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PRIME IPOTESI DI ACCESSO DELLA RESPONSABILITA’ CIVILE NEL DIRITTO DELLA FAMIGLIA

Nel documento illecito endofamiliare (pagine 57-66)

RESPONSABILITA’ AQUILIANA E ADDEBITO DELLA SEPARAZIONE.

3.2 PRIME IPOTESI DI ACCESSO DELLA RESPONSABILITA’ CIVILE NEL DIRITTO DELLA FAMIGLIA

In un settore così fortemente pretorio quale quello della valutazione del danno alla persona, il compito di implementare il “nuovo” statuto non poteva che spettare alla giurisprudenza che, in questi anni, ha conosciuto una significativa evoluzione in materia.

Sulla complessa problematica relativa alla configurabilità di una responsabilità aquiliana nell’ambito dei rapporti coniugali e familiari, la Suprema Corte ha fornito non numerose e non univoche risposte; anche la dottrina specialistica è approdata a conclusioni differenziate.

Nei primi decenni della Repubblica, ci sono state delle sporadiche applicazioni giurisprudenziali del risarcimento danni in famiglia: la prima negli anni cinquanta che si riferiva quasi esclusivamente al danno da procreazione, wrongful birth, là dove un figlio, affetto da sifilide sin dalla nascita, conveniva in giudizio i genitori imputando loro il proprio stato morboso. Era emerso nel processo che, pur consapevoli di essere affetti da quel male, nonché avvertiti del carattere di ereditarietà dello stesso, i genitori si erano mostrati, al momento del concepimento, incuranti di ogni rischio di contagio al feto44.

Una pronuncia della Corte di Cassazione nel 197745 ha condannato un coniuge ex art. 2043 cc, per aver impedito volontariamente la trascrizione del matrimonio presso i Registri dello Stato Civile. Il marito, con comportamento doloso, aveva convinto il parroco a celebrare il matrimonio pur in assenza dell’atto di nascita del promesso sposo, dietro l’impegno dei nubendi di adempiere alle formalità subito dopo la cerimonia, ma lo sposo aveva trattenuto l’atto di nascita al fine di contrarre matrimonio civile con altra donna, rendendo impossibile la trascrizione di quello concordatario. Nella risalente sentenza n. 2468 del 197546 la soluzione positiva della

questione appare quasi scontata, lì dove si afferma non potersi escludere a priori che l’adulterio, nel particolare ambiente in cui vivono i coniugi, sia causa di tanto discredito da costituire per l’altro coniuge fonte di danno, a carattere patrimoniale, nella vita di relazione, e che pertanto la violazione da parte di un coniuge dell’obbligo di fedeltà, a prescindere dalle conseguenze sui rapporti di natura personale, possa determinare, in concorso di particolari circostanze, un obbligo risarcitorio in favore del coniuge danneggiato.

A diversa soluzione soluzione sono pervenute le due sentenze n. 336747 e n.

4108 del 199348. La prima ha affermato che nel caso di addebito della

separazione la tutela risarcitoria di cui all’art. 2043 cc non può essere

45Cass. 8 febbraio 1977, n.555, inedita. 46

C. Cass. 27 giugno 1975, n. 2468, in Foro Italiano, I, 1977, 21 ss 47

invocata per la mancanza di un danno ingiusto, non integrando l’addebito della separazione la violazione di un diritto dell’altro coniuge.

La sentenza 6 aprile 1993, n.4108 ha escluso l’utilizzabilità delle regole della responsabilità aquiliana ex art 2043 cc in ambito familiare, sottolineando come la separazione personale dei coniugi costituisce un diritto di libertà della persona, e come il legislatore ha, espressamente, previsto le conseguenze che da essa potrebbero derivare ( fra cui l’addebito).In particolare sancisce la Corte “dalla separazione personale dei coniugi può nascere sul piano economico solo il diritto ad un assegno di mantenimento dell’uno nei confronti dell’altro…Tale diritto esclude la possibilità di chiedere…anche il risarcimento dei danni a qualsiasi titolo risentiti a causa della separazione stessa: e ciò non tanto perché l’addebito del fallimento del matrimonio soltanto ad uno dei coniugi non possa mai acquistare…i caratteri della colpa, quanto perché, costituendo la separazione personale un diritto inquadrabile tra quelli che garantiscono la libertà della persona ed avendone il legislatore specificato analiticamente le conseguenze nella disciplina del diritto di famiglia, deve escludersi – proprio in omaggio al principio secondo cui inclusio unius, exclusio alterius – che a tali conseguenze si possano aggiungere anche quelle proprie della responsabilità aquiliana ex art. 2043 cc…”.

