Per quanto si attiene circa le modalità di accesso alla misura, il 1° co. Dell'art. 94 t.u. 309/90, prevede che la richiesta di affidamento in prova particolare possa essere presentata dall'interessato in ogni momento, quando non sia già stato eseguito l'ordine di carcerazione in seguito al passaggio in giudicato della sentenza ovvero durante il corso
dell'esecuzione della pena del condannato in vinculis64 ;
inoltre deve essere allegata la certificazione rilasciata da una struttura sanitaria pubblica o privata autorizzata che ne attesti lo stato di tossicodipendenza, la procedura con cui è stato accertato l'uso abituale della sostanza, l'andamento del programma, se in corso, e la sua idoneità ai fini del recupero del condannato. Questa misura , con la riforma operata con il d.l. 272/2005 conv. In l. 49/2006 è stata estesa al modello procedimentale già favorevolmente sperimentato con la l. 165/1998. In particolare è stata introdotta una più articolata disciplina che differenzia fermamente l'ipotesi in cui l'istanza provenga dal condannato ancora in stato di libertà rispetto al caso in cui la richiesta provenga da un soggetto detenuto. Attenendosi alla formulazione letterale di tale disposizione, sembrerebbe doversi ritenere una titolarità esclusiva del soggetto interessato alla presentazione dell'istanza, al che ne conseguirebbe un' esclusione della legittimazione concorrente di altri soggetti, in particolar modo dei prossimi congiunti, tanto più del consiglio di disciplina, secondo quanto previsto dalla disposizione di carattere generale di cui all'art. 57 ordinamento penitenziario. Tuttavia, in merito alla medesima formulazione contenuta nella disciplina dell'art. 47 bis
ordinamento penitenziario gli interpreti sostenevano tesi contrastanti. Da un lato, vi era chi affermava una interpretazione letterale, coincidente con quella del legislatore, ovvero l'intento di pretendere un'iniziativa del tutto personale dell'interessato, tale da poter accogliere le sole richieste sorrette da una volontà riabilitativa65 . Dall'altro,
invece, si trovava chi sosteneva più un'interpretazione estensiva, che prendesse in considerazione quanto disposto dall'art.57 ordinamento penitenziario, vista l'intenzione del legislatore di favorire il più possibile l'accesso alla misura66.
L'interpretazione più estesa ha finito per essere quella preferibile, sia da un punto di vista normativo, essendo oggi, l'affidamento terapeutico espressamente contenuto nella versione rinnovata nel Regolamento di esecuzione ( d.p.r. 230/2000) trai benefici la cui concessione può essere proposta dal consiglio di disciplina ( art. 76 co. 2°lett. b), sia da un punto di vista sistematico, passando la realizzazione del diritto di difesa anche tramite l'applicazione più ampia delle norme che stabiliscono la legittimazione all'instaurazione del procedimento di sorveglianza, in particolar modo quando è
65 P. Comucci, Nuovi profili del trattamento penitenziario, Milano, 1988, pag. 80, nt. 119
66 In particolare, si è ritenuta la legittimazione tanto dei prossimi congiunti ( v. A.Presutti, Tossicodipendenze, cit., pag. 84-85)quanto del difensore, del tutore ovvero del curatore dell'interessato(cfr. F.Corbi, L'affidamento in prova con finalità terapeutiche, cit. pag.1126)
associata all'attuazione effettiva dello scopo rieducativo della pena67.
Inoltre, è bene evidenziare che un'elevazione del limite di pena inflitta è stata prevista incidendo direttamente sulla disciplina contenuta nell'art.94 t.u. 309/90, ciò a conferma della già esistente esigenza di favorire una più ampia applicazione della misura alla quale sembra eccessivo opporre il dato ricavabile dalla sua interpretazione letterale.
La legge 49/06 ha compiuto un'evidente divaricazione delle modalità di accesso alla misura, in relazione al differente stato in cui si trova il condannato al momento della richiesta: se questo si trova ancora in libertà, destinatario sarà il P.M. Preposto all'esecuzione secondo quanto previsto dall'art. 656 co. 5° c.p.p. Al quale spetta provvedere alla trasmissione sia della richiesta sia della relativa documentazione al Tribunale di sorveglianza competente( 6° co. Dell'art.656 c.p.p.). Se il condannato è già detenuto, spetta al magistrato di sorveglianza la competenza a decidere sulla richiesta di applicazione provvisoria della misura, previo una verifica preliminare sulla presenza dei requisiti prescritti dal 2° co. Dell'art.94 t.u. 309/90.
