muteranno d'abito, che questo nuovo conformismo non le esime dalle responsabilità che il precedente implicava, e che non può in nessun caso valere quale ttolo per ridonare il blasone e arrogarsi dirit per il mantenimento di privilegi acquisit con sistemi oggi sconfessat. Il rinnovamento deve avvenire anche in questo campo, nelle persone e non solo nelle forme. Non avviliscano i “vecchi” (anche se non vecchi d'anni) del teatro e del cinema, con un penoso ataccamento alla loro seggiola, una morte – morale – ormai segnata.120

E “penoso” è il ritrato che Grassi compone del pubblico milanese.

Un pubblico “apertamente sprovveduto di senso critco e di criterio seletvo” che “è disposto a

digerire senza eccessivi segni di noia anche commedie sulle quali oggi si è accumulata la polvere

del tempo”

121

.

Un pubblico privo di gusto che sembra apprezzare quello “spetacolo d'arte varia” che “nel nostro

Paese gode in generale del privilegio d'essere sinceramente noioso e privo della minima ragion

d'arte, in più vive per tre quart sulla scurrilità più insipide e per il resto (e questo è peggio) sul

“sex-appeal” di una mostra di brute donne.”

122

Un pubblico concentrato sugli aspet più futli dello spetacolo, e che in più di un'occasione “ha

applaudito ed ammirato le tre toilete di Sarah Ferrat, tut'altro che indispensabili.”

123

Un pubblico “afollatssimo, ineducatamente ritardatario e esageratamente afeto da raucedine”

che si esibisce in “chiamate entusiastche”

124

ma il cui gusto – o la sua espressione visibile – è

soggeta a una mutevolezza di comodo, e subito si afreta a rientrare nella “norma”: “Coloro che

avevan pianto la prima sera, con regolari lacrime, se ne vergognarono e tentarono di

dimentcarsele, giacché in Italia il “gusto” supera l'emozione e certa gente si copre i sentment più

veri e vivi come fossero part immonde e malate.”

125

120 Paolo Grassi, Cinema e teatro, in «Avant!», 2 maggio 1945.

121 Paolo Grassi, Un grande amore di Molnar, al Teatro Odeon, in «Avant!», 2 maggio 1945. 122 Paolo Grassi, Arte varia al Lirico, in «Avant!», 28 maggio 1945.

123 Paolo Grassi, La donna in fore, in «Avant!», 14 agosto 1945. 124 Paolo Grassi, “Il pensiero” di Andreev, in «Avant!», 17 otobre 1945.

125 Paolo Grassi, Polemica teatrale. Ancora su 'Piccola Cità', in «Palcoscenico di Milano», rubrica di «Cinetempo», 13 dicembre 1945.

Come già verifcato negli scrit di «Cinetempo», Grassi individua in una catva scelta dei test da

parte delle compagnie la prima causa del degrado della scena teatrale: venute a decadere le

restrizioni imposte dalla censura fascista, capocomici e impresari perseverano nel portare sul

palcoscenico opere che non si distanziano dalle abitudini maturate dal pubblico prima e durante la

guerra. Bersaglio predileto, e primo in ordine cronologico, è ancora una volta Sabatno Lopez:

L'antsemitsmo ci aveva privato di capolavori: sia maledeto l'antsemitsmo. Ci aveva però dato la consolazione di veder sparire dai cartelloni commedie assolutamente inutli come La

signora Rosa di Sabatno Lopez. Onore al buon vecchio che ritorna, ma la sua commedia

poteva benissimo rimanere in un armadio fra le tante produzioni arcaiche che non si riesumano più. […] Pubblico folto e plaudente, commosso, e festante per il ritorno dell'esule autore: il mondo teatrale è talmente legato all'eredità fascista in vari suoi esponent, che appena si scopre un piccolissimo “puro” questo diventa immediatamente eroe nazionale.126

Le critche sull'«Avant» constano spesso nella versione abbreviata di quelle più ampie pubblicate

sul setmanale, ma apparendo con maggior frequenza consentono a Grassi di insistere

reiteratamente sui medesimi concet – e, come nel caso delle infelici scelte di Sara Ferrat, anche

sui medesimi obietvi:

Il teatro torna ai suoi vecchi amori; dopo Zabum ecco il “giallo”, con lo spiritsmo, la pugnalata, l'assassino che si scopre regolarmente al terzo ato e che regolarmente è il meno sospetato di tut, scene al buio, vento e tuoni, il solito ispetore di polizia, il tuto condito da qualche batuta umoristca, da un po' di mistero; una commedia insomma “che non vi farà dormire”. […] La commedia è stata recitata con tradizionale vivacità e senza eccessivi sforzi, d'impegno, in compenso con sfoggio da parte di certe atrici di vistosi abit da sera, onde giustfcare l'abbondanza delle “paghe”. Il pubblico ha applaudito cordialmente i primi due at, per cortesia verso Sara Ferrat il terzo.127

Un grande amore è quello di Sara Ferrat per le riprese: in più di due mesi di stagione non ha fato che scodellarci setmanalmente i cosiddet “vecchi successi” tolt dalle tarmate collezioni di qualche rivista teatrale, con evidente sforzo di ricerca da parte del diretore artstco della benemerita compagnia. Fra il sapore otuagenario di Lopez e il catvo gusto della Tredicesima

