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La gestione del tossicodipendente nell'esecuzione penale

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Academic year: 2021

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INDICE

Introduzione...pag. 3

CAPITOLO PRIMO

Carcere come istituto rieducativo? ...

1.1

Evoluzioni della normativa e scelte

politiche contraddittorie ...pag. 10

1.2

Applicazione

nell'Ordinamento

Italiano...pag.16

CAPITOLO SECONDO

La gestione del tossicodipendente all'interno

dell'istituzione penitenziaria ...

2.1

Tentativo di definizione ... pag. 22

2.2

Condizioni generali ...pag. 28

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CAPITOLO TERZO

L'affidamento terapeutico come strumento di

esecuzione esterna ...

3.1

Presupposti oggettivi e soggettivi..pag.57

3.2

Modalità di accesso ...pag.63

3.3

Procedimento decisorio ...pag. 84

3.4

Gli esiti ...quello positivo ...pag. 91

3.5

Esito negativo ...pag. 96

CAPITOLO QUARTO

Conclusioni. Prospettive di riforma...pag.103

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Introduzione

Una premessa è qui utile per focalizzare al meglio, come l'ampio ambito riguardante la gestione dei soggetti fragili all'interno degli istituti penitenziari, faccia emergere la loro forte vulnerabilità, considerate anche le condizioni personali e sociali, sia la stessa situazione detentiva. Cosi come enunciato dal Tavolo IV degli Stati generali “ Il prendersi cura di minorità sociale, vulnerabilità e dipendenze, che sono parte della nostra società e che insistono sugli Istituti di pena, non è sostenuto solo da ragioni etiche o normative e non è solo a beneficio dei soggetti detenuti o condannati. E' qui visto come un complesso di azioni, non effimere, volte a tutelare una convivenza civile per tutti i cittadini, un diverso, più evoluto ed efficace investimento sociale, anche economico”1.

Osserviamo come il carcere, oggettivamente, ha conseguenze negative sui soggetti con “minorità sociale” o con malattie quali le dipendenze, con l'aggiunta che non sempre, tale istituto penitenziario, non è in grado di fornire e garantire alla collettività, quella prestazione alla quale in teoria dovrebbe tendere, ovvero la riabilitazione. Vanno quindi realizzate e potenziate alternative ad esso, con una specifica

1 Ministero della Giustizia, Tavolo 4-Minorità sociale, vulnerabilità, dipendenze, Stati generali dell'esecuzione penale, 2016

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differenziazione tra il percorso riabilitativo e volto alla tutela della salute, di fondamentale importanza, e il percorso

carcerario. Da non sottovalutare, è il rischio che davanti a una diversa cura di questi problemi, non solo si limita

l'investimento sugli istituti penitenziari, ma non s'investe in servizi esterni adatti, al momento oggetti di rilevanti tagli. In varie situazioni, l'occuparsi da parte delle Istituzioni, di soggetti vulnerabili e patologici, si realizza per mezzo del meccanismo giudiziario o degli interventi all'interno delle mura carcerarie. Ed è cosi che, in una prospettiva di riduzione generalizzata delle risorse, l'alternativa al carcere, può

rivelarsi del tutto insignificante. La normativa attuale sul consumo di sostanze stupefacenti, si è rivelata inidonea sia sul piano della tutela della salute individuale sia sul piano della tutela della salute pubblica. Bisogna, non da ultimo

riconoscere che molti soggetti che entrano all'interno degli istituti di pena, se pur in stati di vulnerabilità o portatori di malattie, si trovano in una condizione di forte integrazione familiare, culturale con stili di vita ed esemplari di riferimento differenti. Per certe persone, il reato è sintomo di una

situazione di integrazione,per cosi dire, diversa. Il carcere, nell'attuale situazione, può essere l'occasione di intervento per prendersi in cura il soggetto.

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Tavolo IV degli Stati generali, rinvia ad una situazione soggettiva che, per consuetudine, è definibile una

deprivazione a livello sociale e individuale, che comprende solitamente un certo numero si soggetti che entrano a far parte del carcere. Detto in altri termini, tale condizione nella maggior parte dei casi, costituisce l'origine del

comportamento che porta al carcere.

Sono innumerevoli i casi di trasgressione della norma penale da parte dell'individuo, basti pensare alla criminalità

organizzata, pur non trovandosi, formalmente, in uno stato di criticità, è senza dubbio che la mancanza in capo a un

determinato soggetto, dell'adeguata tutela, determinano comportamenti penalmente rilevanti. Tutto ciò è dato, in alcune situazioni, dall'assenza di consapevolezza dell'esistenza di specifiche norme giuridiche, il cui valore è essenzialmente prerogativa di certe cerchie più elevate della società; in altre occasioni, invece, pur in presenza della consapevolezza della mancanza del valore del comportamento illecito dal punto di vista giuridico, è lo stato stesso di difficoltà del soggetto che conduce alla violazione della norma( basta pensare al caso in cui chi commette pur consapevolmente un illecito, rubando, lo compie per la sua necessità economica, mancando una tutela sociale). “La “minorità sociale”, dunque, da condizione che impone, secondo la previsione dell'art.3 della

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Costituzione, interventi “promozionali” da parte delle istituzioni pubbliche diretti a rimuovere le disuguaglianze, diventa una sorta di indice selettivo di meccanismi di controllo penale che realizzano una ulteriore esclusione sociale”2.

Sostanzialmente, vediamo come il carcere spezza o comunque attenua le relazioni sociali e familiari, comportando molto spesso la perdita di lavoro, etichetta le persone con segni non facilmente eliminabili; è anche, occasione di vere e proprie patologie fisiche, psichiche, sociali. In altri termini, il carcere rappresenta la vulnerabilità.

Tuttavia, una particolare rilevanza assume, una riflessione circa gli effetti negativi derivanti dalla pena e dal carcere sulla condizione individuale e sociale del detenuto. Se è vero che non tutti i soggetti che accedono al circuito penitenziario sono caratterizzati da uno stato di vulnerabilità, è altrettanto vero che il solo impatto con la pena, più precisamente con il carcere, determina effetti negativi sul soggetto. Tralasciando quei casi, assai rari, in cui il carcere assolve a una funzione positiva sulla persona, esso solitamente è causa di malattie; attualmente la carcerazione ha l'effetto di marchiare il

soggetto, eliminandolo dal contesto sociale, in quanto vuoto di valori. Ciò caratterizza sia i soggetti c.d. vulnerabili che quelli socialmente integrati, in misura forse maggiore. Talvolta

2 Ministero della Giustizia, Tavolo 4-Minorità sociale, vulnerabilità, dipendenze, Stati generali dell'esecuzione penale, 2016

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il trauma della carcerazione può costituire un primaria causa di condotte suicidarie.

Non può certamente mancare un'osservazione riguardante gli effetti provenienti dalla crisi economica, dando quindi, la possibilità di intervenire in maniera diretta, nel tentativo di superare quegli ostacoli sociali, individuali e istituzionali che determinano comportamenti rilevanti dal punto di vista penale; ostacoli che determinano un indebolimento del sistema sociale e istituzionale. E' chiaro che il permanere di politiche penali, rendono quasi impossibile l'attuazione di una piena integrazione, promuovendo cosi, vulnerabilità e

condotte penalmente rilevanti. Pare dunque logico, supporre un intervento volto a ridurre l'utilizzo dello strumento

carcerario in una doppia direzione. Se da una parte la

quotidianeità, fa emergere una certa mancanza di umanità del carcere, dall'altra non va dimenticato che il carcere, essendo ormai un fatto storico, caratterizza sempre un'emergenza sociale. Si delinea il bisogno di una riduzione del sistema penale, attraverso l'eliminazione di tutta una serie di condotte indegne di ricorrere alla pena criminale. Rilevante in questo contesto, è la legislazione in materia di stupefacenti,

contraddistinta da una normativa che punisce le condotte riferite all'ambito del solo consumo, non omettendo che il presente miscuglio tra disciplina volta a sanzionare, sul piano

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amministrativo, il consumatore e norme penali dirette a rafforzare il carattere giuridicamente vincolante, finisce per penalizzare il semplice consumatore ( cfr. art. 75 bis T.U. n. 309/90).

