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Multilevel Governance dalle politiche tradizionali top-down alle politiche

1. Multilevel Governance: aspetti teorici e storico-politici

1.2. Multilevel Governance dalle politiche tradizionali top-down alle politiche

Per ricostruire il passaggio dalle politiche tradizionali top-down alle politiche bottom-up bisogna partire dalla Costituzione del 1946 che prevedeva un sistema amministrativo basato su un sistema gerarchico dove

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D. IMIG, e S. TARROW, Contentious Europeans: Protest and Politics in an Emerging Polity, Lanham, Md, Rowman and Littlefield, 2001, pp. 15-16

al livello inferiore della struttura amministrativa si trovavano i Comuni, preceduti dalle Province e poi dalle Regioni, a queste ultime il sistema amministrativo riconosceva ampi poteri legislativi in quanto dovevano essere centri decisionali indipendenti. Nella realtà, i diversi Governi centrali negli anni hanno sempre preferito mantenere un forte controllo sulle Regioni, rimandando per numerosi anni l’emanazione della legislazione necessaria a rendere operativi i provvedimenti costituzionali volti a concretizzare l’autonomia regionale. Per molti anni è mancato un contesto chiaro che definisse i poteri delle istituzioni regionali e le loro relazioni con lo Stato centrale. Di fatto, la Carta costituzionale italiana distingue solo tra Regioni “ordinarie” e Regioni a “statuto speciale”.25 Le cinque Regioni a statuto speciale, istituite contemporaneamente alla Costituzione, vennero definite come tali per ragioni di natura etnica, linguistica e geografica, e al fine di salvaguardare e compensare tali peculiarità (come la perifericità insulare) vennero dotate di più ampia autonomia rispetto alle Regioni “ordinarie”. Le riforme istituzionali necessarie all’entrata in funzione delle Regioni ordinarie per inserirle appieno nel sistema delle autonomie locali furono realizzate nel 1970; la maggior parte delle funzioni amministrative vennero poi trasferite dallo Stato centrale nel 1977. Nonostante un quadro normativo più o meno regolamentato per definire le competenze delle Regioni, queste venivano ancora utilizzate dallo Stato Centrale come enti attuatori delle politiche dello Stato centrale, incaricate di spendere le risorse trasferite – e controllate – dal livello nazionale. Questa situazione di incertezza e confusione nella distribuzione delle competenze, nella struttura organizzativa dei poteri locali e nelle relazioni centro-periferia durò fino agli anni ’90. La politica regionale era gestita conformemente a questo stile amministrativo dal livello centrale secondo un approccio top-down. L’ente amministrativo responsabile per la politica regionale era la Cassa per il Mezzogiorno (CASMEZ), un’agenzia incaricata dell’implementazione del programma di sviluppo settoriale elaborato dal Governo centrale, basato principalmente su trasferimenti di capitale e incentivi al settore privato. Durante questo primo periodo, l’utilizzo della politica regionale, secondo le

convenienze politiche al fine di costruire un serbatoio di voti, ne minò il successo complessivo.26 Infatti, la costante ingerenza della classe dirigente del tempo nelle attività amministrative era dettata dalla volontà di assecondare le agende personali dei politici di turno, piuttosto che da motivi economici legati allo sviluppo dei territori. L’estrema instabilità dei Governi in questi anni creò una classe politica focalizzata maggiormente sull’ottenimento di benefici di breve periodo piuttosto che sulla programmazione di lungo termine. Per di più, non era contemplata alcuna forma di accountability per le azioni e gli interventi posti in essere.27 Di conseguenza, alcuni autori ritengono che la priorità della classe politica regionale, specialmente nel Mezzogiorno, fosse di rafforzare e perpetuare sé stessa; il modo più facile per ottenere ciò era costruire forti legami preferenziali con la classe amministrativa e i Governi locali.28 Questi ultimi, per garantire il supporto ad essi richiesto, pretesero nel tempo crescenti risorse dirette a rafforzare le reti clientelari, in questa logica le risorse del governo centrale e locale venivano utilizzate per scopi clientelari che servivano a rafforzare i singoli poteri. La classe politica assecondando le richieste locali affermava il proprio potere all’interno del partito e nei confronti degli altri partiti. I leader politici regionali usavano dunque i fondi addizionali per “comprare” il consenso dei leader politici locali, e questa allocazione di risorse era del tutto priva di una sottostante logica di sviluppo economico.29 Il meccanismo distorto della negoziazione privata tra la classe politica regionale e quella locale venne rafforzato dal desiderio dei politici locali di conservare la loro posizione privilegiata di potere sui cittadini.30 Complessivamente, la “politica italiana era caratterizzata da tre elementi: un sistema elettorale che diluiva la responsabilità dei policy-maker, un sistema giudiziario impotente nei confronti dello strapotere dei partiti politici e un

