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N. Scott Momaday

3. N SCOTT MOMADAY

3.1. Momaday: la ricchezza della “dual vision”

Navarro Scott Momaday è considerato dalla critica letteraria il primo esponente del movimento definito Native American Renaissance1, che ha preso avvio dagli anni Settanta, subito dopo la pubblicazione, nel 1968, del primo romanzo dell’autore, House Made of Dawn2, vincitore del Premio Pulitzer l’anno

successivo.

Per la prima volta il mondo degli Indiani d’America è oggetto di un interesse

vivo e concreto, anche se il riconoscimento delle qualità e potenzialità artistico-culturali non cancella l’atteggiamento di sufficienza della cultura

dominante e i pregiudizi del “mondo bianco” nei confronti delle minoranze etniche. 3

1La definizione si trova già nel titolo del libro Native American Renaissance di Kenneth Lincoln,

pubblicato dalla University of California Press nel 1983. L’associazione con l’Harlem

Renaissance, fenomeno degli anni Venti del Novecento, nato in seno alla cultura afroamericana, è

esplicita.

2House Made of Dawn, New York, Harper & Row, 1968. A onor del vero, si ricorda la

pubblicazione privata e autofinanziata di cento copie di The Journey of Tai-me, prima dell’uscita di House Made of Dawn: Momaday, N. Scott, The Journey of Tai-me, Santa Barbara, Privately printed, 1967. Quest’opera verrà rielaborata e modificata da Momaday e nel 1969 confluirà, almeno parzialmente, in The Way to Rainy Mountain.

3Un’insegnante americana, Carol Comfort-Zitzer, descrive come, durante i suoi seminari di Native American Literature, deve spesso confrontarsi con stereotipi della peggior specie e lavorare con

fatica per proporre agli studenti un altro punto di vista, ben più costruttivo e proficuo. Si rimanda al seguente articolo: Zitzer-Comfort, Carol, “Teaching Native American Literature: Inviting Students to See the World through Indigenous Lenses”, Pedagogy, 8, 1, Winter 2008, pp. 160-70.

49 Tornando a Momaday, è doveroso sottolineare come l’influenza esercitata sulle generazioni successive di scrittori nativi americani, non abbia modificato in alcun modo l’attitudine dello scrittore o la maniera in cui ha deciso di proseguire la propria carriera. Infatti, egli non ha mai voluto farsi portavoce delle popolazioni native, né battersi in prima linea in ambito politico, o manifestare rabbia contro il sistema euroamericano. In un’intervista del 1986, a una domanda riguardante la sua posizione in qualità di scrittore indiano, Momaday risponde:

I don’t see myself as an Indian writer. I don’t know what that means. I am an Indian, and I am a writer, but I don’t just want to say “Indian Writer” or talk about Indian literature. I don’t know what that means, exactly, and I don’t identify with it at all. 4

In realtà, egli è perfettamente a suo agio, per la propria esperienza di vita, in entrambi i mondi ove è cresciuto. Non c’è nessun senso di rivalsa da esprimere e tale impostazione è in parte diversa per esempio da quella di Leslie Marmon Silko5, ben più aggressiva nelle sue invettive e denunce. Al limite si può trovare in Momaday, quale sostituto dell’indignazione, un senso di profonda solidarietà per il popolo nativo americano, nel caso specifico per la tribù Kiowa cui appartiene, in relazione a ciò che essa ha patito nel passato, dopo l’arrivo degli europei nel Nuovo Mondo:

I think […] one of my great advantages has been a kind of dual vision. I can see from both sides not only in my writing but in my understanding of the world and in my understanding of myself. I can perhaps cross over that boundary, whatever it is, between the Indian world and the non-Indian world more easily than other people by

4Weiler, Dagmar, “N. Scott Momaday: Storyteller” in Schubnell, Matthias, Conversations with N. Scott Momaday, Jackson, University of Mississippi Press, 1997, pp. 168-9.

Intervista ristampata per gentile concessione e originariamente contenuta nel Journal of Ethnic

Studies, 16, 1, Spring 1988, pp. 118-26.

