4.2. Contenuto
4.2.3. Motivi: dialogo, viaggio e metamorfosi
A lungo la critica si è interrogata su che genere di romanzo sia Loss and
Gain. Nel corso dell’analisi fin qui condotta abbiamo riportato l’opinione che si
tratti di un romanzo psicologico, di un conversion novel, di un romanzo universitario: “probably the first example of a novel devoted entirely to a university setting”. 271 Altre scuole critiche, nel tempo, hanno letto il testo come una “satira teologica”: “a witty satire on the extremes of Oxford religion as [Newman] had encountered it [demanding] some special knowledge of what he was parodying”272, o come un roman á clef nel quale rintracciare le figure storiche appartenenti alla cerchia oxoniana dell’autore: “a regular guessing game rose among those who read Loss and Gain”273. Quasi tutte le opinioni rintracciabili nella ricezione dell’opera sembrano rifiutare la lettura del testo come romanzo autobiografico, concentrandosi sulla “critica satireggiante” condotta nei confronti del culto anglicano cui l’autore oppone, come termine di paragone, la perfetta sistematicità rappresentata dal culto cattolico romano:
[…] the main target of the satire is not actually knowledge of Roman Catholicism itself, but the inconsistency of the various Anglican positions. For Newman, writes Ian Ker, “being consistent or inconsistent is tantamount to being real or unreal”. […] Charles’ [sic!] search for a real religion is generally equivalent to a search for consistency. While the value of his interlocutors as actual personal influences is negligible, their values as types of nineteenth century religious positions is high. And seeing them as such allows us to see not only what Newman laughed at but what he respected274.
Quel che salta agli occhi dal sintetico coordinamento di questi approcci, è che il romanzo non sia facilmente incasellabile in un genere o nell’altro.
271 Alan G. Hill, “Originality and Realism in Newman’s Novels”, in Ian Ker, Alan G. Hill (eds.),
Newman After a Hundred Years, Oxford, Clarendon Press, 1990, p. 26.
272 Sheridan Gilley, “Life and Writings”, in Ian Ker, Terrence Merrigan (eds.), The Cambridge
Companion to John Henry Newman, New York, Cambridge University Press, 2009, pp. 15-6.
273 Robert Lee Wolf, Gains and Losses: Novels of Faith and Doubt in Victorian England, New York, Garland, 1971, p. 45.
274 David Paul Deavel, “Beyond Autobiography: Loss and Gain as a Theological Satire”, in Newman, Loss and Gain, cit., pp. 357-366, p. 363-4.
Tuttavia, ci sembra opportuno problematizzare l’atto stesso della tassonomizzazione, poiché in esso è inscritta l’intenzione di codificare il testo in base a interpretazioni che variano al variare degli aspetti tematici che il critico vuol mettere in luce. Questa, a nostro modo di vedere, è una prospettiva che finisce per privilegiare le tematiche a detrimento delle forme testuali che le lasciano emergere: i tropi strutturali isolati finora (allegoria, allusione), associati a determinate forme espressive come l’eterodiegesi e il dialogismo, rivelano la fondatezza della vicenda nella vita dell’autore e allo stesso tempo tengono insieme il contenuto del romanzo, il quale è agilmente sintetizzabile nella
conversione come “quest for Truth”.
Inoltre, dal momento che la misurazione del letterario, come si è visto, è condotta da Newman utilizzando strumenti platonici e che tutta la sua opera è informata da un costante dialogo testuale con la tradizione, sembra ragionevole ipotizzare che il testo sia modellato sul dialogo filosofico piuttosto che sulla satira. Vale a dire che, nonostante la vicenda sia cronotopicamente calata nella contemporaneità dell’autore, essa è sostanzialmente un lungo scambio filosofico-dottrinale che apre la via alla conversione dell’eroe. La validità dell’ipotesi appena formulata è provata dalla conformità che il testo mostra rispetto all’impianto teorico bachtiniano, in particolare con il cronotopo del
romanzo biografico antico:
Per il terzo tipo [di romanzo] noi intendiamo il romanzo
biografico, ma un simile romanzo, cioè una grande opera biografica che,
secondo la nostra terminologia, si possa chiamare romanzo, l’antichità non lo ha creato. Essa però ha elaborato una serie di forme biografiche e autobiografiche […] alla [cui] base c’è un nuovo tipo di tempo biografico e una nuova immagine, specificamente costruita, di uomo che percorre il suo cammino di vita275.
