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La segregazione occupazionale

IL FARE IMPRESA AL FEMMINILE

3.2 Contesto socio-culturale, motivazionale ed economico

3.2.1 La segregazione occupazionale

“Lei lava e cuce, lui esce con la barca a pescare. Lei alleva galline e conigli, lui mandrie di bufali. Lui taglia alberi, lei raccoglie la legna secca.

Lui fonde il ferro, lei infila le perle” (Piva, 1994: 37).

Da sempre uomini e donne si spartiscono i lavori seguendo alcune linee di demarcazione precise, che hanno segnato la storia fino ai giorni nostri. È il fenomeno del sex typing, ossia la creazione di lavori da uomo e da donna.

La divisione sessuale del lavoro, ben riconoscibile nelle comunità primitive ed in tutte le società agricole, pur essendosi attenuata non si è ancora di fatto esaurita.

Dal Settecento ai giorni nostri la connotazione dei lavori, è riconducibile solo in parte a criteri per così dire, oggettivi, inerenti al contenuto fisico del lavoro. Spesso appare piuttosto come il risultato di una contesa per l’egemonia sull’organizzazione del lavoro, che coincidendo con l’organizzazione della vita domestica, è un punto nevralgico del comando sulla famiglia.

Vi possono essere due percorsi di differenziazione: uno orizzontale ed uno verticale. Il sex typing orizzontale crea territori distinti in base ai compiti, al contenuto materiale, alle tecniche, alle abilità impiegate, ai ritmi ed agli spazi che caratterizzano i lavori da uomo e quelli da donna.

Accanto a questa suddivisione tecnica emerge una distinzione in base ai poteri: si delinea un sex typing verticale che colloca gli uomini in una posizione più alta rispetto alle donne.

Quanto appena detto, mostra come gli uomini monopolizzando i diversi ambiti lavorativi, escludono sistematicamente le donne, generando il fenomeno della segregazione (Piva, 1994).

Una tra le questioni fondamentali riguardanti il tema dell’imprenditoria femminile riguarda proprio il fenomeno della segregazione occupazionale.

Tale termine sta ad indicare aree e settori lavorativi e professionali minori, in cui le donne vanno a confluire sulla base di meccanismi indotti e spesso eterodiretti di natura sociale e culturale. Nel corso del presente paragrafo verranno prese in esame le varie forme in cui può manifestarsi la segregazione.

Tra gli anni Settanta e Ottanta si è andato affermando un processo definito di femminilizzazione del lavoro, basato sull’ingresso delle donne in un mercato standardizzato. Tale avvenimento si è concentrato soprattutto nel settore relativo ai servizi permettendo loro una maggiore compatibilità con l’organizzazione della vita familiare.

Questa presenza ha cambiato in maniera profonda le caratteristiche del mercato del lavoro, sul piano sia quantitativo, sia qualitativo. In particolare, nel nostro paese tale incremento ha riguardato tutti i settori di attività e diverse posizioni professionali.

L’aumento della presenza femminile, è avvalorato dal fatto che l’attività retribuita oggi non costituisce più un’esperienza transitoria, limitata alle fasce più giovani della popolazione femminile, interrotta al momento del matrimonio o della nascita dei figli, ma riguarda in maniera crescente anche le donne, che entrano nel lavoro in età più avanzata, con

La più recente fase del dibattito legato alle differenze di genere nelle organizzazioni, ha registrato una quantità significativa di contributi sul tema della segregazione: a partire dagli anni Ottanta il motivo centrale non è stato quello dell’ingresso delle donne nel lavoro ma quello della loro presenza diseguale.