50 virtue, again, of my experience. […] I can accept both worlds and take, I hope, what is valuable from both of them and contribute equally to both of them. 6

La questione è affrontata con estrema disinvoltura ed è essenziale rimarcare la dual vision che è cifra distintiva dello scrittore7. Biculturalità, o addirittura multiculturalità, è quanto individuiamo in tutte le sue opere. E il problema della quest for identity8, è affrontato inizialmente attraverso il personaggio di Abel in House Made of Dawn, tra le sofferenze e una certa dose di violenza, per proseguire negli scritti successivi. Tale ricerca viene portata avanti considerando il “bagaglio di vita” e la duplice prospettiva entro i cui confini Momaday sta così bene. Un vantaggio sfruttato nella scrittura per ridefinire le proprie radici e indagare una complessità che, ben lungi dall’essere un peso, deve rivelarsi in quanto ricchezza.

Una volta compresa la prospettiva momadiana, non stupisce affatto la decisione di narrare le proprie esperienze autobiografiche in The Way to Rainy Mountain9 e in The Names10. Prima di esaminare questi testi, è necessario analizzare brevemente la vita dello scrittore.

6Bonetti, Kay, “N. Scott Momaday: Interview (1983)” in Schubnell, M. (a cura di), op. cit., 1997,

p. 135. Versione per la stampa di un’intervista disponibile all’American Audio Prose Library, Inc.

7L’espressione “dual vision” viene utilizzata ampiamente in Woodard, Charles L. (a cura di), Ancestral Voice: Conversations with N. Scott Momaday, Lincoln, University of Nebraska Press,

1989, p. 152. Nello stesso contesto si riporta il discorso di Momaday “There is a remarkable aesthetic conception in the Indian world, I believe, a sense of beauty, of proportion and design. […] The Indian sees with both his physical eye and the eye of his mind; […] The practical result of this vision one finds in the extraordinary variety and achievement of Indian art. At its best, it is an expression that is at once universal and unique.” Ivi.

8

Questa tematica ricorre sovente nel mondo nativo americano contemporaneo. Si pensi per esempio a Ceremony di Silko e alle vicende del protagonista, Tayo.

9The Way to Rainy Mountain, Albuquerque, University of New Mexico Press, 1969. D’ora in

avanti si userà la sigla TWTRM per identificare l’opera e le citazioni, che si riferiscono all’edizione del 1976 della University of New Mexico Press, compariranno con le pagine tra parentesi.

51 3.2. Cenni biobibliografici

Navarro Scotte Mammedaty11 nasce il 27 febbraio 1934 a Lawton, in Oklahoma, da Natachee Scott e Alfred Mammedaty. Suo padre modifica successivamente il cognome da Mammedaty a Momaday, per ragioni sconosciute allo scrittore medesimo: “I really don’t know. I’ve wondered about it. If I ever

asked him about it, he just tossed it off or didn’t come to grips with the question.” 12

Il nonno paterno, Mammedaty appunto, appartiene alla tribù Kiowa e può essere annoverato tra i primi indiani costretti a “reinventarsi” dopo il General Allotment Act13 del 1887. Adeguandosi al mutamento storico, per non dire al “sopruso storico” in atto, egli diventa un agricoltore, pur continuando le tradizioni native della sua gente14. Al, il padre di Momaday, cresce parlando l’antica lingua Kiowa e vivendo secondo le old tribal ways. Riceve inoltre un’istruzione superiore presso il Bacone College prima e le Università del New Mexico e della California, coltivando le proprie doti artistiche, soprattutto pittoriche, e diventando poi insegnante.

10The Names: a Memoir, New York, Harper & Row, 1976. È stata consultata la seguente edizione: The Names: a Memoir, Tucson, University of Arizona Press, 1987. Da qui si utilizzerà la sigla TN

per indicare il memoir e le citazioni, tratte appunto dall’edizione del 1987, saranno presentate con le pagine tra parentesi.

11Per questa sezione si è fatto riferimento soprattutto a: Schubnell, M., “A Biographical Sketch”, in

Schubnell, M., N. Scott Momaday: the Cultural and Literary Background, Norman, University of Oklahoma Press, 1985, pp. 13-39.

12

Woodard, Charles L. (a cura di), op. cit., 1989, p. 90.

13Il General Allotment Act fu presentato nel 1887 al Congresso dal senatore H. L. Dawes. Esso

prevedeva la ridistribuzione (e quindi privatizzazione) della terra agli indiani delle tribù, così da farne degli agricoltori. Questa legge è uno dei tanti tentativi di “civilizzazione” (alias “sottomissione”) nei confronti dei popoli nativi. Cfr. Lincoln, Kenneth, op. cit., 1983, p. 22; Testi, Arnaldo, op. cit., 2008, p. 113.