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J. BOISSEVAIN, Patronage in Sicily, in «Man», new series, vol. 1, n.1, 1966 pp. 18-33. e S. GINER, Political Economy, Legitimation and the State in Southern Europe, in «The British Journal of Sociology», vol. 33, n. 2, 1982, pp. 172-199

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G. VIESTI, Abolire il Mezzogiorno, Roma-Bari, Laterza 2003 e M. FINOCCHIARO CASTRO, I. RIZZO, Performance Measurement of Heritage Conservation Activity in Sicily, Working Paper Series del Dipartimento di Economia e Metodi Quantitativi (DEMQ), Università di Catania, 2006 28

S. PIATTONI, Local Political Class and Economic Development. The Cases of Abruzzo and Puglia

in the 1970s and 1980s, 1997

29 C. TRIGILIA, Sviluppo senza autonomia, Bologna, Il Mulino, 1992 30

J. CHUBB, Patronage, Power, and Poverty in Southern Italy: A Tale of Two Cities, Cambridge, Cambridge University Press, 1982

apparato amministrativo [...] caratterizzato da amministrazioni pubbliche prive di accountability e spesso piagate dalla corruzione”.31 In questo contesto dominato da una logica centralizzata e top down, non c’era spazio per la MLG o multi-attore né per la realizzazione di forme di sussidiarietà o partenariato. Infatti, sia storicamente che culturalmente le Regioni italiane sono state meno propense – a paragone di altre Regioni dell’Europa continentale – a incoraggiare la partecipazione e il coinvolgimento degli attori della società civile. Il Paese, difatti, non era caratterizzato da un modello di coordinamento collaborativo tra i diversi portatori di interesse.32 Come argomentato da Piattoni: “Il Principio del Partenariato si scontra con le difficoltà tipiche collegate al livello territoriale, alla struttura istituzionale e alla cultura politica dello Stato membro in cui è applicato e implementato”.33 Nel caso dell’Italia è necessario osservare che il principio in questione, introdotto nel contesto della Politica di Coesione negli anni ’90, venne “innestato” su un Paese caratterizzato da un approccio tradizionalmente centralizzato e da un basso livello di deliberazione consensuale nel processo decisionale.34 Infatti nello specifico settore della politica regionale prima dell’adozione delle regole della Politica di Coesione dell’UE, la società civile e il partenariato privato erano considerati beneficiari di fondi distribuiti quasi a caso e senza adeguati controlli nel contesto degli incentivi industriali offerti alle imprese private per investire nel Sud. Questa prassi successivamente non consentì alla società civile e agli stakeholder di essere visti quali attori proattivi anziché meramente reattivi, come erano stati considerati fino ad allora. Inoltre, bisogna considerare che la società civile non necessariamente si trova nella posizione migliore per rappresentare gli interessi della popolazione, ovvero “le organizzazioni della società civile non vogliono essere coinvolte nel

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C. BICCHIERI, R. MUDABI, P. NAVARRA, A Matter of Trust: The Search for Accountability in

Italian Politics, 1990-2000, http://ssrn. com/abstract=296659, 2002, pag.5

32

M. MARRA, Delegation, Policy Integration, and Cooperation. How to Solve Problems of

Coordination in Structural Fund Programs. Preliminary Findings from Comparative Case Studies in the South of Italy, Paper presented at the 46th Congress of the European Regional Science

