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Capitolo I – La portualità e le scelte di politica dei trasporti per il rilancio della

1.4. Modelli di governance dei centri logistici

Prima di passare a esaminare i modelli di governance dei centri logistici, e degli

interporti in specie, si rende utile un chiarimento sul concetto di logistica e di centro logistico. La logistica, nella sua accezione più moderna, viene concepita come “il

processo di pianificazione, implementazione e controllo dell’efficiente ed efficace flusso e stoccaggio di materie prime, semilavorati e prodotti finiti e delle relative informazioni dal punto di origine al punto di consumo, con lo scopo di soddisfare le esigenze dei clienti”28 . Con riferimento al concetto di centro logistico manca un quadro definitorio chiaro e condiviso, potendo essere inteso in modo più o meno ampio in virtù della prospettiva teorica adottata o dell’obiettivo di analisi.

La confusione semantica è riconducibile in primo luogo all’assenza di una teoria

consolidata sul tema, nonché alla relativa scarsità di contributi scientifici e studi

empirici dedicati a questa tipologia di infrastrutture.

Il concetto di centro logistico è inoltre cambiato nel tempo, per effetto di tre

fondamentali percorsi evolutivi: a) i cambiamenti dei bisogni logistici espressi dalla

domanda e del contenuto delle attività logistiche e di supply chain management29; b)

l’evoluzione dei paradigmi tecnologici-produttivi dei cicli di trasporto; c) il diverso

ruolo giocato dal soggetto pubblico e, in particolare, le trasformazioni dell’internazionalizzazione delle imprese e delle politiche volte all’attrazione di

investimenti.

28 G. SATTA, L’evoluzione del concetto di centro logistico: definizione del campo di indagine, in P. GENCO (a cura di), Centri logistici per la competitività delle imprese. Profili Strategici e di Governo, Franco Angeli, 2015, 47.

29 Supply chain management è la filosofia di gestione della catena logistica integrata dal processo di approvvigionamento alla distribuzione fisica verso il mercato; in tale ottica ogni step è considerato un anello di una grande catena, così T. VESPASIANI, Glossario dei termini economici e giuridici dei

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All’assenza di un concetto universalmente condivisibile di “centro logistico”

contribuiscono altresì il valore semantico assunto dal termine nelle varie nazioni, le

caratteristiche orografiche e socio-demografiche che contraddistinguono i territori, i

contesti normativi-istituzionali di riferimento.

Con riferimento alla mutevolezza semantica nei vari Paesi basti considerare che il “centro logistico” viene prevalentemente definito freight village in Gran Bretagna,

plate forme logistique o platforme multimodale in Francia, mentre è diffuso in Germania il termine Guterverkehrszentrum. In Italia il termine centro logistico viene spesso associato (fino a farlo coincidere) all’espressione “interporto”.

Dal punto di vista geografico, si veda per esempio che le nazioni caratterizzate dalla

presenza di pochi centri urbani di grandi dimensioni, come la Germania, sono servite

da un numero esiguo di nodi intermodali collocati lungo corridoi ad alta intensità di

traffico, e tali da assicurare il raggiungimento di elevate economie di scala.

Al contrario, una forte dispersione della popolazione sul territorio, può condurre ad

una eccessiva frammentazione degli investimenti infrastrutturali e alla nascita di un

ampio numero di strutture logistiche de-specializzate e inadeguate al raggiungimento delle soglie dimensionali minime efficienti. Indicativo è il caso dell’Italia: la

dispersione della popolazione e dei centri urbani, unitamente al prevalere di spinte

localistiche e di una pianificazione infrastrutturale e territoriale miope, ha causato la

proliferazione di un ampio numero di nodi logistici, incapaci di assolvere un concreto

ruolo di catalizzatore di elevati flussi di traffico.

Quanto al quadro normativo, a livello europeo la Commissione UE ha da tempo

avviato una riflessione circa la necessità di programmare un sistema di centri logistici

intermodali a supporto delle reti TEN-T. L’UE ha identificato i corridoi logistici e di

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realizzazione delle infrastrutture. A supporto di ciò l’UE ha anche avviato una serie di

programmi di finanziamento orientati essenzialmente a rafforzare il trasporto

combinato intermodale.