52 La madre, Natachee Scott, è educata in una famiglia bianca del ceto medio, nel Kentucky. Frequenta in Kansas l’Haskell Institute, il Crescent Girls College e, in seguito, l’Università del New Mexico, divenendo col tempo insegnante, pittrice e scrittrice. Indiana Cherokee solo per 1/8 e bianca per 7/8, Natachee è una figura estremamente interessante, perché testimonia la forza di volontà e l’act of imagination tanto importante ai fini della (ri)scoperta di se stessi15, come Momaday evidenzia a più riprese nel memoir The Names. 16

Quando il piccolo Navarro ha appena due anni, i suoi genitori, soprattutto per i dissapori tra la famiglia Mammedaty e Natachee, reputata un’estranea17, decidono di abbandonare la riserva Kiowa e di dirigersi a ovest. Tra il 1936 e il 1943

15Era stata stabilita una sorta di “legge del sangue”, data la percentuale sempre maggiore di unioni

miste. Per esempio, un Indiano, per essere considerato tale al 100%, doveva avere 8/8 di sangue nativo nelle vene: solo così veniva ritenuto full-blood. Seguendo questa logica, anche con solo 1/8 di sangue indiano, ripercorrendo il proprio albero genealogico molto indietro nel tempo, si aveva il diritto di professarsi indiani, come fece Natachee Scott. A dire il vero, questa regola, nota comunemente come one drop rule, è stata applicata dapprima alla popolazione nera ed è nata per scopi segregazionisti e discriminatori. La questione è molto complessa, sia dal punto di vista storico che da quello legislativo, ma non è possibile approfondirla in questa sede. Cfr. Lincoln, K.,

op. cit., 1983, p. 15; Davis, F. James, “Who Is Black? One Nation’s Definition”, Frontline PBS,

1991: http://www.pbs.org/wgbh/pages/frontline/shows/jefferson/ mixed/onedrop.html.

16Momaday afferma: “I believe in the supremacy of the imagination […] What we imagine is the

best of us.” Schubnell, M., op. cit., 1997, p. 83. Ancora più approfonditamente, nella sezione che precede il prologo di TN si legge: “In general my narrative is an autobiographical account. Specifically it is an act of the imagination. When I turn my mind to my early life, it is the imaginative part of it that comes first and irresistibly into reach, and of that part I take hold. This is one way to tell a story. In this instance it is my way, and it is the way of my people.” L’opera è appunto caratterizzata da un “uso immaginativo” della memoria, strumento che, unito ad un linguaggio potente ed evocativo, permette la concretizzazione di eventi, luoghi e personaggi nella scrittura autobiografica di Momaday.

17Natachee “was an outsider who had insinuated herself into their midst, and they [la famiglia

paterna di Momaday] set out to make her life miserable”, TN, p. 38. Non si tratta di contrasti di poco conto e in più occasioni Natachee si trova in pericolo. Si pensi all’episodio in cui lo zio di Momaday, James Mammedaty, annebbiato dall’alcool, minaccia di ucciderla con una pistola. Cfr. TN, pp. 39-41. La descrizione di uncle James, esempio di come la piaga dell’alcolismo si sia diffusa tra i nativi, per colpa dei bianchi, è commovente: “James Mammedaty, whom I loved, was a pathetic figure of a man. I suppose that he began to drink whiskey when he was a child; it was as if he had set out as a little boy to drink himself to death, and so he did, though it took him a long time, fifty years, more or less.” Ivi.

53 vivono in diversi luoghi: nella riserva Navajo di Shiprock, in New Mexico; a Tuba City e a Chinle, in Arizona; infine nella riserva di San Carlos, sempre in Arizona. Un ulteriore spostamento li conduce a Hobbs, nuovamente in New Mexico, dove Momaday, a soli 9 anni, scrive la sua prima poesia.

Finalmente, nel 1946, lo stanziamento definitivo presso il pueblo Jemez, dove Al e Natachee lavorano come insegnanti. In questo contesto Momaday avverte radicalmente il sentimento di appartenenza alla terra e si lega indissolubilmente al landscape della valle del Rio Grande, in New Mexico. Ed è sempre qui che egli si accorgerà dei cambiamenti che la Seconda Guerra Mondiale e il progresso determinano nella vita della riserva, cambiamenti tanto positivi quanto negativi, che provocano smarrimento e confusione all’interno del pueblo. Molti temi e problemi presenti nelle opere dell’autore, tra cui il senso di espropriazione e la crisi d’identità degli indiani contemporanei, trovano qui le proprie radici.

