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Motivazioni personali alla creazione d’impresa

IL FARE IMPRESA AL FEMMINILE

3.3 Motivazioni personali alla creazione d’impresa

Con riferimento ai caratteri distintivi ed alle motivazioni che sono propri dell’imprenditoria femminile e dalle ricerche svolte sembrano emergere risultati abbastanza contraddittori.

Da una parte infatti si mette in risalto come l’imprenditrice:

- spesso non sia in possesso di una precedente esperienza lavorativa nello stesso settore di attività della nuova impresa e spesso manifesti una carenza di competenze manageriali;

- dia luogo ad attività di dimensioni solitamente ridotte se non ridottissime e sia legata ad un uso equilibrato del tempo tra famiglia ed impresa;

- mostri scarsa propensione al rischio e decida di operare unicamente su mercati locali;

- dia luogo ad un’azienda fin dall’inizio sottocapitalizzata, e con marcata difficoltà ad accedere al credito istituzionale;

- sia estranea per cultura sociale ai circuiti dell’informazione economica (Migale, 1998).

Tutti questi elementi sembrano configurare un’impresa di serie B, poco innovativa e con scarse prospettive non tanto di crescita quanto di sopravvivenza.

Dall’altra parte, si evidenzia che per quanto riguarda le motivazioni queste nascono dall’aspirazione a svolgere un lavoro autonomo che però non sembra legato tanto al venire meno di un lavoro dipendente – ma come accade spesso per gli uomini – quanto dalla volontà di affermazione sociale, di riconoscimento, d’identità. In altre parole la donna

imprenditrice nascerebbe come tale ed il fare impresa sarebbe un modo per realizzarsi.

In tal modo ci troviamo di fronte a due realtà abbastanza diverse:

- una prima costituita da coloro che vedono l’attività imprenditoriale, condotta quasi esclusivamente sotto la veste giuridica dell’azienda individuale o della società familiare, come un modo per cogliere delle opportunità contingenti, con scarso spirito imprenditoriale, nessuna cultura manageriale e quindi ridotte prospettive di successo;

- una seconda costituita da coloro che la considerano una via di affermazione sociale più compiuta, legata quindi ad una professionalità avanzata, ad una propensione al rischio ed all’innovazione più marcata, contraddistinta da un’esigenza di confrontarsi su più ampi mercati.

Tutti questi fattori sembrano configurare un’impresa di serie A, ben orientata e con buone prospettive di sviluppo. Ciò non toglie che anche queste imprese possono trovarsi di fronte a degli ostacoli per accedere al mercato del credito, ma di fronte a programmi di sviluppo ed a progetti di qualità, specialmente se supportati da un’organizzazione e da una cultura manageriale affidabili, le difficoltà potranno essere superate. Per le prime invece la mancanza di credito sembra derivare piuttosto da carenze manageriali ed imprenditoriali, elementi questi difficilmente colmabili.

Comunque in tutti i paesi industrializzati, pur con diversa intensità, si registra ormai un continuo sviluppo dell’imprenditoria femminile che

della linea di sviluppo virtuosa, propria dell’impresa da noi definita di serie A.

Studi psicologici hanno evidenziato come la differenza di genere è una delle motivazioni e delle variabili che condizionano la propensione all’avvio dell’attività imprenditoriale. Il desiderio d’indipendenza, sia per le donne che per gli uomini, sembra essere la più comune ragione d’ingresso nell’imprenditoria.

Per le donne il concetto di autonomia maschera una pluralità di significati che trovano corrispondenza nelle diverse fasi del ciclo di vita.

Ad esempio per le giovani, esso rappresenta la possibilità di superare i vincoli del mercato del lavoro ufficiale, raggiungendo attraverso l’impiego autonomo opportunità di affermazione che non sarebbero loro concesse nel lavoro dipendente. Le donne più adulte, che hanno alle spalle già una carriera di lavoro, considerano il desiderio di indipendenza secondo ottiche assai diverse: molte di loro possono aver subito frustrazioni dovute a blocchi nella carriera, per questo attribuiscono all’autonomia il significato di una realizzazione sul versante professionale tanto quanto su quello economico (David, 1994).

Differente è il caso in cui scopo primario sia quello di raggiungere condizioni di flessibilità che permettono di conciliare lavoro e famiglia. In questo caso l’autonomia è principalmente riferita alla gestione del tempo ed alla possibilità di decidere di volta in volta quanto spazio dedicare al lavoro.