Association (ERSA), Volos, Greece, 30 agosto – 3 settembre, 2006 33

S. PIATTONI, Open Day 2009 intervention 34

P. GRAZIANO, From Local Partnerships to Regional Spaces for Politics? Europeanization and

EU Cohesion Policy in Southern Italy, in «Regional & Federal Studies», vol. 20, n. 3, 2010 pp. 315-

333. e L. POLVERARI, R. MICHIE, New Partnership Dynamics in a Changing Cohesion Policy

processo di policy-making, dato che esso richiede tempo ed energia e non sempre conduce ai risultati attesi”.35 Inoltre, si presume che una delle pre- condizioni per il coinvolgimento degli stakeholders sia la dotazione di capitale sociale e il livello di fiducia esistente tra gli attori che negoziano un accordo. Queste due pre-condizioni mancavano in molte Regioni italiane, ad eccezione di alcune Regioni quali la Basilicata e le aree del Nord.36

Negli anni ’90 si passa da un approccio centralizzato alla MLG in questi anni la crisi della classe politica, il collasso del sistema dei partiti politici controbilanciato dalla nascita di nuovi movimenti, i problemi fiscali ed economici, l’ostilità crescente della Lega Nord ai trasferimenti finanziari finalizzati a supportare i processi di sviluppo del Mezzogiorno, in aggiunta ai mediocri risultati ottenuti dello stesso intervento centralizzato, l’enorme debito pubblico e il movimento per sradicare la corruzione governativa, diffusero i semi del cambiamento.37 La drastica trasformazione dello scenario politico avvenuta con la dissoluzione della Prima Repubblica è stata accompagnata grandi cambiamenti:

- un nuovo sistema elettorale locale basato sull’elezione diretta dei sindaci, formalmente responsabili e quindi potenzialmente meno esposti alla corruzione e al clientelismo.38 Le nuove regole elettorali erano tese a rendere i politici maggiormente responsabili nei confronti del proprio corpo elettorale, promuovendo un sistema più responsabile e trasparente,39 un cambiamento nella relazione tra la sfera amministrativa e politica, con una più chiara distinzione dei poteri per evitare un offuscamento delle responsabilità.40

35 S. PIATTONI, Open Day 2009 intervention 36

R.D. PUTNAM, R. LEONARDI, R. V. NANETTI, Making Democracy Work: Civic Tradition in

Modern Italy Princeton, NJ: Princeton University Press, 1993

37

S. CECCANTI, S. VASSALLO, Come chiudere la transizione, Bologna, Il Mulino, 2004

38

Legge n. 81/1993, «Elezione diretta del Sindaco, del Presidente della Provincia, del Consiglio comunale e del Consiglio provinciale»

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C. BICCHIERI,R. MUDABI, P. NAVARRA, A Matter of Trust: The Search for Accountability in

Italian Politics 1990-2000, https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=296659, 2002 - R.

MUDAMBI, P. NAVARRA, Electoral Strategies in Mixed Systems of Representation, unpublished manuscript, London School of Economics (UK), 2001

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D.lgs. n. 29/1993; legge n. 59/1997; legge n. 191/1998; legge n. 145/2002. «Si pone adesso quale dovere dei politici definire le politiche e le strategie, valutare i risultati, nominare i direttori generali, senza alcun ulteriore coinvolgimento diretto nell’amministrazione, laddove ai dirigenti e ai manager amministrativi sono conferiti più ampi poteri, ma anche più grandi responsabilità, e più alti salari connessi ai risultati ottenuti e alla performance» (Bassanini, 2000a, p. 16). S. MILIO, From Policy to

Questi due cambiamenti erano indirizzati a migliorare l’accountability sia nei confronti dell’elettorato che all’interno dello stesso Governo. Un processo di devoluzione e trasferimento di poteri e competenze41 dai livelli superiori ai livelli inferiori di governo, basato sul principio di sussidiarietà,42 al fine di conferire maggiore indipendenza alle Regioni e assicurare un più alto livello di accountability e responsabilità delle autorità politiche e amministrative.43 Questo processo raggiunse l’apice nel 2001 con la riforma del Titolo V della Costituzione (le riforme ebbero l’effetto di porre il livello nazionale e regionale su un piano di maggiore parità sia nei confronti della Corte Costituzionale che nell’allocazione dei poteri primari in una varietà di settori di policy, inclusa la politica regionale), un processo di decentralizzazione, accompagnato da un cambiamento nel paradigma della politica regionale da un approccio top down a uno bottom up44 e da una politica di “sostentamento dall’esterno” a una politica di “sviluppo endogeno”, tradotti nell’adozione delle regole della Politica di Coesione dell’UE.45