A Momaday bambino non mancano certo stimoli, considerata l’istruzione dei genitori e le due culture con le quali si trova costantemente a confronto, la Kiowa da un lato, e quella europea dall’altro. È soprattutto alla madre che interessa l’istruzione del figlio. I primi studi avvengono a Jemez, presso la scuola della Franciscan Mission, e a Santa Fe, alla Leah Harvey Junior High School. Le tappe seguenti lo portano a Bernalillo e Albuquerque (Our Lady of Sorrows School, Bernallilo Public High School e Saint Mary’s). L’ultimo anno di high school viene completato a Fort Defiance, in Virginia, all’Accademia Militare Augustus.

54 Gli insegnanti sono stupiti per l’eccellente padronanza della lingua inglese da parte dell’allievo. Sembra impossibile che un indiano “sia capace di tanto”.

Nel 1952 s’iscrive all’Università del New Mexico. Qui vince numerosi premi in rhetoric and declamation. Tra il 1956 e il 1957 frequenta la facoltà di legge all’Università della Virginia, realizzando tuttavia di non essere tagliato per quella disciplina. Ritorna ad Albuquerque, dove è finalmente sicuro e sceglie di seguire la propria vocazione: la scrittura. Nel 1958 ottiene il Bachelor’s Degree in Scienze Politiche. Gli viene offerto subito un posto d’insegnante alla Dulce Independent School, nella riserva Jicarilla. Momaday è soddisfatto e sembra non avere ulteriori ambizioni, ma l’amico Bobby Jack Nelson lo ha convinto a candidarsi per una borsa di studio, la Wallace Stegner Creative Writing Scholarship in Prose and Poetry, offerta dall’Università di Stanford. Yvor Winters18, suo futuro mentore, gli comunica che ha vinto la selezione ed è stato accettato nel suo programma. Nel 1963 ottiene il Ph.D, con una tesi sul poeta Frederick Goddard Tuckerman19. Negli anni passati sotto la tutela di Winters si delinea il talento dello scrittore, che sperimenta dapprima assiduamente la poesia, e poi la prosa. È chiamato quasi subito a tenere un corso di Letteratura Nativa Americana presso l’Università della California a Santa Barbara. Nell’autunno del 1966, sempre supportato da Winters, riesce a ottenere la Guggenheim Fellowship e si reca ad Amherst, nel Massachusetts, per compiere delle ricerche. Tornato a

18Poeta modernista e critico letterario molto importante, spesso associato alla corrente del New Criticism. Si rimanda a: http://www.poetryfoundation.org/bio/yvor-winters.

19Poeta americano, vissuto fra il 1821 e il 1873. Tra i suoi componimenti hanno particolare valore i

55 Santa Barbara nel 1968, Momaday pubblica House Made of Dawn, premio Pulitzer l’anno dopo. Sempre nel 1969, sull’onda del successo, la comunità degli Indiani d’America lo nomina Outstanding Indian of the Year. Entra così di diritto nella Taimpe Society ed è iniziato alla Gourd Dance, evento di assoluta importanza presso i Kiowa. Quell’anno è particolarmente proficuo e vede la luce anche The Way to Rainy Mountain. Da Santa Barbara, lo scrittore si sposta a Berkeley, dove rimane tre anni.

Dal 1972 collabora settimanalmente con la rivista Viva, Northern New Mexico’s Sunday Magazine: il materiale degli articoli di questo periodo confluirà parzialmente, nel 1976, nel memoir The Names.

I trasferimenti non finiscono qui. Nel 1972 l’Università di Stanford lo vuole nel proprio organico. Ma poco dopo la firma del contratto, Momaday accetta il ruolo di Distinguished Visiting Professor of Humanities alla New Mexico State University, a Las Cruces.

Risale a questo periodo la collaborazione col fotografo David Muench e la pubblicazione dello sketchbook poetico Colorado20, combinazione di arte visiva e lirica, con descrizioni intense del landscape, soggetto-oggetto del volume.

