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Capitolo II – La evoluzione della nozione di porto e prospettive di riforma

2.2 Prospettive di superamento del regime demaniale

Come già emerso nel paragrafo che precede, l’inizio della demanialità, e quindi la

stessa precisa individuazione delle aree soggette al regime giuridico demaniale con

specifico riguardo al tema che ci interessa, è fonte di innumerevoli incertezze, che la

57 Le reti TENT-T sono state di recente ridefinite dal Regolamento (UE) n. 1315/2013 dal Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2013.

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prassi amministrativa ha nei fatti tacitato assumendo come proprio riferimento, a

questi fini, la circoscrizione portuale così come identificata con apposito decreto

ministeriale.

Il parametro della demanialità, infatti, in specie con riferimento al porto, in quanto

complesso di elementi naturali e artificiali, è quanto mai incerto e rischia di

determinare cortocircuiti, che ridondano anche nei rapporti tra livelli di governo

diversi, atteso che il tema dei beni demaniali si interseca variamente con quello del

governo del territorio, di competenza della Regione e degli enti locali secondo il

modello della c.d. piramide rovesciata.

Quella dei beni demaniali è un materia tanto complessa e controversa che, come ebbe

a dire un autorevole studioso, “solo il genio dell’astrazione la può mantenere in vita,

salvo poi dover in ogni momento risolvere gli intrighi che essa crea”58. Per questo, molti sono gli operatori del settore, oltre agli studiosi del diritto, che ne auspicano un

superamento.

Utile ai fini di questa ricerca è indagare la possibilità di una privatizzazione dei beni

del demanio portuale.

Ogni studio sui beni pubblici deve necessariamente partire dall’art. 42 Cost. che

afferma il principio che “la proprietà è pubblica o privata”. La medesima disposizione

non fornisce alcuna definizione né della proprietà privata né, tanto meno, della

proprietà pubblica.

Difficilmente riconducibili ad unità sono le tesi elaborate dalla dottrina per tentare di

spiegare la laconicità del riferimento all’art. 42, comma 1 alla proprietà pubblica, che

non trova sviluppo in alcuna altra disposizione, che conferma l’elevata incertezza che

connota la materia.

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C’è chi sostiene che la distinzione tra proprietà pubblica e privata risieda nella

connotazione funzionale che connota la prima, in quanto beni preposti direttamente

alla soddisfazione dell’interesse pubblico59 e chi, invece, ritiene il carattere unitario del

concetto di proprietà, essendo possibile qualificare la “proprietà pubblica non un tipo

di proprietà diverso da quella privata”60 o, pur aderendo alla tesi di un unico e generale istituto della proprietà, ha affermato che esisterebbero varie forme di

proprietà61.

Altro Autore esprimendo una tesi non del tutto coincidente, dopo aver sostenuto che

“la proprietà pubblica o dei pubblici poteri non si differenzia da quella di diritto

comune”62 e che non vi sarebbe una disciplina differenziata per la proprietà pubblica quanto al suo contenuto, finisce per concludere che “il punto da ribadire, oggi, sembra

sia quello della irriducibilità delle numerose forme di rapporti di soggetti (pubblici o privati) in ordine a beni ad un’unica figura”63. Altra dottrina, in linea con quella da ultimo citata, afferma che “non esiste un regime giuridico della proprietà pubblica,

unitario e del tutto separato rispetto al regime giuridico della proprietà privata. Si deve constatare, cioè, l’esistenza di una pluralità di beni e di statuti giuridici, tra i

59 M. NIGRO, Trasferimento di beni pubblici e successione nella funzione, in Giur. Cost., I, 1977, 300 e ss. Secondo l’Autore il nesso di strumentalità tra beni e fini pubblici dovrebbe, peraltro, essere individuato in concreto sulla base della disciplina positiva e sarebbe insufficiente la generica idoneità dei beni a soddisfare finalità pubbliche.

60 M.S. GIANNINI, Istituzioni di diritto amministrativo, Giuffrè, 1981, 556 e 559. L’Autore nel suo ragionamento si riferiva alla “proprietà di appartenenza di enti pubblici”, dando così rilevanza all’appartenenza del bene, contrariamente a quanto si è già sostenuto in relazione alla destinazione dello stesso quale criterio distintivo di due regimi proprietari.

61 V. CERULLI IRELLI, Proprietà pubblica e diritti collettivi, Cedam, 1983. L’Autore sostiene che uno dei tratti caratterizzanti la proprietà pubblica sarebbe un regime giuridico derogatorio rispetto al diritto comune.