Osserviamo come la ratio sia volta ad evitare che il soggetto che necessita di terapie e che intende avviare o proseguire un
67 F. Fiorentin, Misure alternative alla detenzione e tossicodipendenza, Milano, 2011, pag. 105
programma terapeutico, rimanga sottoposto allo stato detentivo in presenza delle condizioni dettate dalla legge per la concessione della misura. Si tratta di un intervento celere da parte del Magistrato di sorveglianza, che è obbligato a interrompere il protrarsi della restrizione carceraria, alla luce della definitiva decisione del Tribunale di sorveglianza. In merito a ciò, la giurisprudenza ha messo in evidenza, in vista proprio della natura provvisoria della decisione del magistrato, come un possibile decreto che rigetti la domanda sia sottratto al ricorso per Cassazione68.
Il meccanismo è assimilabile alla cosiddetta giurisdizione cautelare69, che davanti ai due classici presupposti, ovvero il
fumus boni iuris , cioè la fondatezza dell'istanza presentata dal detenuto, e del periculum in mora, che altro non è che il pregiudizio grave, derivante dallo stato detentivo, consente un'applicazione della misura immediata seppur limitata nel tempo. Evidente è la netta cesura intervenuta, a seguito delle modifiche apportate con la legge 49/2006. Gli effetti di ottimizzazione conseguenti sono percepibili dal confronto con la previgente disciplina, secondo la quale l'istanza andava presentata, sempre e comunque al P.M. , purchè non lo
68 Cass. I, 5.2.1999, Silvestro
69 F. Della Casa, Premessa, in AA.VV, “Democratizzazione” dell’accesso alle misure alternative e contenimento della popolazione carceraria: le due linee guida della nuova legge sull’esecuzione della pena detentiva, in LP, 1998, pag.804
vietasse il limite di pena, il quale era obbligato a sospendere l'esecuzione dell'ordine di carcerazione se l'istanza faceva riferimento a un soggetto in stato di libertà (3°co.), e ad ordinare la scarcerazione, se il soggetto si trovava in vinculis(4° co.) : in tutti e due i casi, si imponeva la trasmissione degli atti al tribunale di sorveglianza competente, con la conseguenza che l'interessato attendeva in libertà la decisione sul merito della richiesta.
Sostanzialmente, l'organo dell'accusa era chiamato a una verifica di carattere meramente formale, ciò che portava nella maggior parte dei casi ad una immediata emissione di un provvedimento di scarcerazione. La previsione di un simile sistema, appariva essere perfettamente coerente con la ragion ispiratrice della misura, cosi come delineata dalla legge 297/1995, introdotta dalla legge dell'ordinamento penitenziario. Il legislatore dell'epoca ritenne coerentemente necessario stabilire che la mera richiesta di affidamento potesse interrompere l'esecuzione della pena in carcere, consentendo cosi il protrarsi di un programma terapeutico già intrapreso autonomamente dal condannato e quindi in corso al momento in cui la condanna fosse divenuta esecutiva. La disciplina è profondamente mutata a seguito delle modifiche dalla legge 663/1986.
all'affidamento terapeutico per il condannato in libertà è dato da un precedente intervento normativo effettuato sull'art.656 c.p.p., con lo scopo di facilitare l'applicazione preventiva delle alternative alla detenzione,già la legge 165/98 prevedeva che una volta emesso l'ordine di esecuzione, il P.M. Ne disponeva la sospensione riguardante una condanna a pena contenuta nel limite di tre anni ovvero di sei nei casi di cui agli artt. 90 e 94 t.u. 309/90 ( art.656 co. 5°c.p.p.). Tale sistema è predisposto a consentire l'applicazione della misura prima e a prescindere dalla instaurazione dello stato detentivo70, per
cui, si prevede che entrambi i provvedimenti siano notificati al condannato e al suo difensore (quello nominato per la fase esecutiva ovvero, in mancanza,quello che lo abbia assistito nel giudizio), informati della possibilità di presentare istanza, nel tassativo termine di trenta giorni , al P.M., il quale, a sua volta provvederà a trasmetterlo al Tribunale di sorveglianza competente per territorio.
Davanti a questa apparente chiarezza della sequenza appena esposta, la dottrina ha avuto modo, fin dall'entrata in vigore della legge 165/1998, di evidenziare la difficoltà di accertare la presenza del presupposto cui è subordinato il provvedimento di sospensione dell'esecuzione delle pene detentive superiori
70 F.Della Casa, Democratizzazione dell'accesso alle misure alternative e
contenimento della popolazione carceraria: le due linee- guida della nuova legge sull'esecuzione della pena detentiva, in LP, 1998, pag.765 e ss
a tre anni, essendo impossibile,a condizioni normali, che il P.M. Sia in grado sulla base degli atti a sua disposizione, di constatare l'eventuale condizione di tossicodipendenza del condannato71.
