• Non ci sono risultati.

Tra autobiografia e memoir - la prospettiva nativa americana: N. Scott Momaday, Leslie Marmon Silko e Joy Harjo.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Tra autobiografia e memoir - la prospettiva nativa americana: N. Scott Momaday, Leslie Marmon Silko e Joy Harjo."

Copied!
138
0
0

Testo completo

(1)

Indice

Introduzione ... pp. iv-vii

1. CENNI SUL GENERE AUTOBIOGRAFICO

1.1. Caratteristiche dell’autobiografia e considerazione di

alcune problematiche ... p. 1 1.2. La linea sottile tra memoir e autobiografia ... p. 11 1.3. I tratti distintivi del memoir? ... p. 15

2. L’AUTOBIOGRAFIA E IL MEMOIR IN AMERICA

2.1. Breve storia del genere autobiografico nel Nuovo Mondo ... p. 20 2.2. La cultura nativa americana e il memoir ... p. 33

3. N. SCOTT MOMADAY

3.1. Momaday: la ricchezza della “dual vision” ... p. 48 3.2. Cenni biobibliografici ... p. 51 3.3. Alcune riflessioni su The Way to Rainy Mountain ... p. 57 3.4. Qualche indicazione sulla struttura di The Names ... p. 60 3.5. Breve analisi tematica di The Names ... p. 66

4. LESLIE MARMON SILKO

4.1. “Woman is the center of all”: la rivoluzione attraverso le storie ... p. 73 4.2. Cenni biobibliografici ... p. 76 4.3. Storyteller: un “mosaico di spirito e bellezza” ... p. 83 4.4. The Turquoise Ledge ... p. 91

(2)

5. JOY HARJO

5.1. Una formula per sopravvivere: “Name the enemy, resist it” ... p. 102 5.2. Cenni biobibliografici ... p. 105 5.3. Crazy Brave ... p. 112 5.4. Le poesie di Crazy Brave ... p. 121

Conclusioni ... p. 129

APPENDICE ... p. 133 Apparato fotografico – una selezione

 The Names ... p. 134  Storyteller ... p. 139  Crazy Brave ... p. 144 Le poesie di Crazy Brave

 “This Is My Heart” ... p. 147  “Rainy Dawn” ... p. 148  “Eagle Poem” ... p. 149  “I Give You Back” or “Fear Poem” ... p. 150

(3)

iv

Introduzione

Quando ho iniziato a pensare al tipo di ricerca che avrei voluto svolgere per la mia tesi finale, avevo molti dubbi e poche certezze, come credo accada spesso tra i laureandi, quale che sia l’indirizzo di studi di appartenenza. Sapevo soltanto che intendevo seguire un percorso coerente nell’ambito della letteratura americana, privilegiando un punto di vista “minoritario” che ha avuto poco o nulla a che spartire con il canone, “istituzione dispotica ed elitaria”, forse incapace di stare al passo coi tempi, almeno fino al recente riesame dei propri criteri di valutazione. Ho contemplato diverse possibilità: le battaglie della comunità afroamericana, la questione femminile, la cultura nativa americana.

Alla resa dei conti, ho scelto di concentrarmi su un argomento a me caro, mettendo a frutto quanto ho appreso “sul campo”, durante i miei viaggi in Arizona e New Mexico, dove ho avuto modo di avvicinarmi al mondo degli Indiani d’America, come li chiamano ancora oggi i “non addetti ai lavori”.

Non si può non subire il fascino di questi popoli che, nonostante abbiano alle spalle una storia a dir poco drammatica e ne subiscano tuttora le conseguenze, si distinguono per forza, coraggio e rispetto per l’insieme inestimabile di tradizioni ricevute in eredità e custodite con cura nel tempo.

Nello specifico, dopo essere stata conquistata dalla lettura del memoir di Joy Harjo, poetessa Muscogee (Creek) e in parte Cherokee, mi sono interrogata sulle modalità di questo genere letterario, chiedendomi soprattutto perché questo testo

(4)

v non sia stato definito “autobiografia” dalla scrittrice. In secondo luogo, desideravo mettere in evidenza le peculiarità squisitamente native di un’opera di questo tipo.

Affinché la tesi assumesse maggiore consistenza, ho optato per l’analisi di altri due autori nativi di rilievo, N. Scott Momaday, di origine Kiowa, e Leslie Marmon Silko, del pueblo Laguna, confrontatisi con questo genere prima di Harjo, usando appunto l’espressione memoir per qualificare i propri lavori.

Lo scopo della ricerca è consistito innanzitutto nella determinazione delle origini e delle caratteristiche dell’autobiografia, messa successivamente a confronto con il memoir, in un tentativo di “separazione” e “distinzione” dei due generi, la cui linea di confine risulta però essere davvero sottile, quasi invisibile. Tutto ciò per quanto riguarda il primo capitolo.

Nel secondo capitolo, invece, si sono analizzati brevemente gli sviluppi del genere autobiografico in America e nel contesto nativo americano. Non sono mancate le difficoltà, dato che trattare questa cultura è estremamente complicato, a causa delle inevitabili sovrastrutture e del prevalere della “prospettiva bianca” che non risparmiano i critici e, purtroppo, nemmeno chi si è impegnata a scrivere il presente elaborato. Lo sforzo è stato teso verso la neutralità e la comprensione di un sistema assiologico completamente diverso da quello occidentale, per esempio per quanto riguarda la concezione del tempo, dello spazio o del “mito”.

Il terzo capitolo si occupa di N. Scott Momaday, autore che ha dato il via al Native American Renaissance e ha introdotto la questione della crisi d’identità del nativo, smarritosi in seguito ai conflitti multiculturali dell’era moderna. Dopo

(5)

vi un’introduzione abbastanza concisa, cui seguono i cenni biobibliografici, ci si è occupati delle due opere autobiografiche dello scrittore, rispettivamente The Way to Rainy Mountain e The Names – a Memoir, entrambe importanti in quanto mescolano abilmente eventi storici, narrazioni mitiche e vicende private. Il lettore viene trasportato in una dimensione totalmente nuova e troverà senz’altro inusuale l’approccio adottato relativamente all’autobiografia: infatti, non è un unico individuo a stringere il patto col lettore teorizzato dal critico Lejeune, bensì si ascolta un coro di voci diverse, che include gli antenati e la comunità Kiowa in toto.

Il quarto capitolo, dedicato a Leslie Marmon Silko, segue la struttura di quello riservato a Momaday, presentando dapprima sinteticamente la scrittrice e la sua biografia, con riferimento costante alla produzione letteraria. Successivamente, si è analizzata la raccolta intitolata Storyteller, scelta perché in essa Silko offre ampiamente al lettore storie che rimandano alla propria vita privata e, soprattutto, alla famiglia, protagonista inoltre di numerose fotografie incluse nel volume e scattate dal padre di Silko, il celebre fotografo Lee Marmon. Si parla poi del memoir della scrittrice, The Turquoise Ledge – a Memoir, che ci sorprende non rivelando quasi nulla dell’esistenza di Silko. La narrazione è un fluire di pensieri e riflessioni, a tratti sconnessi, che dà per scontate le capacità di concentrazione del lettore, a mio avviso sfidato dall’autrice a “tenere il passo” con lei, in senso letterale e metaforico, visto che si ha a che fare con una cultura lontana dalla nostra, e per questo “speciale”.

(6)

vii Nel quinto capitolo si riprende lo schema adottato per trattare Momaday e Silko, e si giunge finalmente a presentare Joy Harjo e il suo Crazy Brave – a Memoir. L’idea o intuizione che ha permesso la nascita della tesi si trova a conclusione del lavoro, per motivi meramente cronologici. Questo testo è il mio preferito in quanto la narrazione richiama esplicitamente il “primo amore” di Harjo, ossia la poesia, attività intrapresa faticosamente tra mille difficoltà e costituente perciò il coronamento di un’esistenza segnata da dolori personali e, per l’ennesima volta, “collettivi”. La scrittrice mostra una vulnerabilità e una sensibilità marcate, allontanandosi un po’ dallo stile di Momaday e Silko, appartenenti non a caso a un’altra “generazione” artistica.

Infine, nelle conclusioni si raffrontano le impostazioni adottate dai tre autori nei loro scritti autobiografici e si discutono brevemente i risultati ottenuti nella ricerca, tentando di fare il punto della situazione in maniera esaustiva.

