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1. Utopie / Mitologie

1.2 Palcoscenici di carta: le critche teatrali di Grassi e Strehler

1.2.4 A proposito del pubblico

Un'altra costante dell'orientamento che verrà successivamente impresso al Piccolo Teatro si può

far risalire all'atenzione per i pubblici “altri”, ovvero da quant non sono assidui – per ragioni

economiche, per mancato interesse dovuto alla mancata conoscenza, per scarsa afnità con i

contenut dei cartelloni – alla frequentazione del teatro.

In nuce si presentano infat alcuni dei trat sviluppat in seguito in altretante iniziatve del PT:

“Iniziatva socialista” fra le proprie atvità ha deciso di rivolgere partcolare atenzione alla funzione del teatro, e pertanto ha dato vita, afdandone le cure a Ruggero Jacobbi, ad un primo spetacolo, che, dopo il debuto di iersera al teatro Lita, proseguirà le recite in teatrini periferici ed aziendali a direto contato col proletariato. […] Desideriamo rilevare, non soltanto perché questo è fruto del lavoro di compagni, che con la recita di ieri sera si è concretato il primo tentatvo inteso a portare, in un clima di responsabilità, il teatro fra i lavoratori.169

Un primo abbozzo di decentramento, di spetacoli concepit per i lavoratori e portat diretamente

in luoghi ad essi più accessibili.

168 Paolo Grassi, Note di teatro, in «Avant!», 18 agosto 1946.

I prezzi estvi hanno portato ad un pubblico diverso nelle platee e aperto orizzont nuovi a chi ha voglia di capir la lezione.

Chi è andato nei giorni passat a Desiderio soto gli olmi che Evi Maltagliat, Salvo Randone e Tino Carraro hanno rappresentato all'Odeon, avrà notato, in contrasto alle bune tradizioni che vogliono in estate i teatri desert frequentat solo dagli abituali client con repertori estvi, non solo sempre esaurit, ma, osservando bene, avrà constatato la novità dei pubblici present. Una volta visto e considerato che il solito pubblico non aderiva al teatro in giugno, la direzione del Teatro Odeon e la compagnia decidevano di adotare drastcamente i prezzi popolari in pianta stabile e allora si è verifcata quello che noi andiamo scrivendo da almeno un anno: un nuovo pubblico, quello di coloro che non possono andare a teatro a prezzi alt, ha afollato per 13 sere la sala dell'Odeon. A parte il successo tangibile delle nostre polemiche, è interessante osservare che quest spetatori sono – non diciamo proletariato – ma comunque in gran parte gente disabituata al teatro per i prezzi inaccessibili ed anche e persino, gente assolutamente nuova al teatro. Molt di quest spetatori non avevano mai sentto in vita loro la Maltagliat o Randone: quasi tut – se non tut – sono accorsi per l'opera, per il testo e non certo per la chiamata dei nomi in dita. […] Non si abbia sempre paura del nuovo, anche in teatro, dei salt nel buio […]; una volta compiut, quest salt nel buio avranno dimostrato a tut di non volere il caos dello spetacolo o il sovvertmento dei lavori, ma soltanto una più vitale esistenza, una più libera fervida vita del nostro spetacolo.170

Una politca di prezzi che renda il teatro fruibile a chi solitamente ne è escluso; l'utlizzo

contnuatvo dello spazio teatrale anche in periodi considerat “mort”; l'acquisizione di nuovo

pubblico richiamato non più dalla fama del primo atore ma dalla bontà dell'opera rappresentata.

[…] A Milano si stanno compiendo i salt mortali per reggere economicamente le stagioni mentre a Roma siamo addiritura in ferie. Ora, non manca a Milano una borghesia ricca e possidente: bast frequentare seralmente i ritrovi noturni (ormai decine), i cinematograf, gli alberghi; questo per chi non vide questa grossa borghesia afannata intorno ai vari Casinò da gioco della Lombardia, quando dete sale erano aperte. Visto e considerato che questa borghesia non possiede nemmeno più una fsionomia di classe e non è capace di mantenere in vita nemmeno le 6 o 7 repliche di uno spetacolo, bisogna proprio convenire (anche i ciechi se ne accorgerebbero) che è solo puntando su un altro pubblico, su di un nuovo pubblico che si risolverà il problema di una autentca vitalità dello spetacolo italiano. Non è impresa facile ma

appassionante; comunque tale da infonderci la più ampia certezza che fra un certo numero di anni gli spetatori saranno gente come noi, spinta al teatro da quel nostro medesimo amore e non portata stancamente nelle sale da mille ragioni di cui poche hanno parentela con l'arte.171

La necessità – stant le mancanze della classe sociale storicamente deputata al sostentamento del

teatro – di operare le trasformazioni necessarie per riuscire gradit al nuovo pubblico e potervi fare

afdamento in maniera stabile.