62 Cassese S., I Beni pubblici: circolazione e tutela, Giuffrè, 1969, 260. 63 Ivi, 294.

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quali vi sono tratti comuni e tratti distintivi”64. Dunque, “la connotazione alternativa pubblico-privato non discrimina due categorie concettuali di proprietà, ma piuttosto due categorie giuridiche di beni”65.

Benché l’ordinamento europeo, in virtù del principio di neutralità espresso dall’art.

345 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), sia indifferente

rispetto al regime di proprietà in vigore negli Stati membri, nel suo complesso, appare

orientato a esaltare maggiormente la destinazione del bene invece dell’appartenenza

proprietaria. E così, anche per il diritto europeo la proprietà non è illimitata, ma

ammette privazioni e restrizioni, nei limiti del principio di proporzionalità, ai fini del

perseguimento del pubblico interesse. Ad esempio, il principio di libera concorrenza

costituisce un limite a quello di neutralità. Tale principio comporterebbe il

riconoscimento agli operatori economici della facoltà di accedere alle infrastrutture

essenziali per lo svolgimento delle loro attività di servizio pubblico e da ciò

conseguirebbe la compressione della prerogativa tipica del diritto di proprietà, vale a

dire lo jus excludendi alios. Sulla base del principio del divieto di discriminazione in

base alla nazionalità, la Corte di Giustizia, nel valutare la legittimità delle c.d. golden

share, ha escluso che gli Stati membri possano far valere i regimi nazionali della

proprietà per giustificare ostacoli alla libera circolazione dei capitali66. Altri

temperamenti al principio di neutralità sono derivati dalla privatizzazioni di enti e beni

64 G. DELLA CANANEA, I beni, in S. CASSESE (diretto da), Corso di diritto amministrativo, I, Giuffrè, 2012, 233.

65 Cass. civ., Sez. II, 23.11.2011 n. 14971.

66 Corte di Giustizia, 13.05.2003, C- 463/2000, Commissione/Regno di Spagna; 28.09.2006, cause riunite C-282/04 e 283/04, Commissione/Regno dei Paesi Bassi. La Corte, peraltro, non nasconde le preoccupazioni che possono giustificare la conservazione da parte degli Stati membri di una certa influenza sulle imprese privatizzate, qualora esse operino nei settori dei servizi di interesse generale o strategico.

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pubblici (come limitazioni alla liberalizzazione), dall’applicazione del divieto di aiuti

di Stato alle imprese, dalle limitazioni poste all’indebitamento pubblico.

La divergenza di approdi di ogni tentativo di classificazione della complessa tematica

dei beni pubblici mostra, quindi, quanto possa essere opinabile e discutibile

l’approccio alla presente materia67. Ad ogni modo, atteso che non appare opportuno

affermare la correttezza di una classificazione invece di un’altra, il criterio da adottarsi

per la descrizione del fenomeno non può che essere funzionale all’obiettivo della

ricerca e alle diverse prospettive che si intendono giustificare. E così, ai presenti fini

appare utile la ricognizione dei beni sulla base del criterio oggettivo, legato alla

destinazione del bene, risultando recessivo il criterio soggettivo, fondato sul dato della

titolarità formale del bene, per cogliere l’essenza di fenomeni relativamente recenti

come le privatizzazioni e la gestione privata di beni demaniali (attraverso concessioni).

Prestando attenzione alla utilità che il bene è destinato a realizzare si possono

distinguere quattro categorie: i beni soggettivamente privati di interesse privato, i beni

soggettivamente privati di interesse pubblico, i beni soggettivamente pubblici di

interesse privato, i beni soggettivamente pubblici di interesse pubblico68.

Di particolare interesse nell’ottica di una privatizzazione dei beni del demanio

portuale, è la seconda delle categorie indicate, quella dei beni di proprietà privata dal

punto di vista soggettivo e sottoposti ad un regime essenzialmente di diritto pubblico,

che può assumere varia intensità.

Tale categoria di beni trova fondamento nella Carta dei diritti fondamentali

dell’Unione Europea che garantisce il diritto di proprietà ma prevede allo stesso tempo

67 G. FIDONE, Proprietà pubblica e beni comuni, Ed. ETS, 2017, 67 e ss. 68 Ivi, 68.

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che “l’uso dei beni può essere regolato dalla legge nei limiti imposti dall’interesse

generale”69.