(7)

1

1. CENNI SUL GENERE AUTOBIOGRAFICO

1.1. Caratteristiche dell’autobiografia e considerazione di alcune problematiche

I critici letterari hanno iniziato a rivolgere la propria attenzione verso l’autobiografia1

in maniera più seria e costante solo a partire dagli anni Settanta. Prima di allora, infatti, questo singolare modo di scrivere era stato valutato irrilevante ed etichettato come genere minore, forse per un peccato di superficialità. Eppure, oggi sono innumerevoli le dissertazioni, i volumi e gli articoli accademici che si occupano con estremo fervore di questa branca della letteratura. I dibattiti in corso sono molteplici e le opinioni dei teorici spesso divergono perfino per quanto riguarda la definizione stessa di autobiografia, la quale risulta essere assai problematica e complessa.

Nondimeno, sebbene diversi ostacoli appaiano addirittura insormontabili, è bene fare un tentativo per superarli e cominciare il discorso procedendo per gradi, così da trattare via via le questioni maggiormente degne di nota.

Il termine “autobiografia” sarebbe stato usato per la prima volta nel 1809, in Inghilterra, da Robert Southey, seppur con un’accezione e un utilizzo leggermente diversi da quelli moderni. Infatti, in passato rientrava sotto l’etichetta “autobiografia” ogni sorta di scritto che coinvolgesse le esperienze e la vita di un

1Una parola multicomposta che si svela e rivela autonomamente. Dal greco antico: αὑτός, cioè

(8)

2 individuo, inclusi il diario o la lettera, tanto per fare due esempi2. Tuttavia, nonostante il neologismo sia stato coniato sul suolo inglese, bisogna recarsi in Francia per avere il primo esempio letterario della categoria di nostro interesse. Il prototipo del genere autobiografico è riconosciuto3 nelle Confessions di Jean-Jacques Rousseau, capolavoro d’ispirazione agostiniana4

, pubblicate postume tra il 1782 e il 1789.

È interessante considerare le evoluzioni e il successo di questa varietà letteraria, evolutasi nei secoli e diversificatasi, arricchendosi proprio perché presente nei contesti culturali più disparati. Si pensi al considerevole utilizzo del genere da parte degli scrittori afroamericani, a partire dalle slave narratives, per arrivare alla celeberrima opera di Frederick Douglass, Narrative of the Life of Frederick Douglass, an American Slave5; e ancora, nel XX secolo, l’opera di una donna: Dust Tracks on a Road6, di Zora Neale Hurston. Ma esiste un uso altrettanto diffuso da parte di scrittori indianoamericani come Momaday, Silko e

2Buckley, Jerome Hamilton, The Turning Key – Autobiography and the Subjective Impulse since 1800, Cambridge – Massachusetts, Harvard University Press, 1984, p. 19. Si ricordi che Robert

Southey (1774-1843) è afferente alla corrente letteraria dell’Early Romantic Movement, ma spesso viene trascurato, o addirittura dimenticato, per via della maggior fama dei colleghi contemporanei William Wordsworth e Samuel Taylor Coleridge.

3Praticamente tutte le opere sull’autobiografia presenti nella bibliografia finale, citano l’opera di

Rousseau come capostipite del genere, sebbene esistano altri lavori simili scritti in precedenza. Si ricordano: il Libro della sua vita (1563-65) di Santa Teresa d’Ávila, il De Vita Propria (1570-76) di Girolamo Cardano, la Vita (1728) di Benvenuto Cellini.

4Agostino d’Ippona è l’autore di un’opera monumentale, intitolata Confessiones, la cui

composizione si aggirerebbe intorno al IV secolo. Alcuni studi, nonostante quanto appena affermato (cfr. anche nota precedente) indicano proprio le Confessiones come capostipite del genere. Si rimanda, per esempio, a: Fleishman, Avrom, Figures of Autobiography: The Language

of Self-Writing in Victorian and Modern England, Berkeley, California University Press, 1983,

p. 2.

5

E-book consultabile: http://www2.hn.psu.edu/faculty/jmanis/f-douglas/narrative-douglass.pdf. 6Hurston, Zora Neale, Dust Tracks on a Road: an Autobiography, New York, Harper Perennial,

(9)

3 Harjo per esempio7. Questi ultimi in particolare sfruttano l’autobiografia per affermare l’appartenenza alla propria cultura e per (ri)trovare le radici del profondo legame spirituale che condividono con la propria terra. Data l’importanza dello spirito comunitario presso le tribù native americane, nelle opere autobiografiche di questi scrittori non ascoltiamo un’unica voce, come un’analisi superficiale lascerebbe credere; bensì, siamo in presenza di un coro polifonico, un insieme armonioso di voci alle quali è data libera espressione tramite il narratore. È come se egli si dividesse e moltiplicasse, dando vita a “io” diversi, dotati ognuno di spiccata sensibilità8, evidente nella maniera di trattare le varie tematiche affrontate. Questo è un tratto che è stato a più riprese evidenziato come proprio non soltanto delle autobiografie della contemporaneità, ma soprattutto delle autobiografie femminili e postcoloniali, ove si tende a privilegiare gruppi, etnie, categorie a lungo discriminate ed escluse dalla storia ufficiale9. Ma non è ancora arrivato il momento di affrontare questi argomenti, oggetto dei capitoli successivi del presente lavoro.

Ritornando su un terreno più generale e neutro, è mia intenzione seguire e sviluppare i concetti e le caratteristiche basilari dell’autobiografia e nel farlo mi troverò sovente in debito con uno tra i primissimi studiosi del genere autobiografico, Philippe Lejeune, le cui tesi sono state variamente riprese, per

7

Si parlerà approfonditamente delle opere autobiografiche di questi tre autori a partire dal capitolo 3.

8I nativi americani si dedicano infatti spesso a più attività artistiche, con risultati davvero brillanti.

Per esempio Momaday e Silko sono anche abili pittori, mentre Harjo ha una vera e propria passione per la musica: oltre a suonare il sassofono, collabora con una band.

9Cfr. Corona, Daniela (a cura di), Autobiografie e contesti culturali: ibridazioni, generi, alterità,

(10)

4 corroborarne o confutarne i contenuti da molti cultori della materia, a partire dalla seconda metà degli anni Settanta. 10

Innanzitutto, è fondamentale definire il funzionamento di un testo del genere letterario in esame. Per Lejeune si tratta di un meccanismo estremamente fragile che si sviluppa e può arrivare al successo rispettando regole specifiche. 11

La norma essenziale è che deve esserci identità, nel senso di una corrispondenza, tra autore, narratore e personaggio: una “trinità inscindibile” che non può venire a mancare, pena lo sconfinamento in altri generi letterari quali, per esempio, il genere diaristico, quello epistolare, il romanzo autobiografico, oppure, per arrivare ai giorni nostri, l’intervista.

L’autore, essendo la forma narrativa un tipo di comunicazione, è annoverato tra gli emittenti, insieme al narratore e al cosiddetto autore implicito12. Si tratta di colui che, creando l’opera letteraria, invia il messaggio: il suo nome compare sulla copertina del libro (tranne nei casi in cui viene utilizzato uno pseudonimo o si mantiene l’anonimato, quali che siano le ragioni); la sua esistenza è data per reale,

10

Cfr. Lejeune, Philippe, Le pacte autobiographique, Paris, Editions du Seuil, 1975. Il teorico francese ha compiuto un lavoro attento e meticoloso, mai interrottosi ; il suo ultimo scritto sull’autobiografia, nel quale egli ha riformulato alcune delle proprie tesi, risale infatti a pochi anni fa: Lejeune, P., Signes de vie : Le pacte autobiographique 2, Paris, Editions du Seuil, 2005. Inoltre, le ricerche e la passione per l’argomento hanno condotto Lejeune alla fondazione dell’APA (Association pour l’autobiographie) nel 1992.

11Pur riflettendo sulle teorie iniziali di Lejeune, è bene tenere presente che oggi la critica propende

per un’ottica diversa, riconoscendo il successo delle autobiografie moderne nel fatto che tale genere è teso allo scardinamento delle regole, su più fronti. Si rimanda a: Smith, Sidonie, A

Poetics of Women’s Autobiography – Marginality and the Fictions of Self-Representation,

Bloomington and Indianapolis, Indiana University Press, 1987, p. 6.

