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Sia nel primo annuncio ufficiale della scoperta della necropoli vaticana fatto da Pio XII399

sia nelle Esplorazioni si è riconosciuto con obiettività che i resti di ossa umane ritrovate nella zona della tomba non potevano essere identificati con sicurezza con le reliquie di San Pietro. Bisogna però dire che sia le Esplorazioni sia il radiomessaggio pontificio del 1950 non citano il più importante reperto epigrafico proveniente dal cosiddetto muro rosso.

398 Eusebio di Cesarea descrive questo monumento: “uno splendido sepolcro davanti alla città, un sepolcro al quale accorrono, come ad un grande santuario e tempio di Dio, innumerevoli schiere da ogni parte dell‟impero romano”; Eusebio di Cesarea, Teofania, 47.

399 Il primo annuncio ufficile venne fatto tramite un radiomessaggio trasmesso il 23 dicembre 1950 per la fine dell‟Anno Santo; Acta Apostolicae Sedis, 43, 1951, pp. 51-52.

Alcuni anni dopo lo scavo della necropoli, infatti, l‟interesse degli studiosi si è concentrato sul muro dei graffiti o muro g. Si tratta di una struttura perpendicolare al muro rosso, costruita sul lato destro (nord) del trofeo di Gaio nella seconda metà del III secolo. Questo muro presenta una notevole quantità di graffiti incisi dai fedeli sull‟intonaco tra il III e il IV secolo. Nomi, invocazioni e simboli cristiani di complessa interpretazione, segni sovrapposti gli uni sugli altri si trovano su questo piccolo muro che è stato demolito nella sua parte superiore quando Costantino ha costruito il monumento sopra l‟edicola, di cui si è appena parlato. Sbiadite tracce di colore rosso e azzurro fanno pensare che il muro g costituisse la parete interna di un ambiente destinato al culto che si trovava a nord dell‟edicola e che, probabilmente, venne distrutto durante i lavori costantiniani.

I graffiti del muro g sono stati analizzati in particolare da Margherita Guarducci400, la quale

ha ritenuto di identificare le ossa, rimosse dal loculo, ricavato nel muro dei graffiti, proprio nelle reliquie di San Pietro401. La nicchia in questione è stata rivestita interamente di lastre

marmoree all‟inizio del IV secolo, mentre le ossa che conteneva sono state conservate, subito dopo la scoperta, in una cassetta di legno da monsignor Kaas, all‟insaputa degli altri archeologi che hanno diretto gli scavi ufficiali della necropoli vaticana.

L‟attenzione di Margherita Guarducci si è concentrata, oltre che sulle ossa anche su un graffito greco che si trovava sul muro rosso, nel punto in cui entra in contatto con il muro g, anche se purtroppo non è stato rinvenuto in situ. Dopo la sua scoperta, infatti, il frammento di intonaco proveniente dal muro rosso, recante il graffito in questione, era stato conservato da Antonio Ferrua nella sua stanza per più di cinque anni. In seguito il padre gesuita è stato obbligato da Pio XII a restituire il reperto alla Fabbrica di San Pietro. Ferrua ha presentato il ritrovamento in fotografia nel 1954 a un convegno di archeologia cristiana e ne ha curato l‟edizione solo nel 1969.

Il testo dell‟iscrizione è il seguente: ΠΕΤΡ[…] ΕΝΙ[…] (Tav 72c).

La Guarducci propose di leggere il graffito come l‟abbreviazione della frase Πε ηρ[ος] ἔνι = ἔνεζηι (Pietro è qui dentro), oppure Πε ηρ[ος] ἑνί (Pietro è qui).

400 Guarducci M., La tomba di Pietro, Roma, 1959, pp. 66-69.

401 Nel 1968 nel loculo del muro g sono state collocate diciannove teche trasparenti con le ossa attribuite a San Pietro e inoltre Paolo VI Montini dispose che nove frammenti di quelle ossa venissero custodite in un reliquario d‟argento; Zander P., 2007, pp. 132-133.

Altri studiosi, tra i quali lo stesso Ferrua e Danilo Mazzoleni402, leggono il graffito in

maniera diversa, indicando la possibilià di un‟invocazione a Pietro: Πε ηρ[ος] ἑνί ἰ[ρήνη] (Pietro in pace).

Questa interpretazione non è condivisa da tutti: alcuni studiosi fanno notare che dopo la N c‟è uno spazio notevole, come se cominciasse un‟altra parola. Un‟altra possibile integrazione, proposta da Carcopino e accettata, fra gli altri, da Vian e da Carletti, è Petrus est, cioè Pietro è in pace. Si tratterebbe, quindi, di un‟iscrizione in latino e di una delle formule tipiche della più antica epigrafia cristiana.