Le problematiche legate al lavoro extradomestico hanno messo in luce alcuni elementi fondamentali quali:

- la minor presenza delle donne nella popolazione attiva rispetto a quella maschile a causa dei vincoli di ordine familiare e sociale, che ne ostacolano una loro maggiore partecipazione;

- la presenza diseguale delle donne nei settori economici, nelle professioni e nei mestieri è proporzionale alla loro partecipazione complessiva alle attività lavorative, che si svolgono al di fuori della famiglia. Vi è, infatti, una massiccia concentrazione solo in alcuni settori. Questa è stata definita dalla letteratura economica come segregazione occupazionale;

- la loro collocazione nella gerarchia professionale sia per quanto riguarda le professioni in termini di autorità che di ricompense cui esse sono associate. Sia nelle imprese dove tale gerarchizzazione è formalizzata, sia nelle società dove è comunque percepita in relazione al diverso prestigio attribuito alle professioni, le donne risultano collocate in professioni con minore autorità e minore prestigio a cui è associato un basso reddito. Questo tipo di segregazione si manifesta anche nel campo dell’istituzione, infatti, a parità di formazione e mansione alle donne viene riconosciuto un salario più basso di quello maschile.

Un aspetto della segregazione esamina la divisione del lavoro primario, in cui si considera la sfera femminile come quella a cui sono attribuiti compiti di riproduzione e di cura della famiglia. Tale visione, si è rispecchiata nel lavoro extradomestico e nell’organizzazione della produzione in cui tali ambiti si sono mantenuti e rafforzati.

Ciò che è negativo nella segregazione è che le diversità maschili e femminili determinano un’iniqua distribuzione di potere e di reddito.

A questo proposito, si possono specificare due modelli di segregazione: quella orizzontale e quella verticale.

Il primo tipo riguarda la concentrazione delle donne in aree e ruoli specifici all’interno delle organizzazioni, ossia misura la concentrazione in professioni e settori differenti senza alcuna considerazione sulla loro diversa desiderabilità.

Il secondo tipo invece, mette in evidenza, che la presenza femminile è concentrata nei livelli più bassi della gerarchia organizzativa, meno renumerativi dal punto di vista economico. Da ciò emerge che la presenza femminile è elevata specialmente nei settori terziario ed in alcuni industriali, tradizionalmente femminili, come il tessile. In altri settori industriali, come il metalmeccanico, la forza lavoro è rappresentata principalmente dagli uomini e si perpetua un’ostilità nei confronti dell’ingresso delle donne (Luciano, 1996).

Gli studi di genere nelle organizzazioni hanno individuato alcune possibili cause di questo fenomeno. Quelle più rilevanti riguardano le caratteristiche legate alla domanda ed all’offerta.

Per quanto riguarda l’offerta, il riferimento va al concetto di

aspettative dei soggetti, che si predispongono all’entrata nel mercato del lavoro influenzandone le scelte.

In base a questa interpretazione fin dall’infanzia la famiglia e la scuola condizionano gli orientamenti dei soggetti dirigendoli verso scelte tipizzate in senso maschile o femminile e verso investimenti distribuiti in maniera diversificata nei confronti del lavoro. È evidente, che simili influenze sono riscontrabili nelle scelte sia lavorative che di studio ma è anche vero, che la spiegazione non considera l’importanza decisiva che le reali opportunità di sbocchi occupazionali giocano sulle aspettative proprie dei giovani, rinforzando le attese iniziali. In altre parole, più che le aspirazioni soggettive, risultano decisive le reali possibilità con cui gli individui si raffrontano.

Queste considerazioni, dirigono l’attenzione sul ruolo svolto dalle caratteristiche della domanda di lavoro. Su questo fronte ci si imbatte nelle teorie economiche che individuano l’origine della discriminazione nei maggiori costi del lavoro femminile dovuti alle assenze legate alla doppia presenza femminile nei ruoli domestici e lavorativi, alla minore disponibilità alla mobilità, soprattutto geografica, fino all’intermittenza della presenza sul mercato del lavoro.

In realtà, non vi sono ancora studi o ricerche che dimostrano in maniera univoca l’esistenza di un divario tra produttività maschile e femminile, peraltro di difficile rilevazione data la difficoltà di individuare parametri oggettivi che tengano conto di fattori quali l’impegno o l’accuratezza.