12Al concetto di “autore reale”, si oppone appunto quello di “autore implicito”, coniato da Wayne

Booth. L’autore implicito non è il narratore, non ha mezzi diretti per comunicare, ma ad ogni modo è il costruttore del testo. Cfr. Marchese, Angelo, L’officina del racconto – semiotica della

(11)

5 certa, assodata (seguendo il modello di Seymour Chatman, si parlerebbe in questo caso di “autore reale”).

Il narratore13 è la voce che ci accompagna nella lettura, delineando un certo punto di vista e raccontando i fatti seguendo un preciso ordine nel proprio discorso. Genette individua la categoria di “modo”, per regolare i gradi dell’informazione narrativa, in base alla distanza e alla prospettiva adottate. È così che si definisce la cosiddetta “focalizzazione”, considerati i diversi livelli di ampiezza del campo visuale-informativo offerto al lettore. 14

Infine, il personaggio costituisce forse la questione più spinosa in seno alla narratologia. La teoria letteraria ha visto alternarsi opinioni disparate, relativamente all’importanza o al valore del medesimo (si pensi all’affermazione del formalista russo Tomaŝevskij: “L’eroe non è affatto una componente indispensabile della fabula)15. Per tentare una semplificazione si possono indicare quattro isotopie: l’essere, il fare, il vedere e il parlare16

. Sono tutte azioni “compiute” dal personaggio nella realtà narrativa, e utili per comprendere la complessità delle dinamiche che lo coinvolgono. Egli agisce ed è protagonista degli eventi, di volta in volta, con un ruolo maggiore o minore. Generalmente fittizio, frutto della fantasia, anch’egli è reale, nel senso di esistente, nell’autobiografia. La differenza fondamentale rispetto al narratore riguarda una

13

Ibidem, pp. 46-50.

14Oltre al discorso sulla focalizzazione, è bene ricordare che lo statuto del narratore è determinato

anche dai livelli narrativi (extradiegesi o intradiegesi) e dal rapporto con la storia (eterodiegesi e omodiegesi). Queste importanti distinzioni si devono ancora una volta a Gérard Genette. Cfr. Genette, Gérard, Figures III, Paris, Editions du Seuil, 1972.

15Tomaŝevskij, B., in T.Todorov, I formalisti russi (1965), Torino, Einaudi, 1968, p. 340. 16Marchese, A., op. cit.,1983, pp. 185-88.

(12)

6 questione di tempistiche. L’io narrante racconta a posteriori gli avvenimenti vissuti, rappresentanti perciò il passato. D’altro canto, il personaggio vive il presente, è inserito nella vicenda proprio nel momento in cui i fatti che vengono narrati hanno luogo. In sintesi, i due membri della triade di cui si è parlato finora, vanno considerati secondo livelli temporali diversi. E parlerei, conseguentemente, di tempo del narrato nel primo caso, in opposizione a tempo del vissuto nel secondo, sfruttando la terminologia utilizzata sin dal titolo nell’opera di Gianfranco Folena. 17

Lejeune è molto severo su tali questioni, proprio perché l’autobiografia si afferma e concretizza solo se la coincidenza, la condizione di identità è rispettata. Egli parla di pacte autobiographique, di un tacito accordo tra scrittore e lettore, rispettosi l’uno degli spazi dell’altro, nonché della legge stabilita e accettata da entrambi. Una relazione basata perciò sulla lealtà, pagina dopo pagina. 18

Lejeune definisce l’autobiografia “le récit rétrospectif en prose qu’une personne réelle fait de sa propre existence, lorsqu’elle met l’accent sur sa vie individuelle, en particulier sur l’histoire de sa personnalité”. 19 Una spiegazione semplice ed efficace sotto diversi punti di vista, ma nello stesso tempo un po’ imprecisa, o quantomeno incompleta. Sono due i punti che non mi convincono, vale a dire la definizione di prosa e il tipo di narrazione che dobbiamo aspettarci.

17Folena, Gianfranco, L’Autobiografia: il vissuto e il narrato, “Quaderni di retorica e poetica I”,

Padova, Liviana Editrice, 1986.

18Lejeune, P., op. cit., 1975, p. 14. 19Ivi.

(13)

7 Se per prosa s’intende semplicemente il mezzo narrativo che, a differenza della poesia, non segue schemi ritmico-metrici ed ha uno stile generalmente meno aulico20, ci si potrebbe forse accontentare della definizione del critico francese. È indubbio che la maggioranza delle autobiografie sia scritta in prosa, ma occorre analizzare caso per caso le caratteristiche delle opere considerate, adottando criteri diversi.

L’altro fattore omesso, più o meno consapevolmente, dalla definizione di Lejeune, ha a che fare con la tipologia narrativa espletata nell’autobiografia. Si potrebbe affermare senza troppe remore che la narrazione si svolge alla prima persona singolare. Per sfruttare la terminologia di Genette21, si parlerebbe in tale contesto di “narrazione autodiegetica”. L’uso del condizionale è voluto in quanto, anche in questo frangente, il discorso non può concludersi rapidamente. In effetti, alternata alla narrazione in prima persona (senz’altro più frequente), è spesso presente, nelle autobiografie, quella in terza persona22. Quasi come se il narratore volesse estraniarsi ed eclissarsi da quanto raccontato, per vergogna o timore di qualcosa, di un giudizio forse23. Oppure un simile escamotage non deriverebbe da paure di alcun tipo, ma avrebbe come fine ultimo quello di attirare l’attenzione del lettore su vicende di particolare rilievo. 24

20È impossibile definire precisamente la prosa e la poesia, in quanto le avanguardie e i movimenti

culturali alternatisi in ogni epoca e luogo, hanno sconvolto e riproposto regole e schemi sempre diversi, con una tendenza costante al rinnovamento.

21Genette, G., op. cit., 1972.

22Si veda : Lejeune, P. – Tomarken, Annette – Tomarken, Edward, “Autobiography in the Third

Person”, New Literary History, 9, 1, Autumn 1977, pp. 27-50.

23“The third-person figures provide a range of solutions in which distancing is more prominent

[…]”. Ibidem, p. 32.

(14)

8 Questo slittamento, o espediente letterario che dir si voglia, è sintomatico di quel pesante fardello che la modernità ha portato in dono non solo agli artisti, e agli scrittori in particolare, ma anche all’umanità in senso lato. In ogni epoca e luogo, l’aumento degli interrogativi esistenziali e delle consapevolezze guadagnate con la cultura e l’istruzione hanno contribuito a determinare un io disgregato. L’avvento della psicanalisi ha permesso la comprensione di una realtà sempre più frastagliata, ma molte situazioni restano tuttora insolute. Esse esistono e hanno conseguenze notevoli sul modo di fare e percepire la letteratura, di qualunque genere letterario ci si occupi25. Per ritornare quindi al nostro argomento, nonostante si realizzi l’identità di autore, narratore e personaggio, esiste una piccola falla nel sistema. Ed essa si palesa proprio grazie all’oscillazione di prima e terza persona singolare nella narrazione, prova evidente dell’io frammentato menzionato poche righe fa.

Gli argomenti trattati e le problematiche riscontrate finora riguardano il patto autobiografico, la “definizione indefinita” di autobiografia e alcuni aspetti tecnici, legati al tipo di prosa adottata e agli slittamenti nella narrazione.

Come ultimo obiettivo, vorrei provare a mostrare come sia difficile, se non impossibile, estendere certi discorsi relativi al genere autobiografico. Alcune opere critiche propongono visioni d’insieme atte a facilitare lo studio del soggetto; tuttavia, occorre fare attenzione e considerare di volta in volta i testi e le loro radici storiche, oltre che socio-culturali.

(15)

9 Susanna Egan si è occupata del tempo e del suo sviluppo all’interno dell’autobiografia. In particolare, nell’introduzione della sua opera:

People commonly perceive their lives as containing certain distinct stages. [...] we learn to summarize crucial and multiform activities and happenings under headings like “childhood”, “adolescence”, and “mid-life crisis”. Such verbal reductionism also affects the autobiographer, who approaches the more formidable task of writing his life as a narrative. [...] he describes these stages according to more elaborate literary conventions [...] in terms of certain narrative patterns. 26

La studiosa sembra accusare gli scrittori di autobiografia di soffrire di una “sindrome” qualificata come verbal reductionism, che comporterebbe l’uso e il rispetto di certain narrative patterns, stabiliti aprioristicamente. Gli autori seguirebbero un ordine cronologico rigido nell’esposizione dei fatti, suddividendo la propria vita secondo alcune fasi essenziali : infanzia, adolescenza e crisi di mezza età. Non solo, essi userebbero e ripeterebbero anche tutta una serie di metafore, sfruttate ormai ampiamente in ambito letterario. Prosegue Egan:

[…] The existence of such formulas or narrative patterns has been long and substantially established in literature. It can be asserted with confidence that the stories of paradise lost, of the journey or quest, of conversion and confession are literary conventions that serve, like iambic pentameter or first-person narrator, to define particular parameters for literary narrative. 27

Si prenda il tema del viaggio, metafora di cambiamenti e trasformazioni esistenziali profonde per un io errante alla disperata ricerca di qualcosa di cui non conosce o capisce l’entità. Spesso e volentieri, la soddisfazione e la fine del viaggio per quest’io agognante, giunto nelle fasi finali della propria vita, deriverebbero da una conversione e da un conforto trovato nella religione e in chissà quale Dio.