Non va sottovalutato il fatto che, nella medesima materia, il legislatore ha normalmente previsto un carico sanzionatorio notevole, del tutto inadeguato, che spesso determina nella pratica una concreta applicazione di pene molto rigide; per cui un intervento normativo volto a rivedere il ricorso alla sanzione penale (in particolar modo quella carceraria) non può non fare riferimento ad una generale ridefinizione del regime edittale delle pene previste per la trasgressione della legge in materia di stupefacenti.

“Tossicodipendenza e carcere non si coniugano. E' dato inconfutabile, infatti, che il carcere acuisca in modo

esponenziale le problematiche dell'individuo: incide, ancor più, su un'interiorità e un'esistenza già provate; accentua il tasso di recidiva di coloro che ivi scontano la pena ( al

contrario di coloro che usufruiscono delle misure alternative). Quest'ultimo dato, soprattutto, è idoneo a smentire l'ipotesi che il carcere possa avere un qualche effetto deterrente per chi è abitualmente dedito ad assumere sostanze

stupefacenti.”3 Occorre rilevare che il carcere non è l'istituto

3 Ministero della Giustizia, Tavolo 4-Minorità sociale, vulnerabilità, dipendenze, Stati Generali dell'Esecuzione penale, 2016

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idoneo per curare il fenomeno della tossicodipendenza, anche se almeno nel nostro apparato, rappresenta una tappa quasi “obbligatoria” e fondamentale di cura per i detenuti

tossicodipendenti; sembra essere del tutto assurdo, come il carcere sia in grado di accogliere una quantità elevata di soggetti appartenenti a questa categoria, i quali non hanno mai avuto a che fare con i Servizi; inoltre sempre il carcere sembra comprendere soggetti che si trovano in condizioni di marginalità, criticità per le quali sarebbe, maggiormente preferibile una soluzione diversa dal carcere.

Per concludere, possiamo osservare come la complessa gestione di tal fenomeno comporti il fatto che il carcere rappresenta l'unica soluzione con cui il nostro Paese ha intenzione di affrontare il problema della tossicodipendenza, con proposte volte alla “carcerizzazione” del problema e non all'inserimento di chi, come i tossicodipendenti, presentano un malessere; indice del degrado di quello che dovrebbe essere il fine rieducativo.

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CAPITOLO PRIMO

Carcere come istituto rieducativo??

1.1 Evoluzioni della normativa e scelte politiche

contraddittorie ...

Il vasto scenario riguardante il fenomeno della tossicodipendenza, non solo costituisce una realtà a se' stante nell'ambito delle politiche criminali del nostro paese, ma si trova anche in contrasto con un atteggiamento di forte rigidità da parte della legislazione italiana, dove i meccanismi di emarginazione e di dipendenza legati all'uso di droghe hanno condotto alla diffusione di un mercato illegale, spregiudicato e redditizio, da parte di realtà criminali organizzate, pronte a sfruttare i tossicodipendenti quali contraenti obbligati dal bisogno fisico e talvolta utilizzati per far fronte al commercio in maniera capillare e dettagliata. Sul versante opposto, la legislazione è improntata verso un recupero terapeutico e

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sociale dei soggetti che vivono la tragica realtà della dipendenza. A tal proposito, è possibile constatare come la situazione del tossicomane, che per far fronte ai bisogni della dipendenza, commette reati legati alla diffusione degli stupefacenti, non gode di una disciplina particolarmente differenziata sul piano delle norme di incriminazione e di quelle che prevedono percorsi alternativi al carcere, rimanendo ancorata alle regole generali che ispirano la materia del tossicodipendente-reo.

L'atteggiamento della legge italiana è gradualmente cambiato, per quanto concerne la scelta di punire le condotte connesse al mondo degli stupefacenti. Da una prima normativa del 1954 che prevedeva una colpevolizzazione generica della detenzione delle droghe, senza distinguere i soggetti utilizzatori dai detentori ad altro titolo, cosicchè la situazione del tossicodipendente non veniva minimamente presa in considerazione, alle legislazioni successive, dove questa distinzione è stata riconosciuta ed attuata, prevedendo a certe condizioni e ai soli fini penali, la non punibilità del consumo della droga. L'impronta generale, è volta a reprimere sia il commercio e la cessione a terzi della droga, quanto l'utilizzo a fini personali, a cui soggiaciono misure di carattere amministrativo. Ciò lo si può riscontrare anche in disposizioni che, fino al referendum abrogativo del 1993, in alcune

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situazioni, hanno continuato a consentire la carcerazione per gli utilizzatori. Questo avveniva, dapprima in virtù delle disposizioni della legge 22 dicembre 1975, n. 685, e poi con il vigore del D.P.R. n. 309/1990, avuto riguardo a detenzioni che eccedessero la “modica quantità” (l. n. 575/1975), ovvero per quantità superiori alla c.d. “dose media giornaliera”( D.P.R. n. 309/1990), stabilita secondo quantitativi predeterminati , in base al fabbisogno medio per un soggetto abituale assuntore. Solo a seguito dell'accoglimento della proposta referendaria del 1993, si è avuto il declassamento repressivo, delle condotte di utilizzazione dello stupefacente, dall'ambito della sanzionabilità penale a quello della disciplina amministrativa, a prescindere dalla quantità detenuta. Anche se notevolmente ridotti, i casi di detenzione di stupefacenti da parte dei soggetti tossicodipendenti, in applicazione del nuovo regime conseguente al referendum sopra citato, tuttavia, il problema dei tossicodipendenti detenuti per violazioni di tale legge, non è affatto superato, a causa della punibilità della collaborazione, se pur minima, che essi forniscono, alle organizzazioni criminali, che gestiscono il commercio della droga, la maggior parte delle volte costretti dal bisogno di procurarsi il denaro da utilizzare per il consumo personale; di cui all'art. 74 del D.P.R. n.309/1990, che pone l'ipotesi del ricorrere di una fattispecie di reato, tale da esporre il soggetto

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a gravi sanzioni penali. Come ben sappiamo, la coesistenza della condizione di tossicodipendente e della partecipazione alle associazione, è purtroppo conosciuta nell'esperienza processuale che contrasta questa forma di criminalità organizzata, e provoca riflessi di non poca importanza nell'ambito penitenziario. Si vengono a creare cosi facendo, lunghe detenzioni atte ad ostacolare l'individuazione di percorsi alternativi al carcere, facendo ricadere sul sistema penitenziario, l'onere di individuare trattamenti che tengano conto della condizione di disagio e dipendenza che preesisteva al reato.

Si noti, come i trattamenti sanzionatori repressivi, sono del tutto incompatibili con la condizione di tossicodipendenza. Le proposte rieducative e di cura del tossicomane reo, devono perciò collocarsi in una dimensione terapeutica e riabilitativa. “ La tossicodipendenza va allora prioritariamente trattata – in ambiente penitenziario – come una condizione patologica complessa nella quale convergono tanto aspetti di patologia psichiatrica, quanto problematiche di dipendenza fisica. In queste condizioni occorre approfondire il problema di quale sia oggi il senso del ricordo alla sanzione della detenzione in carcere per i reati commessi da tossicodipendenti, sia dal punto di vista della funzione di prevenzione che si intende attribuire alla sanzione penale, sia da quello della corretta

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imputabilità delle condotte alla luce delle attuali conoscenze, con riguardo alla necessaria valutazione delle effettive capacità di consapevole determinazione del soggetto al momento della commissione del reato.4

Nel passato più recente, si è avvertita sempre più l'esigenza approfondire gli studi sul tossicodipendente detenuto, al fine di far fronte alle problematiche che ne derivano, ponendo come oggetto prioritario, le possibilità di recupero e di cura diverse dal carcere, ponendosi l'interrogativo tale per cui è più utile per la società curare o diversamente punire i tossicodipendenti.

Sul piano culturale, questi approfondimenti hanno mutato l'atteggiamento dello Stato nei confronti dell'assuntore abituale di droghe, convertendolo dal piano della mera repressione, a quello dell'intervento sociale sanitario e preventivo. Tale cambiamento di veduta è dato dal fatto che all'epoca non si avvertiva una emergenza di sicurezza sociale, come invece è ben ravvisabile ai giorni nostri, sia con riferimento alla commissione di delitti da parte di tossicodipendenti, sia alla diffusione di patologie di natura infettiva.

