• Non ci sono risultati.

IL MOBBING FAMILIARE

Nel documento illecito endofamiliare (pagine 134-138)

NON AFFIDATARIO

5.8 IL MOBBING FAMILIARE

Negli ultimi anni, in parallelo con l’estensione della tutela risarcitoria anche alle violazioni di diritti inviolabili sviluppatesi nel nucleo familiare, il termine mobbing146 , impiegato per disegnare una forma di terrore psicologico realizzata sui luoghi di lavoro, nei confronti di uno o più lavoratori da parte dei colleghi o dei superiori, è stato trapiantato anche in ambito familiare. Al riguardo, si osserva che non constano ostacoli di sorta, alla luce della circostanza che anche l’ambiente familiare è un contesto plurisoggettivo e che, se pur in teoria esso si appalesa come luogo di sviluppo e di estrinsecazione della personalità di ogni componente, inserito dalla nascita in un fitto tessuto di relazioni affettive, può tuttavia mutare volto e trasformarsi in un momento di mortificazione e di compressione della sfera esistenziale del singolo. Ove tale involuzione si verifichi a causa di comportamenti posti in essere da alcuni membri del gruppo familiare, reiterati per un lasso di tempo significativo in danno di un altro parente ed accompagnati dalla consapevolezza e dalla volontà di ledere le sue prerogative fondamentali, così ingenerando nel medesimo un sentimento di insicurezza e di estraneità, si delinea la fattispecie del mobbing familiare. Come si è osservato con riferimento al mobbing nei luoghi di lavoro, non è necessario che le singole condotte siano in sè illecite o lesive di interessi

fondamentali, essendo sufficiente che siano sorrette da una finalità persecutoria e che il loro susseguirsi si risolva in danno del soggetto mobbizzato, che non si senta più parte del contesto isolandosi fino all’allontanamento dal tetto familiare. Ai contegni mobbizzanti in genere si accompagnano pregiudizi di natura biologica, per lo più psichica ( sono frequenti i casi di sindrome depressiva psicotica) e ripercussioni negative sulla sfera esistenziale del danneggiato.

Anche in ambito familiare si suole distinguere il mobbing orizzontale, quello verticale e quello ascendente.

Il primo si attua fra componenti di “pari grado”, e dunque tra coniugi, tra fratelli e sorelle, e si compendia in surprusi, vessazioni, mortificazioni attuate con l’aiuto o con il silenzio complice degli altri componenti del gruppo familiare.

Con riferimento al nucleo familiare, spesso si rinviene una condotta di tipo mobbizzante attuata da un partner nei riguardi dell’altro, anche ove manchino altri componenti, per mancanza di discendenti e, come spesso avviene, per il rifiuto da parte di uno dei due, dell’esperienza della genitorialità. In tali evenienze la maggior parte della dottrina ammette, per la particolare gravità della fattispecie, che la stessa possa essere inquadrata come “mobbing” pur in difetto della pluralità di mobbers. Esso si connota, in genere, come ipotesi gravissima di violazione dei doveri di assistenza e collaborazione, gravanti sui coniugi giusta il combinato disposto degli artt.

143 e 160 c.c. . In materia si registra un leading case della Corte di Appello di Torino del 2000147. La fattispecie è contrassegnata dalla perdurante

condotta tenuta dal marito in violazione dei doveri coniugali di assistenza e collaborazione, mediante comportamenti idonei a gettare discredito sulla moglie, a trasmetterle valutazioni di disistima e di disprezzo, ingenerando in lei sentimenti di non accettazione e di rifiuto di sé tali da indurla ad un’interruzione della gravidanza e a lasciare il lavoro. La Corte, nella citata pronuncia, tratteggia analiticamente l’involuzione del percorso coniugale, mediante un assiduo e costante atteggiamento demotivante e mortificante da parte del marito, tale da incidere sugli aspetti più intimi della personalità della consorte, trasformandola “da rifiutata a rifiutante se stessa”. Lincrinazione, nella moglie, della fiducia in se stessa e della sua capacità di interagire con il contesto di appartenenza secondo il principio di autoresponsabilità, è efficacemente scolpita dalla sentenza de qua, in cui anche l’interruzione “volontaria” della gravidanza viene imputata ad una “non scelta” di non essere madre.

I giudici di Appello affermano che “la complessiva condotta dello S. (…) fu eziologicamente tale da cagionare disagio, sofferenze e turbamenti, lesioni all’immagine pregiudizievoli della personalità del coniuge, con atteggiamenti ingiuriosi di disistima che la isolavano dalla considerazione del gruppo di appartenenza e ne sollecitavano l’allontanamento, essendo

147

esplicitamente e ripetutamente espulsivi ( come accertato, più volte le aveva detto, in presenza di parenti e comuni amici di famiglia, che lei non era il suo ideale di donna ed ai tentativi della donna di ricomporre le fratture, reagiva in modo sprezzante, dicendole di andarsene) (…).

Quanto al mobbing verticale, il caso tipico che si rinviene in ambito familiare è quello attuato dai genitori nei riguardi di un figlio, nei confronti del quale si travalicano i limiti di un uso corretto dei mezzi di disciplina, esonerando il medesimo da ogni scelta e rendendolo estraneo ad ogni forma di condivisione. Tali comportamenti, reiterati per uno spazio temporale significativo, devono altresì essere accompagnati da una finalità persecutoria, espulsiva, estraniante, di guisa da iscrivere le singole condotte in un disegno illecito.

Non constano, invece, casi giurisprudenziali di mobbing familiare ascendente, che si perfeziona nell’ipotesi in cui i discendenti, con comportamenti e con intento persecutorio, si disinteressino di ogni cura, premura, consiglio a loro rivolto dai genitori, ed anzi assumono contegni attivi atti a squalificare gli ascendenti, a svilirli e mortificarli nel loro ruolo di padre o madre e poi nella loro essenza di uomo o di donna.

5.9 CASI PARTICOLARI DI ILLECITO ENDOFAMILIARE

Nel documento illecito endofamiliare (pagine 134-138)