Parte della dottrina49 riteneva applicabile in linea teorica la disciplina della

in caso di lesioni, percosse, maltrattamenti che,uniti ai presupposti specifici, legittimano, oltre che alla separazione o il divorzio, anche il ricorso al risarcimento del danno.

Anche per quanto concerne il cattivo esercizio della potestà genitoriale l’art.333 cc, con cui al giudice viene conferito il potere di adottare provvedimenti specifici a seconda delle circostanze, non esclude il ricorso al risarcimento danni; ipotesi non scartata nemmeno nel caso di decadenza dalla potestà genitoriale a seguito della pronuncia ex art. 330 cc, infatti se la norma escludesse la possibilità per il figlio di ottenere un risarcimento per il grave pregiudizio causato dalla violazione o trascuratezza dei doveri o dall’abuso dei relativi poteri, sarebbe una norma di favor per il genitore. Un’apertura, in forma di obiter dictum, nei confronti dell’applicabilità dei principi della responsabilità civile nei rapporti tra i coniugi, vi è stata in un ipotesi riguardante la domanda di risarcimento, proposta in un giudizio di separazione, per i costi derivanti dal trasferimento in un domicilio diverso da quello coniugale e per provvedere al relativo arredamento.

In tale occasione la Suprema Corte – con la pronuncia del 26 maggio 1995, n.5866 - ha sottolineato che “l’addebito della separazione non rientra, per sé considerato, tra i criteri di imputazione della responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 cc, determinando, nel concorso delle altre circostanze previste dalla legge, solo il diritto del coniuge incolpevole al mantenimento, e potendosi, quindi configurare la risarcibilità degli

ulteriori danni solo se i fatti che hanno dato luogo alla dichiarazione di addebito integrino gli estremi dell’illecito ipotizzato dalla clausola generale di responsabilità espressa dalla norma citata”50.

Si tratta di un primo riconoscimento, per quanto astratto, del possibile concorso tra rimedi giusfamiliari e rimedi di diritto comune.

La riflessione dei giudici di legittimità parte proprio dalla considerazione che con la legge 151 del 1975 alla separazione consensuale si alterna quella giudiziale, per la quale non è più necessario dimostrare che il comportamento colposo di uno dei coniugi rientri in una delle ipotesi tassativamente previste, ma questa viene pronunciata sulla base dell’intollerabilità della convivenza o del grave pregiudizio arrecato alla prole; ciò non significa che si sia tolto valore alle conseguenze derivanti dalla violazione degli obblighi coniugali, perché l’istituto dell’addebito è stato introdotto a tal fine: allorquando il comportamento contrario ai doveri matrimoniali di un coniuge abbia portato alla crisi familiare, e dunque all’intollerabilità della convivenza, il giudice può pronunciare l’addebito della separazione che comporta la perdita del diritto all’assegno di mantenimento e la perdita dei diritti successori rispetto al coniuge cui non viene addebitata la separazione51.

Tuttavia, da tale violazione può discendere anche una responsabilità di tipo aquiliano a carico del coniuge trasgressore, destinata a ristorare il danno

che il coniuge incolpevole abbia eventualmente subito nella propria persona.

La giurisprudenza di merito ha richiamato questo precedente e vi ha dato applicazione in un caso in cui, oltre a disporre l’addebito a carico del marito, il Tribunale lo condannò anche al risarcimento del danno subito dalla moglie per la compromissione della sua integrità psicofisica 52.

Del resto va sgombrato il campo dal diffuso timore di un incremento della conflittualità o di incentivare la disgregazione della coppia: là dove i diritti dei singoli vengono conculcati, non tanto in nome di un preteso interesse del nucleo, quanto, come generalmente accade, per la prevaricazione di un coniuge sull’altro, nascono forze centrifughe che, prima o poi, portano alla crisi irreversibile, così pregiudicando, quel che è più grave, la serena crescita dei figli. Ecco perché tale timore non può essere così forte da bloccare la risarcibilità del danno da violazione dei diritti soggettivi visto che, quando si arriva ad avanzare richieste risarcitorie, sono ormai venute meno la tollerabilità della convivenza e la coesione della coppia: non vi è più alcuna ragione per negare in sede giudiziaria la tutela dei diritti del singolo53.

