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Ruolo dell’Autorità di Sistema Portuale nella promozione dei sistemi logistici

Capitolo I – La portualità e le scelte di politica dei trasporti per il rilancio della

1.5 Ruolo dell’Autorità di Sistema Portuale nella promozione dei sistemi logistici

L’esigenza di adeguare l’impianto normativo ai principi comunitari in materia di

concorrenza, le situazioni di sostanziale conflitto di interessi tra ambito regolatorio e

ambito gestorio e la grave inefficienza complessiva del sistema hanno rappresentato le

ragioni principali della riforma del settore portuale attuata con la l. n. 84/1994, vòlta

32 COMMISSIONE UE, Libro Verde relativo ai partenariati pubblico-privati ed al diritto comunitario

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ad aprire il porto alle logiche del libero mercato per adeguarlo ai più moderni ed

efficienti modelli operativi nel nord Europa.

Nel modello introdotto dalla l. n. 84/1994 – rimasto sostanzialmente immutato dopo la

recente novella già più volte richiamata - l’autorità portuale si pone quale soggetto regolatore, chiamato tra l’altro ad amministrare le attività di impresa operanti

nell’ambito portuale sia attraverso la selezione di coloro che richiedono di accedere al

mercato (mediante il rilascio di autorizzazioni e concessioni) sia attraverso l’esercizio

di attività di controllo, sub specie di verifica del rispetto dei livelli minimi di qualità

dei servizi e di conformità agli interessi pubblici sottesi al sistema.

C’è chi ha ritenuto che tali missioni evidenziassero il conferimento all’autorità

portuale di una doppia funzione pubblicistica, essendo la stessa tenuta a compiere

scelte di regolazione e controllo, da un lato, e scelte di promozione o, lato sensu, di

politica dei trasporti (marketing territoriale, selezione delle infrastrutture, promozione della rete etc.), dall’altro33.

Come già evidenziato, la funzione di promozione complessiva del sistema portuale è

fortemente incisa in senso riduttivo dalla limitata estensione del potere pianificatorio e

regolatorio delle Autorità portuali. La mancata attuazione del progetto dei sistemi portuali, infatti, depotenzia l’attività di promozione dell’Autorità sia in chiave di

politica dei trasporti al fine di valorizzare il mercato portuale in ragione delle sue

caratteristiche geografiche e strutturali sia in chiave di marketing territoriale specifica.

Il grande vantaggio che deriverebbe dalla attuazione dei sistemi portuali, nella loro

accezione di complesso di infrastrutture marittime ed intermodali guidate da una

programmazione unitaria, si rende evidente solo se si considerano gli obiettivi avuti di mira dalle grandi compagnie di navigazione: per esse l’obiettivo da raggiungere è il

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mercato di destinazione finale delle merci, e per delle navi che coprono spazi di

migliaia di chilometri le distanze ridotte, a volte ridottissime, tra gli scali italiani sono ininfluenti, in quanto in punto di tempi di navigazione una banchina vale l’altra. Ciò a

cui guardano i grandi operatori della navigazione sono la rapidità dei terminal portuali

nel compiere operazioni portuali e le capacità infrastrutturali a loro sostegno nell’entroterra.

E infatti, come osservava Alberto Predieri in uno studio, le infrastrutture portuali funzionano solo se “fatte vivere” in un contesto di rete da un soggetto impegnato nella

logistica integrata.

Innumerevoli nel nostro paese sono i casi di infrastrutture eccellenti che, tuttavia, hanno fallito a causa dell’insuccesso del terminalista o della pretesa di garantire la loro

gestione senza un disegno di rete. L’esempio più evidente viene

dall’infrastrutturazione triestina del Molo VII e dalla direttrice della Pontebbana: una

duplice infrastruttura portuale/ferroviaria di connessione con i mercati bavarese e

austriaco che, di fatto, non è mai risultata integrata in un disegno complessivo di traffico ed oggi è del tutto marginale. Ed ancora, l’assetto combinato del sistema

portuale del nord Adriatico, della Pontebbana e del Corridoio V costituirebbe lo strumento più idoneo di alimentazione dall’alto Adriatico del continente europeo se

solo si incentivassero le imprese impegnate nella logistica internazionale34.