[…] Sempre in Svizzera. È stata fata una tournée de La luna è tramontata di Steinbeck. Lo spetacolo, di nota emotvità patriotca ed antfascista, è stato portato nei più piccoli paesi, in ogni dove, e il comando dell'esercito svizzero ha mandato i soldat ad assistervi, assicurando per la truppa 50 rappresentazioni. Dove si dimostra che il teatro è anche educazione e che una concezione civile e moderna dello stesso manca nei nostri organi dirigent i quali lo confnano fra i “fat volutuari” da tassare come “piaceri superfui” appena possibile.172

In ultmo, l'auspicato intervento delle autorità (nel caso dell'artcolo si fa riferimento all'esercito,

ma non debbono esservi restrizioni) nell'incoraggiare la popolazione alla frequentazione teatrale e

ad incentvarne l'accesso.

Sono concet che Grassi mutua dall'esperienza passata e da quelle innovazioni che tmidamente

iniziano a farsi largo nel dopoguerra. A quest'ultma categoria si ascrive la “scoperta” del teatro

dialetale, non tanto a livello drammaturgico (anche se appare per la prima volta il nome di

Bertolazzi) quanto in virtù della diferenza nelle modalità di fruizione rispeto al teatro “normale”

delle sale citadine:

Siamo andat a vedere Paolo Bonecchi e la sua compagnia meneghina in un cinema-teatro rionale. Ci siamo andat convint di trovarci alcune compiacent nonne con relatvi nipotni, convint di assistere allo spetacolo un po' penoso di una recita di famiglia, coi solit quatro gat in platea che non si curano neppure di applaudire.

Invece abbiamo trovato un bel pubblico, partcolarmente composto di giovanot e di ragazze, che seguivano atent, ridevano, organizzavano i loro bravi batmani a scena aperta, per fnire con le regolari chiamate e conseguent inchini di Bonecchi e compagni.

171 Paolo Grassi, Note di teatro, in «Avant!», 1 agosto 1946. 172 Paolo Grassi, Note di teatro, in «Avant!», 18 agosto 1946.

Vuol dire allora che non è vero che il popolo non va a teatro: il popolo non va nei teatri che oggi per i prezzi e per il repertorio, sono monopolio della borghesia.

Il popolo rifuta l'oferta de La Presidentessa fatagli da Gandusio e si sceglie da sé un suo teatro, e lo scopre nella sincera risata, nella franca bonomia, nell'istntva schieta comicità di Paolo Bonecchi.

Da Bonecchi non ci si va in ghingheri, da Bonecchi non ci sono “triangoli” classici, non ci sono telefoni bianchi, abit di Ventura, atrici che fumano, da Bonecchi si recita in maniche di camicia, si parla senza preoccupazione di dizione, senza obbligo di assoluta fedeltà ai test, senza l'odioso vigile legame all'immancabile suggeritore.

Pensiamo veramente che sia questo il momento, atraverso i teatri rionali, atraverso i cosiddet “Carri di Tespi” di portare il più possibile fra il popolo il teatro dialetale.

Come per un teatro siciliano, piemontese, veneto, romano, napoletano, così esiste una tradizione (Bertolazzi e Ferravilla insegnino) per un teatro milanese.173

In uno degli ultmi artcoli scrit per l'«Avant» prima dell'inaugurazione del Piccolo Teatro, Grassi

recupera in parte il tono da proclama per enfatzzare ulteriormente l'impegno preso (da lui e da

quant altri si riconoscano in quel noi) nei confront del pubblico, del mondo teatrale,

dell'ambiente culturale e – considerando l'idea del teatro coltvata da Grassi – della comunità

tuta:

[…] noi constatamo […] la caducità di un teatro italiano d'oggi, ma contnuiamo con artgiana tenacia la nostra fatca d'ogni giorno, per questo noi, di fronte a certa abulia, vuoi per fatori economici vuoi per ragioni d'interesse, delle masse, e alla mediocrità dei cet abbient nei confront del teatro, preferiamo richiamarci al manifesto “per la teatralizzazione del popolo russo” lanciato da Lenin in piena caresta.

