Capitolo II – La evoluzione della nozione di porto e prospettive di riforma
2.1. La nozione di porto
Ai fini della presente indagine giova approfondire la nozione di porto, da un punto di
vista sia statico che dinamico, al fine di coglierne tutta la portata in rapporto
all’evoluzione in atto nel sistema dei trasporti nella prospettiva della moderna
logistica, di cui i porti costituiscono oramai un importante snodo.
Non può, infatti, ignorarsi che il recupero della competitività da parte della portualità
nazionale debba passare dalla estensione dell’ambito portuale agli spazi retroportuali,
da un lato, e dalla integrazione dei porti costituenti nodi strategici nel quadro di
sistemi logistici integrati, dall’altro.
Tanto precisato, ogni indagine sulle varie funzioni connesse alla logistica deve
necessariamente condursi con riguardo al piano regolatore portuale, che allo stato
attuale della normativa non può estendersi oltre i confini dell’ambito portuale.
È nota, tuttavia, l’assenza di rigidi criteri utilizzabili per una perimetrazione delle zone
portuali, in ordine alla quale l’Autorità preposta è dotata di un ampio potere
discrezionale, se non altro di natura tecnica.
Non si riscontra, infatti, nel nostro ordinamento una definizione positiva di porto,
significativamente non rinvenibile nemmeno nell’ordinamento europeo, che, dunque,
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ne scandiscono il regime giuridico, e precisamente dagli artt. 822 e ss c.c. e dagli artt.
28, 29, 35 e 36 cod. nav. nonché dalla legge n. 84/1994 (artt. 4 e 18). In particolare,
dagli artt. 822 c.c. e 28 e 29 cod. nav. si ritrae l’inquadramento giuridico dei porti
nell’ambito della categoria dei beni del demanio necessario, e segnatamente del
demanio marittimo. Gli artt. 35 e 36 cod. nav. stabiliscono, invece, sebbene “a
contrariis”, la necessità di considerare, a fini definitori, la stretta connessione con i “pubblici usi del mare”. Le norme della l. n. 84 cit. offrono, infine, gli strumenti per
ricostruire, in via interpretativa, i contorni della nozione “pubblici usi del mare” con
specifico riguardo ai porti.
La definizione concettuale di porto, sia pure nel quadro giuridico appena sopra
tratteggiato, è, quindi, frutto di un’operazione interpretativa per così dire evolutiva nei
termini che chiariremo più avanti, tesa a decodificare gli astratti concetti giuridici di
cui sopra (i “pubblici usi del mare” di cui agli artt. 35 e 36 cod. nav.45, e, con specifico
riferimento ai bacini, la “comunicazione libera con il mare” richiamato dall’art. 28
cod. nav.).
In ordine al regime proprietario, in ossequio alle indicazioni codicistiche, i porti, come
già accennato, appartengono necessariamente allo Stato in quanto rientranti, ai sensi
dell’art. 822, comma 1, c.c., tra i beni del demanio necessario, sottoposti alla c.d.
riserva, che ne determina l’incommerciabilità. A questa stregua, l’orientamento
giurisprudenziale prevalente ribadisce il principio della non necessità di un intervento
45 Si ritiene utile riportare integralmente le due disposizioni richiamate. L’art. 35 del cod. nav. prevede che “Le zone demaniali che dal capo del compartimento non siano ritenute utilizzabili per pubblici usi
del mare sono escluse dal demanio marittimo con decreto del ministro per le comunicazioni di concerto con quello per le finanze”. L’art. 36, 1 comma, così statuisce “L’amministrazione marittima, compatibilmente con le esigenze del pubblico uso, può concedere l’occupazione e l’uso, anche esclusivo, dei beni demaniali e di zone del mare territoriale per un determinato periodo di tempo”.
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provvedimentale dello Stato per attribuire natura demaniale a un bene, oltre la mera
classificazione in via legislativa46.
A tale proposito, è utile richiamare brevemente il dibattito, che a volte ancora si
ripropone, circa la possibile esistenza di porti privati.
A tal fine alcun conforto deriva dall’ordinamento europeo, in quanto, in forza dell’art.
345 Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, l’Unione afferma il c.d.
principio di neutralità, lasciando del tutto impregiudicato il regime di proprietà
esistente nei singoli Stati membri.
Il vivace dibattito giurisprudenziale e dottrinale che si è sviluppato sull’argomento in
Italia con specifico riguardo al regime proprietario delle darsene scavate a secco su
aree di proprietà privata, collegate artificialmente al mare e destinate alla nautica da
diporto, dimostra l’incertezza che connota non solo la nozione di porto ma lo stesso
parametro della demanialità.