I beni appartenenti a questa categoria sarebbero quei beni che sotto il profilo

soggettivo sono di appartenenza privata ma rivestono rilevanza pubblicistica per essere

caratterizzati dalla destinazione al perseguimento di un interesse generale. La dottrina

più recente ha riconosciuto l’esistenza di tale categoria per la necessità avvertita di

riscontrare una categoria di beni intermedia tra quella della proprietà privata e delle

proprietà della pubblica amministrazione, osservando che tali beni si differenziano da

quelli appartenenti alla proprietà privata di interesse privato, perché l’interesse

pubblico generale è ad essi immanente ad essi, e non invece esterno come nei primi,

plasmandone la proprietà a scopi di interesse pubblico. Ciò giustifica il fatto i beni

privati siano conformati dal potere pubblico, applicandosi ad esso un regime

prevalentemente pubblicistico. Tale regime si traduce in vincoli e limiti di varia

natura, proporzionati allo scopo di interesse pubblico.

Il riconoscimento di tale categoria si è imposto con i processi di liberalizzazione di

molte attività economiche degli anni Novanta del secolo scorso, conseguenti al

recepimento delle direttive europee. Un caso è quello delle reti, ovvero delle

infrastrutture fisiche necessarie per l’erogazione di alcuni servizi pubblici. Esse

costituiscono dei monopoli naturali e, per tale loro caratteristica, si differenziano dai

servizi pubblici erogati attraverso le stesse, che possono essere offerti sul mercato da

una pluralità di operatori in concorrenza.

69 Così l’art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che, al termine del processo di ratifica del Trattato di Lisbona, ha assunto lo stesso valore giuridico del TUE e del TFUE. In precedenza, come noto, aveva un mero valore ricognitivo e interpretativo delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri sul tema dei diritti fondamentali.

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La libera concorrenza tra questi soggetti presuppone il diritto degli stessi di accedere

alle infrastrutture essenziali allo svolgimento delle loro attività commerciali (c.d.

essential facility).

A fronte della necessità di rendere accessibile l’infrastruttura agli altri operatori

economici vi è anche la necessità di rendere la medesima redditizia per la proprietà,

perché in una logica privatistica nessuno è disposto a sopportare i costi per l’acquisto,

o la costruzione, e la gestione di un’opera senza l’aspettativa di un guadagno.

In materia di servizi di trasporto, ciò può essere soddisfatto prevedendosi a fronte degli

oneri di servizio pubblico, come regolati attraverso un contratto di servizio, le dovute

compensazioni, ammesse dal diritto europeo a partire dalla nota sentenza Altmark in

deroga alla disciplina in materia di aiuti di Stato, che non possono tuttavia eccedere la

differenza tra il costo del servizio e il costo derivante dall’onere pubblicistico. Nello

specifico, nella decisione precitata, la Corte di Giustizia afferma che “deve

considerarsi come una compensazione diretta a rappresentare la contropartita delle prestazioni effettuate dalle imprese beneficiarie per assolvere obblighi di servizio pubblico, cosicché tali imprese non traggono in realtà, un vantaggio finanziario e il suddetto intervento non ha quindi l’effetto di collocarle in una posizione concorrenziale più favorevole rispetto a quelle che fanno loro concorrenza, tale intervento non ricade nell’ambito di applicazione dell’art. [107, paragrafo 1], del Trattato. Tuttavia, affinché, in un caso concreto, una siffatta compensazione possa sottrarsi alla qualificazione di aiuto di Stato, devono ricorrere taluni presupposti. In primo luogo, l’impresa beneficiaria deve essere effettivamente incaricata dell’adempimento di obblighi di servizio pubblico e detti obblighi devono essere definiti in modo chiaro. […] In secondo luogo, i parametri sulla base dei quali viene calcolata la compensazione devono essere previamente definiti in modo obiettivo e

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trasparente, al fine di evitare che essa comporti un vantaggio economico atto a favorire l’impresa beneficiaria rispetto a imprese concorrenti. Inoltre, la compensazione da parte di uno Stato membro delle perdite subite da un’impresa senza che siano stati previamente stabiliti i parametri di detta compensazione, allorché in un secondo tempo risulta che la gestione di alcuni servizi nell’ambito dell’adempimento di obblighi di servizio pubblico non è stata economicamente redditizia, costituisce un intervento finanziario che rientra nella nozione di aiuto di Stato ai sensi dell’art. [107, paragrafo 1], del Trattato. In terzo luogo, la compensazione non può eccedere quanto necessario per coprire interamente o in parte i costi originati dall’adempimento degli obblighi di servizio pubblico, tenendo conto dei relativi introiti nonché di un margine di utile ragionevole per il suddetto adempimento. L’osservanza di una siffatta condizione è indispensabile al fine di garantire che all’impresa beneficiaria non venga concesso alcun vantaggio tale che falsi o minacci di falsare la concorrenza rafforzando la posizione concorrenziale di detta impresa. In quarti luogo, quando la scelta dell’impresa da incaricare dell’adempimento di obblighi di servizio pubblico, in un caso specifico, non venga effettuata nell’ambito di una procedura di appalto pubblico che consenta di selezionare il candidato in grado di fornire tali servizi al costo minore per la collettività, il livello di necessaria compensazione deve essere determinato sulla base di un’analisi dei costi che un’impresa media, gestita in modo efficiente e adeguatamente dotata di mezzi di trasporto al fine di poter soddisfare le esigenze di servizio pubblico richieste, avrebbe dovuto sopportare per adempiere tali obblighi, tenendo conto dei relativi introiti nonché di un margine di utile ragionevole per l’adempimento di detti obblighi”70. Il regolamento (CE) n. 1370/2007, del

