Se è vero che le battaglie teologiche combattute a Oxford costituiscono una porzione importante e sostanziale del dibattito teologico vittoriano, è altrettanto vero che la vita religiosa inglese nell’ottocento contava al suo interno una molteplicità di voci tutte egualmente udibili sul piano della produzione culturale. Anche gli Evangelicals e i Nonconformists101 concorsero, assieme ai partiti della High Church trattariana e della Broad Church noetica, alla costruzione del discorso religioso letterariamente inteso: “Any survey of the Anglican novels of this period must take into account this state of division and warfare within the Church of England, for the majority of religious stories of the time not only reflect these passionate controversies but are actually inspired by them […]”, cosicché “Fiction became the pulpit, the confessional and the battlefield for countless Victiorians, and the novel was used by them more than any other form of art to portray the religious movements of their time […]”102. La parcellizzazione cultuale storicamente definitasi nei secoli dopo lo Scisma anglicano fece sì che l’agitazione sentita in seno alle varie declinazioni
101 Evangelical: “During the intra-Protestant controversies in Germany and Switzerland in the sixteenth and seventeenth centuries, Lutherans were called evangelical and Calvinists were called reformed. The Evangelical Church is the official name of the church formed in Germany by the union of Lutherans and Calvinists. In England a movement in the eighteenth century formed under the leadership of John and Charles Wesley and George Whitfield was called indiscriminately ‘methodist’ or ‘evangelical.’ English evangelical teaching was characterized by emphasis on atoning sanctification and marked by ‘enthusiasm.’ Evangelicals who remained within the Church of England formed an evangelical or low church party, often at odds with the Laudian, catholic, or high church party”. Cfr.
https://www.episcopalchurch.org/library/glossary/evangelical; Dissenter: “In a technical sense, the term refers to English Protestants who do not conform to the discipline, doctrines, or practices of the established Church of England. […] In common usage the term ‘Nonconformist’ describes all Protestants in England who dissent from Anglicanism-Baptists, Congregationalists, Presbyterians, Methodists, and Unitarians, as well as such independent groups as Quakers,
Plymouth Brethren, and the Salvation Army”,
https://www.episcopalchurch.org/library/glossary/nonconformists (ultimo accesso 22/02/2018). Sinonimo civile e non religioso del termine è Dissenters, termine che abbraccia qualunque gruppo di credenti che abbia rifiutato il culto anglicano, siano essi Protestanti (Quaccheri, Puritani) o Cattolici romani.
appartenenti alla coscienza religiosa collettiva s’incanalasse in soluzioni letterarie che si prestassero a illustrarla e, secondo il costume del romanzo vittoriano, risolverla nelle questioni morali, individuali e sociali che essa sollevava, come notava nel 1869 Lady Georgiana Fullerton:
the analysis of character and revelations of a hidden life, […] are often contained in the novels of the present day. Whatever treats of inward conflicts, secret perplexities, and the various trials of individual minds and hearts, necessarily commands attention at a moment when anything that can throw light on the difficulties which so many are experiencing may tend, even remotely, to their solution103.
Il romanzo religioso ebbe il suo momento di massima diffusione durante il regno di Vittoria, conoscendo un favore di pubblico che portò George Eliot, nel 1839, a riferirsi al genere come a una massa di “hateful […] monsters that we do not know how to class”104. Ma per il pubblico queste storie assonavano alla perfezione con uno smarrimento interiore condiviso trasversalmente da ogni classe sociale, ponendosi come racconti esemplari delle “many skirmishes, truces, victories and defeats in those battles of belief waged in many ‘individual minds and hearts’ in the Victorian Age”105, e modellandosi in forme variegate che comprendevano “’theological romances’, ‘Oxford Movement tales’, novels of religious propaganda designed to disseminate a variety of forms of Christian belief, and assorted spiritual biographies in fiction, including converts’ confessions of all kind”106.
Per Maison furono gli Evangelicals a mettere a punto il genere all’inizio del secolo per soddisfare le esigenze evangelizzanti del proprio credo, ma è con il Movimento di Oxford che il romanzo religioso si diffonderà in modo capillare: “[…] this storm that rent the ark of the Establishment […] was responsible for a perfect furor scribendi; its lightings fired the imaginations of countless Victorians”107. Per i Trattariani, scrivere era un importante imperativo morale poiché attraverso le lettere intendevano educare il pubblico ai princìpi della Chiesa, laddove la dottrina pura dei Tracts of the Times faticava a raggiungere gli strati della popolazione meno istruiti: “Since so many of the tractarian 103 Ibid., p. 6. 104 Ibid., p. 2. 105 Ibid., p. 6. 106 Ibid., p. 1. 107 Ibid., p. 3.
doctrines were highly controversial and liable to the the wildest misunderstandings, education in Church principles was regarded as an urgent duty”108.