Altrimenti detto, il problema è se il demanio marittimo sia tale in virtù di una naturale
attitudine a soddisfare gli interessi connessi ai pubblici usi del mare o se, viceversa, il
solo collegamento al mare, e quindi la asservibilità immediata all’uso pubblico,
ancorché derivante da un’opera realizzata dall’uomo, sia sufficiente per qualificare
come demaniale un bene.
Secondo i fautori della prima tesi, sostenuta in una significativa pronuncia dalla
Suprema Corte47, distinguendo tra i beni rientranti nel demanio di origine naturale e i
beni del demanio considerato accidentale, la destinazione del bene, ai fini di pubblico
interesse, non è sufficiente a determinare la demanialità dello stesso, se non in
46 Così Cass., sez. un., 14.2.2011, n. 3665.
47 Cass. civ., Sez. I, 14.2.1979, n. 968, in linea con quanto sostenuto da G. IMPALLOMENI, in
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correlazione all’acquisto fattone dall’ente pubblico. Per cui “diversamente dai beni del
demanio marittimo necessario, che l’art. 28 c. nav. individua in beni di origine naturale, la cui proprietà non può che essere pubblica, le costruzioni e le opere (…) quali moli, le dighe, le darsene ecc. possono appartenere, nel regime giuridico vigente, anche ai privati”.
L’elemento di natura funzionale non è, pertanto, ritenuto sufficiente per la
modificazione del regime giuridico del bene.
Anche il Consiglio di Stato ha aderito a tale ricostruzione, postulando la distinzione tra
i beni del demanio marittimo naturale, così come elencati nell’art. 28 cod. nav. (oltre
che nell’art. 822 c.c.), e beni del demanio marittimo artificiale di cui al successivo art.
29 cod. nav.48 Secondo il giudice amministrativo la nozione di porto, cui il legislatore
del 1942 faceva riferimento, presuppone una realtà che deve esistere naturalmente e
come tale assolvere alla funzione sua propria, con ciò intendendosi il tratto di mare
chiuso che, per la sua particolare natura fisica, è atto al rifugio, all’ancoraggio e
all’attracco delle imbarcazioni che provengono dal mare.
I sostenitori della tesi opposta, anch’essa avallata dalla Suprema Corte49, affermano,
invece, che l’acquisto della demanialità da parte di beni come specchi acquei e le
relative sponde, per il solo fatto di entrare in comunicazione con l’acqua del mare ed
essere così utilizzabili ad uso pubblico marittimo, secondo la previsione di cui alla
lett.c) art. 28 cod. nav., si verifica per il semplice fatto che, anche se originariamente
di appartenenza privata, rientrano nel normotipo50.
48 Cons. Stato, Sez. VI, 27.3.2003, n. 1601, in Foro Amm. C.d.S., 3, 2003, con nota di F.G. SCOCA e A. FORZA, Darsene a <<secco>> e pericolose derive concettuali.
49 Cass. civ., Sez. I, 27.1.1975, n. 316; id., 14.2.1979, n. 968.
50 Rigetta l’individuazione di porti privati, argomentando dalla tassatività della elencazione dei beni appartenenti al demanio marittimo, G. ACQUARONE, Il piano regolatore, op. cit., 60.
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Per il giudice di legittimità “La destinabilità immediata all’uso pubblico, che si
sovrappone escludendolo all’uso privato, giustifica che un bene, per forza stessa della legge e finanche senza bisogno di formalità accertative appartenga allo Stato, e vi appartenga in quella forma particolare per la quale neppure lo Stato come entità soggettiva può liberamente disporne contro la sua conservazione per la utilizzabilità generale da parte di tutti, sia pure con quella serie di condizioni formali che sono giustificate dalla necessità di un ordinato svolgimento dell’uso. A questa stregua perde perfino valore la genesi di una destinabilità pubblica in atto; nel senso che se, al limite, un cittadino privato effettuasse, legittimamente o non, un’opera per cui sorge un bene prima inesistente e la destina ad uso pubblico (…) non vi è dubbio che il bene nuovo diventi, anzi nasca come bene demaniale, a prescindere dai rapporti economici o di altro tipo tra il cittadino e lo Stato”.
Alla luce di tali considerazioni risulta, quindi, evidente come la qualificazione come
demaniali dei beni elencati negli artt. 822 c.c. e 28 cod. nav. non possa dirsi affatto
scontata, ma costituisca, piuttosto, il frutto di operazioni interpretative incerte, che,
tuttavia, danno conto della possibilità teorica della proprietà privata di beni utilizzabili
ai fini dei pubblici usi del mare.