Il venir meno della condotta repressiva ha però dovuto fare i

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conti ad oggi, con il bisogno di fronteggiare il moltiplicarsi di delitti ed alle conseguenze,nei confronti dell'ordine, sicurezza e della salute pubblica, che da essi derivano.

Alla luce di queste considerazioni, la tossicodipendenza è oggi una condizione indifferente per il diritto penale, poiché né essa nè l'assunzione di droghe, costituiscono una condotta che integrino estremi di reità. Inoltre nemmeno le condotte delittuose, differenti, commesse in presenza della c.d. crisi di astinenza hanno una valutazione di responsabilità penale diversa. Fa eccezione l'applicazione dell'art. 95 c.p. Per i casi di accertata cronica intossicazione da sostanze stupefacenti tale da poter influire in modo totale o parziale sulla capacità di intendere e di volere del soggetto, secondo quando disposto dagli art. 88 e 89 del c.p. Chiaramente è impensabile, da un punto di vista politico-criminale, prevedere scelte legislative tali da attenuare o addirittura da escludere, una responsabilità penale per i reati commessi sotto la condizione di tossicodipendenza. Pur riconoscendo la grande difficoltà nell'accertare di volta in volta, nel caso della cronica intossicazione, lo stato di totale o parziale assenza della capacità che deriva dalla condizione stessa di tossicodipendenza. Ecco allora, che il legislatore derogando alla disciplina generale sulla imputabilità, prevede che sia la giurisprudenza dei giudici della cognizione a valutare caso per

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caso le questioni, rinunciando all'applicazione di soluzioni speciali per la tossicodipendenza.

1.2 Applicazione del principio di rieducazione

nell'ordinamento Italiano

Al terzo comma dell'art.27 la Costituzione italiana recepisce l'ideologia rieducativa, con la seguente formulazione: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Com'è noto, l'affermazione di questo principio ha dovuto vincere molte resistenze, sia in sede di stesura del testo sia, successivamente, in sede interpretativa5; dottrina e

giurisprudenza hanno a lungo manifestato la tendenza a ridurre/vanificare la portata del dettato costituzionale argomentando la natura collaterale (ed eventuale) della finalità rieducativa, e limitandola all'ambito esecutivo. In seguito, tuttavia, alla locuzione “devono tendere” è stato attribuito un duplice e rilevante significato: da un lato la formulazione esprime una precisa direttiva rivolta al legislatore penale affinchè stabilisca un sistema di pene congruente al fine costituzionale; dall'altro sottolinea la

5 Cfr. G.Fiandaca, Il 3° comma dell'art.27, in G.Branca e A. Pizzorusso, a cura di, G.Branca, A. Pizzorusso, Commentario della Costituzione, Rapporti civili. Artt.27-28, Zanichelli,Bologna-Roma, 1991,pp.n222-347.

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necessità di un consenso da parte del reo, cui non può essere imposta l'adesione ad un programma di trattamento. Detto questo, possiamo notare, come la disposizione in questione effettua un chiaro bilanciamento tra il valore dell'autodeterminazione individuale e quello di finalità collettiva volto alla rieducazione.

Come ben sappiamo, il dettato costituzionale ha avuto piena attuazione solo con l'approvazione, della legge 26 luglio 1975, n.354. “L'ordinamento penitenziario riformato si incentra sulla nozione del trattamento, declinato in due accezioni: il “trattamento penitenziario” che interessa anche i soggetti ristretti in quanto imputati, che deve essere “conforme ad umanità” e “assicurare il rispetto della dignità della persona”, e il “trattamento rieducativo”, che interessa i detenuti condannati, va concretizzato in un progetto individualizzato e, essendo finalizzato al reinserimento sociale, deve contemplare contatti con l'esterno”6. Sono previsti due aspetti

di rieducazione: dentro e fuori dal carcere. Particolare attenzione, desta il secondo aspetto, ulteriormente ampliato nel 1986(dalla legge n.663, detta “legge Gozzini”), in quanto caratterizzato dalle c.d. misure alternative alla detenzione. L'espressione può essere oggi utilizzata per indicare una

6 Isabel F. Cortes- Maria Laura Tasso, Carcere Risocializzazione Diritti, Torino,2006 pag.46

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categoria eterogenea di provvedimenti (alcuni dei quali hanno natura premiale) accomunati dal fatto di configurare situazioni totalmente o parzialmente alternative a ( o comunque riduttive) dello stato di reclusione: “tutte quelle misure di competenza della magistratura di sorveglianza che, a prescindere dalla sedes materiae, comportino modificazioni quantitative o qualificative alla pena inflitta”7.

Vanno, innanzitutto, sottolineati gli importanti cambiamenti avvenuti al disegno iniziale della riforma. Se per un verso si è continuato e perseguire positivamente, alcune tra le più rilevanti finalità originarie di alternativa al carcere, dall'altro si è dovuto prendere in considerazione una serie di fattori di emergenza che hanno condotto ad una discriminazione dei detenuti in base a certe tipologie di reato (il c.d. Doppio binario) certamente non coerente con l'impianto in generale8.

Al contempo, da vari fronti continuano a pervenire critiche nei confronti dell'istituto e dell'applicazione delle misure alternative in quanto produttive di pericoloso processo di erosione dei principi di certezza ed effettività della pena9. Ora,

7 F. Della Casa,Misure alternative ed effettività della pena, in “La Giustizia penale”,II-3,2001,pag.65

8 Cfr. F. Della Casa, Le recenti modificazioni dell'ordinamento penitenziario: dagli ideali smarriti della”scommessa” anticustodialistica agli insidiosi pragmatismi del “doppio binario”, in V. Grevi, a cura di, L'ordinamento penitenziario tra riforme e emergenza, Cedam, Padova, 1994, pag.73-147

9 Per una replica puntuale a questo tipo di critiche vedi F. Della Casa, Misure alternative ed effettività della pena, cit.

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è chiaro che la frequente conflittualità delle linee di sviluppo della legislazione penale e penitenziaria contribuisce ad indebolire il principale presupposto ideologico della riforma, quello relativo alla configurazione della reclusione come extrema ratio della risposta penale.

Il punto che qui rileva, tuttavia, è un altro. Occorre tornare agli anni Settanta: in molti sensi il legislatore italiano di quel periodo può essere identificato come il promotore di una precisa strategia disgregazionista, sul piano sia reale che simbolico. Si pensi alla c.d. Legge Basaglia, allo smantellamento della miriade di istituti per l'infanzia abbandonata dalla più diversa natura che tra l'altro è stato reso possibile dai canali di adozione aperti dalla legge del 1967; si pensi anche all'estrema innovatività, per allora, della riforma del diritto di famiglia, che ha tra l'altro contribuito a “liberare” dalla precedente condizione di discriminazione i figli naturali.

La legge n. 354 ha contribuito al processo generale di disgregazione in due sensi. Il primo, più ovvio, è costituito dall'introduzione delle misure alternative alla detenzione; il secondo, di natura più simbolica ma non meno importante, ha a che fare con la riqualificazione dei detenuti come cittadini10.