L’applicazione di tale cronotopo alla vicenda di Reding vuole che la parte del cammino di vita da lui percorso coincida con la conversione alla Chiesa
cattolica intesa come approdo alla Verità. Bisogna precisare che alla base di
questo approdo sta la ricerca e la rideterminazione della fede; è grazie a questa che, come si è visto, Reding arriva al punto più alto del paradigma e compie la sua scelta. Si osservi il seguente scambio da Capitolo VII, parte prima:
“I have always thought,” said Reding, “that reason was a general gift, though faith is a special and personal one. If faith is really rational, all ought to see that it is rational; else, from the nature of the case, it is not rational.”
“But St. Paul says,” answered Freeborn, “that ‘to the natural man the things of the Spirit are foolishness.’”
“But how are we to arrive at truth at all,” said Reding, “except by reason? It is the appointed method for our guidance. Brutes go by instinct, men by reason.” (44)
Reding contende sulla natura della fede come “matter of the heart” portata avanti da Freeborn, il giovane evangelico. La sua difficoltà è quella di accettare la visione evangelica della fede come dono divino che oltrepassa lo scrutinio razionale del libero esame, “metodo indicato” dal sistema protestante per arrivare alla Verità che Charles, ancora legato intellettualmente alla Chiesa inglese, segue in modo pedissequo. L’aspetto che emerge dallo scambio, al di là delle tematiche dottrinali, è che nell’economia narrativa i termini “faith” e “truth” si diano in stretta relazione sinonimica; vale a dire che nel cronotopo biografico di Charles, fede e Verità coincidono. Per arrivare alla fede, è necessario che Reding sovverta il proprio paradigma religioso, come si legge nel seguente brano da Capitolo XIII, parte prima:
He had indeed implied that he was inquiring after religious truth, but every Protestant inquires; he would not be a Protestant if he did not. Of course he was seeking the truth; it was his duty to do so; he recollected distinctly his tutor laying down, on one occasion, the duty of private judgment. This was the very difference between Protestants and Catholics; Catholics begin with faith, Protestants with inquiry […]. (101)
Tale sovvertimento, ossia il “cominciare dalla fede” invece che dalla ragione, è il punto cognitivo che dà inizio alla conversione; proiettando tale contenuto sul piano narratologico appare evidente che, se alla conversione corrisponde quest’inversione di paradigma, essa possa essere assimilata ai motivi di metamorfosi e morte/rigenerazione; ne consegue che Loss and Gain possa ragionevolmente corrispondere al tipo di romanzo biografico che Bachtin definisce platonico:
Il primo tipo lo chiameremo convenzionalmente «platonico» poiché ha trovato la sua espressione più chiara e originaria in opere di Platone come l’Apologia di Socrate e il Fedone. Questo tipo di
autocoscienza autobiografica dell’uomo è legato a forme rigorose di metamorfosi mitologica. Alla sua base c’è un cronotopo: «la vita di colui che cerca la vera conoscenza». […] Nello schema platonico si ha […] il momento della crisi e della rigenerazione (le parole dell’oracolo come svolta della vita di Socrate). Il carattere specifico del cammino del cercatore si scopre con ancor più chiarezza, se lo si confronta con l’analogo schema dell’ascesa dell’anima verso la contemplazione delle idee (Convito, Fedro, ecc.) […] Il cammino di Socrate, come manifestato nell’Apologia, è l’espressione retorico-pubblica di quella stessa metamorfosi276.