26

Egan, Susanna, Patterns of Experience in Autobiography, Chapel Hill, The University of North Carolina Press, 1984, p. 3.

(16)

10 Schemi convenzionali quali il viaggio, la conversione, o ancora la confessione, seppur utili in molti casi, sono validi fino a un certo punto. Soprattutto nel momento in cui si analizzano opere moderne e postmoderne, o appartenenti a contesti culturali diversi da quello angloamericano o europeo.

Se si esamina ancora una volta la Native American Literature, facendo lo sforzo di cambiare prospettiva, ci si renderà conto di quanto siano pressoché inesistenti, nulli quei narrative patterns or ora menzionati e in parte descritti.

Nelle opere degli scrittori nativi americani si è svincolati da obblighi letterari o strutture narrative canoniche. A partire dal tempo, ciclico e non lineare: gli eventi descritti infatti non seguono mai l’ordine cronologico occidentale. E le motivazioni che spingono a scrivere la propria autobiografia non hanno a che vedere con la vecchiaia, col bisogno di documentare la propria vita, o con l’esigenza di lasciare una certa immagine di sé dopo la morte. 28

Momaday (ri)scopre la propria identità e le radici del suo popolo, offrendosi generosamente di aprire le porte del proprio mondo spirituale.

Silko gode della solitudine e della complicità di Mother Earth e delle sue creature, continuando a raccontare storie che parlino per lei, più che svelare se stessa con dettagli o aneddoti.

Harjo percorre un cammino doloroso, nelle tenebre, prima di poter “respirare la luce”. Un altro regalo al lettore grazie alla testimonianza di una rinascita umana e artistica, oltre alla scoperta della propria vocazione: la poesia. E l’arte si presenta

28Mi viene in mente l’autobiografia di Benjamin Franklin, nata un po’ per queste ragioni, nel

(17)

11 come la sola risposta, quando la vita sembra non offrire vie di scampo, né speranze di alcun tipo. 29

Queste voci del panorama letterario nativo americano hanno creato opere il cui valore è innegabile, e lo hanno fatto senza seguire convenzioni o limiti stabiliti da un qualsivoglia canone. Hanno espresso semplicemente il proprio mondo.

L’autobiografia costituisce un genere poliedrico, come si è voluto mettere in evidenza.

I paragrafi successivi tenteranno di chiarire un aspetto preciso, cioè i confini della “scrittura esistenziale” o life writing, così come è qualificata nel mondo anglofono. Come afferma Couser: “Memoir is the literary face of a very common and fundamental human activity: the narration of our lives in our own terms.” 30

Si metteranno a confronto l’autobiografia e il memoir31, delineandone le caratteristiche e cercando di trovare punti di contatto e/o eventuali differenze tra queste due tipologie narrative.

1.2. La linea sottile tra memoir e autobiografia

Laddove sono state scritte pagine e pagine di critica sull’autobiografia, non altrettanto si può dire per il memoir32. Le opere a disposizione sono pochissime, di

29Le opere autobiografiche di questi tre autori sono approfondite rispettivamente nei capitoli 3,4,5. 30Couser, G. Thomas, Memoir: An Introduction, New York, Oxford University Press, 2012, pp.

9-10; p. 33. Si tratta di un tipo di scrittura che interessa chi, in una certa fase della propria vita, avverte l’esigenza di raccontare se stesso, con tecniche e modalità diverse, caso per caso.

31Le opere autobiografiche di Momaday, Silko e Harjo riportano tutte, dopo il titolo, una sorta di

autodescrizione, racchiusa ed espressa dalla parola “memoir”, punto dal quale è partita la mia indagine. Genette ha parlato di questa caratteristica, qualificandola come “sottotitolo rematico”, riferimento generico al testo in sé. Genette, G., Soglie. I dintorni del testo, Torino, Einaudi, 1989, pp. 81-8.

(18)

12 difficile reperibilità e molto recenti33. Tali scritti tendono poi ad enucleare brevemente i tratti distintivi di questo genere letterario emergente, trascurando spesso i rapporti con l’autobiografia. Non è soltanto un’idea o un’opinione personale sviluppata durante la mia ricerca. Infatti, per citare ancora una volta Couser:

And yet, pervasive as memoir has become, it is not well understood by the general public. Unlike fiction, which is taught early and often in American classrooms right through university, memoir is still treated with relative neglect, leaving the impression that it needs no explanation. 34

Bisogna fare riferimento alla realtà statunitense per comprendere meglio l’entità del fenomeno memoir. Infatti, in Europa, e quindi in Italia, si tende a parlare di autobiografia e non di memoir, termine per il quale non esiste un equivalente nella lingua italiana.

La maggior parte delle fonti da me consultate35 considerano i due termini interscambiabili. In altri contesti si intende il memoir come banale sottogenere dell’autobiografia: “The term [memoir] has generally been used by critics to characterize a kind of life writing they consider inferior to what they call autobiography.” 36

32

Da questo momento in poi non userò più il corsivo, visto che il termine, seppur straniero, ricorrerà a ogni piè sospinto. Accogliamolo, come se facesse parte della lingua italiana.

33Giusto per dare un’idea di ciò che voglio esprimere, ecco due opere pubblicate solo negli ultimi

due anni: Couser, G. T., op. cit., 2012; e Blazer, Paula, Writing and Selling your Memoir, Cincinnati (Ohio), Writer’s Digest Books, 2011.

34Couser, G. T., op. cit., 2012, p. 8.

35Per esempio: Yagoda, Ben, Memoir – a History, New York, Riverhead Books, 2009, pp. 1-2.

Proprio all’inizio dell’opera egli afferma: “In this book I use the words “memoir” and “autobiography” […] to mean more or less the same thing: a book understood […] to be a factual account of the author’s life.”

(19)

13 Alla resa dei conti quasi nessuno si è posto dunque il problema di capire se eventualmente esistano discrepanze sostanziali fra le due varietà narrative. 37

Interrogando i principali dizionari online di lingua inglese, ho trovato che l’autobiography è:

“the story of a person’s life […]” - Oxford Advanced Learner’s Dictionary; “a book about a person’s life, written by that person […]” - Cambridge Dictionary;

“a book in which someone writes about his life […]” – Longman English Dictionary;

“1) a biography of yourself; 2) a biography written by the subject of it […]” – Webster’s Online Dictionary.

Per quanto riguarda il memoir:

“a written account of somebody’s life, a place, or an event, written by somebody who knows it well […]” - Oxford Advanced Learner’s Dictionary; “1) a book or other piece of writing based on the writer’s personal knowledge of famous people, place or events; 2) a written record of a usually famous person’s own life and experiences […]” - Cambridge Dictionary;

“1) a book by somebody important and famous in which they write about their life and experiences; 2) a short piece of writing about a person or place that you know well, or an event that you experienced […]” - Longman English Dictionary;

“an account of the author’s personal experiences […]” - Webster’s Online Dictionary.

La lingua non aiuta a penetrare meglio i due concetti e a separarli nettamente. L’unica certezza che acquisiamo dai diversi dizionari riguardo all’autobiografia è la seguente: tale opera è scritta dalla persona che ne risulta soggetto/oggetto contemporaneamente.

37Un’opera italiana a riguardo è: Masia, Claudia, Scrivere il memoir, Roma, Dino Audino Editore,

2010. È stata pubblicata da un’insegnante di scrittura creativa, al fine di aiutare i propri studenti nella stesura del memoir. L’introduzione prova a chiarire come e in cosa siano diversi autobiografia e memoir.