Tra le spiegazioni che più spesso vengono attribuite circa le ragioni che spingerebbero le donne a dar vita ad attività autonome tre in particolare meritano di essere esaminate: la prima fa riferimento alla situazione di debolezza delle donne sul mercato del lavoro, la seconda ad

esigenze di flessibilità che accompagnano il ciclo di vita femminile, la terza accentua l’importanza dei fattori ideologici e culturali, variamente connessi alle culture del femminismo.

Secondo questa terza ipotesi le imprenditrici sarebbero spinte principalmente dalla voglia di contrapporsi a modelli di ruolo, avviando, cioè, imprese nei settori dominati dagli uomini, che concorrerebbero di fatto a minare le immagini stereotipate ed a mettere in discussione il pensiero diffuso sul ruolo delle donne nella società. Si parla di un’interpretazione orientata soprattutto da presupposti ideologici e per questo risulta la più contestabile perché se è vero che l’esistenza di figure imprenditoriali di successo contribuiscono a superare un’immagine del lavoro femminile prevalentemente concentrata sulla debolezza, ciò è più un effetto che un presupposto per la spiegazione delle dinamiche dell’imprenditoria femminile (Franchi, 1992).

Secondo altri studi, le motivazioni che spiegano la scelta di avviare un’impresa consisterebbero essenzialmente nelle condizioni di marginalità che le donne vivono all’interno del mercato del lavoro. Secondo questa logica l’imprenditoria si presenta come uno strumento atto ad ottenere avanzamenti e sarebbero quindi le difficoltà affrontate nel lavoro a premere verso mezzi alternativi con cui giungere agli obiettivi di carriera.

È indubbio che un certo numero di attività in proprio aperte dalle donne viene avviato a causa di un’insoddisfazione nel lavoro dipendente o per le scarse opportunità di occupazione ed anche in questo caso ciò che può essere evidenziato non è tanto l’aspetto di costrizione quanto lo stimolo verso un maggior grado di autonomia personale.

motivazioni di natura economica. Intervengono elementi legati alla cultura del lavoro consolidata o sviluppata lungo un percorso di esperienze sociali e personali.

Un’ulteriore interpretazione è rappresentata dalle motivazioni per la creazione di un’impresa con le esigenze di flessibilità connesse alla duplicità del ruolo lavorativo e familiare. Le donne nella dicotomia tra lavoro e famiglia prediligono l’attività autonoma perché questa permette loro una diminuzione del tempo dedicato al lavoro.

Al riguardo, alcuni studi indicano come discriminante tra i profili di imprenditrici la presenza o meno dei figli. Questa variabile differenzierebbe i comportamenti e le motivazioni rispetto alla scelta di dar vita ad un’impresa.

Secondo queste analisi si possono distinguere imprenditrici che sono proiettate alla carriera perché senza figli e quindi svincolate dai classici impegni di cura, imprenditrici alla ricerca della conciliabilità tra la dimensione familiare e lavorativa e la terza categoria caratterizzata dal desiderio di recuperare spazi di realizzazione personale dopo essersi occupate della famiglia nelle fasi precedenti della vita.

Nel loro insieme le interpretazioni esposte propongono un’immagine debole dell’imprenditoria femminile che a seconda dei casi è diretta da motivi ideologici, dalla debolezza sul mercato del lavoro o schiacciata da impegni familiari. In una tale ottica l’imprenditoria apparirebbe da un lato come un sistema atto a contrastare le discriminazioni, mentre dall’altro sembrerebbe una risposta legata a condizioni di necessità ed alla penalizzazione subita nel mondo lavorativo.

Queste strade analizzate risultano riduttive e non sufficienti a spiegare in modo esaustivo i percorsi imprenditoriali. Infatti, nella scelta

di far nascere un’impresa possono entrare in gioco molteplici fattori: le capacità soggettive, le risorse personali, le caratteristiche del contesto e le reali possibilità offerte dal mercato. Si tratta di aspetti tra loro correlati e difficilmente isolabili uno dall’altro.

A tal proposito si può affermare che lo sviluppo dell’imprenditorialità femminile è condizionato da alcuni fattori che si rispecchiano in due gruppi di variabili: le variabili motivazionali e quelle di tipo strutturale.