A tutto voler concedere, la nozione di porto rinvia ad un insieme organico di
componenti naturali e/o artificiali: da un lato, si riconosce un elemento spaziale, la cui
estensione è definita dalla conformazione geografica dei luoghi ovvero dagli interventi
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funzionale relativo alla idoneità delle infrastrutture terrestri e marittime ad offrire
approdo e sosta alle navi51.
Nella letteratura giuridica anglosassone è stata messa a fuoco una definizione
concettuale che presenta tutti gli elementi costitutivi generalmente ritenuti essenziali
per un porto, a prescindere dalla sua collocazione geografica e ordinamentale. Si
considera porto un punto che sia terminale ad una rotta marittima, dotato di
attrezzature come bacini, mezzi meccanici e magazzini, necessari al trasferimento di
beni da/alla nave. Il porto è considerato generalmente un punto di convergenza delle
rotte commerciali marittime, il quale è anche abitualmente accessibile al trasporto
terrestre sia esso ferroviario che stradale. Il porto ha normalmente una rada, naturale
od artificiale, che lo protegge dall’azione del mare aperto e che lo provvede di fondali
adeguati al movimento e all’ormeggio delle navi52.
Come si vede, i fattori che concorrono alla configurazione del porto sono numerosi,
prevalentemente provvisti di una base comune rappresentata dalla specifica attitudine,
spesso e necessariamente qualificata dall’opera umana, propria dell’ambito territoriale
nel quale esso è collocato.
Ciò posto, l’incertezza generata dall’indifferenziato riferimento agli usi pubblici del
mare non presenta carattere totalmente negativo, consentendo anzi, allo stato della
normativa attuale, di adeguare la nozione di uso pubblico del mare alle esigenze che
progressivamente si manifestano nella realtà dei traffici marittimi. Così si è proceduto
da regolamentazioni inizialmente riferite al precipuo compito di offrire rifugio al
naviglio verso più articolate prospettive riguardanti il traffico marittimo, fino a
51 A. GIARDINI, I porti e i servizi portuali, in S. ZUNARELLI (a cura di), in Trattato di diritto
commerciale e di diritto pubblico dell’economia – Il diritto del Mercato del Trasporto, Cedam, 2008,
305.
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giungere ad individuare diverse categorie di porti in ragione dell’attività in essi
espletata53.
E così l’Autorità, con lo strumento pianificatorio a sua disposizione, può determinare
l’area di regolazione, quella a carattere urbanistico e l’area-spazio della realizzazione
delle opere necessarie alla portualità, per funzionalizzare il porto alla complessità delle
operazioni di porto e di retroporto che caratterizzano un determinato mercato
infrastrutturale geografico e merceologico. La nozione di ambito portuale si presta,
pertanto, a creare un sistema territoriale, urbanistico e di regolazione che, nel suo
complesso, si propone come un unicum, attraverso le sue infrastrutture, i suoi servizi e,
in genere, la sua imprenditorialità, di fatto spezzando il collegamento ambito-
circoscrizione, che segna esclusivamente la giurisdizione amministrativa del
Comandante del porto54.
È oggi, in definitiva, necessario disegnare ambiti portali “veri” coincidenti realmente
con i mercati rilevanti nella prospettiva dell’art. 101 Trattato sul funzionamento
dell’Unione Europea (ex art. 81 TCE)55, in una duplice prospettiva: l’estensione
dell’ambito portuale agli spazi retroportuali e l’integrazione dei porti in senso proprio.
La riforma di recente attuata solo in minima parte si orienta in questa direzione, con
l’accorpamento delle precedenti 24 Autorità portuali in 15 Autorità di Sistema
portuale56: l’intervento normativo apporta, infatti, solo un piccolo tassello nella
53 G. ACQUARONE, Il Piano regolatore, op. cit., 55.
54 M. MARESCA , La governance dei sistemi portuali, op. cit., 90.
55 Fu per prima la Corte Giustizia, 10.12.1991, causa C. 179/90, Merci convenzionali Porto di Genova c.
Soc. Siderurgica Gabrielli, in Foro it., 1992, IV, 225 ss., ad aver definito il porto come mercato
rilevante dal punto di vista geografico che deve essere necessariamente regolato ad opera di un ente di governo sulla base di regole trasparenti coerenti con il diritto comunitario.