La natura “platonica” del dialogismo di Loss and Gain è confermata dalla lettura di Ed Block Jr, secondo cui il romanzo rappresenta il motivo del viaggio verso la luce (“coming out of shadows into realities”), presente anche nella Repubblica di Platone, attraverso lo stesso mezzo espressivo, ossia la mimesi:
Just as Plato’s dialogues frequently turn on the correct understanding of a word’s meaning or a concept’s extension, so the conversations of Loss and Gain frequently turn on the definition of terms like “faith,” “grace,” and “apprehension.” Plato’s Republic reaches something like a climax with the myth of the cave and its journey to enlightenment. It is no accident that in a later chapter of Loss and Gain Charles describes his journey of enlightenment —to that point —as “coming out of shadows into realities.” (215) Newman’s characters, it is said, lack depth and realism. Perhaps that is because, like the characters in Plato’s dialogues, the characters of Loss and Gain represent not only the people in Charles Reding’s life but “typical” attitudes, intellectual positions, and ways of life. We shall see that even in making them types, Newman does not stereotype them, and in fact finds in them a reflection of his own earlier opinions and attitudes277.
Che il cammino di vita di Reding rappresenti una condensazione letteraria di quello di Newman, come si è visto, è opinione condivisa dalla critica: la scelta di affidare a un alter-ego “l’espressione retorico-pubblica” della propria metamorfosi appare coerente con la prudenza comunicazionale economicamente intesa e con una dislocazione dell’Io tipica del romanzo autobiografico, ma è anche funzionale alla rappresentazione della dolorosa frammentazione identitaria provocata dalla conversione. In quest’ottica, prende ancora più corpo l’ipotesi ermeneutica che ogni persona che appare sulla scena nel romanzo, al di là delle rispondenze più o meno marcate con personaggi reali e storici, sia in realtà la parcellizzazione della voce del sé autoriale nella
276 Ibid., p. 278.
polifonia, “a […] multiplication of his personal, and especially religious, identity: […] religious conversion often triggers a fragmentation of the innermost self”278 e che ogni personaggio, allo stesso tempo, dia voce a una parte della controversia religiosa storicamente intesa.
Pertanto, analizzare le personae come tipizzazioni storico-culturali in chiave unicamente satirica o psicologistica, per ricavare dal testo “ciò che Newman irridesse o rispettasse” (cfr. nota 274) appare come un’operazione limitante le molteplici possibilità eremeneutiche che il testo offre; proprio perché la critica letteraria non costituisce una scienza “dura” e apre la testualità a molteplici vie interpretative, sosteniamo l’ipotesi che le figure attoriali, pur rimandando contenuti storico-culturali, siano emanazioni della coscienza
autoriale. Per Ian Ker, Loss and Gain è un’“analysis and dramatization of the
essential nature of religious faith”279: tale definizione ci sembra indicare con sufficiente precisione, nel binomio “analysis and dramatization”, la prominenza del dialogo come mezzo d’indagine della “natura essenzale della fede religiosa”. Non si tratta, pertanto, di un’analisi personalistica, ma della messa in scena di un’esperienza che assume caratteri universali. L’iterazione dialogica e l’eterodiegesi sono dunque espedienti che, se da un lato disincagliano l’autore dall’Io e gli permettono di trattare la propria esperienza con distacco e libertà espressiva, dall’altro lo aiutano anche di universalizzare la propria storia di conversione, mostrando come i caratteri sacramentali del dono della grazia e della fede siano appannaggio dell’umanità intera e non del singolo.
Il passaggio da un determinato sistema di credenze religiose a un altro è una forma di destabilizzazione, a un tempo di sé e del tessuto sociale in cui il sé è immerso: è ragionevole pensare che la narrazione di questa perdita di equilibrio interiore e sociale non possa prescindere dalle interazioni fra il sé e il contesto, che si fa specchio del dibattito interiore: “The (semantic and pragmatic) structure of social controversy is adopted as a metaphor to describe what happens in the mind”280. Di conseguenza, la narrazione del processo di conversione è strutturata in maniera polifonica, laddove essa affida il dialogo interiore autoriale quasi per intero alla rappresentazione dialogica, in virtù della quale ognuno “liberamente