Non è attendibile neanche la spiegazione economica che fa riferimento ad un minore investimento femminile, identificabile in termini di capitale umano finalizzato all’occupazione. Infatti, in tutti i paesi

sviluppati vi è la tendenza femminile a continuare gli studi fino alla laurea nella stessa proporzione di quella maschile e con risultati anche superiori.

Piuttosto è vero che le donne sono più disponibili degli uomini a praticare modalità di lavoro flessibili come il part-time.

Studi più recenti invece definiscono la segregazione in base ai criteri di selezione, di promozione, di affidamento di incarichi all’interno delle organizzazioni, cioè sulle pratiche e sui processi organizzativi che producono questi fenomeni. In particolare, l’attenzione è concentrata sui tratti culturali che portano all’adozione più o meno consapevole di atteggiamenti discriminatori, che vanno dall’omofilia all’adesione a stereotipi e pregiudizi.

Al riguardo, alcune ricerche hanno concentrato l’attenzione sul ruolo decisivo svolto dalla pervasività di stereotipi e di pregiudizi. Gli stereotipi relativi al genere si focalizzano su una serie di opposizioni come: orientato al compito od orientato all’espressività ed alla comunicazione; autonomo o dipendente; aggressivo e competitivo o accogliente. L’elaborazione femminista, a tale proposito, ha portato al riconoscimento che donne e uomini sono accomunati dal fatto che entrambi sono prigionieri del genere, proponendo l’utilità dell’integrazione tra peculiarità maschili e femminili piuttosto che il loro azzeramento. Si è sottolineata, infatti, la possibilità di un approccio basato sulla complementarietà e questo può essere utile soprattutto nel lavoro di gruppo (Signorelli, 1996).

Oggi si può affermare che l’ingresso delle donne in aree di attività di prestigio ha costituito l’avvio di un percorso di progressivo

corrispondenza di una più equilibrata composizione per sesso della forza lavoro e si ritiene che l’ingresso crescente di donne in settori ed attività da cui in precedenza erano escluse, abbia avuto come effetto una diminuzione della segregazione.

L’introduzione in alcuni ambiti professionali ha reso gli stessi meno discriminatori nei confronti delle donne.

Però, se è vero che nella contemporaneità la segregazione sul lavoro non si mostra più condizionata come in passato dalle scelte formative, perdurano dei fenomeni di selettività sia da parte delle donne che delle imprese. Quella che appare oggi è una differenziazione non più tra professioni elevate (maschili) e professioni di basso profilo e prestigio (femminili), ma tra professioni ed attività che hanno saputo accettare la partecipazione femminile ed attività che, non consentendo alcuna forma di flessibilità, hanno continuato a respingerle (Piva, 1994).

Quindi, paradossalmente, si assiste da un lato all’incremento della partecipazione femminile al lavoro anche in posizioni qualificate, dall’altro si assiste alla persistente difficoltà delle donne di ricoprire nuovi ruoli professionali raggiungendo una parità concreta.

Anche quando le donne superano il livello di istruzione degli uomini ed accettano lavori a tempo pieno per tutta la durata della vita adulta, i meccanismi sociali e culturali che ne sbarrano il successo professionale continuano ad operare.

Quindi, malgrado sembrino diminuire le differenze di genere in termini valoriali ed esperenziali di fronte al lavoro e pur apparendo i ruoli femminili meno rigidi e differenziali, la parità è ancora lontana dall’essere raggiunta. Le giovani donne, infatti, continuano ad incontrare maggiori

difficoltà per quanto attiene l’ingresso nella professione e nella carriera rispetto ai colleghi maschi.

A parità di professione si nota che le donne possiedono livelli di scolarità più elevati, quindi sembra quasi che alle lavoratrici vengano richieste maggiori competenze per ricoprire lo stesso ruolo dei colleghi maschi e si verifica inoltre che le differenze si accrescono con l’aumentare dell’età (Franchi, 1994).