10 G.La Greca, La riforma penitenziaria a venti anni dal 26 luglio 1975: Linee generali di sviluppo, in “Diritto penale e processo”,7,1995,pag.875

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Tale riqualificazione ha avuto luogo in due modi. Prima di tutto attraverso la scelta dello strumento regolativo della condizione carceraria, individuato nella legge ordinaria e non più nel regolamento; la seconda modalità di riqualificazione è più esplicita, in quanto si sostanza in una ( sia pure problematica e debole) attribuzione di diritti ai detenuti11. Da

mero destinatario-oggetto di regolamento, il detenuto diventa titolare di diritti non solo predicati, ma garantiti sul piano della giustiziabilità. Si è trattato di una vera e propria rivoluzione copernicana, se vogliamo adottare l'espressione con cui Bobbio 12 stigmatizza il rovesciamento della

prospettiva ( dal codice dei doveri al codice dei diritti) che ha storicamente caratterizzato l'emergere dei diritti umani in età moderna. La dotazione minima dei diritti fondamentali dei detenuti è stata individuata (da Giuseppe La Greca) nelle seguenti tre famiglie: diritti relativi all'integrità fisica, ai rapporti familiari e sociali, all'integrità morale e culturale. E' chiaro che lo statuto prima ancora che l'effettività di tali diritti, risulta difficile e “sospeso”, proprio a partire dal tenore della formulazione con cui ci si riferisce al loro esercizio (all'art.4) : “ I detenuti e gli internati esercitano

11 Sulle problematiche connesse cfr. V.Grevi, Diritti dei detenuti e trattamento penitenziario a cinque anni dalla riforma,in Id. a cura di, Diritti dei detenuti e trattamento penitenziario,Zanichelli, Bologna, 1981,pag.1-54

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personalmente i diritti loro derivanti dalla presente legge anche se si trovano in stato di interdizione legale”. Nel momento stesso in cui si sancisce l'appartenenza dei reclusi all'universo dei diritti, la fonte di questi ultimi viene circoscritta (reclusa) ad un ambito legislativo specifico. Malgrado tutto, è possibile asserire che il segnale emesso dalla normativa penitenziaria tende a riaffermare la visibilità del detenuto come individuo e cittadino; è precisamente in questa accezione, che si può parlare di una valenza desegregazionista simbolica.

A questo punto il problema è il seguente: se nel caso delle misure alternative la dotazione dei diritti ha un senso preciso, in quanto questo tipo di provvedimento riduce sensibilmente ma non vanifica la sfera privata dell'individuo, come può funzionare quando l'individuo si trova in carcere? E' da ritenersi, come si evince da quanto osservato a proposito del significato ultimo di “pena privativa della libertà”, che nel secondo caso la valenza simbolica della disgregazione sia destinata a non esplicare tutte le proprie potenzialità.

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CAPITOLO SECONDO

Trattamento del tossicodipendente all'interno

dell'istituzione penitenziaria ...

2.1

Tentativo di definizione

Il fenomeno della tossicodipendenza non è di semplice comprensione ed è stato da tempo fonte di grandi contrasti. Nel tentativo di attribuire una definizione, escludendo in prima battuta la “cronica intossicazione” delineata dall'art.95 del c.p., che prospetta la non imputabilità, e dato che, la legislazione vigente è carente di una definizione specifica, dunque, si evince che “ tossicodipendente è innanzitutto una persona, una persona che porta un malessere a che a un certo momento della sua vita incontra la sostanza. Non esistono

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rapporti di causa-effetto.”13

L'aumento smisurato di tale fenomeno è stato tale da richiedere sempre più attenzione nelle varie discipline, che vanno da un approccio medico a quello psicologico, fino a giungere ad interventi legislativi personalizzati.

Nell'attuale collettività, la tossicodipendenza è vista come una forma di devianza. L'approccio della società, si nasconde dietro un'analisi generale e superficiale del comportamento del soggetto, il tentativo di una più profonda comprensione di ciò che porta tale individuo verso la dipendenza hanno mutato la percezione del soggetto personalmente considerato. Si tratta di una persona che a causa della sua “ dipendenza” è portato a far fronte a percorsi, che vanno ben oltre la soglia della legalità, se così non fosse, l'atto verrebbe comunque considerato come fattispecie di reato. Il consumatore viene etichettato come soggetto che fugge dalla realtà, alla continua ricerca, egoistica di piacere e che mostra un comportamento di distacco e isolamento.

La tossicodipendenza può essere esaminata almeno sotto due aspetti: un microcosmo e differentemente un macrocosmo. Il primo punto di vista analizza la persona tossicodipendente in quanto tale, ovvero un malato cronico recidivo, solitamente

13 P. Rigliano, Piaceri drogati. Psicologia del consumo di droghe, Milano, 2004, pag.39

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rinunciatario davanti alle pressioni sociali. L'altro aspetto fa invece riferimento a un vero e proprio problema sempre più in aumento nella nostra società.

Sotto il profilo sociologico, la devianza può essere intesa “un'infrazione della norma sociale, un comportamento non conforme ai modelli o alle aspettative istituzionalizzate, una violazione delle regole sociali”.14

La realtà attuale, tende ad assumere un atteggiamento per cosi dire repressivo e in qualche modo uniforme, attraverso l'utilizzo di modelli socialmente condivisi, nell'affrontare i problemi, per questo ciò che non risponde a criteri di giudizio omogenei è considerato non normale. Vengono cosi a prospettarsi, regole di riferimento per il comportamento normale e accettato socialmente o per quello deviante , non accettato socialmente.

A tal proposito, possiamo osservare come un atteggiamento vessatorio della collettività, possa condurre non solo a reazioni di protesta ma anche ad una condizione di protezione per il soggetto. Questo comportamento comporta, non poche conseguenze negative, tra cui il determinare condizioni di solitudine rispetto alla società, ritenuta minacciosa dagli assuntori , una riduzione della disponibilità dello

14 F. Demarchi, A. Elena, B. Cattarinussi, Nuovo dizionario di sociologia, Milano, 1987, pag. 655

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stupefacente, tale da creare un'area produttiva per il mercato illegale. Maggiore tolleranza porterebbero quindi ad un esito decisamente più favorevole e ad una diminuzione di situazioni devianti.

Nel tentativo di comprendere meglio il fenomeno della tossicodipendenza, si sono susseguite teorie interpretative differenti, alcune prediligono un metodo psicologico, altre uno sociologico, ed altre ancora un aspetto prettamente clinico farmacologico15. Quello psicologico, evidenzia l'assenza del

controllo da parte del soggetto, a causa del suo stato patologico, il secondo aspetto relaziona il soggetto con la realtà, dove la tossicodipendenza rappresenta uno squilibrio di tale rapporto con la società, l'ultimo approccio suggerisce, invece, una “origine negli squilibri biochimici endogeni che si tradurrebbero quindi nella ricerca di un farmaco esogeno equilibratore”16.

Le droghe hanno l'effetto di surrogare, nel cervello, sostanze prodotte dal corpo, compromettendone il funzionamento,creando sintomi di piacere illusori, finendo, con il tempo, per alterarne le normali funzioni, finchè l'organismo non manifesta forti danneggiamenti. Le discipline

15 F. Carchedi, G. Capalbo, Alcune considerazioni sulla tossicodipendenza in Affari Sociali Internazionali, 1985, pag. 109-134.

16 F. Bruno, Aspetti sociologici e criminologici delle tossicodipendenze in Tossicodipendenze e devianza nell’attuale società, Milano, 1981, pag. 55.

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mediche si occupano, infatti dell'analisi del fenomeno da un punto di vista dell'azione successiva.

La relazione tra soggetto e droga, può ordinarsi sotto vari aspetti, dando luogo a risultati diversi. Possiamo distinguere tra consumatori tossicodipendenti, individuati sulla base di un utilizzo occasionale, limitato e non continuo delle sostanze psicotrope; in questa categoria possono essere compresi anche quei soggetti che ne fanno un uso più frequente e continuo ma con dosaggi minimi. In questi casi non si crea una dipendenza. A questa categoria si contrappongono, i tossicomani che hanno bisogno della sostanza dalla quale dipendono a tal punto da interferire a livello fisico e psicologico condizionanadone la vita. La droga diviene l'unica ragione di vita, non riescono ad affrontare e mantenere relazioni regolari, e il loro scopo è individuato solo nell'assunzione. Il tossicomane, inoltre, riesce a mantenere rapporti lavorativi ed affettivi ma influenzato dall'emergenza dell'assunzione, e lo stato di astinenza, lo può portare anche a commettere atti contra legem17.