Essendo i porti ormai non più solo punto di arrivo e di sosta delle merci in attesa di

imbarco e smistamento ma un luogo di convergenza di forze commerciali logistiche e

industriali, un polo di attrazione per lo svolgimento di attività economiche, si rende

evidente la inidoneità della vigente normativa a rispondere alle attuali tendenze

evolutive, confinando i poteri delle autorità portuali entro la cinta portuale, e

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comunque in quanto meri soggetti di amministrazione delle aree demaniali loro

affidate, senza una effettiva potestà regolatoria, programmtoria e finanziaria. In un

simile quadro si comprende quindi la spinta delle Autorità portuali a sconfinare dal ruolo di semplici “amministratori” delle aree portuali e di controllori della regolarità

delle operazioni per assumere un ruolo attivo nella promozione dello sviluppo del

territorio di riferimento, non solo in termini di collaborazione con gli enti responsabili,

ma anche ricercando un più stretto rapporto a monte e a valle del processo, contraendo

alleanze con gli armatori – nella ricerca di una loro maggiore fidelizzazione – e

collegandosi con gli inland terminal e il sistema distributivo regionale35.

C’è chi ritiene che tali spinte evolutive dovrebbero indurre a rimeditare lo statuto

giuridico delle Autorità portuali (ora AdSP), assecondandone la vocazione

imprenditoriale a dispetto di quella pubblicistica36 e chi, al contrario, ritiene che il

ruolo di promotore del sistema portuale possa essere meglio assunto da un’Autorità

realmente neutra e indipendente rispetto al potere politico, dotata di discrezionalità

tecnica, al pari delle altre Autorità amministrative indipendenti37.

Nel precedente quadro normativo, le deroghe previste dagli artt. 6, co. 6, II alinea e

23, co. 5, della L. n. 84/1994 al principio di separazione tra attività regolatorie e

attività economiche, hanno indotto taluni autori a riconoscere alle autorità portuali la

natura giuridica di enti pubblici economici38. Si trattava, tuttavia, di un orientamento

35 G. VEZZOSO, La riforma dei porti italiani in una prospettiva europea, in Riv. Di dir.

Dell’Economia, dei Trasporti E dell’Ambiente, Vol. XIII, 2015, 255.

36 G. VEZZOSO, La riforma dei porti, op. cit.

37 M. MARESCA, La governance dei sistemi portuali, op. cit.

38 Infatti, in alcune pronunce la Suprema Corte di Cassazione ha qualificato le Autorità portuali quali enti pubblici economici, tra queste si veda Cass., sez. lav., 14.10.2000, n. 13729. Tuttavia, l’orientamento maggioritario è nel senso della qualificazione della autorità portuali in quanto enti pubblici economici, posto che, oltre ad aver,e, per espressa previsione di legge, personalità di diritto pubblico, sono preordinate al perseguimento di finalità di pubblico interesse. Il Consiglio di Stato, Sez.

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minoritario, nettamente superato dalla più recente giurisprudenza del supremo organo

di giustizia amministrativa (Cons. St., VI, n. 5248/2012) e ordinaria, oltreché dal dato

positivo (art. 1, comma 993, L. n. 296/2006 e D.lgs. 169/2016).

La deroga - ora rimossa dall’ultimo intervento riformatore - al principio di separazione

tra attività regolatoria e attività economiche in commento, oltre a non essere

sufficientemente determinante ai fini della qualificazione giuridica delle autorità

portuali, ha costituito una delle leve utilizzate dalle Autorità portuali per raggiungere

gli auspicati livelli di convergenza degli interessi sia pubblici che privati che

VI, 09.10.2012 n. 5248 , chiarisce che” Al riguardo, militano nel senso di escludere la natura di enti pubblici economici un elemento di carattere formale e uno di carattere sostanziale.

Quanto al profilo formale, mette conto richiamare la previsione di cui al comma 993 dell’articolo 1 della l. 27 dicembre 2006 n. 296, la quale afferma expressis verbis la natura giuridica di enti pubblici non economici delle Autorità portuali.

Ora è noto che, dal momento che l’individuazione di un soggetto quale Ente pubblico economico postula un’operazione qualificatoria talvolta estremamente complessa e nel cui ambito occorre operare una sintesi fra elementi spesso eterogenei e di carattere non univoco, la qualificazione formale contenuta in atti aventi forza di legge assume valore determinante al fine di ammettere o di escludere l’effettiva natura del soggetto di cui si discute.

Quanto poi ai profili sostanziali della questione, si osserva che, pur nella varietà ed eterogeneità degli indici rivelatori che nel corso degli anni sono stati enucleati al fine di individuare la natura di ente pubblico economico, appare condivisibile – e meritevole di applicazione nel caso in esame – il decisivo criterio in base al quale tale natura può essere affermata solo laddove l’attività del soggetto di cui si discute venga svolta per fini di lucro e in regime di concorrenza con soggetti privati, e non anche in tutti icasi in cui il soggetto in questione operi sulla base di un (sostanzialmente indeterminato) criterio di imprenditorialità, ovvero sulla base di criteri di oggettiva economicità.