70 Corte di Giustizia, 24.07.2003, Causa C-280/00, Altmark Trans GmbH e Regierungsprasidium

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Parlamento europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2007, relativo ai servizi pubblici di

trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia, stabilisce ora le norme applicabili alla

compensazione degli obblighi di servizio pubblico nel settore dei servizi pubblici di

trasporto passeggeri71.

Alla luce di quanto finora si è tentato di evidenziare può argomentarsi la possibilità di

una “privatizzazione” dei beni del demanio portuale, superando il “vischioso” regime

giuridico ad essi proprio (che consente per lo più alle imprese di utilizzare gli spazi

pubblici a condizioni di favore rispetto a quelle internazionalmente accreditate),

accedendo alla tesi per cui l’utilità pubblica connessa ai beni in questione può

parimenti essere salvaguardata conformando le attività portuali ivi svolte a determinati

standards e prescrizioni in materia di sicurezza, ambiente etc., nonché prevedendo a carico delle imprese esercenti oneri e obblighi di servizio pubblico rivolte sia a rendere

le infrastrutture portuali accessibili alle altre imprese autorizzate all’espletamento delle

medesime operazioni portuali che ad assicurare il raggiungimento della finalità di

pubblico interesse rappresentata dal mantenimento e lo sviluppo dei traffici marittimi.

Ciò è possibile se si conclude per la riconducibilità delle attività portuali nel loro

complesso, così i servizi tecnico-nautici come i servizi di cui alle lett. b) e c), comma

4, art. 6 L. n. 84 e le operazioni portuali, alla nozione di servizi pubblici.

Per i motivi ora indicati l’operatore terminalista dovrà essere selezionato mediante una

gara pubblica che dovrà svolgersi secondo i parametri comunitari particolarmente

71 La nozione di “obbligo di pubblico servizio” assunto dal regolamento richiamato si identifica con quello che un’autorità definisce “al fine di garantire la prestazione di servizi di trasporto pubblico di passeggeri di interesse generale che un operatore, ove considerasse il proprio interesse commerciale, non si assumerebbe o non si assumerebbe nella stessa misura o alle stesse condizioni senza compenso” (art. 2, lett. c). Si tratta, pertanto, veri e propri obblighi giuridici che le imprese assumono nell’ambito del rapporto particolare con i poteri pubblici, e a fronte dei quali ricevono compensazioni economiche, da tenere distinti dai vincoli cui tutte le imprese sono sottoposte per effetto della disciplina generale di una data attività.

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rigorosi in concorso con i criteri e le procedure previste negli artt. 36 ss cod. nav. Si

dovrà, pertanto, valutare non solo la sua capacità imprenditoriale rispetto all’effettivo

perseguimento dei suoi programmi operativi, ma soprattutto l’interesse di tali

programmi nella prospettiva di sviluppo dei traffici e delle altre attività portuali

oltreché dell’interesse pubblico agli investimenti infrastrutturali necessari ad un

costante ammodernamento del porto. Sotto quest’ultimo profilo, comunque, la

privatizzazione delle operazioni e degli spazi portuali non deve condurre a situazioni

in cui la posizione dominante in tal modo assegnata agli operatori terminalisti possa

indurre questi ultimi ad abusarne con effetti maggiormente nocivi rispetto a quelli

criticati in occasione della gestione pubblica dei porti. Tra le misure al riguardo

elaborate dal diritto della concorrenza la più rilevante è quella che consegue alla

valutazione degli spazi concessi in esclusiva ai terminalisti alla stessa stregua delle c.d.

essential facilities. E pertanto da tale qualificazione la necessaria conseguenza che ad essi sia in qualche modo garantito l’accesso da parte delle altre imprese autorizzate

all’esecuzione delle operazioni portuali privi di spazi ad esse riservati.

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