Anche nei rapporti tra genitori e figli, la mutata concezione della famiglia impone che il danneggiato non venga privato della tutela garantita dalla legge, solamente perché un vincolo di parentela lo lega a chi ha causato il

52Così: Trib di Firenze 13 giugno 2000 in Danno e Resp. 7, 2001, p.743 e Tribunale di Milano 7 marzo 2002, in Danno e Resp., 6, 2003, p.644.

danno, perciò dalla violazione dei doveri che ciascun genitore ha nei confronti dei propri figli possono derivare non soltanto i provvedimenti di cui all’art. 330 e ss cc, ma anche l’obbligo di risarcire i danni che sono stati causati dalla prole.

La Cassazione54 ha ricollegato l’art. 2043 cc all’art. 2 e ss. Cost.,

estendendo così l’area operativa del primo, fino a ricomprendere il risarcimento di tutti i danni ostacolanti le attività realizzatrici della persona umana, e dunque non solo quelli in senso stretto patrimoniali: la lesione di diritti di rilevanza costituzionale va incontro alla sanzione risarcitoria per il fatto in sé della lesione ( danno evento) indipendentemente dalle eventuali ricadute patrimoniali che la stessa possa comportare ( danno conseguenza). Nella specie, in applicazione di tale principio, con la sentenza n.7713 del 2000, la Suprema Corte, confermando la decisione di merito, ha affermato l’illiceità della condotta del genitore, il quale, a causa di un prolungato ed ostinato rifiuto, aveva corrisposto con molto ritardo i mezzi di sussistenza al figlio minore. In tale condotta la Suprema Corte ha ravvisato la lesione di diritti fondamentali della persona umana e per questo motivo ha disposto il risarcimento del danno esistenziale. Si è osservato in tale decisione che una lettura costituzionalmente orientata dell’art.2043 cc impone di ritenere che tale disposizione sia diretta a compensare il sacrificio che detti valori subiscono a causa dell’illecito, così che la norma stessa, correlata agli artt. 2 ss Cost, deve necessariamente intendersi come comprensiva del

risarcimento di tutti i danni che almeno potenzialmente ostacolano le attività realizzatrici della persona umana, indipendentemente dalle eventuali ricadute patrimoniali che la lesione possa comportare.

Da notarsi che la violazione dei doveri genitoriali è idonea a determinare un danno ingiusto, allorché tale condotta leda interessi costituzionalmente rilevanti della prole. Di conseguenza non è la semplice violazione del dovere genitoriale a rappresentare il danno ingiusto, quanto piuttosto la lesione di un interesse ulteriore, ravvisato, nel caso di specie, nella violazione di doveri fondamentali della persona, inerenti in particolare alla qualità di figlio e minore.

La problematica si innesta in quella più ampia relativa alla risarcibilità della lesione dei diritti fondamentali della persona oggetto dell’orientamento giurisprudenziale che di lì a poco, con le sentenze n. 8827 e 8828 della Suprema Corte55, costituirà un importante arresto.

La pronuncia del Tribunale di Milano, 7 marzo 200256 muove dalla nuova

veste giuridica ricoperta dalla famiglia a seguito delle riforme della Carta Fondamentale e della legge del 1975 come società di eguali. Nel caso di specie è stato risarcito il danno non patrimoniale ad una donna abbandonata dal di lei marito all’indomani della notizia della gravidanza affermando che “è ipotizzabile a carico del coniuge inadempiente ai doveri matrimoniali di cui all’art. 143 cc una responsabilità risarcitoria ex art. 2043 cc, ove

venga accertata sia l’obiettiva gravità della condotta del medesimo, sia la sussistenza di un danno riconducibile non già alla crisi coniugale in quanto tale ma alla condotta illecita”.

Due le indicazioni fondamentali dei giudici di merito: la responsabilità aquiliana risponde a criteri propri che sono per definizione qualcosa di diverso da quelli che stanno a base della pronuncia di separazione o divorzio e delle conseguenti condanne al mantenimento; inoltre, il danno ingiusto deve essere obiettivamente grave, con esclusione di tutte le incomprensioni e delle offese che rientrino nella normale tollerabilità misurata all’ambiente in cui maturano, sicuramente diverso da quello nei rapporti tra estranei.

3.2.1 IL LEADING CASE DEL TORTO FAMILIARE: TRA RESPONSABILITA’ AQUILIANA E

Nel documento illecito endofamiliare (pagine 57-66)