Ebbene, impostati in tal modo i termini concettuali della questione, si ritiene di escludere il carattere di enti pubblici economici in capo alle Autorità portuali sul decisivo rilievo per cui esse operano – sì- in base a criteri di oggettiva economicità, ma non perseguono istituzionalmente alcun fine di lucro, né operano – a ben vedere – su mercati contendibili. Al contrario, ai sensi della l. 28 gennaio 1994, n. 84 tali autorità svolgono attività di affidamento e controllo delle attività finalizzate alla fornitura a titolo oneroso agli utenti portuali di servizi di interesse generale.

Inoltre, i compiti istituzionalmente demandati alle autorità portuali ai sensi della richiamata norma primaria (es. indirizzo, programmazione, coordinamento, promozione e controllo delle operazioni portuali) risultano più agevolmente ascrivibili a funzioni di regolazione e controllo sull’attività di erogazione di servizi contendibili sul mercato, che non ascrivibili essi stessi all’ambito delle attività volte alla produzione e allo scambio di beni e servizi”.

Da ultimo, lo schema di decreto delegato, attuativo della delega di cui all’art. L. delega n. 124/2015 prevede espressamente che le Autorità di Sistema portuale sono enti pubblici non economici di rilevanza nazionale a ordinamento speciale.

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attraversano il settore e riappropriarsi del ruolo di promotori della crescita economica

e lo sviluppo logistico del proprio sistema portuale.

Tuttavia, nel quadro di una normativa che ha optato per un ente pubblico non

economico cui affidare poteri regolatori e pianificatori del settore, la suddetta previsione generava ambiguità nella misura in cui affidava all’autorità portuale un

ruolo di “parte” (nella qualità di soggetto erogatore del servizio, seppure mediante

partecipazione societaria), con contestuale emersione in capo ad essa di interessi

meramente economici, anziché il compito più congeniale alla sua natura giuridica di promotore della sintesi delle diverse “anime” coinvolte, anche attraverso un’attenta

programmazione e vigilanza degli interventi che (in regime di concorrenza) investitori

privati intendano effettuare.

La scelta del legislatore della legge n .30/1998, di conversione del d.l. 457/1997,

costituiva probabilmente un compromesso rispetto alla situazione normativa

antecedente, dove gli enti di gestione dei porti erano a tutti gli effetti enti pubblici

economici, benché muniti anche di poteri regolatori. E proprio la commistione del potere regolatorio e gestorio, quest’ultimo per lo più in un contesto monopolistico, ha

determinato la censura della CGCEE nella nota sentenza “Siderurgica Gabrielli”. Ma la riserva di attività economica di cui all’art. 6, comma 6, L. n. 84 poteva leggersi

anche alla luce delle pressioni competitive derivanti dalla globalizzazione dei trasporti

via mare, e dallo sviluppo porti del Nord Europa.

Tuttavia, la facoltà prevista dalla norma in esame ha generato prassi abusive e distorte

da parte di talune autorità portuali, come evidenziato in più occasioni dalla Corte dei Conti nell’esercizio della sua funzione di controllo finanziaria delle autorità portuali:

alcune autorità, richiamando inopportunamente l’art. 6, co 6, cit., hanno conseguito

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non strettamente accessorie o strumentali rispetto al perseguimento dei fini

istituzionali perseguiti.

Eclatante a questo riguardo quanto avvenuto nel porto di Trieste, dove l’Autorità ha

addirittura acquisito partecipazioni azionarie di una società concessionaria di un

terminal, con evidente emersione di un grave conflitto di interessi nella misura in cui

lo stesso ente è titolare del potere di rilascio del provvedimento concessorio ex art. 18,

L. n. 84/199439.

Questa commistione di attività pubblicistiche e attività più propriamente economiche

ha fatto dire ad alcuni che le Autorità portuali sono un ircocervo organizzativo,

soggette da un lato ad una serie di controlli e verifiche tipici delle amministrazioni statali, ma dall’altro sono chiamate a svolgere un ruolo imprenditoriale, che richiede

un buon grado di autonomia decisionale e organizzativa ed è poco compatibile con i

vincoli cui sono sottoposte le pubbliche amministrazioni40.