Ritornando agli studi della Guarducci, la studiosa ritiene anche che sul muro g il nome di Pietro sia ripetuto più volte, spesso unito ai nomi di Cristo e Maria (Tav 72c). L‟epigrafista osserva che spesso le lettere PE appaiono unite a formare una chiave, simbolo inequivocabile dell‟apostolo detentore delle chiavi del Regno di Dio e che il nome di Pietro si interseca spesso con quelli di Gesù e della Madonna, in una comune acclamazione di vittoria. Inoltre le frequenti sigle AP, APE, APET andrebbero lette AD PETRUM (vicino a Pietro); in base a ciò molte iscrizioni vengono integrate e interpretate dalla studiosa come la seguente: I(N) VIVIS TU V(I)V(E) A(D) PETR(UM) e cioè “Possa tu vivere tra i vivi accanto a Pietro”403. Per la Guarducci, proprio la concentrazione di iscrizioni con riferimenti

diretti all‟Apostolo proverebbe la stretta connessione dell‟edicola del campo P con la sua tomba.

L‟interpretazione data da altri studiosi404 prende le distanze da tale posizione: sul muro g si sono conservate numerose iscrizioni che formano un groviglio di segni, ma si tratta per lo più di graffiti che si sono sovrapposti l‟uno all‟atro nel corso dei secoli e che ricordano i visitatori, il cui nome è accompagnato in genere dalla formula DIVAS IN CHRISTO, DIVAS IN DEO o da altre simili. Niente a che vedere, quindi, con ciò che sostiene la Guarducci, la quale parla di una sorta di „criptografia mistica‟, cioè di un linguaggio segreto dei cristiani, gli unici a poter leggere sul muro g il nome di Pietro. La studiosa era sicura di poter trovare su questo muro il nome dell‟apostolo, che in realtà non c‟è, e quindi si sarebbe

402 Mazzoleni D.: “Frammento di intonaco rosso con graffito PETROS ENI (?)” in Petros eni – Pietro è qui, Catalogo della Mostra, Città del Vaticano, Braccio di Carlo Magno, 11 Ottobre 2006 – 8 Marzo 2007, Roma, 2006, pp. 236-237.

403 Le parole di questa epigrafe sono rivolte a una defunta cristiana di nome Leonia, alla quale si augura di entrare nel numero di quelle anime che si trovano con Pietro nella vita eterna.

404 Carletti C.: “Pio XII e la tomba dell‟Apostolo. Papa Pacelli e la storia degli scavi archeologici nella necropoli vaticana” in L‟Osservatore Romano, 23 Ottobre 2008.

sforzata di vedere gli incroci di lettere sovrapposte che potessero dare, non il nome Petrus per intero, ma almeno le lettere PE.

Si tratta al contrario di graffiti di visitatori che, tra la seconda metà del III secolo (cioè da quando il muro g venne costruito per sostenere il muro rosso che stava crollando) fino a quando Costantino non ha costruito la basilica, hanno lasciato il loro nome e, in altri casi, semplici segni.

Possiamo qui ricordare che, con circa 20-30 anni di anticipo, sulla via Appia nasce un culto dedicato a Pietro e Paolo. Nel 1915 gli scavi di Paolo Stigler hanno portato alla luce 600 graffiti, nei quali ricorre molte volte l‟espressione Paulae et Petrae [sic] petite pro Vittore. Mai, in tutti questi graffiti rinvenuti nel cimitero di San Sebastiano, c‟è l‟invocazione agli apostoli. Bisogna dire, inoltre, che questo spostamento del culto è già ricordato nel più antico calendario della chiesa romana – la Depositio Martirum – del 636, in cui si dice che c‟è un culto sul Vaticano, sulla Via Ostiense e sulla Via Appia.

In conclusione possiamo dire che, le poche lettere superstiti della breve epigrafe, incisa da un anonimo devoto sull‟intonaco del muro delimitante il monumento eretto sulla presunta tomba di San Pietro, possono essere interpretate solo come un‟acclamazione a lui rivolta, come accade spesso nelle cripte martiriali delle catacombe romane. Che sia invece una prova della presenza del corpo dell‟ apostolo in quel luogo resta un‟ipotesi di lettura. Ciò non toglie che sia quello il sito in cui Pietro è stato sepolto e sul quale, in seguito, sono stati eretti l‟uno sopra l‟altro diversi altari nel corso dei secoli.