Furono le penne dei Rev. William Gresley e Francis Edward Paget a scrivere la maggior parte dei romanzi trattariani, la prima ondata dei quali (fra gli altri, di Gresley sono Portrait of an English Churchman, 1838 e Charles
Lever, 1841; di Paget va segnalato Luke Sharp, 1845) si concentrava sulla
descrizione delle vite esemplari di uomini e donne che, dopo aver abbandonato la retta via sedotti dai richiami del Dissenso, del Liberalismo o del Socialismo, tornavano in seno alla Chiesa con rinnovata fede. Per rinforzare l’exemplum della vicenda biografica dell’eroe, gli intrecci della early tractarian fiction risultano costellati di sermoni e digressioni nelle quali gli autori, propria
persona, si lanciavano in spiegazioni della dottrina sacramentale come in
invettive feroci contro il nemico del momento, fosse questo identificato con gli
Evangelicals, i Cattolici romani o i Liberali. Intorno al 1845 e in seguito alla
conversione di Newman, gli sforzi dei romanzieri trattariani si concentrarono sulla propaganda del ritualismo da un lato, con un filone di testi di argomento architettonico tra i quali spicca The Church Restorers (1844) di F. A. Paley, segretario dell’allora Cambridge Camden Society (cfr. nota 103), e dell’ortodossia anglicana dall’altro: questo secondo filone comprende From
Oxford to Rome (1847) di Elizabeth Harris, romanzo che spingerà Newman a
scrivere Loss and Gain.
In realtà ogni espressione di credo all’interno della Chiesa d’Inghilterra usò il romanzo come mezzo di diffusione. Newman stesso in Loss and Gain delineerà in un bozzetto farsesco quest’abbondanza testuale e propagandistica allorché il protagonista Charles Reding, una volta presa la decisione di convertirsi, si ritira in una stanza d’albergo a Londra ma non ha possibilità di raccogliersi in meditazione, poiché disturbato senza soluzione di continuità dalla visita di personaggi bislacchi e bizzarri, tutti egualmente intenzionati a convertirlo al proprio credo. La voce cattolica all’interno di questo filone narrativo risulta minoritaria ma di notevole importanza, estrinsecandosi in un genere cui Loss and Gain tassonomicamente appartiene, quello della conversion
novel, cui fanno riferimento, fra gli altri, i lavori di A. H. Edgar (John Bull and
108 Ibid., p. 26.
the Papists, 1846), Lady Georgiana Fullerton (Mrs. Gerald’s Niece, 1869), Lady
Gertrude Douglas (Linked Lives, 1876).
L’Oxford Movement rivelò una notevole influenza soprattutto in poesia, come dimostra il debito verso il pensiero e i versi di Keble e Newman contratto da Walter Pater, Christina Rossetti e Gerald Manley Hopkins109: The Christian
Year (1827) di Keble è considerato “the most popular volume of verse in the
nineteenth century”110, mentre la collettanea di versi Lyra Apostolica (1836) rivelò al pubblico, tre anni dopo il primo Tract, che gli uomini di Oxford erano anche poeti di finissima sensibilità: “tractarian poetry was (after Shakespeare’s) the most successful ever written in English”111. La presa trattariana sulle modalità di espressione poetica e artistica in generale non si esaurì con il progressivo spegnimento del Movimento in seguito alla conversione di Newman, tutt’altro; per Delaura l’estetismo di fine secolo non è che una traduzione in termini secolari dell’ortodossia dogmatica che caratterizzava il Movimento, tale che “the substance of Dogmatic Christianity was transformed, within one or two generations, into the fabric of aestheticism […]. Newman’s conservative humanism was exploited in the aesthetic humanism of Pater”112. Lo studioso definisce l’influenza newmaniana sulle lettere di fine secolo “the miracle of Newman”, grazie al quale “late Victorian literary life might well have been less ‘religious’ than it was, and […] without him it is impossible otherwise to account for the precise religious tone suffusing much of the work of the period”113. In particolare, per Delaura la teoria pateriana della impassioned
contemplation è ricalcata sul concetto di inwardness newmaniano114, mentre l’inscape/instress hopkinsiani sono leggibili, per Knight e Mason, come
109 Si rimanda qui a Knight e Mason, Nineteenth Century Religion and Literature, cit., pp. 88-100, Mariaconcetta Costantini, Poesia e sovversione: Christina Rossetti e Gerald Manley
Hopkins, Pescara, Campus, 2000; Jude W. Nixon, “’Steadily Contemplating the Object of Faith’:
Newman, the Apologia and Romantic Aesthetics”, Nineteenth-Century Prose, XVIII, 2 (1991), pp. 159-200.