Noi non possiamo atendere: ci è dovere camminare e credere, nonostante tuto. E lavorare, oltre che contemplare.

Forse – a proposito di coraggio – è molto più coraggioso oggi insistere sul teatro, operare in esso, per esso. Parafrasando Gaston Baty, bisognerà dire: “Il teatro senza una colletvità unanime che lo sostenga non può esistere. Le uniche tre grandi vere stagioni unitarie del teatro ci appaiono quelle del teatro greco, medioevale, elisabetano. Esse sono oggi senza paragone; resta a noi teatrant soltanto la fatca di passarci nei secoli di buio – come il nostro – la faccola di questo teatro perché un giorno una nuova società l'accolga e la faccia nuovamente risplendere”.174

173 Paolo Grassi, Incontri – Teatro dialetale, in «Avant!», 4 luglio 1945. 174 Paolo Grassi, Coraggio per il teatro, in «Avant!», 3 otobre 1946.

Un artcolo si distngue dagli altri pubblicat sull'«Avant», ma esemplifca magistralmente

l'atenzione e la cura per l'aspeto promozionale che sono proprie di Grassi. Si trata di una vera e

propria operazione di persuasione del letore, atraverso la trascrizione di una letera – vera o

inventata non è dato saperlo, e neppure importa molto in vista dello scopo per cui è utlizzata.

Una letrice scrive: “Sono una impiegata e non posso pagarmi a teatro una poltronissima da 320 lire, e nemmeno un semplice numerato. Devo accontentarmi dell'ingresso. Volete sapere qual'è la sorte di chi si deve accontentare dell'ingresso? Il teatro Odeon lascia ogni giorno 16 post per gli ingressi (dico sedici, mentre prima ve n'erano cento), e nessuno la domenica o i giorni festvi; il teatro Nuovo mete a disposizione degli ingressi, una fla di seggiole (cosa che, per quanto mi consta, sarebbe proibita dall'autorità di P.S.); il teatro Olimpia sopprime i post a sedere con l'ingresso la domenica; il Mediolanum, per non sbagliare, non ne concede mai. Così la povera gente si pigia ai lat della sala mentre davant ai suoi occhi si stendono le fle delle comode poltrone, magari vuote, riservate comunque a persone che certo non limitano il loro guadagno a quello che potrebbe essere uno stpendio qualsiasi di un impiegato qualsiasi al giorno d'oggi. È vero. Chi è quell'impiegato, anche di prima categoria, che può spendere centnaia di lire per andare a teatro? E lo spetacolo dei “post in piedi” assume talvolta l'aspeto selvaggio di una spietata lota per carpire un angolo di palcoscenico. Il teatro, un passatempo da borsanerist. Non sarebbe meglio non parlarne più, fnché non saremo ritornat a tempi di maggiore giustzia? Almeno non parlarne come arte”.175

Si trata di un piccolo capolavoro di arte della comunicazione. In poche righe viene riassunta la

panoramica dell'oferta teatrale milanese soto l'aspeto economico (prezzi, post, carateristche

delle singole sale), individuata dal punto di vista dello spetatore non abituale, del “pubblico

nuovo” che potrebbe diventare costante se incentvato. Il tuto veicolato atraverso un

personaggio studiato per piacere: una giovane impiegata, ergo una donna che ricopre un ruolo

atvo nella società; che gode di sufciente indipendenza economica e sociale da recarsi a teatro

da sola, acquistando autonomamente il biglieto; culturalmente elevata a dispeto della classe di

appartenenza, in quanto pronta a considerare il teatro come “arte” e non come atvità ricreatva;

dotata di un certo spirito critco e dell'attudine ad esprimere il proprio pensiero. Un portavoce

del genere, in grado di suscitare simpata o immedesimazione, è sicuramente il più efcace.