(20)

14 Per il memoir forse neanche una misera certezza. I dizionari inglesi tendono ad associarlo a persone famose. Come argomenti si considerano molto genericamente vite, luoghi ed eventi. Il fratello americano, il Webster’s Dictionary, specifica la corrispondenza tra autore del memoir e protagonista dei fatti narrati nel medesimo. Si potrebbe dedurre una differenza sottile tra le due definizioni fornite, afferente l’entità del contenuto, in quanto si usano rispettivamente le espressioni biography of self e the author’s personal experiences. Quasi a voler indicare che, nell’autobiografia, gli eventi narrati riguardano una vita intera, dall’inizio alla fine; nel memoir, solo alcune parti di essa, selezionate perché hanno un significato pregnante per chi scrive. Sulla linea di quest’interpretazione si possono considerare due scelte lessicali significative: per l’autobiografia si parla di story (Oxford Advanced Learner’s Dictionary), mentre per il memoir si utilizza il vocabolo account (Oxford Advanced Learner’s Dictionary e Webster’s Online Dictionary). Nel primo caso, story sembra avere uno spettro più ampio, onnicomprensivo. La storia è appunto una descrizione di fatti, una relazione di avvenimenti dettagliata e che abbraccia un arco temporale vasto. D’altro canto, l’account, che potremmo tradurre in italiano con resoconto, dà l’idea di essere una relazione, più o meno particolareggiata, il cui argomento è però circoscritto o limitato ad un fatto specifico e dunque limitato nel tempo.

Esistono davvero enormi impedimenti nell’individuazione del confine tra autobiografia e memoir. A seconda del luogo d’interesse, uno scarto, anche se

(21)

15 forse lieve, è palese tra la prospettiva americana e quella europea38. Se negli Stati Uniti il memoir è già un bimbo alla scuola dell’infanzia, in Europa esso ha ancora le fattezze di un neonato, di qui le titubanze e i dubbi che si tenterà di chiarire una volta per tutte nel paragrafo successivo.

1.3. I tratti distintivi del memoir ?

Consideriamo l’origine e dunque l’etimologia della parola “memoir”. Questo termine è stato importato nella lingua inglese agli inizi del XV secolo approssimativamente, a partire dall’antico francese mémoire, a sua volta derivato dal latino memoria. Il lemma, col significato di written record sarebbe stato acquisito e modificato nel tempo in memorie, come forma anglofrancese, assumendo una sfumatura di senso tra il 1560 e il 1570: note, memorandum, something to be kept in mind. Solo cento anni più tardi, nel 1670, inizia ad essere attestato il significato più moderno e vicino a quello corrente: a person’s written account of his life. 39

Tali passaggi interlinguistici ed evoluzioni semantiche sono senz’altro interessanti e permettono di aggiungere un tassello al nostro mosaico. Occorre concentrarsi nello specifico sul francese mémoire per trarre una prima conclusione importante sul memoir, in qualità di forma d’espressione letteraria odierna. La

38Come si è già detto, il memoir è molto più popolare e diffuso negli Stati Uniti d’America,

nonostante cominci a guadagnare ampio terreno anche in Europa. Si moltiplicano, giorno dopo giorno, i laboratori di scrittura creativa che si occupano d’insegnare i rudimenti e i segreti del genere.

39Di grande utilità l’Online Etymology Dictionary, consultabile gratuitamente sul sito

(22)

16 prima accezione di mémoire è: “faculté comparable à un champ mental dans

lequel les souvenirs, proches ou lointains, sont enregistrés, conservés et restitués”. 40 E a livello etimologico, come già precisato, dal latino memoria:

“aptitude à se souvenir, souvenir, ensemble de souvenirs, témoignage du passé”. 41

È indispensabile rimarcare come ricorra, sia al singolare che al plurale, il termine souvenir(s), che sta appunto per ricordo/i. La memoria è quella facoltà mentale che permette di ricordare, di conservare determinati eventi della nostra vita. E il memoir, nell’esercizio del ruolo di life narrative o life writing, a seconda delle preferenze linguistiche42, sfrutta a volontà questa facoltà mentale, a tal punto da ricavare il proprio nome da essa e dalla funzione primaria svolta dalla medesima.

Come l’autobiografia, il memoir ha per l’appunto come risorsa e fonte originaria la memoria, valido aiuto in molti casi, ma estremamente fallibile in altrettante circostanze, come ogni altra dote umana. La memoria dello scrittore, in particolare, seleziona determinati eventi e li ricorda, secondo un angolo prospettico definito, seguendo una condotta il più onesta possibile. Secondo

40Dizionario consultato per la definizione di mémoire: Trésor de la Langue Française informatisé

(TLFi). Sito disponibile gratuitamente: http://atilf.atilf.fr.

41Ibidem.

42Le due espressioni vengono spesso distinte dalla critica. Per esempio: “We understand life writing as a general term for writing that takes a life, one’s own or another’s, as its subject. […]

We understand life narrative, by contrast, as a general term for acts of self-representation of all kinds and in diverse media […]”. Smith, S. – Watson, Julia, Reading Autobiography: A Guide for

(23)

17 William Zinsser: “the memoirist works with his own truth.” 43

La soggettività risulta molto accentuata, visto che ci si trova a rimodellare o costruire le proprie verità, per un senso di pudore o per l’esigenza di tutelare i protagonisti dei fatti narrati. Nonostante ciò, la libertà soggettiva in questione, ha ancora dei limiti, dato che non si tratta di fiction44. Negli Stati Uniti è stato sollevato un polverone in merito al cosiddetto “caso Frey”. 45

Esattamente come il novel che, nel XVIII secolo, si propone alla stregua di novità sul panorama letterario, imitando la realtà, secondo il principio aristotelico di μίμησις φύσεως, ossia di imitazione della natura, il memoir deve saper coniugare abilmente verità46 e finzione.

Se facciamo un ennesimo confronto con l’autobiografia, oltre a non aver bisogno di un riscontro assolutamente oggettivo rispetto ai fatti narrati, pur rimanendo entro i confini dell’eticamente giusto e consentito, nel memoir non c’è neanche la volontà o l’esigenza di tracciare un percorso di vita, dall’inizio alla fine47. Per quanto riguarda il vaglio dei ricordi e il valore degli stessi, ci

43Zinsser, William Knowlton, Inventing the Truth: the Art and Craft of Memoir, Boston, Houghton

Mifflin, 1987, p. 17.

44S’intende per fiction l’insieme delle opere che richiedono l’atteggiamento mentale di suspension of disbelief (espressione coniata nel 1817 da Coleridge), da parte del lettore. La sospensione del

giudizio comporta l’accettazione di tutto, anche di ciò che nel mondo reale sarebbe assolutamente impossibile, da un punto di vista razionale. Cfr. Couser, G. T., op. cit., 2012, p. 57.

45In sintesi, questo scrittore ha tradito le aspettative del pubblico, presentando un memoir (che in

realtà era nato come novel, ma che nessuna casa editrice aveva accettato di pubblicare in siffatta veste) ricco di bugie e affermazioni completamente distorte, ben lungi dalla realtà. Non si transige su un reato grave quale il plagio e alla stessa maniera non si tollera la malafede. Frey è ormai un

exemplum negativo, citato in diversi lavori sul memoir. Si ricorda: Larson, Thomas, The Memoir and the Memoirist: Reading and Writing Personal Narrative, Athens (Ohio), Ohio University

Press, 2007.

46

Ovviamente, nel caso del novel è più corretto parlare di verosimiglianza, raggiunta grazie all’utilizzo di espedienti quali la lettera o il diario. Cfr. Couser, G. T., op. cit., 2012, pp. 57-60.

(24)

18 accorgiamo di come il memoir si allontani in parte dall’autobiografia, che copre generalmente un arco temporale di maggiore durata. Il memoir ha infatti un focus più limitato, tanto che a volte si occupa di un solo aspetto o di una dimensione della vita dell’individuo, entro una fase temporale circoscritta. Citando ancora Zinsser: “'Unlike autobiography, which moves in a dutiful line from birth to fame, memoir narrows the lens, focusing on a time in the writer’s life that was unusually vivid, such as childhood or adolescence.” 48

Tanto per fare un esempio, in Walden49, Henry David Thoreau descrive il periodo della sua vita che va da marzo 1845 a settembre 1847, quando fu ospite nella proprietà di Ralph Waldo Emerson (e in seguito nell’abitazione costruita da Thoreau medesimo) a Walden Pond. La scrittura dell’opera inizia nel 1846 e gran parte dei materiali derivano dal diario personale dell’autore, cominciato su consiglio di Emerson nell’ottobre 1837 e pubblicato postumo nel 1906.