278 Massimo Leone, Religious Conversion and Identity: the Semiotic Analysis of Texts, New York, Routledge, 2003, p. 4.
279 Ker, John Henry Newman, cit., p. 336. Enfasi mia. 280 Ibid., p. 64.
(senza intervento dell’autore) rivela e fonda il suo buon diritto”281. In termini greimasiani, la vicenda autobiografica della coscienza autoriale costituisce
l’isotopia primaria del testo, intendendo per isotopia l’iterazione di “ricorrenza
di categorie semiche, sia che esse siano tematiche (o astratte), o figurative”282. Nel narrativizzare i passaggi che vanno dalla perdita/crisi/morte simbolica (frammentazione di sé) al guadagno/rigenerazione/rinascita simbolica (ricomposizione nella conversione), tale isotopia primaria si irradia in una serie
di isotopie secondarie cui corrispondono determinate figure attoriali.
Applicando al romanzo il modello attanziale, troviamo quindi puntuale corrispondenza fra Reding e il Soggetto intento a ricercare nell’Oggetto la fede che, come vedremo, si rivela a Charles con le caratteristiche della grazia divina; ne consegue che il Destinante sia Dio e il Destinatario Reding stesso. Gli altri attori, dunque, svolgono la funzione di Adiuvanti e Opponenti a seconda delle dinamiche conversazionali in cui sono immersi, secondo il seguente schema adattato da Greimas283:
Dio à Fede à Reding Adiuvanti à Reding ß Opponenti
Rinviamo l’analisi degli attori al prossimo paragrafo, preoccupandoci per ora di esplorare la funzione testuale del protagonista e la narrativizzazione della sua metamorfosi.
Si è visto come, alla base di Loss and Gain, stia la tradizione letteraria del
viaggio del pellegrino, allegorizzata a livello simbolico nel movimento
intellettuale e spirituale verso la fede e, a livello diegetico, nel cammino di vita di Reding, il quale si dipana all’interno di due cronotopi secondari rispetto a questo: quello della casa, nominalizzata in luoghi del tutto finzionali afferenti alla sfera semantica dell’interiorità, e quello del mondo, identificato nel testo con la tratta Oxford-Londra. Se è vero che
281 Bachtin, Dostoevskij. Poetica e stilistica, Torino, Einaudi, 2002, p. 91.
282 Algidras Greimas, Joseph Courtés, Semiotica: dizionario ragionato della teoria del
linguaggio, a cura di Paolo Fabbri, Milano, Bruno Mondadori, 2007, p. 171.
283 La figura riproduce lo schema del modello attanziale concepito da Algidras Greimas, riportata in Stefano Traini, La semiotica di Algidras Julien Greimas, consultabile su
pilgrimage is often the physical displacement through which converted people can express the spiritual displacement of their soul, so that the […] geographical journey coincides with the architecture of spiritual transformation284,
bisognerà considerare gli spostamenti di Reding nello spaziotempo come il motivo principale che esprime, a livello discorsivo, quest’“architettura della trasformazione spirituale”; in altre parole, all’interno del cammino di Charles sono riconoscibili le tappe di metamorfosi e morte/rinascita, le quali ci occuperemo ora di individuare dopo aver schematicamente delineato caratteristiche e funzione dell’eroe nel discorso.
Charles Reding, alter-ego dell’autore, giovane studente di Oxford che si converte al cattolicesimo, è il Soggetto della narrazione alla ricerca di un Oggetto identificabile nei termini di “fede/Vero”. Assieme a Sheffield e a sua sorella Mary, è uno dei pochi personaggi del quale sia fornito il nome di battesimo. Egli è presentato in apertura del romanzo come un giovane ragazzo che,
with many high excellences, […] was naturally timid and retiring, over-sensitive, and, though lively and cheerful, yet not without a tinge of melancholy in his character, which sometimes degenerated into mawkishness (12).