110 Michael Wheeler, Heaven, Hell and the Victorians, Cambridge, Cambridge University Press, 1990, p. 60.
111 S. Prickett, “Tractarian Poetry”, in R. Cronin, A. Chapman, and A. H. Harrison (eds.), A
Companion to Victorian Poetry, Oxford, Blackwell, 2002, pp. 279–90, p. 279.
112 Delaura, Hebrew and Hellene, cit., p. xi. 113 Ibid., p. xiv.
114 Ibid., p. xi: “the ‘inwardness’ that Newman insists on as man’s essential spiritual quality is secularized as part of Arnold's criticism and culture and emerges finally as Pater’s ‘impassioned contemplation’ –that detached observation of ‘the individual in his isolation,’ the ‘solitary prisoner’ whose dream of a world consists of certain traditional states of mind apart, ultimately, from real objects”.
un’applicazione formale del concetto di trasferimento eucaristico di Dio nelle cose del mondo fisico derivata dall’Analogy of Religion del Vescovo Joseph Butler –concetto sul quale i trattariani e Newman specialmente molto insistevano:
Newman described it [Bishop Butler’s] as the ‘doctrine that material phenomena are both the types and the instruments of real things unseen’, the ‘Mysteries of the faith’ that are reserved within physical objects.Hopkins, however, considered Butlerian analogy slightly myopic, unable to capture the intrinsic vision within the natural world: material phenomena are not so much types as tiny jigsaws made up of molecular sense data. Hopkins called this ‘inscape’, a word that denoted the energy of natural objects which for him, almost buzz with vitality only to be kept going by ‘instress’, that which stops the buzz from fizzling out115.
Rimandiamo al capitolo seguente un approfondimento di quanto brevemente accennato finora, tenendo fermo il punto, per ora, che l’insistenza trattariana sul recupero delle radici cattoliche della Chiesa d’Inghilterra configurava istanze molto fraintendibili da chi non fosse avvezzo a questioni di ortodossia dottrinale e, allo stesso tempo, si prestava a strumentalizzazioni da parte degli avversari politici e religiosi del Movimento. Definire qualcuno papist equivaleva all’epoca a un’accusa di alto tradimento dato che, come osserva Gay, “l’odio più sfrenato in epoca vittoriana è stato quello che divideva cattolici e protestanti”116. Per quanto quest’affermazione racchiuda una descrizione parziale di quel che accadeva in seno all’istituzione anglicana, è di certo una verità dalla quale non si può prescindere per il prosieguo del discorso. Agli occhi della Chiesa inglese, la Chiesa di Roma e i suoi seguaci costituivano una seria minaccia per lo stato, specialmente a causa delle simpatie filocattoliche registrate in Scozia e Irlanda: tra il 1800 e il 1880 la popolazione affiliata al cattolicesimo crebbe di una percentuale interessante: dall’1,2 al 4,06. Un dato così significativo va inquadrato nell’ingente flusso migratorio dall’Irlanda che raggiunse il suo apice intorno al 1840, in seguito all’Act of Union. Le conversioni a Roma di intellettuali illustrissimi quali Manning o Newman, se costituiscono il riscontro di tale tendenza demografica, contribuirono anche a rafforzare la controversia cattolica in ambito culturale in modo decisivo, dando voce a istanze fino ad allora rimaste silenti: “since the Reformation almost no English-language
115 Cfr. Knight, Mason, Nineteenth Century Religion and Literature, cit., p. 109. 116 Gay, Il secolo inquieto, cit., p. 180.
writers of any influence had tried to advance the cause of the Catholic Church”117. Allo stesso tempo, chi sceglieva di convertirsi al cattolicesimo si trovava a subire un pesante stigma sociale:
The conversion of members of the establishment, such as […] Lord Ripon, a former liberal member of Cabinet and Grand Master of the English Freemasons, sharply focused public attention on the changes of leadership by those whose secret convections suddenly seemed contrary to public interest […]. The convert to Rome is not simply a deluded member of a minority of faith, but an unpatriotic presence to be expelled. […] Henry Manning felt himself a pariah, like a “dead man our of mind”. John Henry Newman extrapolated from his own experience to suggest some of the weapons turned against the convert: “he gets no more invitations; he is not a welcome guest; he at length finds himself in coventry; and where his presence once was found, now it is replaced by malicious and monstruous tales about him, distorted shadows of himself, freely circulated and readily believed”118.