Di conseguenza, si rese necessario prevedere forme di coordinamento tra il livello nazionale e le entità sub-nazionali, tenendo in considerazione relazioni – se presenti – a volte difficili e conflittuali tra i Governi regionali e locali. Inoltre, la nuova politica regionale europea “ebbe l’effetto di spronare i Governi regionali ad agire in modo più coordinato per cercare di carpire maggiori responsabilità dal livello centrale”46

. Questi ultimi due aspetti miravano a preparare il terreno per un approccio partecipativo alla politica regionale. In altre parole, emerse un nuovo approccio dal basso, basato sul ruolo centrale delle Regioni.

Accademic Studies, London, I.B. Tauris, 2010

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Legge n. 421/1992; legge n. 59/1997. La legge n. 59/1997, conosciuta come la Riforma Bassanini, concerne la ridefinizione ad opera del governo dei poteri e doveri delle autorità regionali e locali; la riforma del sistema di contrattazione nel settore pubblico; la riforma delle macro-strutture del governo; e l’introduzione della legge annuale di delegificazione e semplificazione (per rendere operativa questa legge-delega è stata necessaria l’emanazione di più di 60 decreti legislativi). 42

M. KEATING, Second Round Reform. Devolution and Constitutional Reform in the United

Kingdom, Spain and Italy, LEQS Paper n. 15/2009, London School of Economics, 2009

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C. DESIDERI, V. SANTANTONIO, Prospects and Difficulties in Italy, in C. JEFFREY (a cura di), The Regional Dimension of the European Union: Towards a Third Level in Europe?, London, Frank Cass, 1997 – S. PIATTONI. Regioni a statuto speciale e politica di coesione. Cambiamenti

interistituzionali e risposte regionali, in S. FABBRINI (a cura di), L’europeizzazione dell’Italia,

Roma-Bari, Laterza, 2003 pp. 108-138. 44

R. LEONARDI, Cohesion Policy in the European Union: The Building of Europe, New York, Palgrave, 2005

45 A. LA SPINA, La politica per il Mezzogiorno, Bologna, Il Mulino, 2003 46

M. BULL, J. BAUDNER, Europeanization and Italian Policy for the Mezzogiorno, in «Journal of European Public Policy», vol. 11, n. 6, 2004 pubblicato online nel 2011, pp. 1058-1076

Il nuovo disegno istituzionale era diretto a tentare di allineare il sistema italiano agli imperativi europei. In questi anni di transizione si assisté ad una fase di riorganizzazione della direzione centrale delle politiche di sviluppo e delle azioni strutturali. Vennero previsti aggiustamenti istituzionali, amministrativi e organizzativi per consentire il passaggio da una gestione centralizzata a un approccio multilivello e decentralizzato. Inoltre, l’impeto riformatore condusse a significativi cambiamenti nelle relazioni tra centro e periferia, promuovendo processi di decentralizzazione e devoluzione con un grado di inclusività in relazione agli attori socio- economici sub-nazionali locali e non governativi “basato su un allargato consenso neo-corporativo e un approccio orientato al partenariato nelle relazioni intergovernative”.47

Come affermato da Bull e Baunder, “gli strumenti delle politiche regionali vennero utilizzati anche per incentivare le riforme amministrative e la partecipazione degli attori socio-economici nelle Regioni e nei Comuni. Per realizzare ciò, gli strumenti di policy esistenti vennero diffusi e connessi ai fondi strutturali, e venne dato un ruolo centrale agli strumenti connessi alla regolamentazione dei fondi strutturali”.48 Questo fu il caso dei Patti Territoriali e dei successivi Progetti Integrati Territoriali (PIT), che rappresentarono significative innovazioni istituzionali atte a promuovere il partenariato attraverso la partecipazione di attori non statali al processo decisionale sia interno che esterno ai programmi dei Fondi Strutturali Europei.49 Altro esempio più recente di questo passaggio di gestione multi livello viene dagli APQ (Accordi di Programma Quadro) che sono lo strumento attuativo dell’Intesa istituzionale tra Stato, Regione e Enti pubblici. Queste stesse amministrazioni, sono sia i promotori che i soggetti attuatori, insieme ai privati.