Nell’introduzione a una delle ultime edizioni di Walden, Denis Donoghue afferma:

The distinction between autobiography and memoir is not absolute. […] So with Walden. We do not remember the depth of the Pond; we remember the peculiar sensibility of the man who thought it worth his while to measure it. 50

Forse il dibattito non avrà mai fine, dato che Walden appare polimorfo, quasi un ibrido, per tutte le sperimentazioni e i generi entro i quali potrebbe

48Zinsser, W. K., op. cit., 1987, p. 15.

49Thoreau, Henry David, Walden, in Cramer, Jeffrey S. (a cura di), Walden: A Fully Annotated Edition, New Haven and London, Yale University Press, 2004, (1849 – I ed.). Si veda

l’introduzione di Denis Donoghue, pp. vii-xxii.

(25)

19 parzialmente rientrare. Eppure, proprio per la sua natura, molti critici lo riconoscono come memoir. 51

Tornando alle caratteristiche del genere, la circoscrizione temporale che lo contraddistingue, risulta ancora più evidente nella costruzione dello stile narrativo. Nel memoir non si segue un andamento perfettamente cronologico e lineare, ma vengono adoperate ampiamente le tecniche dell’analessi e della prolessi. A volte appare perfino complicato stare al passo con la voce narrante, che procede per associazioni mentali, rincorrendo il flusso irregolare dei ricordi, con continui passaggi dall’io del passato, o esperienziale, all’io del presente, che visualizza gli eventi, li forgia e ritrascrive la storia, così come la percepisce. 52

Dobbiamo fare i conti con meccanismi sottili, in virtù dei quali il processo di costruzione del self è talvolta più complesso rispetto a quanto avviene nell’autobiografia, dalla maggiore estensione temporale, come si è più volte ripetuto. Leggendo il memoir siamo testimoni di un’esplorazione dell’io più compatta, ma spesso ugualmente intensa.

Per concludere, l’autobiografia potrebbe costituire la base e l’origine del memoir, ma ciò non toglie che una distinzione netta e definitiva appare impossibile, se si considerano le ibridazioni e gli sperimentalismi della letteratura postmoderna, oltre a quanto esposto finora.

51

Ad esempio i già citati Ben Yagoda e G. T. Couser, che sono però attenti a specificare, nelle loro opere, il polimorfismo peculiare di questo classico della letteratura americana.

52Rientrano nel discorso, per esempio: Woman Warrior: Memoirs of a Girlhood Among Ghosts

(1975) di Maxine Hong Kingston, dove non ci sono riferimenti temporali ed è assente un’organizzazione cronologica nella narrazione; e Girl, Interrupted (1993) di Susanna Kaysen, che costituisce anche un “single-experience memoir” e ricopre un arco di tempo di diciotto mesi. Si veda la bibliografia finale per i riferimenti sulle edizioni consultate.

(26)

20

2. L’AUTOBIOGRAFIA E IL MEMOIR IN AMERICA 2.1. Breve storia del genere autobiografico

È opportuno ricordare come sia nato e si sia sviluppato nel tempo il genere autobiografico sul suolo americano. In particolare, sarà interessante considerarne l’evoluzione all’interno della cultura nativa.

Le prime testimonianze autobiografiche ante litteram si devono agli esploratori europei, autori di numerosi documenti, tra i quali possiamo includere diari e resoconti di viaggio. Si tratta di testimonianze importanti dato che riportano impressioni relative alle scoperte effettuate nel Nuovo Mondo, mettendo in risalto soprattutto i rapporti con le popolazioni indigene e la natura incontaminata dei luoghi.

Le motivazioni legate alla self-writing avviatasi a partire dal XVII secolo sono di tipo pragmatico; infatti, tra i coloni, coloro che divenivano governatori delle nuove terre, dovevano pur sempre rendere conto delle loro attività alla madrepatria, e lo facevano scrivendo delle relazioni a sostegno e difesa del proprio operato. Per esempio, il capitano John Smith, autore, fra l’altro, di The General Historie of Virginia, New England, and the Summer Isles (1624), ove è contenuto l’episodio del suo salvataggio da parte di Pocahontas1

, rientra nella

1Pocahontas, figlia di Wahunsunacock, capo della tribù Powhatan, aveva 10 o 12 anni quando gli

(27)

21 categoria di esploratori-governatori di cui si è detto. A lui si devono numerosi testi, caratterizzati dalla commistione di eventi privati e pubblici, riguardanti soprattutto la storia della colonia di Jamestown, in Virginia.

In maniera simile, William Bradford, a capo di Plymouth, la roccaforte dei Puritani, compone Of Plymouth Plantation2 (1620-1627), dando un’ulteriore sfumatura al genere autobiografico in germe. I suoi scritti risultano più riflessivi, quasi delle meditazioni e, in questo caso, la religione professata incide notevolmente sulla narrazione. Sarà proprio il credo puritano a ispirare molti uomini nell’elaborazione delle cosiddette conversion narratives, una forma di propaganda sfruttata per adunare nuovi proseliti. Banalmente, questo tipo di produzione autobiografica vede il narratore impegnato nella descrizione (negativa) della propria vita prima e dopo la conversione. The Autobiography of Thomas Shepard3 (1632) è un testo che rientra perfettamente nella categoria.

Nel 1680, nasce un’altra forma di scrittura autobiografica: l’Indian captivity narrative. Questo genere ha un successo incredibile presso il pubblico, tanto che si può parlare di bestseller per A Narrative of the Captivity and Restoration of Mrs. Mary Rowlandson4, pubblicato nel 1682. Mary Rowlandson, prigioniera degli Indiani per undici settimane, racconta questa esperienza alla stregua di una lezione impartitale dalla volontà divina, dalle vie sconosciute e imperscrutabili, secondo la morale puritana. Questo tipologia testuale, nella maggior parte dei casi, nell’opera appena menzionata, il cui e-book è consultabile gratuitamente sul sito: http://www.swarthmore.edu/SocSci/bdorsey1/41docs/10-smi.html.

2

E-book: http://mith.umd.edu//eada/html/display.php?docs=bradford_history.xml. 3E-book: http://archive.org/details/autobiographyoft00shep3.

(28)

22 si propone come prova della supposta superiorità della razza bianca rispetto alle tribù native e ai loro usi e costumi. È presente a più riprese il concetto di civilization, in antitesi a quello di savagery. Un’identità che esclude ogni forma di alterità, considerando le popolazioni native primitive, barbaric, savage,… tutti aggettivi dal valore palesemente dispregiativo. 5

Nel XVIII secolo si verificano nuovi mutamenti storico-sociali e la religione, fondamentale nel periodo precedente, cessa di essere il focus degli scritti autobiografici, se si escludono i focolai della Great Awakening (1730-1740). 6 La crescita economica e demografica delle colonie, oltre al fenomeno massiccio dell’immigrazione si possono annoverare tra gli eventi salienti di quest’epoca. I rapporti forzati tra i nativi, i coloni europei, ormai “americani” da diverse generazioni, e le nuove ondate migratorie da ogni angolo del mondo, creano il cosiddetto “melting pot”: l’America è un calderone di etnie e culture, è la terra delle possibilità7. Si consideri l’affermazione di Jean de Crèvecœur, autore di Letters from an American Farmer (1782): “The American is a strange mixture of blood, which you will find in no other country.” 8 Questo bizzarro miscuglio di

5Sayre, Robert F., American Lives – An Anthology of Autobiographical Writing, Madison, The

University of Wisconsin, 1994, pp. 24-5.

6Con l’espressione Great Awakening si indicano essenzialmente quattro periodi della storia

americana (tra il XVIII e il XIX secolo) durante i quali alcuni movimenti religiosi hanno tentato, in parte con successo, di fare leva sulla coscienza “nazionale” e di imporre la propria dottrina. Nello specifico, mi riferisco qui alla prima di queste fasi, iniziata per opera di Jonathan Edwards e della congregazione di Northampton, in Massachusetts. Alcuni storici vedono in questa prima Great

Awakening una pre-Rivoluzione Americana. Cfr. Testi, A., La formazione degli Stati Uniti,

Bologna, Il Mulino, 2003, pp. 51-2.

7Per un approfondimento, si rimanda a: Testi, A., Il secolo degli Stati Uniti, Bologna, Il Mulino,

2008, pp. 113-7.