La legislazione vigente è carente di una definizione specifica di “tossicodipendenza”, ciò permette di ricavarla in via interpretativa, prendendo spunto da quanto sostenuto

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dall'Organizzazione mondiale della Sanità, “la tossicodipendenza può essere definita come una condizione di intossicazione cronica o periodica, dannosa all'individuo ed alla società, prodotta dall'uso ripetuto di una sostanza chimica naturale o di sintesi.18 ”Le caratteristiche possono essere

sintetizzate come desiderio irresistibile o necessità di prendere il farmaco con ogni mezzo, tale per cui la condotta del tossicomane è espressamente finalizzata all'acquisizione dei mezzi per ottenere la droga; la tendenza ad aumentare la dose per ottenere gli stessi effetti; la dipendenza psichica e, a volte, anche fisica della sostanza con conseguente sindrome di astinenza in caso di sospensione, irrisolvibile se non con un ennesima dose della sostanza.

Per quanto riguarda la “cronica intossicazione”, la giurisprudenza rimane costante nell'affermare che essa, per ridurre o eliminare l'imputabilità, deve consistere in un vero e proprio “stato patologico”, “irreversibile”, ovvero caratterizzato dall'impossibilità di guarigione, e “permanente”, cioè indipendente dal rinnovarsi dell'assunzione o meno di sostanze stupefacenti19.

18 S.Ardita, Esecuzione penale tossicodipendenza, Milano,2005 pag.33

19 Di recente, Cass., Sez. VI, 6 maggio 2004, Tomasoni,inedita; in precedenza, ex pluribus; Cass., Sez. II, 22 giugno 1983, Mangascià, in Cass. Pen., 1985,643. Per ulteriori riferimenti, AMATO-FIDELBO, La disciplina penale degli stupefacenti, cit., 2 s., e AMATO, I traffici illeciti, cit., 104 s.

(28)

Tale interpretazione della giurisprudenza è stato oggetto d'esame della Corte costituzionale, con una sentenza (sentenza 16 aprile 1998, n.114)20 la quale ha fornito una

interpretazione innovativa, sostenendo che per potersi ridurre o eliminare l'imputabilità, la cronica intossicazione non deve necessariamente avere i caratteri della irreversibilità, rilevandone in questo senso un'influenza da un punto di vista della capacità di intendere e di volere del soggetto.

2.2

Considerazioni generali

Nel corso dei primi anni Ottanta del secolo scorso, nel nostro Paese si avverte, un aumento spregiudicato di detenuti tossicodipendenti in carcere, tale da rendere la stessa amministrazione penitenziaria impotente e impreparata, tanto sul piano strutturale, quanto su quello culturale, a ciò si aggiunge anche il sempre più verificarsi di sentenze irrevocabili di condanna per tali soggetti in cura, con conseguente sospensione del programma terapeutico per far fronte alla loro incarcerazione in esecuzione della pena. Emergono in questo periodo evidenti problemi collegati ai metodi di assistenza, ai criteri di ripartizione dei tossicodipendenti all'interno degli istituti penitenziari e il

20 La sentenza può leggersi in Cass. Pen., 1998, 1909, con nota di AMATO, “Cronica intossicazione” e imputabilità del tossicodipendente

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principale fine cui deve tendere l'amministrazione penitenziaria nei confronti di questi soggetti detenuti. Al progressivo aumento di situazioni di dipendenza da sostanze psicotrope, venne a corrispondere una smisurata espansione di fatti criminosi, che erano, direttamente o indirettamente riferibili allo stato di tossicodipendenza. In quegli anni, dunque, le carceri subirono un impressionante aumento delle presenze di persone tossicodipendenti. Del resto, la relazione droga- carcere era stata fino a quel momento scarsamente oggetto di studi e ricerche, per cui si poneva la necessità di capire più dettagliatamente, le caratteristiche e l'entità del fenomeno, un'esigenza ancora più avvertita se consideriamo che la circolazione dei tossicodipendenti in carcere era stata a lungo in dark number per molte organizzazioni penitenziarie21.

Tuttavia, è anche vero, che le ricerche effettuate in questo ambito non sono mai state semplici, soprattutto se proiettate in una realtà come quella penitenziaria, dove la percezione di un tal fenomeno viene ad essere modificata dalla sovrapposizione di quelle realtà, in un contesto di reciproca influenza, per cui “ l'essere tossicomane modifica l'essere detenuto e, a sua volta, l'essere detenuto influisce sull'essere tossicomane in un circolo vizioso che l'opera del trattamento

21 L. Daga, Carcere e droga. Il punto di vista dell’Amministrazione penitenziaria, in Rass.penit. crim., numero speciale, 1982, Le droghe e la prigione, pag. 101

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tenta di spezzare”22. Nel nostro Paese, stando ai dati statistici

forniti dall'Amministrazione penitenziaria23, con specifico

riferimento al triennio che andava dal 1979 al 1981 riscontriamo un aumento della presenza di tossicomani in carcere superiore al 50%.

Dinanzi a tali dati, emergeva oltre alla difficoltà di coordinare il tossicodipendente alla stregua di un soggetto-oggetto di un programma di reinserimento nella società, era chiaro che egli si presentasse con caratteristiche particolari in confronto ai detenuti che rappresentavano gli altri settori della popolazione carceraria, tanto da essere percepito alla stregua di “ un elemento disturbatore nel sistema, un imprevedibile elemento di rottura”24. Dall'esperienza dell'Amministrazione

penitenziaria, chiamata a gestire quotidianamente questa tipologia di detenuti, emergeva una evidente difficoltà di accesso alle misure alternative ( la cui tipologia, all'epoca, si riduceva, all'affidamento in prova al servizio sociale e alla semilibertà), a causa proprio della condizione personale e sociale in cui si trovano tali individui , in preda a una dipendenza fisica da stupefacenti. Tuttavia, va aggiunto, come

22 R. Castellani, Diffusione delle tossicodipendenze in carcere (Risultati di un rilevamento nazionale sui tossicodipendenti detenuti), in Rass.penit. crim., 1984, n.1-3, 205

23 L. Daga, Carcere e droga , cit.,pag 84.

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il protocollo operativo tra FeDerSerD e CONAMS ha avuto modo di evidenziare il fatto che, se pur con indicazioni e prospettive differenti, i servizi per le dipendenze patologiche e i magistrati di sorveglianza hanno osservato forti difficoltà nella procedura propedeutica alla concessione della misura alternativa. Tali criticità sono rilevate differentemente dai due protagonisti, secondo il SerD i punti salienti sono i seguenti: concessione ridotta di misure provvisorie, ripetute contestazioni circa le certificazioni dello stato di tossicodipendenza e l'idoneità del programma, valutazioni limitate per quanto attiene l'attualità dello stato di tossicodipendenza, “ limitata concessione della misura in presenza di programmi ambulatoriali anche se individualizzati e strutturati, e frequenti indicazioni di inserimento in comunità residenziali, ritenute in assoluto più contenitive, prescindendo dalle indicazioni Ser.D. e senza tener conto-laddove il programma ambulatoriale sia clinicamente appropiato – dei conseguenti oneri a carico del SSR, non sempre compatibili con una appropiata gestione del budget assegnato ai servizi. Di fatto, le disponibilità di budget condizionano la realizzazione di programmi residenziali non solo per i detenuti ma anche per i cittadini liberi che si rivolgono al SerD (tanto che si hanno spesso liste di attesa). Posto che il DPCM 1 aprile 2008 impone che ai detenuti

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vengono garantite le stesse opportunità di cura che vengono garantite a tutti i cittadini, i vincoli suddetti dovrebbero valere anche per questa popolazione”25, relazione diretta tra

Magistratura, avvocati e CT tale per cui solitamente il detenuto interpella il Servizio con un programma già predisposto dal Magistrato, solo da accettare, revoche automatiche nel caso di episodi di disparità rispetto al programma , rare occasioni di scambio con la magistratura di sorveglianza. Secondo il punto di vista della magistratura di sorveglianza, le criticità riguardano: carenza di criteri omogenei per l'accertamento e la certificazione dello stato di tossicodipendenza e idoneità del programma, le certificazioni dello stato di tossicodipendenza e idoneità del programma con ridotti dati clinici e psicosociali e non sempre appropiate a livello di contenuti, insufficiente valutazione della “strumentalità” della richiesta, l'attualità dello stato di tossicodipendenza non è spesso individuata e attestata, mancanza di informazioni circa il grave pregiudizio proveniente dalla protrazione della detenzione nelle istanze di misura provvisoria, programmi scarsi e inaffidabili con riferimento alla capacità di recupero del soggetto condannato e protezione dal rischio di recidiva, insufficienti risorse

25 Protocollo operativo tra FeDerSerD (Federazione Italiana degli Operatori dei Dipartimenti e dei Servizi delle Dipendenze) e CONAMS ( Coordinamento

Nazionale Magistrati di Sorveglianza) per l'applicazione dell'affidamento in prova in casi particolari ai sensi dell'art.94 del DPR 309/90

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territoriali per consentire l'attivazione di programmi terapeutici e riabilitativi, ammissione alle comunità di terapia o a programmi ambulatoriali dipendente dalla disposizione di risorse e budget, “ relazioni di monitoraggio del programma che, nel segnalare tempestivamente comportamenti difformi rispetto a quanto previsto dal programma, non ne mettono in evidenza la possibile motivazione e l'incidenza – qualora marginale – rispetto al percorso terapeutico del soggetto”26.