126 Paolo Grassi, “La signora Rosa” di Lopez, in «Avant!», 3 agosto 1945.

sedia, questo Grande amore ha il modesto merito, come del resto altre commedie di Molnar,

di essere scrito qua e là con certa nitdezza di contorno e certo garbo pulito. Non siamo certo nel clima di Liliom: all'infuori di esso la produzione di Molnar è dedicata agli appett elegant e rafnat della borghesia dalla quale vuol farsi ascoltare con dileto, anche se il suo scopo non va spesso più di là della piacevolezza esteriore, cui manca il mistero tragico e la strana bellezza d i Liliom. Anche questo dileto però è relatvo al pubblico d'oggi, pubblico apertamente sprovveduto di senso critco e di criterio seletvo, disposto a digerire senza eccessivi segni di noia anche commedie sulle quali oggi si è accumulata la polvere del tempo. […] Alla fne di ogni ato gli atori correvano a ringraziare con sorrisi stereotpat ed inchini meccanici, mentre i “servi di scena” facevano scorrere frenetcamente i velari, onde strappare alla claque una chiamata in più. Mai come allora la miseria profonda e l'inutlità di un simile teatro ci è apparsa in tuta la sua evidenza, mai come allora il teatro ci è veramente sembrato quello che esso è veramente, un giocatolo nelle mani della borghesia, una immensa e splendida energia costreta alla banalità degli interessi di una classe che porta in sé, appariscent ormai anche per i ciechi, i segni della propria condanna.128

[…] tut possono comprendere come, ricamandovi sopra, Maugham sia riuscito a trarne una delle sue solite commedie borghesi, che non superano mai la normalità di un teatro scrito, su misura per gli atori, per “piacere” al pubblico.

Noi comprendiamo benissimo che, per un lavoro di debuto, si usi scegliere dei lavori cosiddet “sicuri”, comprendiamo benissimo che la Maltagliat e Cimara non si siano volut inimicare per la loro riapparizione i compiacent signori che si disputano a bigliet da cento lire l'onore di presenziare alle “premières”, ma da queste necessità... economiche non ci sentamo afato costret a consigliare un “genere” che contrasta in modo palese con la nostra opinione di critci e socialist.

Un “teatro da saloto”, insipida imitazione di uno Shaw annacquato, come quello infitoci ieri sera, può trovare gli applausi del pubblico (come li ha trovat pur senza urli di entusiasmo), ma non certo il consenso di quant credono ad un'“altra” funzione del Teatro.129

Mescolat ai comment agli spetacoli e ai giudizi sui commediograf, Grassi inserisce spesso

domande, piccoli spunt, questoni sollevate e additate ma senza poi sviscerarle con

argomentazioni più ampie, conscio che il ristreto spazio della colonna dell'«Avant!» non è il

luogo, né il mezzo, per una simile operazione. L'atenzione dell'uomo di cultura tout-court si

128 Paolo Grassi, “Un grande amore” di Molnar, in «Avant!», 6 setembre 1945.

sovrappone a quella del critco, conscio di avere a disposizione altri mezzi e altri tempi per meglio

approfondire determinat discorsi, con una cura per l'aspeto della comunicazione che verrà

ulteriormente messo in risalto dopo la fondazione del Piccolo Teatro.

Abbiamo più e più volte accennato, insistto in tut i modi, per un rinnovamento del repertorio. Se le compagnie non lo trovano o non lo sanno trovare (noi propendiamo per il secondo caso), se i cost degli spetacoli impediscono un teatro d'arte (Giorni senza fne è prova però del contrario130), possiamo benissimo rinunciare a “questo” teatro. Esso, oltre a non interessare noi (che sarebbe il meno), oggi non atrae nemmeno più il solito pubblico. Ieri sera era ancora di ruolo Bernstein con i suoi personaggi tarat e viziosi, coi suoi pescecani avidi, col suo macchinismo insopportabile, coi suoi artfciosi intrighi, che mandavano in brodo di giuggiole la borghesia del 1926.

Oggi sono passat (per fortuna) quest tempi, e – concesso che il teatro debba essere, come è atualmente, monopolio della borghesia – anche questa classe si è evoluta e merita di meglio. Ci fa pena che un Ruggero Ruggeri si sprechi in produzioni consimili; egli deve darci dell'altro, per il prestgio della sua arte, per l'amore al teatro che egli e tant altri hanno, per il successo economico in fondo di questo teatro. Infat, mentre Giorni senza fne ha fato degli esaurit, Bernstein ha atrato poco più di mezzo teatro.131

Nella medesima frase convivono due degli aspet portant dell'idea di teatro cara a Grassi: la presa

di responsabilità da parte degli artst (che “devono” dare di meglio al pubblico) e l'associazione di

qualità artstca e successo economico, sufragata da prove e dat. Un successo che è sì del singolo

spetacolo, ma che si ripercuote sull'andamento dell'intero mercato dello spetacolo dal vivo, in

cui un numero eccessivo di “falliment” rischia di orientare le preferenze del pubblico verso altri

generi d'intratenimento:

C'è infat della follia e della vanità nel pretendere di resistere alla concorrenza del cinema, data la notevole diferenza di prezzi, con spetacoli di questo genere.132

Si rendono conto i nostri atori che, atraverso questo repertorio, quando esso poi è afdato soltanto alla loro iniziatva e non trasformato dalla regia, aprono sempre più al cinema e al

130 Cfr. p. 45.

131 Paolo Grassi, “Felice” di Bernstein, in «Avant!», 4 otobre 1945. 132 Paolo Grassi, “Vanity Follies”, in «Avant!», 13 maggio 1945.

varietà le possibilità di fascino sul pubblico?133

Pubblico non afollato, malgrado il caratere “estvo” della compagnia e della commedia, segno della spietata concorrenza dei flms americani. L'afuenza diminuisce nei vari teatri: l'unico mezzo per afrontare una prossima crisi è quello di un radicale rinnovamento nella scelta dei lavori.134

Rinnovamento, di cui sono incaricat in primo luogo gli atori stessi, che non deve limitarsi al

singolo spetacolo ma deve tener conto della costruzione del “cartellone”, che coincide in larga

parte con la costruzione dell'immagine della compagnia, ponendo le premesse (e, nel pubblico, le

aspetatve) su cui gli spetacoli stessi verranno in seguito giudicat.

[…] Cert atori credono che, per formare un cartellone intelligente, sia obbligatorio presentare solo cose tragiche o comunque important e pertanto di solida sostanza drammatca. […] Un cartellone, se veramente tale, deve essere studiato industrialmente e non improvvisato, deve essere concepito con intelligente varietà, deve dar posto a tuto il teatro e a tute le sue forme, dal classico al moderno, dalla tragedia alla commedia, dal dramma alla farsa, dal lavoro straniero a quello italiano. L'insistere ad esempio troppo su lavori americani quest'anno, è stato a nostro avviso un esempio di immaturità e di abborracciamento, in fato di repertori.135

Ma il contraltare di quant esigono sulle scene un aggiornamento del repertorio che includa le

opere straniere di cui l'Italia è privata da decenni è costtuito dai sostenitori di una drammaturgia

nazionale. Richiesta in sé nobilissima, come spesso verrà ricordato, ma che non può essere accolta

se gli autori nazionali non producono opere di qualità sufciente. Anche in questo caso si trata di

una critca ricorrente nella storia del Piccolo

136

:

Gli entusiast e spontanei giovinet che, ad una prima recente, si accalcavano soto il palcoscenico al grido accorato di “vogliamo commedie italiane!”, sono stat accontentat da Ruggero Ruggeri che, a pochi giorni dal Non fare come me di Gherardi, ha presentato Non

tradire di Tieri.

Due cosiddet grossi nomi del “teatro fascista”, due rinomat autori un tempo beniamini dei

133 Paolo Grassi, “Frenesia” di Peyret Chappuis, in «Avant!», 30 maggio 1945. 134 Paolo Grassi, “I Papinhood” di Max Dearly, in «Avant!», 12 giugno 1945. 135 Paolo Grassi, Note di teatro, in «Avant!», 18 luglio 1946.

136 Ancora negli anni Sessanta vi sarà chi chiederà a gran voce di sosttuire un Brecht onnipresente sui cartelloni con un D'Annunzio. [Cfr. nota n. 176, p. 226.]

pubblici, due cose di inarrivabile vuotaggine e banalità, due inutli fatche infne per gli atori, per non parlare dei due successi economici. Questo è il risultato, che farà meditare quant si agitano in modi inconsult per le “novità italiane” memori di un'autarchia di cui sono nostalgici fautori. […] Pochissimi gli spetatori, numerosi gli sbadigli, facchi i consensi. Il problema non è “commedie italiane”, ma buone commedie, e se italiane, meglio sarà. Di fronte ad una solida realizzazione d'arte, compiuta da un nostro autore, saremo i primi ad applaudire […].137

Gli autori italiani alzano quotdianamente geremiadi a tut per la loro sorte. A prescindere dal fato che, dopo quindici anni di monopolio a loro favore ora il destno gioca la dura legge del contrappasso, noi proponiamo al sindacato autori drammatci (dato che la questone è posta sindacalmente, come categoria) di segnalare mensilmente un lavoro italiano meritevole, che la radio per esempio potrebbe trasmetere e che una rivista potrebbe pubblicare. Se gli autori italiani si considerano veramente vivi, si organizzino, creino una commissione di letura, riconquistno con tenacia quell'agone che hanno immediatamente perduto all'apparire della concorrenza. I nostri auguri sono per loro, perché riescano coi fat e non con le geremiadi, a darci un repertorio nazionale, quello che ci manca, quello senza il quale il teatro italiano vivrà una vita forida solo nelle apparenze.138

L'amarezza di Grassi per questo teatro “in mano al pressappochismo, agli arrufoni, agli ignorant,

agli incompetent”

139

, quello che lo spinge a domandarsi (e a domandare) “Ma è 'pubblico' quello