Nel 1973 Momaday è a Stanford e insegna al Dipartimento di Lingua Inglese, ma pochi mesi dopo, lo scrittore si trasferisce in Russia, dove somministra un corso di Letteratura Americana all’Università di Mosca. Questa fase all’estero è positiva perché permette allo scrittore di realizzare ancora più chiaramente quanto

20Colorado: Summer, Fall, Winter, Spring – testo di N. Scott Momaday, fotografia di David

56 sia importante per lui il native landscape. Inoltre, proprio in Russia, l’autore sperimenta un nuovo mezzo d’espressione artistica: la pittura. Momaday continuerà a dedicarvisi e a migliorare il proprio talento creativo. Le sue opere vengono esposte in varie mostre e gli valgono numerosi riconoscimenti. Mentre si dedica alla pittura, la scrittura è lasciata un po’ in secondo piano, se si escludono le pubblicazioni delle raccolte poetiche Angle of Geese and Other Poems21 (1974) e The Gourd Dancer22 (1976), in aggiunta al memoir The Names. I suoi lavori sono tradotti in moltissime lingue: russo, francese, italiano. E proprio in Italia, nel 1979, ottiene il Premio Letterario Internazionale Mondello. Nel 1981, Momaday si trasferisce a Tucson e diventa professore all’Università dell’Arizona23. La sua agenda sarà sempre fittissima d’impegni, tra esposizioni artistiche, convegni, scrittura e la carriera accademica.

A distanza di 21 anni dal fortunato House Made of Dawn, esce il secondo romanzo dell’autore, The Ancient Child24

(1989). Nel 1992 viene pubblicata la raccolta mista In the Presence of the Sun: Stories and Poems25. Questi lavori sono seguiti nel 1994 da Circle of Wonder: A Native American Christmas Story26, testo per bambini, e da The Indolent Boys, prima opera teatrale di Momaday, cui si

21

Angle of Geese and Other Poems, Boston, Godine, 1974.

22The Gourd Dancer, New York, Harper & Row, 1976.

23Si segnala lo squilibrio tra la prima e la seconda parte del paragrafo 3.2., inevitabile viste le

difficoltà nel reperire materiale biografico più recente e aggiornato sull’autore. Per le notizie biobigliografiche successive al 1981, si rimanda in parte a: Hager, Hal, “Meet N. Scott Momaday” (About the author), in Momaday, N. Scott, House Made of Dawn, New York, Harper Perennial, 2010, pp. 2-8. Inoltre, si veda la sitografia della bibliografia finale.

24The Ancient Child, New York, Doubleday, 1989. D’ora in avanti si userà la sigla TAC,

unitamente alle pagine tra parentesi, per le citazioni tratte dall’opera.

25In the Presence of the Sun: Stories and Poems, 1961-1991, New York, St. Martin's Press, 1992. 26Circle of Wonder: A Native American Christmas Story, Santa Fe, Clear Light, 1994.

57 aggiungerà quella per bambini Children of the Sun (1997) e l’ultima, The Moon in Two Windows27 (2007). È importante ricordare il volume di saggi The Man Made of Words28. Nel 1999 un’altra raccolta poetica, In the Bear’s House29, arricchisce la bibliografia dell’autore. E per concludere, in ambito narrativo, Four Arrows and Magpie: a Kiowa Story30 (2006).

Si può notare come Momaday abbia sperimentato con gusto tutti i generi letterari, dedicandosi all’arte con calma e riflessione, mediando tra la scrittura e la pittura. La bibliografia non risulta ricchissima, ma ogni lavoro è ben ponderato e raggiunge livelli stilistici e formali elevati.

L’autore, che ha compiuto 79 anni nel 2013, vive in Arizona e sebbene debba fare i conti con il tempo che passa, continua a scrivere e dipingere. L’ultimo lavoro risale al 2011 e si tratta della raccolta di poesie Again the Far Morning: New and Selected Poems31.

3.3. Alcune riflessioni su The Way to Rainy Mountain

Momaday ha sempre subito il fascino e l’influenza della sua gente, i Kiowa, ed è il rispetto per le tradizioni del passato, oltre a una forte curiosità, che l’ha spinto a intraprendere un percorso alla scoperta delle proprie radici. Quest’indagine ha

27

Queste opere teatrali sono state incluse nella raccolta Three Plays: The Indolent Boys, Children

of the Sun, and the Moon in Two Windows, Norman, The University of Oklahoma Press, 2007. 28The Man Made of Words: Essays, Stories, Passages. New York, St. Martin's Press, 1997. 29In the Bear's House, New York, St. Martin's Press, 1999.

30

Four Arrows and Magpie: a Kiowa Story, Tulsa, Hawk Publishing Group, 2006.

31Again the Far Morning: New and Selected Poems, Albuquerque, University of New Mexico

58 dato come risultato due scritti autobiografici32 che, nonostante le differenze tematiche e strutturali, rientrano nello stesso progetto storico-narrativo.

Prima di analizzare approfonditamente The Names, è bene dare qualche indicazione su The Way to Rainy Mountain.

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