Il timore più sentito dai vittoriani erano le ingerenze papiste sugli affari nazionali: cattolicesimo e minaccia politica costituivano un’equivalenza profondamente radicata nella mente e nella cultura inglese, che associava “Protestanism and civil freedom, […] Popery and arbitrary power” almeno a partire dalla fine del sedicesimo secolo119. Tuttavia, nota Moran, il tono sensazionalistico affidato alle raffigurazioni anticattoliche espletava una duplice funzione: da un lato serviva da contraltare all’affermazione dell’identità protestante e, dall’altro, analogamente alla letteratura sensazionalistica del tempo, rendeva fruibile un discorso di sovversione, un’alternativa affascinante alle norme culturali in patria120. Tali inquietudini e diffidenze andarono a modellarsi in pratiche discorsive e figurative nelle quali il personaggio del cattolico, stravagante ed eccessivo, si dava circondato da un’aura di paranoia e sensazionalismo: “Emotive diction, melodramatic and morbid stories, and extravagant images of horror were employed […] in a shared paranoia about the role of Catholicism in British culture”121. In particolare, il gotico letterario tardosettecentesco e del primo ottocento si popolò, in epoca vittoriana, di spietati
117 Patrick Allitt, Catholic Converts: British and American Intellectuals Turn to Rome, Ithaca (NY), Cornell University Press, 1997, p. 1.
118 Moran, Catholic Sensationalism, cit., p. 184. Enfasi mia.
119 Thomas Babington Macaulay, The History of England: From the Accession of James II, London, J. M. Dent, 1906, I, p. 359.
120 Cfr. Moran, Catholic Sensationalism, cit., pp. 2 et passim. 121 Moran, Catholic Sensationalism, cit., p. 6.
monaci e prelati senza scrupoli che assunsero il ruolo di veri e propri villains, ma fu soprattutto ai gesuiti che i vittoriani affidarono il ruolo di turbatori della quiete pubblica protestante:
From the best selling literature of the day we see that the jesuit loomed large in Protestant imagination as a villain of the blackest dye, a spy, a secret agent, suave, supercilious and satanically unscrupulous, laying his cunning plots for the submission of England to ‘Jesuitocracy’122.
Loss and Gain, esemplare conversion novel, vide la luce in questo clima
di sospetto per dissipare ombre e calunnie dalla persona del suo autore e portare avanti istanze culturali che decostruissero il discorso sensazionalistico attorno al culto cattolico romano, utilizzando gli strumenti del romanzo di propaganda messo a punto dai trattariani. Più precisamente, Loss and Gain fu pubblicato a definizione del “rapporto tra identità personal-istituzionale e personae scrittorial-autoriali”123: riprenderemo questo punto nel quarto capitolo, dopo aver condotto una disamina delle istanze letterarie ricavabili da alcuni scritti newmaniani di ambito teorico-letterario che fondano in modo decisivo la costruzione della testualità del romanzo.
122 Margaret M. Maison, The Victorian Vision: Studies in the Religious Novel, New York, Sheed & Ward, 1962, p. 169.
123 Enrico Reggiani, “Losses and Gains. Economie della letteratura negli autori cattolici vittoriani: metodi e prospettive per una ricerca”, RSV – Rivista Studi Vittoriani, VIII, 2 (Luglio 2003), pp. 59-78, p. 59.