In sintesi, a metà degli anni ’90 ci fu una svolta nella politica regionale italiana; il riformato sistema politico diede un importante stimolo alla

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E. GUALINI, Challenges to Multi-Level Governance: Contradiction sand Conflicts in the

Europeanization of Italian Regional Policy, in «Journal of European Public Policy», vol. 10, n. 4,

2003, p. 616-663 48

M. BULL, J. BAUDNER, Europeanization and Italian Policy for the Mezzogiorno, in «Journal of European Public Policy», vol. 11, n. 6, 2004 pubblicato online nel 2011, pp. 1069

49 C. TRIGILIA, Patti per lo sviluppo locale: un esperimento da valutare con cura, in «Stato e mercato», vol. 63, n. 361. 2001 - D. CERSOSIMO, G. WOLLEB, Politiche pubbliche e contesti

rinnovazione della classe politica, potenzialmente migliorando l’uso delle risorse50 e il grado di accountability nel loro impiego. Le caratteristiche amministrative, politiche e culturali preesistenti ai cambiamenti radicali introdotti negli anni ’90 indica come – accountability politica e coinvolgimento degli stakeholders – fossero deboli e scarsamente articolate all’interno del sistema italiano. È quindi innegabile che l’Italia fece dei notevoli passi avanti, passando da Stato altamente interventista in cui la legge non godeva della dovuta considerazione e la dimensione regionale era sottovalutata e trascurata, ad uno Stato regolatore moderno basato su leggi trasparenti e organizzate secondo i principi della MLG. Nel frattempo, anche la politica regionale venne assoggettata a riforme radicali dovute all’abolizione dell’approccio centralizzato. Emerse in tal modo un nuovo metodo bottom-up, basato sul ruolo centrale della Regione e degli attori sociali locali. Si assiste ad un processo di decentralizzazione, accompagnato da un cambiamento nel paradigma della politica regionale da un approccio top-down a uno bottom-up51 e da una politica di “sostentamento dall’esterno” a una politica di “sviluppo endogeno”, tradotti nell’adozione delle regole della Politica di Coesione dell’UE52

. Di conseguenza, si rese necessario prevedere forme di coordinamento tra il livello nazionale e le entità sub-nazionali. Inoltre, la nuova politica regionale europea “ebbe l’effetto di spronare i Governi regionali ad agire in modo più coordinato per cercare di carpire maggiori responsabilità dal livello centrale”.53

L’insieme di queste tendenze storico politiche prima internazionali e poi nazionali sono alla base della generazione di un sistema di governance multilivello o MLG caratterizzato dalla perdita di autorità e dalla riduzione delle competenze da parte dello stato nazione a vantaggio di tre diversi ordini di attori:

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OECD Territorial Reviews, Italy, Paris, OECD pag. 39, 2001 - I. CIPOLETTA, Un Mezzogiorno

debole ma migliore, in A. D’AMATO, G. ROSA (a cura di), Nel Sud per competere, Roma - Bari,

Laterza, 1999

51 R. LEONARDI, Cohesion Policy in the European Union: The Building of Europe, New York, Palgrave. 2005

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A. LA SPINA, La politica per il Mezzogiorno, Bologna, Il Mulino, 2003. - M. BULL, J. BAUDNER Europeanization and Italian Policy for the Mezzogiorno, in Journal of European Public Policy, 2004

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M. BULL, J. BAUDNER. Europeanization and Italian Policy for the Mezzogiorno, in Journal of European Public Policy, 2004

- le istituzioni sovranazionali; - gli enti locali;

- la società civile (terzo settore e attori privati).

1.3. Analisi della letteratura sulla Multilevel Governance nel sistema