8St. Jean de Crèvecœur, Letters from an American Farmer, New York, Penguin Books, 1981 (I ed.

(29)

23 sangue, come afferma Crèvecœur, è senza dubbio una complicazione, e in parte uno stimolo, nella ricerca e nella definizione dell’identità individuale e nazionale. La questione dell’identità americana ha risvolti storici, politici ed economici complessi che hanno a che fare anche con il controllo sociale in un territorio vastissimo, e il paragone è sempre l’Europa. L’autobiografia è un mezzo efficace in questo senso perché permette di esplorare, con l’ausilio della memoria, gli spazi più reconditi dell’interiorità, oltre che di indagare sulle proprie origini genealogiche. La Autobiography9 di Benjamin Franklin, composta a partire dal 1771, e sottoposta a considerevoli rielaborazioni, vuole essere un exemplum per tutti i cittadini americani. Nata come lettera al figlio, l’autore si autorappresenta e descrive come un “modello”: Franklin è il self-made man, colui che si è fatto da solo, con sacrificio e onestà. A prescindere da considerazioni legate alla struttura frammentata di questo scritto, vedere come la modernità si affacci sulla scena letteraria è oltremodo significativo10. In questo periodo, messo da parte il caso frankliniano, sono moltissimi gli agricoltori, i mercanti, in generale gli uomini “comuni”, che parlano della propria vita e del proprio lavoro. 11

Questa presa di coscienza contribuirà all’avvio della Rivoluzione Americana, fino all’indipendenza dalla madrepatria il 4 luglio 1776. Una volta ottenuta

9Franklin, Benjamin, Autobiography, Mineola and New York, Dover Publications, 1996 (I ed.

1771).

10A questo proposito: Accardo, Anna Lucia, “Benjamin Franklin: The Making of a Model for

American Autobiography” in Accardo – Marotti – Tattoni, Identità e scrittura: Studi

sull’Autobiografia Nord-Americana, Roma, Bulzoni, 1988, pp. 111-28.

11Si vedano ad esempio: The Journal of the Reverend Charles Woodmason (1768) di Charles

Woodmason; e A Narrative of Colonel Ethan Allen’s Captivity (1779) di Ethan Allen. Entrambe le opere, scritte rispettivamente da un religioso e da un soldato, descrivono con attenzione la “carriera” professionale dei due uomini. Si veda la bibliografia finale per i dettagli sulle edizioni consultate.

(30)

24 l’autonomia, il popolo americano affronta nuovi ostacoli: l’economia, il sistema politico e la forma mentis della popolazione sono ancora prigionieri del sistema coloniale, per cui reinventarsi e ridefinirsi è davvero problematico. Nonostante le titubanze iniziali, non tarderà a prendere il sopravvento il patriottismo e, successivamente alle vicende belliche, il mondo editoriale darà ampio spazio a scritti autobiografici di stampo rivoluzionario. 12

Gli americani devono riconoscersi come cittadini della nuova, grande nazione che è venuta a crearsi e l’autobiografia, nel periodo post-rivoluzionario (sino agli anni Trenta del XIX secolo) costituisce ancora una volta uno strumento valido in questo senso. L’identità nazionale viene raggiunta e celebrata a partire dall’opera di Franklin, già menzionata, per continuare con il testo di Thomas Jefferson, Autobiography (1821)13. Tuttavia, nello stesso periodo, si levano altre voci e il genere prende direzioni molto diverse: si pensi al fenomeno delle rogue narratives, dai contenuti un po’ meno “onorevoli”. Il termine rogue potrebbe essere tradotto in italiano con “furfante, canaglia” (con una connotazione non del tutto dispregiativa) ed è proprio in tali termini che si qualificano i protagonisti di questi scritti. Per esempio, in Memoirs (1798)14, Stephen Burroughs celebrava patriotticamente un atteggiamento anticonformista, perfino atti sovversivi, stigmatizzati dalla società. Rovesciando il sistema di valori dell’epoca, perfino l’essere stato in prigione diviene un’occasione di autocelebrazione per l’autore,

12In particolare lettere e diari, pubblicati dai familiari di chi aveva vissuto la guerra in maniera più

o meno diretta. Tali pubblicazioni nascono con la finalità di ridare gloria e splendore alle gesta degli antenati e dei parenti che avevano servito la patria durante la Rivoluzione.

13Jefferson, Thomas, Autobiography, Greensboro, Empire Books, 2012 (I ed. 1821). 14Burroughs, Stephen, Memoirs, Holliston, Northeastern Publishing, 1988 (I ed. 1798).

(31)

25 che si descrive come un eroe, quasi un martire, tanto da decretare il successo del libro soprattutto tra le fila di coloro che avevano osteggiato la Rivoluzione Americana. Sul fronte opposto l’autobiografia, per quanto popolare, doveva ancora affrontare le resistenze dei conservatori, che vedevano in essa un mero sfoggio di vanità e narcisismo. 15

Nonostante queste resistenze, in tale contesto nascono le frontier narratives16. Capostipite del sottogenere è The Adventures of Colonel Daniel Boone (1784), scritto da John Filson17. Non si tratta di un’autobiografia originale, ma piuttosto di un ibrido (si potrebbe forse parlare di biografia, oltre che di captivity narrative e war memoir). Le descrizioni più vivide riguardano le battaglie contro gli Indiani e la prigionia presso di essi, nel 1778. La condizione di cattività, lungi dall’essere negativa, permette a Boone di migliorarsi come uomo18. I contatti con gli Indiani sono importanti e si può imparare moltissimo da loro. La letteratura s’interessa

15Per esempio sono mal viste le Confessions di Rousseau, tradotte e pubblicate a New York nel

1796. L’autore viene rivalutato soprattutto in virtù della Rivoluzione Francese del 1789, e nella sua opera si riconosce l’esibizione pericolosa degli eccessi derivanti dalla vanità e dall’egoismo. Cfr. Sayre, R. F., op. cit., 1994, p. 177.

16La frontiera, nella storia americana, costituisce un vero e proprio “mito”. Si tratta della linea di

confine oltre la quale è possibile l’espansione e la conquista. Oltre di essa, sempre più ad ovest, stanno la wilderness e i popoli nativi, in opposizione alla supposta civility del mondo euroamericano. Tra le varie elaborazioni e teorie sulla frontiera, spicca il lavoro dello storico Frederick Jackson Turner, The Significance of the Frontier in American History (1893).

17

Daniel Boone, originario della Pennsylvania, ove nacque nel 1734, partecipò a diverse spedizioni di conquista e colonizzazione di territori americani ancora vergini. La più famosa di queste esplorazioni risale al 1769 e riguarda il Kentucky, sacred land per gli Indiani Shawnee. Il testo di Filson trasforma Boone in leggenda, in eroe, nonostante la sua vita presenti vari punti oscuri (venne addirittura accusato di tradimento e condannato agli arresti domiciliari). L’opera è consultabile gratuitamente sul sito: http://www.earlyamerica.com/lives/boone/.

(32)

26 ora ai nativi americani19 sempre più frequentemente, come testimoniano opere quali: Indian Biography, composta da Benjamin Thatcher nel 1800 e Biography and History of the Indians of North America (1832) di Samuel Gardner Drake. Si tratta di enciclopedie e raccolte di aneddoti, storie, biografie di capi indiani, che stimolano la curiosità del pubblico. 20

La generazione di scrittori dell’età antecedente la Guerra Civile subisce la crisi e il senso di disorientamento di questo periodo. Perciò essi effettuano un’esplorazione dell’io sempre più attenta e cominciano a scrivere diari personali, attività che favorisce la disciplina e aiuta la pratica della meditazione. Sono gli anni in cui si afferma il movimento trascendentalista, il cui massimo esponente, Ralph Waldo Emerson, ha una concezione dell’io molto spirituale e astratta21. L’autobiografia deve dare espressione a questo ego superiore, nobile, puro. E ciò avviene in autori quali Thoreau22 e Margaret Fuller23, i quali, pur rispettando le idee emersoniane, danno uno statuto di maggiore concretezza al loro self e alle vicende che li coinvolgono. Fuller, tra l’altro, è autrice di Summer on the Lakes24 (1844), una travel narrative, genere molto in voga in quel periodo, insieme alle

19

Come si approfondirà nel paragrafo successivo, esistono già in questo periodo Indian

autobiographies. Mi riferisco per esempio a A Son of the Forest (1831), di William Apess. Si veda

la bibliografia finale.