CAPITOLO 3
Testi
Scopo di questo capitolo è la sistematizzazione della teoria letteraria di Newman ricavabile da alcuni scritti sul tema, per verificarla in Loss and Gain e aggiungere così un tassello a un filone degli studi newmaniani poco frequentato dalla critica124: la sua pratica letteraria. La pervasività dell’insegnamento del Cardinale nell’ambito della cultura europea è infatti confermata in varie branche di studi che vanno dalla pedagogia alla teologia più pura; tuttavia, e sebbene la produzione poetica e romanzesca di Newman occupi una certa rilevanza anche quantitativa nel macrotesto, questa non ha incontrato un sistematico interesse, a parte qualche validissimo studio125. Eppure, come si vedrà, la teoria e la pratica letteraria, ben lungi dal darsi come epifenomeni nel pensiero complessivo dell’autore, testualizzano motivi e temi cruciali all’interno dell’intero sistema teologico-filosofico di Newman, illuminandolo e aggiungendo a questo risorse e punti di decodifica. Proprio perché la pratica letteraria è accompagnata dall’autore da un solido apparato teorico, e proprio perché i principi che Newman sviluppa nei suoi scritti sono rigorosamente applicati alla scrittura poetica e in prosa, ci apprestiamo a ripercorrerne le tappe salienti, col fine di marcare una tappa metodologica utile nel prosieguo del lavoro. Si vedrà come il suo pensiero dimostri un’impressionante lungimiranza riguardo l’estetica e le modalità espressive dell’arte, sviluppandosi in un costante dialogo con la tradizione –in particolare con quella classica greca e latina e con Shakespeare, per definire poesia e letteratura in relazione allo scopo di entrambe nel consesso umano.
Si tratta di meditazioni decennali che, coprendo un arco di tempo che va dal 1829 al 1858, si snodano lungo il continuum della struttura gnoseologica
124 Poetry, with Reference to Aristotle’s Poetics, in Essays, Critical and Historical, New York, Longmans, 1901, pp. 1-29; Literature. A Lecture read in the School of Philosophy and Letters,
November, 1858, in The Idea of a University Defined and Illustrated, London, Basil Montagu
Pickering, 1873, pp. 268-294.
125 Cfr., fra gli altri, Lewis E. Gates, “Newman as Prose Writer”, in Newman, Apologia Pro Vita
Sua, cit., pp. 423-427; Jeremiah Hogan, “Newman and Literature”, cit.; Jude V. Nixon, Gerald Manley Hopkins and His Contemporaries: Liddon, Newman, Darwin, and Pater, New York,
Garland Publishing, 1994; Alvan Ryan, “Newman’s Conception of Literature”, in John Hicks et al. (eds.), Critical Studies in Arnold, Emerson, and Newman, Iowa City, University of Iowa Press, 1942, pp. 123-72; Thomas Vargish, Newman: the Contemplation of Mind, Oxford, Clarendon Press, 1970.
newmaniana, risultando in essa perfettamente integrate. Una prima ricognizione riguarderà lo studio sulla poesia del 1829, il quale può ben dirsi costituire la pietra angolare sulla quale l’autore costruirà la propria visione e pratica letteraria. In esso, Newman perviene a una definizione di poesia orientata da un denso scambio intertestuale con Artistotele, arrivando a concepire il termine secondo un senso ampissimo che, fondandosi sul sistema platonico, comprende sia la composizione linguistica nella sua materialità segnica (artificio), sia quell’aspetto immateriale legato al sentire e alla percezione che Newman chiama “the gift itself” (Idea).
La poesia come Idea trascendente e aspetto immateriale della composizione sarà ripresa in Literature (1858) e in quella sede ulteriormente connotata attraverso una rigorosa indagine metafisica del pensiero e del linguaggio, volta a dimostrare come scrittura secolare e religiosa condividano il medesimo fine, ossia quello di toccare l’interiorità dell’uomo per favorirne la levatura morale. La figura dell’artista, nell’economia di questa struttura platonica, è quella di un intelletto che, in diretta comunicazione con l’Idea, plasma il linguaggio e la materia in forme linguistiche, plastiche o sonore che restituiscano all’umanità un riflesso storicizzato dei percorsi della Provvidenza e della Parola divina. E poiché nell’intelletto umano si rifrange il Logos come coincidenza individualizzata di ragione (reason) e discorso orale (speech), Newman fa conseguire a questa fenomenologia dell’arte la considerazione che l’arte sia un “personal work” e che lo stile dell’autore rispecchi a sua volta, e contemporaneamente, il sé individuale, ossia la persona, e l’immanenza divina nella persona.
Da Poetry a Literature, il canone shakespeariano è un fil rouge, un’ancora testuale alla quale Newman ricorre spesso e volentieri: ci si occuperà quindi di capire in che modo Shakespeare sia usato da Newman e a quali esiti teoretici quest’uso porti. In particolare, si vedrà come il Cardinale assegni al