La natura di Charles è quindi timida e riservata, ipersensibile e melanconica, velata da una punta di sentimentalismo. Egli è naturalmente portato a cercare quanto di buono e retto esista negli altri e nel mondo ed è naturalmente entusiasta e rispettoso dei doveri e delle regole:
Charles was very fond of the maxim, which he has already enunciated, that we must measure people by what they are, and not by what they are not. He had a great notion of loving every one—of looking kindly on every one […]. He liked, as he walked along the road, and met labourer or horseman, gentleman or beggar, to say to himself, “He is a Christian.” And when he came to Oxford, he came there with an enthusiasm so simple and warm as to be almost childish. He reverenced even the velvet of the Pro.; nay, the cocked hat which preceded the Preacher had its claim on his deferential regard. (25)
Il suo arrivo nel coronotopo del mondo è marcato da una sostanziale indifferenza nei confronti della controversia fra High Church e Low Church allora in atto; Charles non intende prendervi parte, men che mai avvicinarsi al partito cattolico, per rispetto nei confronti di suo padre e di se stesso. Egli sente infatti “ripugnanza” nei confronti delle opinioni e delle persone facenti capo a tali partiti, poiché le autorità universitarie non li guardavano di buon occhio; il senso del del dovere gli impedisce, insomma, di rendersi parte attiva della controversia:
They neither of them felt any special interest in the controversy going on in the University and country about High and Low Church. […] Reding felt it to be bad taste to be unusual or prominent in anything. An Eton acquaintance had asked him to go and hear one of the principal preachers of the Catholic party, and offered to introduce him; but he had declined it. He did not like, he said, mixing himself up with party; he had come to Oxford to get his degree, and not to take up opinions; he thought his father would not relish it; and, moreover, he felt some little repugnance to such opinions and such people, under the notion that the authorities of the University were opposed to the whole movement. He could not help looking at its leaders as demagogues; and towards demagogues he felt an unmeasured aversion and contempt. He did not see why clergymen, however respectable, should be collecting undergraduates about them; and he heard stories of their way of going on which did not please him. Moreover, he did not like the specimens of their followers whom he fell in with; they were forward, or they “talked strong,” as it was called. (27)
Per tale ragione, una volta incontrati gli appartenenti ai vari partiti, il contributo verbale di Reding alle discussioni coi suoi compagni è limitato a brevi interventi spesso in forma di domande. Charles, in virtù della ritrosia e della diffidenza che lo contraddistinguono, raramente si espone nel dialogo, trovandosi più a suo agio a dialogare con una sola persona alla volta; in situazioni di convivialità, egli piuttosto ascolta quanto avviene sulla scena e fa seguire alle discussioni dei ragionamenti che il lettore segue nel monologo interiore o nei discorsi liberi indiretti:
“I wish I knew what to believe; no one will tell me what to believe; I am so left to myself.” Then he thought: “I suppose I know quite enough for practice—more than I do practise; and I ought surely to be contented and thankful.” (83)
Più spesso, le questioni sollevate da Reding sono narrativizzate in maniera indiretta, com’è il caso della serie di domande che Charles pone durante la
lezione sui Trentanove Articoli. Esse sono sistematizzate in Capitolo XV, parte prima, il quale costituisce un raccordo diegetico in cui la voce narrante condensa tutti i dubbi di Charles, fornendo al contempo le risposte dell’istituzione nella persona di Mr Upton. Di nuovo, riluce nella narrazione il tentativo, da parte di Reding, di arrivare a una definizione soddisfacente dei termini della propria fede. In particolare, è nell’uso dell’enfasi grafica e nella successione di interrogrative dirette che il narratore convoglia lo scontro fra la vaghezza del sistema dottrinale anglicano e il desiderio di precisione terminologica e, quindi, di sistematicità di Charles:
One difficulty which Charles experienced was to know whether, according to the Articles, Divine truth was directly given us, or whether we had to
seek it for ourselves from Scripture. Several Articles led to this question;
and Mr. Upton, who was a High Churchman, answered him that the saving doctrine neither was given nor was to be sought, but that it was proposed by the Church, and proved by the individual. Charles did not see this