Anche con riferimento ai centri logistici, analogamente a quanto si verifica nell’ambito

delle strutture portuali, è possibile riscontrare nei vari paesi soluzioni organizzative e

giuridico-contrattuali variegate. Le aree e le infrastrutture infatti possono essere date in

locazione o concessione, oppure addirittura cedute.

Un primo elemento da considerare nella individuazione del modello di governance dei

centri logistici è la separazione/coincidenza tra gestione dell’infrastruttura e gestione

dei servizi logistici.

Pertanto, è possibile che tutte le attività riconducibili al centro logistico

(pianificazione, realizzazione delle infrastrutture, gestione operativa diretta delle

strutture e gestione/manutenzione degli spazi comuni) siano di esclusiva responsabilità

di un unico soggetto, solitamente una società privata la cui compagine azionaria può

avere natura pubblica, mista o privata. Sono parimenti riscontrabili casi in cui l’ente gestore dell’infrastruttura si occupa della pianificazione, realizzazione e

concessione/locazione (o vendita) delle infrastrutture nonché della gestione e

manutenzione degli spazi comuni e uno o più soggetti, ai quali siano state date in

concessione o locazione le infrastrutture e le strutture logistiche, si occupano della

gestione operativa delle strutture del centro e offrono servizi diversi sul mercato. Con riferimento agli assetti proprietari dell’ente gestore dell’infrastruttura è possibile

identificare tre tipologie ricorrenti nella pratica comune, nazionale e internazionale: 1. Centro logistico di proprietà di un ente pubblico che assicura l’accesso a tutte le parti

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private partnership; 3. Centri logistici di proprietà di un’impresa privata, che soddisfa

principalmente i propri interessi.

Ai fini del presente contributo mi occuperò solo delle prime due tipologie.

Alla prima tipologia sono riconducibili, a livello nazionale, i centri logistici regionali

di servizio pubblico e le piattaforme di imprese di trasporto pubblico.

Possono darsi due modalità di gestione da parte del soggetto pubblico della

infrastruttura: il soggetto pubblico può limitarsi a realizzare l’infrastruttura e metterla

a disposizione di soggetti privati (prevalentemente imprese di logistica e trasporto)

oppure la gestione dei servizi può configurarsi, dal punto di vista giuridico, “destinabile alla vendita”, come avviene nella grandi infrastrutture di trasporto come i

porti. Emblematici sono i magazzini generali e i mercati generali. I magazzini generali

sono infrastrutture di pubblica utilità, frequentemente inserite in nodi logistici dove

vengono forniti servizi doganali, fiscali e amministrativi.

Quando la proprietà dell’infrastruttura è prevalentemente pubblica, può darsi la

partecipazione di più attori istituzionali, come le Regioni, le Province, i Comuni, le

Camere di Commercio, le Ferrovie, le società finanziarie pubbliche.

A livello nazionale, significativo è l’esempio fornito dalle società proprietarie e gestori degli interporti, in cui è rilevante la presenza del soggetto pubblico e l’adozione di

soluzioni miste pubblico-private. Anche quando la totalità o la maggioranza del

capitale sociale è detenuta dal pubblico, è previsto il coinvolgimento di più soggetti pubblici, ciò in quanto l’interporto è lo snodo di una pluralità di interessi e, pertanto,

utile per la loro convergenza è la partecipazione dei vari shareholder e stakeholder in

merito alle linee di indirizzo degli interporti. Rilevante, almeno dal punto di vista

qualitativo se non da quello quantitativo, è la partecipazione nella compagine

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interporti: Padova, Parma, Orte, Torino, Novara, Livorno e Bologna) in quanto rappresenta un’opportunità per incrementare le connessioni tra sistema interportuale e

sistema ferroviario.

Nella realtà nazionale possono identificarsi anche casi in cui il soggetto pubblico

partecipa come proprietario ad altri centri logistici, diversi dagli interporti, come i

distripark30 e le infrastrutture che richiedono un elevato coordinamento e integrazione con il sistema portuale. Significativa è la partecipazione delle Autorità portuali nello

sviluppo e realizzazione di distripark e altre infrastrutture retroportuali. Esempi si possono trovare nella partecipazione dell’Autorità portuale di Taranto come azionista,

insieme al comune di Taranto e la Provincia, del Distripark di Taranto, mediante il

consorzio costituito per la realizzazione e gestione della relativa opera infrastrutturale. Analogamente, l’Autorità portuale di La Spezia è azionista del retroporto di S.Stefano

Magra, gestito dalla società Spedia S.p.A. con una partecipazione superiore al 6%.