D'altra parte, il tossicodipendente, proprio in ragione della sua condizione di emarginazione in cui solitamente viene a trovarsi, non ha punti di riferimento esterni, sia familiari, affettivi, lavorativi, che lo portano rispetto agli altri condannati, ad aver ancor meno possibilità di reinserimento, per accedere a tali misure. Al tempo si trattava di misure destinate ad agire dopo un periodo non breve di carcerazione, rendendo cosi, ancora più difficile rispondere all'esigenza impellente di limitare l'impatto dei tossicodipendenti, con le negatività date dal primo periodo con l'esperienza carceraria. Il legislatore, a tal proposito, aveva scelto di intervenire sulla disciplina della carcerazione preventiva, visto il notevole numero di tossicodipendenti presenti negli istituti penitenziari, la cui condizione si presentava particolarmente disagevole, perchè, “la crisi dovuta all'impatto con la perdita della libertà ( e della possibilità di assumere droga) si

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assomma all'incertezza sulla propria sorte, dal punto di vista del processo”27.

Ben vista, fu la scelta del legislatore, a favore della alternativa terapeutica, sostituendo la carcerazione preventiva con l'arresto nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora o in un luogo pubblico di cura o assistenza. Cosicchè per il tossicodipendente in attesa di giudizio fu resa possibile una strada alternativa al carcere.

L' Amministrazione penitenziaria, in questi anni, dovendo far fronte a un flusso sempre più in crescita di detenuti tossicodipendenti, si era preoccupata di evidenziare come le condizioni eziologiche del fenomeno che si stava sempre più diffondendo anche nel mondo occidentale28, fossero da

ricondurre a molteplici cause quali problemi psicologici personali, carenza di strutture sociali adeguate, tale per cui l'istituzione penitenziaria si rilevava inadeguata, all'interno della quale, infatti, “ il tossicodipendente, ritrova, accentuato, l'ambiente sfavorevole esterno che ha concorso alla progressiva creazione della sua dipendenza dalla droga”29.

Una dipendenza che veniva ad essere inasprita, dal particolare stato di ansia che rende il tossicodipendente inviso e non

27 L. Daga, Carcere e droga, loc. cit.

28 S. Furio – T.Minervini, Connessione tra devianza e droga e possibilità di trattamenti in istituti penitenziari, in Rass.penit.crim., 1982, n.1-2, 221 29 L. Daga, Carcere e droga, cit.,pag.90

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tollerato da alcuni settori della popolazione detenuta30.

In questi anni, come abbiamo avuto modo di osservare, l'Amministrazione si è trovata del tutto impreparata, peraltro vi si aggiunge una normativa impersonale, dato che l'art.85 legge 685/1985 disponeva che alle persone abitualmente dedite all'uso di stupefacenti in stato detentivo fossero assicurate le cure mediche e l'assistenza necessaria a scopo di riabilitazione, ciò aveva portato alla realizzazione di una condizione di disagio e confusione, tale da far si che ciascun operatore, agisse sul tossicodipendente in maniera del tutto autonoma, settoriale e avulsa da un quadro di trattamento equilibrato e coordinato31. Gli istituti penitenziari, si

presentavano sostanzialmente prive di strutture lavorative o ricreative, ostacolando in questa maniera i processi di trattamento.

Il carcere si rivela “ un focolaio diffusivo della tossicodipendenza e che molte esperienze di droga nascono

30 E’ stato rilevato in proposito che “gli specifici bisogni, agiti dal drogato, non trovano riscontro nell’ambiente penitenziario in quanto “anomali” rispetto ai classici patterns comportamentali basati sulle gerarchie di potere”. In particolare, “i tratti di “dipendenza” e “manipolazione” predominanti nell’atteggiamento del

tossicodipendente ne fanno un “uomo in sott’ordine”, che difficilmente è accettato dai “gruppi” delinquenziali e dai detenuti in genere”: tanto che, specie nelle strutture di più vaste dimensioni e sovraffollate, “tale processo di emarginazione è esasperato fino al punto di giungere al ricatto e alla violenza”( R. Castellani, Tossicodipendenze in carcere, cit., pag. 126).

31 G. Biondi – C. La Marra – L. Spizzichino, Proposte di modifica alla l. . 685/1975 in materia di tossicodipendenze, in Rass.Penit. Crim., 1983, n. 2-3, pag. 764

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proprio durante la detenzione”32, inoltre andava sempre più

diffondendosi, la convinzione che non potesse mettersi in discussione la necessità di “ridurre al minimo la risposta carcere nei confronti del deviante tossicodipendente”33.

L'esperienza maturata, agli inizi degli anni Ottanta, nel fronteggiare il sempre più incremento di tossicodipendenti in carcere, aveva condotto l'Amministrazione a percorrere strade alternative ai tradizionali strumenti di coazione della legislazione proibizionista34. Soluzioni alternative che

avrebbero dato la possibilità al tossicodipendente sia di avere più chances di reinserimento, sia di “ sgravare le istituzioni chiuse di un problema di difficile soluzione e di per sé causa di molti altri problemi”35. D'altra parte se il carcere è destinato

ad assumere una funzione di ultima chances di risposta a un problema che non è stato né risolto né affrontato nella collettività, sarebbe stato meglio prevederlo come una sorta di filtro per i tossicomani, cioè renderlo capace di selezionare quelli più ricettivi e motivati e prepararli ad affrontare in

32 L.Daga, Carcere e droga, cit., pag. 102

33 L. Daga, Carcere e droga,cit., pag. 86

34 La prisonizzazione, in effetti, appariva sempre di più come capace di sancire in pratica “un processo ulteriormente stigmatizzante per il tossicodipendente” o, meglio, “se fino ad allora la tossicomani non costituiva “devianza”, ma “malattia”, in tale contesto assumerà ufficialmente la veste “deviante”, per cui il significante “patologico” (la malattia)retrocederà per far emergere il significante”delinquenza” e con esso l’iter procedurale giudiziario” (.R. Castellani, Tossicodipendenze in carcere, cit., pag. 125)

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modo alternativo la detenzione36.

Tutto ciò portava alla realizzazione di un duplice obiettivo, da un lato , facilitava il recupero di soggetti vittime della droga, dall'altro, rendeva le istituzioni carcerarie più governabili, visto come i tossicodipendenti apparivano “un elemento costante di tensione, di corruzione e di disordine”37.

E' questa la logica che contraddistinse la promulgazione del d.l. 22 aprile 1985 n.144 conv. In legge 21 giugno 1985 n.297. Nello specifico, la legge di conversione introdusse una nuova fattispecie di affidamento in prova, prevedendone per la prima volta l'accesso direttamente dallo stato di libertà. La finalità di questa nuova previsione era ovviamente quella di “evitare che l'ingresso in carcere del condannato tossicodipendente potesse comportare l'interruzione del programma di recupero al quale egli si fosse eventualmente sottoposto”38.

L'essere ristretti in carcere, per coloro che versavano in tale condizione si presentava come “una delle conseguenze più assurde del nostro sistema penale, perchè significava distruggere il lavoro di recupero sino ad allora svolto e quasi sempre comportava la ricaduta del soggetto nell'uso di

36 R. Castellani, Diffusione delle tossicodipendenze in carcere, cit.,pag. 217

37 G. NeppiModona, Premessa, cit., pag..21

38 G.Grasso, Misure alternative alla detenzione, in Dizionario di diritto e procedura penale, a cura di G. Vassalli, Milano, 1986, pag. 665

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sostanze stupefacenti”39.