Uno stratagemma di questo tpo ha se non altro un precedente

176

e moltssimi eredi, uno dei quali

175 Paolo Grassi, In margine ai programmi, in «Avant!», 23 setembre 1945.

citato da Anna Pilet nel suo intervento per il «Quaderno di Gargnano» dedicato al Piccolo

Teatro

177

. Si trata di un artcolo apocrifo risalente al 1953, uno dei numerosi che Grassi inviava

precompilat alle redazioni di svariat giornali, “con vivissima preghiera di difusione”, e con il

risultato di far comparire artcoli pressoché identci su testate anche molto distant fra loro per

posizionamento. Il tema è “l'afuenza del pubblico della provincia milanese”, e assume i contorni

di un vero e proprio comunicato stampa in versione drammatzzata:

“Sere fa, nella lunga fla di automobili ferma davant al Piccolo Teatro di Milano, in via Rovello, era allineato anche un autopullman di trenta post targato Bergamo. Numerose, come ogni sera erano le macchine con targa Como, Varese, Pavia, Brescia, Cremona, e perfno Sondrio e Mantova, capoluoghi che distano oltre cento chilometri, ma il pullman costtuiva veramente un fato nuovo. […] abbiamo chiesto al giovane simpatco ragioniere che fungeva da capo- comitva come fosse nata l'idea della “spedizione” e chi l'avesse organizzata. “Molto facile – ha risposto il ragioniere – noi abitamo in un grosso paese a circa dodici chilometri da Bergamo e in paese c'è una tabaccheria che funge anche da libreria e da edicola. Il giornalaio-tabaccaio ha scrito a Milano, alla Segreteria del Piccolo Teatro, in via Rovello 2, chiedendo che gli venissero puntualmente spedit i manifest del Teatro, i programmi, e li ha puntualmente appesi alla vetrata del suo negozio.”

Il racconto prosegue ripercorrendo tute le fasi organizzatve dell'impresa, dalle telefonate agli ufci competent del Piccolo, al noleggio del famigerato “pullman”.

In questo caso il personaggio-chiave è il simpatco ed intraprendente ragioniere, che funge da

animatore teatrale presso la sua comunità, e che nel dialogo con l'ipotetco intervistatore

entusiastcamente espone le modalità con cui una persona come lui o come i bergamaschi present

sul pullman da lui organizzato possono riuscire a fruire degli spetacoli del Piccolo Teatro. Le

invece di un operaio che viene a riparare il telefono a casa sua e che a sua volta ha assistto a “Piccola Cità”, apprezzandola fno ad afermare, nella sua semplicità e in dialeto milanese: “è inutle, molt la capissen no, come la musica classica”. Grassi dice che avrebbe abbracciato questo operaio, quando invece avrebbe preso a calci tut i commendatori che fschiavano uno spetacolo senza aver neanche tentato di comprenderlo.” Anche in questo caso, seppure in modo più gofo, il punto di vista “popolare”, “genuino”, contrapposto a quello borghese, è veicolato da un personaggio consono all'operazione: lavoratore che si esprime in dialeto, che si identfca come elemento popolare ma che sotolinea il suo interesse culturale (la musica classica). Anche in questo caso, infne, che l'operaio dell'azienda telefonica sia esistto o meno è del tuto ininfuente: ciò che conta è l'uso che ne ha fato Grassi all'interno della sua strategia comunicatva. [L'artcolo è Chiacchierata “de auctoribus”, in «Via Consolare», agosto 1940, citato da Mario Macchitella, Grassi giovane critco teatrale, cit., p. 18.]

177 Anna Pilet Franzini, Il contributo dell'atenzione. Icone della comunicazione del Piccolo Teatro di Milano. Gli

esordi 1947-1969, in L. Cavaglieri (a cura di), Il Piccolo teatro di Milano : setmana del teatro, 7-11 maggio 2001,

informazioni veicolate sono numerose, ed indicano detagliatamente ogni passo necessario,

suggerendo un precisa procedura. La Pilet riconduce questa modalità “allo stle di comunicazione

che caraterizzerà, di lì a pochi anni, i primi “caroselli” televisivi, dove il messaggio pubblicitario era

obbligatoriamente inserito in una cornice narratva tale da mediare i contenut del messaggio

stesso e legare il “prodoto” (in questo caso un “prodoto” culturale) all'afetvità del

fruitore/consumatore.”