Da ultimo, la legge di stabilità per il 2015 ai commi 611 e 612 ha imposto, anche per

le Autorità portuali, un processo di razionalizzazione delle partecipazioni societarie. In particolare, il comma 611 così dispone “Fermo restando quanto previsto dall’art. 3,

comma 27, commi da 27 a 29, della legge 24 dicembre 2007 n. 244, e successive modificazioni, e dall’articolo 1, comma 569, della legge 27 dicembre 2013 n. 147 e successive modificazioni, al fine di assicurare il coordinamento della finanza pubblica, il contenimento della spesa, il buon andamento dell’azione amministrativa e la tutela della concorrenza e del mercato, le regioni, le province autonome di Trento e Bolzano, gli enti locali, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura,

39 Cfr. Corte dei Conti, sez. controllo, determinazione n. 109/2010 (risultato sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell’Autorità portuale di Trieste per gli esercizi 2007 e 2008). 40 G. VEZZOSO, La riforma dei porti italiani, op. cit.

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le università e gli istituti di istruzione universitaria pubblici e le autorità portuali, a decorrere dal 1 gennaio 2015, avviano un processo di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie direttamente o indirettamente possedute, in modo da conseguire la riduzione delle stesse entro il 31 dicembre 2015, anche tenuto conto dei seguenti criteri:

a) Eliminazione delle società e delle partecipazioni societarie non indispensabili al perseguimento delle proprie finalità istituzionali, anche mediante messa in liquidazione o cessione;

b) Soppressione delle società che risultino composte da soli amministratori o da un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti;

c) Eliminazione delle partecipazioni societarie detenute in società che svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici strumentali, anche mediante operazioni di fusione o di internazionalizzazione delle funzioni;

d) Aggregazione di società di servizi pubblici locali di rilevanza economica;

e) Contenimento di costi di funzionamento, anche mediante riorganizzazione degli organi amministrativi e di controllo e delle strutture aziendali, nonché attraverso la riduzione delle relative remunerazioni”.

Il Governo, con il decreto delegato n. 169 cit,, ha inteso fugare il campo da ogni

ambiguità optando per la qualificazione expressis verbis delle AdSP in quanto enti

pubblici non economici, che non possono erogare direttamente servizi, nemmeno

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Non bisogna dimenticare che tutte le proposte di riforma del settore portuale per

favorirne un rilancio devono offrire una soluzione che esprima una scelta decisa sulla

natura giuridica della Autorità portuali e tenga conto della necessità di raccordare il

sistema portuale al più vasto sistema del trasporto41. E infatti, perché un porto si

affermi come polo logistico non basta che adegui a posteriori le infrastrutture portuali

alle esigenze dei traffici e del sistema economico, ma è necessaria anche una politica

pro-attiva volta a facilitare la stessa acquisizione dei traffici: la disponibilità di spazi

attrezzati per svolgere servizi logistici ad alto valore aggiunto e una politica urbanistica conseguente, una politica di sostegno e incoraggiamento all’insediamento

degli operatori capaci di svolgere questi servizi, la predisposizione di validi collegamenti fra il porto e l’entroterra, l’esistenza delle capacità professionali e

manageriali che possono consentire di cogliere le opportunità che si presentano42.

41 Sulla natura giuridica delle Autorità Portuali si segnala M. CALABRò, Il controverso inquadramento

giuridico delle Autorità Portuali, in Foro Amm. TAR, 9, 2923. L’Autore, dopo aver delineato il ruolo

assunto dall’autorità portuale all’indomani dell’entrata in vigore della L. n. 84, in specie evidenziando la la funzione pro-concorrenziale dell’intervento regolamentare ad essa affidato nel contesto di nascita e sviluppo di un nuovo mercato e la delicatezza della funzione ad essa rimessa di rilascio delle autorizzazioni e concessioni, osserva che il “principio della separazione tra attività regolatorie e

attività economiche (…) non è sancito dal legislatore del 1994 in termini netti ed inequivoci. Ci si riferisce, in particolare, a quanto stabilito dagli artt. 6, co. 6, II alinea e 23, co. 5 della l. n. 84/1994, ove (…) si attribuiscono all’autorità portuale poteri e compiti mediante i quali agire nel “mercato portuale” non come soggetto neutro (programmazione, gestione e vigilanza) bensì come vero e proprio operatore, erogatore di servizi in regime concorrenziale se non monopolistico”. Si tratta di quella

configurazione ancipite delle Autorità portuali che si riscontra anche con riguardo alle Autorità portuali degli altri Paesi dell’UE che ricadono nel medesimo modello portuale c.d. landlord. Tale modello si caratterizza proprio per la separazione delle attività imprenditoriali di gestione dei traffici dalle attività di amministrazione delle aree. All’interno di tale modello si può distinguere il c.d. porto landlord di tipo mediterraneo da quello di tipo nordeuropeo: la differenza tra i due sotto-modelli risiede proprio nella natura giuridica delle Autorità portuali, pubbliche nel primo e private nel secondo.