Quanto alla seconda tipologia, essa implica il coinvolgimento sia del soggetto pubblico che di quello privato nell’assetto proprietario dell’ente gestore

dell’infrastruttura. Tra gli esempi di partenariato pubblico-privato nella realizzazione e

30 Complesso logistico retro portuale (detto anche retroporto), dotato di strutture di stoccaggio e di distribuzione delle merci in grado di fungere da elemento di interscambio tra diverse modalità di trasporto e da anello di congiunzione tra un’area industriale o di servizi logistici e un centro di scambio modale. Nei Distripark le merci possono essere manipolate, cioè imballate, etichettate, smistate. Secondo S. BOLOGNA il retroporto può intendersi “una struttura di continuità territoriale dove uffici

doganali, uffici sanitari, operatori, regole configurano una sorta di ‘allungamento del porto’, di satellite ove possano essere svolte operazioni che rendono più fluida ed efficiente l’operatività del porto, operazioni di reimbarco all’export e di varia natura all’import, per esempio la sosta prolungata di una merce containerizzata, in attesa di essere venduta, l’apertura di un container con collettame e il ritiro di singole partite per l’opera dei ricevitori o dei clienti finali, la sosta di container contenenti merce sottoposta a controlli speciali, la logistica dei vuoti, le riparazioni, il ricovero di merci con arrivo concentrato in alcuni picchi stagionali per l’alleggerimento della congestione […].Un sito quindi collocato in prossimità dell’area portuale, a una distanza che non incida pesantemente sui costi di trasferimento, nettamente da distinguere dall’inland terminal che consiste in una “struttura collocata in prossimità dell’area di mercato di destinazione; […] il retroporto è al servizio del porto, l’inland terminal è al servizio del cliente”, cfr. T. VESPASIANI, Glossario dei termini economici , op. cit., 45.

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gestione dei centri logistici può rammentarsi l’interporto di Livorno (MPS Capital

Services, Regione Toscana etc.) e l’Interporto di Bologna.

I centri logistici, analogamente alle altre grandi infrastrutture logistico-trasportistiche,

rientrano nella nozione di opere strategiche, ovvero, secondo la nuova dizione del

codice degli appalti di cui al recentissimo D.lgs. n. 50/2016, di infrastrutture e

insediamenti produttivi prioritari per la crescita economica del Paese, la cui disciplina

si trova contenuta nella parte V del nuovo codice dei contratti pubblici, agli artt. 200 e

ss. (prima Capo IV, Tit III, parte II del Codice dei Contratti Pubblici (D.lgs. n.

163/2006, artt. 161 e ss). È eliminato ogni riferimento alla Legge n. 443/2001 (c.d.

Legge Obiettivo).

La disciplina dettata in materia di lavori attinenti a tali infrastrutture dispone in merito

alla progettazione, approvazione dei progetti e realizzazione delle infrastrutture

strategiche, categoria in cui rientrano infrastrutture di competenza statale,

infrastrutture di competenza regionale nonché infrastrutture private, la cui

realizzazione assume preminente interesse nazionale (cui può eventualmente concorrere l’interesse regionale). La portata derogatoria di tale normativa rispetto a

quella dettata per l’affidamento dei lavori pubblici si deve alla necessità di approntare una politica di recupero della grave arretratezza infrastrutturale dell’Italia, anche al

fine di consentire lo sviluppo economico del paese, attraverso una specifica

legislazione che favorisse la realizzazione di opere di preminente interesse nazionale.

Si possono individuare tre fasi del procedimento in materia di lavori relativi a

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1. L’individuazione delle opere strategiche31: si tratta del piano dei

trasporti e della logistica e dei documenti pluriennali di pianificazione di cui all’articolo 2, comma 1, d. lgs. 2011/228. In sede di prima individuazione

delle infrastrutture e insediamenti inseriti nei documenti di programmazione

anteriori alla entrata in vigore del nuovo codice dei contratti pubblici, il Mit

effettua una ricognizione di tutti gli interventi già denominati, vigenti alla

entrata in vigore del presente codice. Tra questi si rammentano le diverse opere

in fase di realizzazione o progettazione che riguardano, in particolare, il potenziamento dei grandi centri logistici nazionali rientranti negli “Hub

portuali”, negli “Hub interportuali” e nella “Piastra logistica Sardegna” inseriti nell’XI Allegato Infrastrutture del Programma Infrastrutture Strategiche di

settembre 2013.