Perciò, in quegli anni il legislatore, vista anche la scarsa propensione della magistratura di sorveglianza alla concessione di misure alternative scarne di un seppur minimo contenuto terapeutico, volge l'attenzione verso lo studio di soluzioni che sembrano essere più attente alle particolari condizioni dei tossicodipendenti rispetto agli strumenti tradizionali propri dell'esecuzione penale dopo la riforma del 1975.

L'ordinamento penitenziario, fino all'entrata in vigore della legge 297/1985 si presentava, indifferente alle condizioni personali del condannato tossicodipendente. Una omissione che era ancora più ingiustificata, visto il ripensamento della organizzazione retributiva della pena, a favore di una sempre più definita apertura verso la finalità rieducativa della pena, ex art. 27 co. 3° Cost., “ quando si trattava di dare esecuzione a una sentenza di condanna nei confronti di una persona ormai sensibilmente diversa dall'autore del reato, per aver avviato o, addirittura, portato a compimento nelle more del processo un autonomo processo di rieducazione”40. Non deve

sorprendere, come in una simile prospettiva, fosse stata presa

39 G.NeppiModona, Premessa, cit., pag.25

40 E.Fassone, sub art. 4-ter, in AA.VV., Commento articolo per articolo al d.l. 144/1985 conv. L. 297/1985, in LP, 1985, pag.47

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come punto di riferimento la fattispecie regolata dall'art.47 ordinamento penitenziario, con l'intenzione di esaltare un programma terapeutico già intrapreso dal tossicodipendente, era normale fare riferimento a un istituto non vincolato al carcere, improntato sul trattamento in libertà.

2.3

Gestione interna al carcere

Nel passato il problema della tossicodipendenza veniva trattato dall'ordinamento per mezzo di un'azione punitiva con lo scopo di porre fine al sempre più diffondersi di comportamenti socialmente contrari ai principi morali e sociali; l'effetto della sanzione penale era quello di condannare certe condotte andando però a discapito dei percorsi individuali del detenuto, che venivano ad essere ignorati sia in sede di esecuzione che in sede delle richieste post-carcerarie avanzate dall'ex detenuto.

La crescita disparata del fenomeno della tossicodipendenza, ha richiesto una maggiore attenzione che si sostanziasse in programmi d'integrazione sociale, per cosi perseguire l'obiettivo di prevenzione dei reati e di trattamento rieducativo conforme ad umanità. Il regime carcerario ordinario non risulta idoneo né ai fini preventivi né a quelli general- dissuasivi rispetto ad altri soggetti che presentino la

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stessa problematica. La condizione particolare del tossicodipendente, fa si che il suo primario disadattamento sociale, lo porti a porsi in contrasto con l'ordinamento andando oltre le proibizioni imposte e in seguito a dover far fronte a bisogni economici, dati dalle necessità fisiche derivanti dalla sostanza. Vige pero per lo Stato, per fronteggiare le esigenze di sicurezza sociale, l'obbligo di adottare misure securitarie, tra cui appunto il carcere, a cui l'ordinamento ricorre in modo preminente. La detenzione del tossicodipendente non potrà mai essere vissuta in modo affine a quella degli altri soggetti, la sua difficoltà e il bisogno di far fronte ad eventuali patologie correlate, richiedono l'attuazione di un percorso penitenziario differenziato. “ In Italia gli istituti di pena accolgono tra le proprie mura masse sempre più indifferenziate di individui disagiati, la cui gestione socio- sanitaria non può essere affidata a interventi indifferenziati e generici, ma che necessita di specializzazione e mezzi adeguati.” 41

La popolazione carceraria si compone di un ampio numero di soggetti con problemi dati dalla dipendenza da sostanze che avrebbero bisogno, invece, di un trattamento diverso e maggiormente effettivo. Inoltre, le risorse umane e finanziarie

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messe a disposizione per le strutture non bastano a supportare una tale compressione. Per porre fine a queste questioni, vi è il bisogno di un'ottica in maggior misura attenta al fenomeno nel suo complesso. Si può cosi partire dalla costruzione di un percorso, in grado di superare quell'impostazione meramente repressiva e dunque, ad un accordo tra le richieste personali e la necessità di tutela della collettività da parte dell'ordinamento. Questo problema, viste le componenti fisiche e psicologiche, è stato affrontato con approcci differenti dalle varie discipline, nel tentativo di trovare un accordo ed una soluzione più efficace. Accanto ad una ricerca sul piano clinico, si inserisce un'analisi di come la società riconosca il tossicodipendente, dando luogo cosi ad una visione delle evoluzioni che si sono susseguite anche da un punto di vista normativo. Il rapporto poi tra droga e soggetto può essere utile allo scopo di una più chiara comprensione delle dinamiche interne che muovono il soggetto e come punto di partenza per un trattamento individualizzato. Seguire il soggetto tossicodipendente nel percorso riabilitativo, è necessario per la buona riuscita del programma terapeutico proposto, ma anche per capire come e dove questo processo possa essere migliorato. Esaminando le varie fasi, dall'arresto al primo ingresso in carcere e le molteplici soluzioni trattamentali adottate durante la

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permanenza, si possono capire quali siano le problematiche riscontrate che richiedono, ancora oggi, un mutamento. Il contributo dato dalle varie discipline, adatto al caso in questione è necessario per misurare la riuscita dell'intervento in base all'integrazione dei servizi offerti dall'istituto. La controversia sul corretto utilizzo della sanzione penale vede, da una parte, come le soluzioni di una politica repressiva siano state oggetto di forte critica, dall'altra, il bisogno di usare correttamente i principi di legalità, offensività ed effettività della sanzione, fino ad arrivare a interrogarsi sull'utilità del carcere per un soggetto tossicodipendente.

Per quello che attiene all'esecuzione della pena vige un particolare sistema peri soggetti tossicodipendenti. Il Decreto del Presidente della Repubblica 309/1990 si occupa infatti, di disciplinare sia le sostanze stupefacenti che la prevenzione, cura e riabilitazione degli stati di tossicodipendenza. Precisamente gli artt. 95 e 96 T.U. Prevedono uno speciale regime detentivo, chiaramente rivolto a soggetti tossicodipendenti in base alle rubriche:” Esecuzione della pena detentiva inflitta a persona tossicodipendente” e “Prestazioni socio-sanitarie per tossicodipendenti detenuti”. Vengono aggiunti, oltre ai soggetti che hanno compiuto reati “in relazione al proprio stato di tossicodipendenza”, chi “ sia ritenuto dall'autorità sanitaria abitualmente dedito all'uso di

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sostanze stupefacenti o psicotrope e che comunque abbia problemi di tossicodipendenza”. Si suppone dunque che i problemi legati a questo fenomeno perdurano anche nel caso sia trascorso molto tempo tra il momento della consumazione del reato e quello dell'inizio della fase d'esecuzione. Il legislatore comprende tra i destinatari dell'assistenza anche chi “versi ancora in quella condizione di equilibrio e di psicolabilità per la quale è necessario che la terapia prosegua”42. La volontà è quella di allargare il perimetro dei

destinatari dell'assistenza terapeutica, comprendendo anche chi abbia commesso reati che non hanno alcun rapporto con la condizione di tossicodipendenza, ma lo siano comunque al momento della esecuzione della pena, e coloro che al tempo della commissione dei fatti non fossero nemmeno dediti all'uso di tali sostanze.