Con la recente riforma le contraddizioni messe in luce dall’Autore permangono, benché il legislatore abbia ora espressamente previsto la natura giuridica di ente pubblico non economico delle attuali Autorità di Sistema Portuale. E di fatti, l’art. 6, co 11, nella vigente versione, prevede ancora che l’AdSP “può, inoltre, assumere partecipazioni, a carattere societario di minoranza, in iniziative

finalizzate alla promozione di collegamenti logistici e intermodali (…)”. La disposizione di cui all’art.

23, co. 5, è rimasta, invece, invariata.

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Interessante può essere ai nostri fini esaminare, secondo un approccio

comparativistico, il caso del porto di Rotterdam.

L’Autorità portuale di Rotterdam ha risposto alla domanda di crescita di competitività

del proprio sistema portuale con una importante operazione di privatizzazione: essa ha

assunto le vesti di una società a responsabilità limitata, estendendo la propria sfera di

influenza attraverso partecipazioni e alleanze all’interno e al di fuori dell’area portuale. In particolare, l’Autorità portuale di Rotterdam ha concentrato le proprie

partecipazioni in tre aree: partecipazioni nell’ambito di altri porti (sia vicini che anche

molto distanti); partecipazioni nell’ambito logistico; partecipazioni nei progetti

portuali.

Con riguardo agli investimenti in porti stranieri, l’Autorità portuale di Rotterdam ha

creato Port of Rotterdam International (PoRint) e veicola i propri investimenti tramite

Mainport Foreign Investments. Lo scopo di tali attività è di trovare nuovi clienti per il porto di Rotterdam per entrare in nuovi mercati e, così generare nuovo flusso di

traffico da e per il porto di Rotterdam, nonché attrarre operatori esteri e incentivare

relazioni di business tra i vari attori privati nell’orbita del proprio porto.

È chiaro che il modello incarnato dall’Autorità portuale di Rotterdam è opposto

rispetto al nostro: le autorità portuali nazionali non hanno vocazione imprenditoriale in

quanto enti pubblici non economici, malgrado le deroghe di cui all’attuale art. 6,

comma 11, e 23, comma 5, della L. n. 8443.

Ora, con riguardo alle infrastrutture logistiche, non si può ignorare la necessità che le

Autorità portuali giochino un ruolo attivo proprio al fine di garantire un elevato livello

di coordinamento e integrazione dei centri logistici con i sistemi portuali.

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L’intervento riformatore si presenta scarsamente significativo in tal senso: esso si

limita a specificare che tra le funzioni affidate alle neo AdSP rientra anche la promozione di “forme di raccordo con i sistemi logistici retro portuali e interportuali”

(art. 6, comma 4, lett. f) L. n. 84), senza offrire ad esse strumenti economici e giuridici per attuarla, limitandosi a richiamare l’art. 46 del D.l. n. 201/2011 per consentire

l’assunzione di partecipazioni minoritarie a carattere societario per la promozione dei

collegamenti logistici e intermodali.

La normativa, inoltre, continua a non occuparsi della nozione di centri logistici: manca

nel nostro ordinamento un quadro normativo chiaro e definito in materia.

La legge n. 240/1990, che ha istituito la figura giuridica degli interporti, costituisce il

primo intervento normativo volto a regolamentare a livello nazionale il ruolo e il

finanziamento dei grandi centri logistici intermodali. E tuttavia, si tratta di una

normativa che riguarda solo una species di infrastruttura logistica, definita come “un

complesso organico di strutture e servizi integrati e finalizzati allo scambio di merci tra le diverse modalità di trasporto, comunque comprendente uno scalo ferroviario idoneo a formare o ricevere treni completi o in collegamento con porti, aeroporti e viabilità di comunicazione” (art. 1, comma 1, L. n. 240/1990).

Inoltre, il Piano Generale dei Trasporti e della Logistica del 2001 ha delineato un

quadro normativo per il coordinamento della programmazione dei trasporti da parte

delle Regioni alle quali sono state conferite competenze crescenti in materia di

infrastrutture, logistica e trasporto delle merci. Ma nelle diverse leggi di settore e nei

documenti di pianificazione strategica delle singole regioni continua a mancare una

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