Nelle prime rientrano tutti quei fattori che delineano la scelta imprenditoriale, non come una semplice risposta ad un’opportunità concreta, condizione che è molto più naturale in un contesto maschile, bensì come fenomeno autodeterminato da una volontà delle donne di costruirsi il proprio destino e di rappresentare un ruolo di un certo livello nella società.

Tra queste variabili, le più diffuse sono quelle correlate sia alla creazione di un reddito, come è naturale, ma anche e soprattutto ad un desiderio di autoaffermazione, di realizzazione personale e professionale, di miglioramento della qualità della vita, nel tentativo di armonizzare le esigenze del percorso professionale con quelle della vita privata e familiare, in altre parole dall’esigenza di gestire la doppia presenza.

Quelli che appaiono come aspetti di autodeterminazione della scelta imprenditoriale, in realtà non potrebbero esistere se non vi fossero anche le giuste condizioni di tipo ambientale e socioeconomico.

Le motivazioni strutturali costituiscono le condizioni oggettive di sviluppo dell’imprenditorialità in grado di favorire od inibire la scelta

Tra queste, vi è la mancanza di lavoro che ha portato alla necessità di superare il concetto di posto di lavoro fisso per fare largo ad un concetto di lavoro più creativo, intraprendente e legato alle opportunità di mercato. Secondo tale analisi la creazione di un autoimpiego rappresenta una delle soluzioni al problema della disoccupazione. Un'altra variabile strutturale più specifica per lo sviluppo dell’imprenditorialità femminile è l’innalzamento dei livelli di istruzione delle donne (Gregorio, 2005).

Mentre la disoccupazione influisce sulla diffusione quantitativa dell’orientamento all’autoimprenditorialità, i livelli di scolarizzazione influiscono soprattutto sulla qualità dell’approccio imprenditoriale. Questo fattore è fortemente correlato alla maggiore professionalità delle donne, risultato non solo di livelli di istruzione sempre più alti, ma anche della sempre maggiore consuetudine da parte delle donne ad operare in contesti professionali.

L’elemento strutturale che più di tutti ha dato opportunità favorevoli allo sviluppo dell’imprenditorialità femminile è la terziarizzazione dell’attuale sistema di produzione legato alla diffusione nella coscienza collettiva di modelli di ruolo positivi che enfatizzino e valorizzino lo status di imprenditrice. A queste condizioni si è affiancato, infine, lo sviluppo di politiche di incentivazione dell’imprenditoria femminile.

Le condizioni strutturali descritte come favorevoli, in realtà, rappresentano solo i presupposti minimi per lo sviluppo dell’imprenditorialità femminile. Da questo di deduce che la strada da percorrere dall’imprenditrice è ancora lunga.

CONCLUSIONI

La terziarizzazione del mercato, i movimenti femministi, le politiche volte ad incentivare ed a tutelare le pari opportunità, la scolarità femminile in rapida evoluzione, l’aspirazione sempre più diffusa tra le donne all’autonomia individuale ed alla gestione del proprio lavoro, la difficoltà ad adattarsi ad un lavoro dipendente in cui spesso le donne ancora non riescono a trovare una personale valorizzazione soddisfacente o da cui finiscono per essere escluse per l’impossibilità di conciliare orari standard e cura della famiglia, stanno modificando nel corso di questi ultimi decenni il fare impresa al femminile.

Questo è, in estrema sintesi, ciò che è emerso dall’indagine svolta e ottenuta attraverso un excursus storico della condizione della donna, analizzata sia attraverso la veste di lavoratrice che, più dettagliatamente, nei panni di imprenditrice.

Esaurisco l’analisi prendendo in considerazione gli aspetti politici, motivazionali, socio-culturali ed economici .

Le capacità della donna imprenditrice, caratterizzata da ampia duttilità di intervento nelle relazioni interpersonali, può operare, con l’efficacia e l’efficienza necessarie, nei settori volti alla produzione dei beni e dei servizi (business to business), anche se l’identità femminile va comunque messa in relazione con le implicazioni, dirette ed indirette che il concetto di appartenenza di genere comporta nel mondo del lavoro e dell’occupazione delle donne.