20Sayre, R. F., op. cit., pp. 178-80. 21

Ibidem, p. 274. 22Cfr. Cap. 1, pp. 18-9.

23Scrittrice e giornalista, è ricordata soprattutto per l’impegno profuso nella battaglia per i diritti

delle donne. La sua opera più famosa è Woman in the Nineteenth Century, pubblicata nel 1845, con alcune modifiche rispetto alla versione del 1843 presente nella rivista The Dial (si veda la bibliografia finale).

(33)

27 storie di avventure, schiavitù, prigionia e fuga, rappresentate appunto mediante l’autobiografia.

Le slave narratives, in particolare, sono forme narrative molto popolari, oltre che occasione di denuncia del sistema schiavistico che affligge la popolazione nera americana. Frederick Douglass scrive ben tre autobiografie di questo tipo: Narrative of the Life of Frederick Douglass, an American Slave (1845), My Bondage and My Freedom (1855) e Life and Times of Frederick Douglass (1881, e ulteriormente revisionata nel 1892)25. Egli costituisce un esempio di forza e perseveranza nella lotta per l’emancipazione e per l’affermazione della libertà dell’individuo.

Harriet Jacobs è un’altra figura importante, per due motivi: è una schiava ed è una donna. Sottoposta ad angherie e soprusi di ogni tipo, riesce a fuggire dal suo proprietario, James Norcom, nel 1835, e solo sette anni dopo (si è infatti nascosta a casa della nonna fino al 1842), può vivere libera a New York. Il suo racconto autobiografico, Incidents in the Life of a Slave Girl26, viene pubblicato nel 1861, in seguito a svariate peripezie editoriali. Jacobs ha dovuto lavorare in segreto all’opera ed è stata costretta ad adottare lo pseudonimo “Linda Brent” per poterla dare alle stampe. L’autrice denuncia le violenze e gli stupri subiti dalle donne in

25Da notare che nelle prime due autobiografie, Douglass si autocensura e non riferisce i dettagli

relativi alla sua fuga da Covey, il suo nuovo padrone, nel 1838. Solo nella terza opera, si sentirà abbastanza sicuro e tratterà quell’esperienza. Per i riferimenti bibliografici delle opere, si veda la bibliografia finale.

26Jacobs, Harriet, Incidents in the Life of a Slave Girl, New York, Dover Publications, 2001 (I ed.

(34)

28 condizioni di schiavitù, denunciando un sistema deprecabile, di matrice patriarcale, che lede la libertà degli esseri umani e commette azioni criminali. 27

I problemi e le contraddizioni della giovane nazione americana sono dunque molti, come dimostra la sanguinosa Guerra Civile scoppiata nel 1861, che oppone il Nord e il Sud del paese, rispettivamente favorevole e contrario all’abolizione della schiavitù, istituzione ancora tipicamente coloniale. Il conflitto si risolve a favore del Nord abolizionista: nel 1865, anno in cui si conclude il conflitto, viene approvato il XIII Emendamento alla Costituzione28, e nel 1868, è approvato il XIV Emendamento, che garantisce il diritto di voto agli ex schiavi. 29

La guerra aveva devastato l’America economicamente e moralmente. La stanchezza e lo smarrimento della popolazione si riscontra nei Civil War memoirs della fase post-bellica30. Gli studiosi hanno notato che, pur permanendo una certa riluttanza da parte di alcuni americani a riportare nero su bianco la propria vita, dopo la Guerra Civile si sente il bisogno di “liberarsi dei propri fantasmi”. 31

27Sayre, R. F., op. cit., 277-9.

28Il XIII Emendamento abolisce la schiavitù a base razziale e sembra essere una buona premessa

per la Ricostruzione (1867-1877) e l’esperimento democratico successivo. Purtroppo però il razzismo non cessa di esistere e le speranze di libertà e uguaglianza dei Black Americans vengono disattese. Il clima di violenza non si esaurisce mai completamente e ne costituiscono una prova gli atti terroristici del Ku Klux Klan, organizzazione segreta nata nel 1876. Cfr. Testi, A., op. cit., 2008, pp. 10-1.

29

Le donne dovranno aspettare ancora parecchio per ottenere i diritti civili e si batteranno con determinazione per ottenerli, dando vita a diverse organizzazioni suffragiste, che nel 1890 confluiscono nella National American Woman Suffrage Association (NAWSA). Gli uomini temono queste donne battagliere, che mettono a dura prova il loro monopolio politico e sociale, tanto che gli storici parlano di “crisi della maschilità”, durante i primi anni del XX secolo. Ibidem, pp. 71-6.

30Si pensi a Personal Memoirs (1885) del presidente Ulysses S. Grant, la cui pubblicazione si deve

a Mark Twain. E-book: http://www.gutenberg.org/ebooks/4367.

31Sayre parla di “self-liberation movement” in relazione a questo fenomeno. Questa “libertà”

tramite la scrittura dovrebbe aiutare a lenire le sofferenze patite durante la guerra. Cfr. Sayre, R. F., op. cit., 1994, p. 368.

(35)

29 Warren Lee Goss, in The Soldier’s Story32 (1869), usa un tono elegiaco, permeando la scrittura di elementi nostalgici, ad esempio quando ricorda un compagno morto in battaglia. In opere come questa si evidenziano nel contempo l’eroismo, ma anche gli orrori verificatisi durante il conflitto. Secondo Sayre: “This self, then, is a survivor and a teacher and a self-historian.” 33

Dopo essere sopravvissuto al trauma bellico, l’io, forte della consapevolezza acquisita, mette a frutto la propria esperienza usando un approccio didascalico. Oppure, come avviene su un altro versante, l’ego, colto da nostalgia, ritorna all’infanzia e all’adolescenza, ossia all’innocenza e alla purezza. Si inseriscono in questa prospettiva Life on the Mississippi (1883) di Mark Twain34, A Small Boy and Others (1913) di Henry James35, ma anche Indian Boyhood (1902) di Charles Eastman. 36

L’esigenza di scrivere della propria vita viene sentita profondamente, in diversi contesti etnici e culturali, anche dai numerosi immigrati presenti sul continente americano. 37

32Il titolo completo dell’opera è The Soldier’s Story of his Captivity at Andersonville, Belle Isle, and Other Rebel Prisons. E-book: http://www.gutenberg.org/ebooks/4367.

33Sayre, R. F., op. cit., 1994, p. 371.

34L’e-book di Life on the Mississippi è disponibile qui: http://www.gutenberg.org/ebooks/245. 35

E-book: http://www.gutenberg.org/ebooks/26115. 36E-book: http://www.gutenberg.org/ebooks/337.

37Si parla non a caso di “Immigrant Autobiography” e rientra nella categoria la success story di

Andrew Carnegie, How I Served My Apprenticeship (1894). E-book disponibile sul sito: http://www.ourscotland.co.uk/ebooks/andrewcarnegie.htm. er approfondimenti, si rimanda al seguente volume: Boelhower, William, Immigrant Autobiography in the United States, Verona, Essedue Edizioni, 1982.

Riferimenti

Documenti correlati

Antonella Viola, immunologa e professoressa di Patologia generale all’Università di Padova, in un’intervista al Corriere della Sera dichiarava a inizio marzo che «l’ideale

nel caso delle lavoratrici quasi due denunce su tre (64,7%) ricadono nei settori dei servizi (commercio, trasporti, sanità, ecc.) e il restante 35,3% nelle attività industriali..

Tra i fattori di rischio acquisiti ve ne sono alcuni che sono legati fisiologicamente al genere femminile: gravidanza, puerperio, utilizzo della contrac- cezione e della

Far rientrare nelle analisi cliniche di routine la richiesta di semplici test come sideremia, saturazione della transferrina e ferritinemia, permetterebbe una migliore

Queste differenze metaboliche sono ben conservate nei mammiferi dove maschi e femmine utilizzano le fonti energetiche secondo strategie diver- sificate; i soggetti di sesso

Ho iniziato con una citazione di un’autrice psicoanalitica, concludo citando il padre stesso della psicoanalisi, che quando in una conferenza nel 1932 si trovò nella necessità

• eseguire un blocco di istruzioni (pu`o essere anche contenere una sola istruzione ma non ci sono vincoli riguardo al numero di istruzioni da es- eguire. Questo ` e il motivo per

La Medicina di Genere studia e identifica le differenze nella incidenza delle varie malattie nei due sessi, le diversità nei sintomi, nei percorsi diagnostici da seguire,