Allo scopo di superare questa forte contraddizione, introdotta dalla disciplina con la legge del 1998, si è avuto modo anche di suggerire, affinché l'organo preposto all'esecuzione non proceda sulla base del solo estratto della sentenza di condanna (secondo quanto previsto dall'art. 28 disp. Reg. c.p.p.), ma acquisisca documenti in grado di garantirgli un quadro di informazioni più opportuno72.
Tuttavia, un rimedio di questo genere, nel silenzio della legge, potrebbe rivelarsi marcatamente oneroso e comunque non risolutivo, pertanto la soluzione definitiva potrebbe essere quello di dare la possibilità al condannato tossicodipendente di attuare un'iniziativa che sia capace di giocare “ d'anticipo, producendo in proprio la documentazione richiesta”73.
Detto questo, la serie si completa con la trasmissione della
71 A. Centonze, L'esecuzione della pena del tossicodipendente,in A.A.V.V., Esecuzione penale e tossicodipendenza, a cura di S.Ardita, Milano, 2005, pag. 177
72 In particolare, accanto a chi ha suggerito che il pubblico ministero acquisisca la sentenza di condanna, vi è stato chi, ha ipotizzato, invece,l’opportunità di un’attività istruttoria “ da compiere attraverso gli organi di polizia giudiziaria o tramite i servizi pubblici per le tossicodipendenze costituiti nelle aziende sanitarie locali “ (v. P. Canevelli, Commento alla legge 165/1998, in Dir.pen.proc., 1998, pag. 817). 73 A. Presutti,, in A.A V.V, Esecuzione penale e alternative penitenziarie, a cura di A.
domanda da parte del P.M. Al Tribunale di sorveglianza, un assolvimento che viene meno solo quando l'istanza si rivela tardiva o manifestamente inammissibile.
Si realizza così, la sospensione dell'ordine di esecuzione da parte dell'organo collegiale, che è tenuto a provvedere entro quarantacinque giorni, dal momento della ricezione dell'atto da parte della cancelleria.
L'interrogativo che viene da porsi, riguarda il fatto se tale previsione obblighi già in questa sede, la produzioni di documenti che è prevista a pena di inammissibilità all'art.94 o se, diversamente, basti l'indicazione dell'esistenza di quei requisiti. Se prendiamo in considerazione come ratio ispiratrice di questa previsione, l'opportunità di responsabilizzare i soggetti che avanzano istanze terapeutiche, sembra doversi ritenere che la validità dell'istanza dipenda dalla presentazione dei documenti che sono richiesti a pena di inammissibilità, per la domanda di affidamento terapeutico ai sensi dell'art.94 co. 1°. Il sistema di sospensione automatica dell'esecuzione della pena operato dal P.M., è oggetto di alcune deroghe. Ricordiamo infatti come la legge 165/98 ne vietava l'operatività con riguardo a condanne per reati di cui all'art. 4 bis ordinamento penitenziario( art.656 co. 9° lett a c.p.p.). Dopo l'entrata in vigore della legge 165/98, spiccava un orientamento finalizzato ad andare oltre il dato letterale,
tramite un'interpretazione che riconosceva la sospensione dell'esecuzione anche a fronte di condanne per uno dei delitti di cui all'art.4bis quando si trattasse di soggetti tossicodipendenti. Puntando sul fatto che il potere sospensivo del P.M. trovasse fondamento nella previsione ex art.91 co. 3° T.U.309/1990, anziché in quello dell'art.656 co.5° c.p.p., per cui si era ritenuto l'inapplicabilità della preclusione proveniente dal titolo del reato,prevista dal 9°co.lett a della stessa previsione codicistica74.