Il trattamento penitenziario si compone di una fase di “osservazione del personalità del reo”, finalizzata, per l'appunto, alla predisposizione di interventi in base alle caratteristiche del caso ed a affrontare le dinamiche relazionali e personali dell'individuo. Attraversata la “crisi di astinenza” grazie anche, ma non sempre, alla disintossicazione fisica, il tossicodipendente dovrebbe dunque

42 E. Fassone, Commento all'art. 4 ter del D.L. 22/4/1985 n. 44, convertito nella legge 21/6/1985 n. 297 in Legislazione penale, 1985, pag. 51

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essere inserito in attività lavorative e sociali all'interno del carcere. E' comunque da evidenziare, come la realizzazione di questi trattamenti individualizzati si è rivelata difficoltosa per le strutture penitenziarie; elementi quali la scarsità del personale, il sovraffollamento, la criminalità interna all'istituto e la varietà della popolazione ospitata, ostacolano l'applicazione dei criteri di programmazione richiesti. Al fine di rimuovere queste difficoltà l'Amministrazione penitenziaria si è mossa verso la creazione di sezioni o piccoli istituti penitenziari. Suddette strutture, attraverso il sistema di “custodia attenuata”, si occupano dei detenuti potenzialmente più ricettivi ad un intervento terapeutico, per i quali la detenzione possa essere vista come un processo volontario e personale di ripresa e miglioramento. Si dovrebbe agevolare l'applicazione delle successive misure alternative, fissando dunque le modalità di contatto tra il tossicodipendente ed i servizi pubblici o privati abilitati a proporre un programma esterno. In questo ambito, vanno visti favorevolmente i provvedimenti legislativi introdotti nel corso del 2013 e 2014 nel campo del programma di adeguamento del nostro sistema penale-penitenziario ai dettami della sentenza pilota Torreggiani vs Italia, pronunciata dalla Corte europea dei

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diritti dell'Uomo in data 8 gennaio 201343 ; interventi che

hanno determinato, per un verso, una notevole diminuzione del numero dei detenuti (ivi compresi quelli in custodia cautelare) e, dall'altro, in un significativo aumento delle persone sottoposte a misure alternative al carcere44.

L'assegnazione del nuovo arrivato presso un istituto o sezione predisposta, rappresenta un atto discrezionale dell'Amministrazione penitenziaria. Questa dovrà fare riferimento a quanto stabilito dall'art.14 co. 2° della legge 354/1975, riguardo la possibilità di procedere ad un trattamento rieducativo e dovrà, inoltre osservare, i parametri previsti dall'art. 42 co. 1° e 2°, circa i motivi di sicurezza, le esigenze dell'istituto, i motivi di giustizia, di salute, di studio e

43 Si pensi al decreto legge 1 luglio 2013,n. 78, convertito con legge 9 agosto 2013,n. 94( concernente “Disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena”) e al decreto legge 23 dicembre 2013, n. 146, convertito con legge 21febbraio 2014, n. 10( riguardante le “Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria”), con cui sono state introdotte una pluralità di misure, destinate ad affiancarsi agli interventi di edilizia penitenziaria, volte ad incidere, per un verso, sul numero degli ingressi in carcere e, per un altro verso, a favorire le uscite dagli istituti penitenziari: dalle corpose modifiche in materia di custodia cautelare, all'ampliamento delle possibilità applicative per le misure alternative

44 Infatti, mentre al 31 dicembre 2009, i detenuti erano 64.791, arrivando nel primo semestre del2010 a poco meno di 70.000 unità, le persone presenti negli istituti penitenziari italiani, alla data del 30 giugno 2015, erano 52.754.Assai rilevante, in particolare, è la riduzione dei ristretti in custodia cautelare che il 30 giugno 2015 erano 18.478, mentre al 31 dicembre 2009 erano 29.809. Parallelamente, per le misure alternative alla detenzione si è registrato un aumento di circa 11.500 soggetti rispetto al dato del 31 dicembre 2009( pari a 12.455 unità), atteso che alla data del 30 giugno 2015 le misure alternative in esecuzione avevano raggiunto il numero di 23.377( di cui 12.717 affidati al servizio sociale, 747 in semilibertà e 9-913 in detenzione domiciliare)

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la destinazione degli individui in istituti prossimi alla residenza delle famiglie. Questi parametri possono in generale essere applicati a tutti i detenuti. Il legislatore, visto il ruolo rilevante che riveste il trattamento terapeutico e riabilitativo, ha previsto all'interno dell'istituto penitenziario un percorso differenziato. Cosi facendo, si è avuto la possibilità di mettere a disposizione per i soggetti tossicodipendenti, grazie ad istituti idonei, l'assistenza, le cure mediche e programmi terapeutici e riabilitativi imposti dalla legge. Un circuito penitenziario, che mira non solo a promuovere l'inizio o il proseguimento di un trattamento riabilitativo, ma anche ad evitare un ulteriore peggioramento dello stato fisico e psichico degli individui.

I problemi dei tossicodipendenti, in quanto tali, non possono essere affrontati e risolti soltanto per mezzo di un'azione di sostegno psicologico e farmacologico. L'individuazione, l'organizzazione e l'attuazione del programma terapeutico e riabilitativo non spettano, dunque, esclusivamente all'Amministrazione penitenziaria , ma costituiscono un obbligo per gli enti territoriali in base all'art. 96 co. 3° T.U. L'organizzazione all'interno del carcere è affidata a un gruppo misto, composto dal personale dell'Amministrazione penitenziaria e dell'ASL . I programmi prospettati sono tutti individualizzati, per cui il soggetto è tenuto a rispettare le

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regole previste e imposte, nonché le disposizioni vigenti nella sezione assegnata.

Da un punto di vista organizzativo, l'entrata in carcere è seguita dall'identificazione ed il contatto con il soggetto, l'esame della domanda, delle risorse disponibili e la definizione degli obiettivi con in allegato la predisposizione del progetto per il caso concreto; si procede all'attivazione del piano di sostegno previsto ed anche al collegamento e coordinamento trai vari servizi coinvolti. Viene monitorato il rispetto delle prescrizioni in collaborazione con il Tribunale di sorveglianza e con la Direzione penitenziaria45.

La presenza in istituto del gruppo penitenziario di osservazione rappresenta la premessa per qualificare l'azione trattamentale. Il direttore, l'educatore, lo psicologo e gli assistenti sociali hanno infatti un contatto diretto con il soggetto detenuto. Rivestono infatti un ruolo primario ai fini di connotare in senso terapeutico e riabilitativo il trattamento all'interno del carcere46.

45 Governo Italiano, Dipartimento politiche antidroga, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Relazione annuale al Parlamento 2015 sullo stato delle tossicodipendenze in Italia, 2015, pag. 112

46 Oltre al medico incaricato di reparto, è garantita la guardia medica 24 ore su 24. Per le visite specialistiche, la richiesta deve essere fatta dal medico incaricato di reparto. Lo psicologo incontra il detenuto poco dopo l’ingresso in carcere ed è possibile, su richiesta con la cosiddetta “domandina” al Direttore, avere altri colloqui.

L’Educatore coordina le attività lavorative, scolastiche, sportive e culturali. Fa colloqui con chi ha la condanna definitiva e riferisce al Tribunale di Sorveglianza

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Il circuito penitenziario per il soggetto tossicodipendente prevede la comunicazione al SerT, attraverso uno schema informativo fornito dall'educatore ministeriale. Il detenuto tossicodipendente, in caso di inserimento nel programma trattamentale, ne accetta il regolamento e sottoscrive un contratto all'ingresso. Si descrive a tal proposito, una giornata tipo presso la custodia attenuata, con momenti di interesse sulla qualità della vita, l'educazione sanitaria, trattamento psicologico di gruppo, l'attività di animazione.

Segue poi la descrizione dell'attività di valutazione attraverso uno specifico sistema suddiviso in obiettivi specifici, indicatori di processo e di risultato47.

Per rafforzare positivamente i risultati, le soluzioni legislative della recente legge 663/1986 (legge Gozzini), spingono in modo accentuato il trattamento del tossicodipendente verso una politica di deistituzionalizzazione con lo scopo di stimolare il soggetto ad un aggancio extracarcerario con agenzie sociali di recupero piuttosto che un controllo intramurario.

E' necessario inoltre, integrare l'intervento penitenziario nel

per ottenere eventuali benefici previsti dalla legge. Chi chiede di avere un conforto religioso può, inoltre, incontrare un sacerdote cattolico. Infine in carcere sono presenti associazioni di volontari che offrono informazioni ed aiuto concreto 47 Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento Politiche Antidroga, Carcere e

droghe: aspetti organizzativi in Conferenza Nazionale sulle droghe, Roma, 2009, pag.1

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