56 Si tratta delle seguenti Autorità di Sistema portuali, come elencate nell’Allegato A al D.lgs. n. 169/2016:
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creazione di sistemi portuali competitivi, limitandosi ad attuare una “fusione”
amministrativa tra talune Autorità Portuali, senza incidere sul regime giuridico
applicabile al più vasto ambito portuale, mantenendo inalterato l’impianto della
normativa previgente.
Il deficit competitivo accumulato dall’Italia nel sistema della portualità, come già
espresso in apertura di questo lavoro, rende, invece, non più rinviabili misure urgenti,
1) AUTORITA' DI SISTEMA PORTUALE DEL MAR LIGURE OCCIDENTALE - Porti di Genova, Savona e Vado Ligure.
2) AUTORITA' DI SISTEMA PORTUALE DEL MAR LIGURE ORIENTALE – Porti di La Spezia e Marina di Carrara.
3) AUTORITA' DI SISTEMA PORTUALE DEL MAR TIRRENO SETTENTRIONALE - Porti di Livorno, Capraia, Piombino, Portoferraio, Rio Marina e Cavo.
4) AUTORITA' DI SISTEMA PORTUALE DEL MAR TIRRENO CENTRO- SETTENTRIONALE - Porti di Civitavecchia, Fiumicino e Gaeta.
5) AUTORITA' DI SISTEMA PORTUALE DEL MAR TIRRENO CENTRALE – Porti di Napoli, Salerno e Castellamare di Stabia.
6) AUTORITA' DI SISTEMA PORTUALE DEI MARI TIRRENO MERIDIONALE E JONIO E DELLO STRETTO - Porti di Gioia Tauro, Crotone (porto vecchio e nuovo), Corigliano Calabro, Taureana di Palmi, Villa San Giovanni, Messina, Milazzo, Tremestieri, Vibo Valentia e Reggio Calabria.
7) AUTORITA' DI SISTEMA PORTUALE DEL MARE DI SARDEGNA - Porti di Cagliari, Foxi- Sarroch, Olbia, Porto Torres, Golfo Aranci, Oristano, Portoscuso-Portovesme e Santa Teresa di Gallura (solo banchina commerciale).
8) AUTORITA' DI SISTEMA PORTUALE DEL MARE DI SICILIA OCCIDENTALE - Porti di Palermo, Termini Imerese, Porto Empedocle e Trapani.
9) AUTORITA' DI SISTEMA PORTUALE DEL MARE DI SICILIA ORIENTALE - Porti di Augusta e Catania.
10) AUTORITA' DI SISTEMA PORTUALE DEL MARE ADRIATICO MERIDIONALE - Porti di Bari, Brindisi, Manfredonia, Barletta e Monopoli.
11) AUTORITA' DI SISTEMA PORTUALE DEL MAR IONIO - Porto di Taranto.
12) AUTORITA' DI SISTEMA PORTUALE DEL MARE ADRIATICO CENTRALE - Porto di Ancona, Falconara, Pescara, Pesaro, San Benedetto del Tronto (esclusa darsena turistica) e Ortona. 13) AUTORITA' DI SISTEMA PORTUALE DEL MARE ADRIATICO CENTRO- SETTENTRIONALE - Porto di Ravenna.
14) AUTORITA' DI SISTEMA PORTUALE DEL MARE ADRIATICO SETTENTRIONALE - Porti di Venezia e Chioggia.
15) AUTORITA' DI SISTEMA PORTUALE DEL MARE ADRIATICO ORIENTALE - Porto di Trieste.
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che possano offrire reali chances di recuperare terreno nel confronto competitivo con i
porti del Nord Europa e dell’Est Mediterraneo, contro gli attuali indicatori di traffico e
sfruttando l’abbrivio della politica europea dei corridoi trans-europei, nove dei quali
costituiscono “core corridors” che disegnano una rete centrale di maggior rilevanza
strategica per il mercato europeo interno, e di questi quattro attraversano il nostro
Paese57.
Tuttavia, tali corridoi possono trasformarsi anche in un grave rischio per il nostro
sistema portuale, in quanto, in mancanza di efficaci misure di ammodernamento dei
nostri porti, conformi alle esigenze di progresso provenienti dal mondo economico
dello shipping e della logistica, possono trasformarsi in grandi vie di deflusso delle
merci, marginalizzando del tutto i nostri porti.
Chiaramente, le misure legislative di settore devono combinarsi con un disegno
riformatore più ampio che tenga conto anche della necessità di garantire all’interno del
sistema i servizi ferroviari di movimentazione delle merci. In questa direzione la
liberalizzazione ferroviaria costituisce una condizione necessaria perché i porti del sud
siano serviti efficacemente.