Il panorama normativo, in quanto oggetto di modifiche, non consente di assecondare una tale impostazione. Una particolare previsione che prevede un regime ad hoc a favore dei tossicodipendenti condannati per i reati di cui all'art.4bis, è stata introdotta con il d.l. 272/2005 conv. L 49/2006. Posta la preclusione al P.M., davanti a una condanna a uno di questi delitti, di disporre la sospensione dell'ordine di esecuzione, quando il titolo esecutivo riguardi un soggetto tossicodipendente, la più recente formulazione dell'art.656 co.9° lett. A prevede una esplicita eccezione che delimita fortemente il regime derogatorio per coloro che si trovano agli arresti domiciliari disposti ai sensi dell'art. 89 d.p.r. 309/90. Viene cosi circoscritto lo spazio di eccezione al divieto di
74 Cfr., in tal senso,la dottrina e la giurisprudenza citata da A. Presutti, sub art. 94 T.U. 309/1990, cit., pag.528
sospensione dell'ordine di esecuzione, la dove la condanna riguardi uno dei delitti di cui all'art.4bis. La ratio di questo regime derogatorio, pare essere ancora una volta riconducibile alle esigenze legate al contenimento della presenza dei detenuti tossicodipendenti in carcere, indipendentemente dalla prospettazione di programmi terapeutici.
Si evidenzia quindi, una evidente lacunosità di tale disciplina , che viene ad essere superata grazie ad una interpretazione analogica, in cui la condizione di questi soggetti si presenta del tutto identica a quella prevista dall'art.656 10° co. c.p.p. Detto questo il P.M., in seguito all'emanazione della sospensione automatica dell'ordine di carcerazione, procederà, senza ritardo, all'invio al Tribunale di sorveglianza per una eventuale applicazione dell'affidamento terapeutico. Seguendo la suddetta impostazione, emergono le evidenti ricadute inerenti allo stato di libertà. Il soggetto mantiene lo stesso stato detentivo avente nel momento in cui è stata disposta la sospensione dell'esecuzione e il tempo corrispondente equivale a pena espiata. In definitiva, come abbiamo già avuto modo di osservare, eccetto le ipotesi previste ex art. 89 co. 4° T.U., tutti le altre situazioni in cui un soggetto tossicodipendente risulta condannato per un delitto previsto dall'art.4bis, si inseriscono nel regime previsto
dall'art.656 co. 9° lett a. Del resto, non sembra essere ipotizzabile una disattenzione o errore del legislatore, quanto piuttosto una scelta volontaria dello stesso di apportare importanti cambiamenti di scelte rispetto al passato e cioè di rendere più difficilmente accessibile, per i condannati tossicodipendenti per uno dei delitti di cui all'art. 4 bis ordinamento penitenziario, la misura terapeutica, attraverso l'imposizione di un periodo di totale privazione della libertà determinabile in termini di assaggio di pena75.
Inoltre, occorre sottolineare, come in questa disciplina è riscontrabile un'evidente contraddizione sul piano sistematico, l'art.96 co. 2° e 3° d.p.r. 309/90 prevedeva per il detenuto che non fosse stato ammesso alla misura alternativa per divieto di legge o per disposizione dell'autorità giudiziaria, il diritto di continuare o intraprendere il programma terapeutico nello stato di detenzione per mezzo del sistema sanitario penitenziario con l'ausilio delle strutture sanitarie territoriali. In relazione a ciò, sembrava essere incoerente prevedere, come lo stato di detenzione durante il tempo utile per la decisione da parte del Tribunale di sorveglianza sulla richiesta di affidamento terapeutico, potesse produrre effetti pregiudizievoli.
La decisione di ricondurre all'istanza della misura alternativa la riattivazione automatica della libertà per il condannato aveva, in pratica, l'effetto di consolidare l'intenzione del tossicodipendente, incentivandolo ad avvalersi del trattamento terapeutico.
Il legislatore del tempo, poco si era preoccupato di prevedere una disciplina in cui la prospettiva di un beneficio immediato fosse capace di inquinare la spontaneità della scelta76 e perciò
di mettere in dubbio il successo della terapia.
Se fin da subito, poteva dirsi conseguito l'obiettivo primario di eliminare un aspetto di ostilità in grado di influire negativamente sulla gestione degli istituti penitenziari, altrettanto non si poteva dire con riguardo alle proposte derivanti dalla dottrina che puntavano ad estendere l'ambito della delibazione preliminare riservata al pubblico ministero, per allargarla ad un accertamento sulla presenza della certificazione sanitaria prescritta e sulla mancanza della preclusione soggettiva riguardante la fruibilità della misura per più di due volte77.