Iniziata con la terziarizzazione, la femminilizzazione del mercato del

lavorativa della donna, per la quale il lavoro, non rappresenta più una mediazione solo affettiva, ma si evidenzia maggiormente come la dicotomia produzione e riproduzion,e non è più adeguata, rispetto alla massiccia partecipazione femminile nel mondo del lavoro.

La carica innovativa ed emancipatoria del movimento femminista, da un lato ha determinato cruciali mutamenti di tipo legislativo-istituzionale, unitamente ai profondi cambiamenti intervenuti nei comportamenti riproduttivi, dall’altro, ha contribuito a rendere percorribili per le donne quegli spazi di scelta e di progettazione della propria vita dai quali in precedenza erano escluse facendo venire meno alcuni dei simboli classici di subalternità femminile.

Ciò nonostante, persistono ulteriori elementi inerziali che, ad un progressivo aumento in quantità e qualità delle donne che fanno impresa, ostacolano, nel contesto sociale ancora resistente, l’idea di un’effettiva parità tra i generi.

Occorre incentivare ulteriori politiche e interventi che assecondino i trend positivi, investimenti, energie, risorse, impegni sulle donne.

Puntare su di loro può consentire di avviare un nuovo patto fondato sulla solidarietà tra donne e uomini, tra madri e padri, figli e figlie, tra regioni ricche e regioni povere; tra chi ha i soldi e non li investe e chi ha la capacità di iniziativa economica e sociale e chiede di essere sostenuto.

Comunque molto cammino è ancora da percorrere.

Le condizioni strutturali apparentemente favorevoli costituiscono in realtà solo le condizioni minime di sviluppo per l’imprenditorialità femminile.

Forti motivazioni ed adeguata preparazione non sono sempre sufficienti a superare alcuni ostacoli che si frappongono all’espletamento dell’attività professionale delle imprenditrici.

Il reperimento del capitale, l’acquisizione dei clienti e la mancanza di servizi costituiscono le difficoltà più rilevanti.

Inoltre, le imprenditrici evidenziano un’area di problematicità tutta femminile costituita dalla complessità degli adempimenti burocratici e dalla necessità di conciliare il lavoro con le esigenze familiari.

Sono tutti temi che costituiscono un terreno ineludibile di riflessione e d’intervento per chi voglia operare per promuovere e sostenere le donne che fanno impresa.

La scolarizzazione sembra costituire l’elemento che maggiormente differenzia, dalle precedenti, la leva di donne presentatasi sul mercato del lavoro.

Si è assistito ad una vera e propria esplosione della formazione superiore ed universitaria della popolazione femminile che ha avuto anche sviluppi importanti sul piano della qualità dei percorsi formativi e delle scelte professionali conseguenti, contribuendo a trasformare il modello di presenza delle donne nell’occupazione.

Ultimo, ma non meno importante, è la presenza della componente femminile all’interno della realtà imprenditoriale che si caratterizza in ogni modo per l’esistenza di trend di crescita significativi in termini sia quantitativi che qualitativi, nonostante la persistenza di un diffuso clima di pregiudizio che ancora condiziona l’accesso delle donne ad un ruolo di responsabilità imprenditoriale.

diretto sul proprio lavoro e sulla propria vita, ad un riconoscimento sociale, sono sempre più alla base delle scelte e dei percorsi che accompagnano l’ascesa delle imprenditrici.

Alla tipologia dell’imprenditrice per necessità (impossibilità di trovare un lavoro dipendente e un reddito conseguente) si affiancano e crescono altre due tipologie: per opportunità (spesso legata ad una tradizione familiare) e per scelta.

È così che, pur permanendo la figura dell’imprenditrice con un’origine di casalinga, si affacciano figure nuove (con esperienze di lavoro dipendente alle spalle e/o direttamente come prima scelta dopo gli studi).

L’attività imprenditoriale rappresenta per le donne uno sbocco lavorativo in grado di fornire molti casi elementi significativi di gratificazione sotto il profilo professionale, nonché sul piano del raggiungimento di una compiuta autorealizzazione dal punto di vista culturale e personale.

Essere donna e scegliere una vita alla guida di un'impresa, o, come recentemente quale Comandante di Unità Militari, molto spesso è ancora

“un'impresa”, ma sempre più donne ci credono e riescono a realizzare il loro sogno.

A dispetto di una burocrazia complessa, di un rapporto problematico con il credito, di pregiudizi e scetticismo dell’uomo, ancora diffusi.

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