2. L’approvazione dei progetti secondo le procedure e nel rispetto della

tempistica di cui all’art. 2, commi 5 e 6, del d.lgs. 228/2011, sentita la

Conferenza Unificata di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 281/1997.

3. La realizzazione delle opere: interessante ai nostri fini la norma di cui

all’art. 193 del nuovo codice dei contratti pubblici (già art. 172 Cod. Contr.

Pubb.), che prevede la stipulazione di un accordo di programma tra più soggetti

pubblici al fine della migliore utilizzazione dell’infrastruttura e dei beni

connessi; in alternativa, prevede la possibilità che i medesimi soggetti pubblici

31 Nella disciplina previgente si trattava di un programma redatto e aggiornato annualmente dal MIT, d’intesa con i Ministri e le Regioni e Province autonome interessate, previo parere del CIPE e d’intesa della Conferenza Unificata Stato-Regioni-Autonomie locali. Tale programma veniva inserito nell’ambito dell’intero documento di programmazione economico finanziario (DPEF), con l’indicazione delle infrastrutture e dei relativi stanziamenti e l’integrazione di altri finanziamenti pubblici, comunitari e privati. A questo proposito va ricordato il Programma delle Infrastrutture strategiche, redatto d’intesa con le Regioni e approvato dal CIPE nel dicembre 2001, Primo Programma di Infrastrutture

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interessati possano avvalersi di una società pubblica di progetto, partecipata dai

soggetti aggiudicatori e dagli altri soggetti pubblici interessati, ed istituita allo scopo di realizzare, ed eventualmente gestire, l’infrastruttura, e partecipare al

finanziamento. La società di progetto, benché istituita tramite un accordo di

programma, costituisce comunque una modalità alternativa all’accordo di

programma propriamente detto ed in tal caso potrebbe configurarsi come soggetto titolare dell’intervento. A tale società possono partecipare le

C.C.I.A.A. e le Fondazioni Bancarie, tramite conferimenti finanziari, nelle

forme e nei modi previsti dalle leggi di settore.

Anche soggetti privati possono essere interessati alla realizzazione dell’infrastruttura.

Tra le modalità di realizzazione dell’opera strategica si prevede la concessione

di costruzione e gestione, l’affidamento unitario a contraente generale, la

finanza di progetto e qualunque altra forma di affidamento prevista dal presente codice compatibile con la tipologia dell’opera da realizzare.

Gli elementi che caratterizzano le forme di partenariato pubblico-privato possono

essere individuati nella durata relativamente lunga della collaborazione, nella natura

del soggetto che finanzierà il progetto (ad opera del soggetto privato, almeno in misura principale), nel ruolo sia dell’operatore economico nella fasi di progetto

(progettazione, realizzazione, attuazione, finanziamento), sia del soggetto pubblico (relativo alla definizione degli obiettivi d’interesse pubblico, di qualità di servizi

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nella ripartizione dei rischi tra la parte pubblica e quella privata, tenuto conto che su

quest’ultima sono trasferiti i rischi di solito a carico del settore pubblico32.

Sul piano del finanziamento delle infrastrutture logistiche, accanto alla normativa del codice, c’è un insieme di leggi volte a promuovere il sistema intermodale italiano: tra

queste, si rammenta la Legge n. 240/1990 che ha definito il quadro normativo per il

finanziamento dei nodi intermodali prioritari (interporti), le procedure per l’ottenimento dei finanziamenti e i requisiti dei soggetti che possono avanzare istanza

per la concessione dei contributi.

Nella sua versione originaria l’art. 3 della l. n. 240 cit. prevedeva che la realizzazione e

la gestione degli interporti doveva essere affidata ad enti pubblici e a società per azioni

con il rilascio di una concessione e la stipula di una convenzione per garantire il

perseguimento delle finalità di pubblico interesse attribuite a ciascun interporto. Il

D.L. n. 98/1995 ha abrogato detto regime concessorio, nei fatti privatizzando gli

interporti.

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