Come abbiamo già avuto modo di osservare, la sintetica
76 L. Pepino, Droga e legge. Tossicodipendenza, repressione e prevenzione, Milano, 1991, pag. 132
descrizione di quanto operato e avvenuto antecedentemente alla riforma con la legge 49/06, rende più agevolmente apprezzabile la coerenza del nuovo assetto normativo ora esaminato. Infatti, secondo quanto disposto dall'art.94 co. 2°, l'istanza del condannato in vinculis da luogo ad una procedura non più gestita dal pubblico ministero, ma come abbiamo visto, dal magistrato di sorveglianza il quale dovrà preoccuparsi primariamente, davanti a richieste derivanti da soggetti detenuti, di effettuare una valutazione articolata su tre punti: l'accertamento dell'esistenza dei presupposti di concedibilità della misura, la verifica circa il grave pregiudizio che il protrarsi della detenzione potrebbe causare al soggetto e, l'assenza del pericolo di fuga. Si denota una esigenza di celerità che legittima un primario intervento da parte dell'organo monocratico che tra l'altro, ha anche l'onere di verificare la praticabilità di un'applicazione anticipata della misura, invece che decidere sulla mera scarcerazione, secondo una logica che appare ispirata a un più equilibrato bilanciamento tra istanze terapeutiche del tossicodipendente e quelle di tutela della collettività78.
Si tratta di una verifica preliminare, rispetto a quella nel merito, riguardante la fondatezza dell'iniziativa del detenuto,
che se anche deve assumere la forma del decreto motivato non pare assoggettabile al ricorso per Cassazione. Se è vero che sul piano delle garanzie, ciò non desta particolari problemi, è vero anche che viene ad essere impedita un'iniziativa diretta ad accedere a una terapia fuori dal carcere, ma in questa circostanza, la riproposizione di una domanda munita delle relative certificazioni si presenta come una soluzione più efficace di un assoggettamento a ricorso per cassazione.
Una volta che l'istanza viene dichiarata ammissibile, dovrà essere esaminata nel merito, il magistrato dovrà quindi accertare, come abbiamo appena sopra esaminato, l'esistenza dei presupposti per la concessione della misura, il grave pregiudizio derivante dal protrarsi della detenzione e, infine l'assenza del pericolo di fuga. In particolare per quanto concerne la presenza del fumus, sarà cura del magistrato accertare l'attendibilità dell'accoglimento della richiesta da parte del Tribunale, seguitamente a una delibazione sommaria, avente ad oggetto gli stessi elementi su cui verterà il giudizio rimesso al collegio. Detto in altri termini, al magistrato spetta verificare l'idoneità del programma terapeutico e la sostanziale possibilità che tale misura possa favorire il recupero dell'interessato. Si tratta, sostanzialmente di un giudizio che da un punto di vista qualitativo, si presenta
del tutto identico a quello che sarà chiamato ad esprimere il Tribunale. Sempre in virtù di un dato letterale, visto che nella disposizione in esame non vi è alcun riferimento al disposto di cui al 3° co. , è da ritenersi preclusa l'eventualità di acquisire gli atti del procedimento e di proseguire ai relativi accertamenti in ordine al programma concordato.
Per quanto riguarda il controllo su una eventuale utilizzazione della misura, la non estensione della previsione alla fase che stiamo esaminando, sembra trovare spiegazione nella difficoltà di effettuare un tale giudizio nella sede della decisione interinale, visti anche i relativi limiti istruttori del giudice monocratico.
Per quanto attiene l'accertamento del periculum in mora, non pare che esso debba necessariamente identificarsi nella eventuale eccessiva durata della procedura davanti al tribunale. Detto questo, non mancano alcune perplessità che tale requisito desta a livello interpretativo.
Accogliendo una rigida lettura del sistema dettato dal d.p.r. 309/90, una tale circostanza potrebbe essere facilmente superata in virtù della previsione che riconosce al condannato la facoltà di continuare o intraprendere il programma terapeutico nello stato di detenzione (art.96 co. 2°). Stando a tale impostazione, il risultato favorevole del presupposto in esame, verrebbe ad essere influenzato dalle caratteristiche
del programma terapeutico, che potrebbe legittimare l'utilizzo provvisorio della misura, e solo nei limiti in cui, sia caratterizzata da misure non agevolmente attuabili nello stato detentivo79 .
Diversamente,un'impostazione più flessibile tende a sottolineare come il periculum sia individuabile nella necessità di non interrompere la prosecuzione del programma terapeutico previsto dalla domanda. Quest'ultima interpretazione, pare essere la più favorevole e convincente, in considerazione del fatto che il provvedimento del magistrato di sorveglianza sia di per se di carattere provvisorio, divenendo definitivo solo a seguito della decisione del Tribunale.
Infine, un riferimento va al pericolo di fuga, ultimo dei presupposti per la concessione della misura in via provvisoria.