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La natura dei diritti particolari

I primi commentatori si sono interrogati sulla natura giuridica dei diritti particolari attribuibili al socio ai sensi dell’art. 2468, comma 3, c.c. Pertanto, non si potrà non cominciare l’analisi partendo da alcune considerazioni generali in ordine a tale natura, che avrà riflessi anche sulle vicende circolatorie e sulle altre operazioni che hanno per oggetto le partecipazioni munite di diritti particolari. Occorre preliminarmente soffermarsi sul significato del termine «diritto», il quale può astrattamente essere ricondotto ad una pluralità di categorie concettuali, suscettibili di essere richiamate sotto tale nomen iuris140.

I diritti particolari sono riservati a singoli soci e sono disciplinati da apposita clausola statutaria, frutto di una convenzione tra soci. Ciò premesso, appare imprescindibile il richiamo alla categoria dei diritti individuali, ossia di quei diritti che il singolo socio vanta nei confronti della società, che limitano l’operare della stessa e la cui esistenza non è soggetta alla volontà dell’assemblea141. Sul tema142 della natura dei diritti particolari in dottrina si sono affermati, sostanzialmente, due orientamenti: il primo li riconduce nell’ambito dei “diritti

                                                                                                               

139 Non è questa la sede per una compiuta disamina dell’istituto, che necessita di un ben diverso

approfondimento.

140 Vedi V. PINTO, Funzione amministrativa e diritti degli azionisti, Torino, 2008, p. 53, con riferimento

all’espressione «diritti» contenuta nell’art. 2388, comma 4, c.c., in difetto di una espressa nozione legislativa, si avvale di delineare il perimetro compatibilmente con una pluralità di categorie concettuali – in contesti differenti e con significati diversi – che sono suscettibili di essere richiamate da un tale nomen

iuris (diritti soggettivi, diritti sociali, diritti di terzo, diritti di privilegio, diritti individuali ecc.). L’Autore

segue “due distinte opzioni di metodo: un metodo, per così dire, ontologico, nel quale il concetto di

«diritti» venga assunto come un prius rispetto alla disciplina del rimedio e, in quanto tale, come elemento idoneo ad orientarne e condizionarne l’interpretazione; oppure un metodo squisitamente

normativo, nel quale il prius sia la disciplina e il concetto di «diritti» venga definito in funzione della (e

in rapporto alla) disciplina medesima, secondo un criterio di adeguatezza o di congruità”.

141 All’interno di tale categoria si è ritenuto possibile distinguere i diritti che spettano a tutti i soci e quelli

che spettano solo ad uno o alcuni di essi, delineandosi la distinzione tra diritti generali e diritti speciali. A. MIGNOLI, Le assemblee speciali, Milano, 1960, individua tale distinzione.

142 Sull’argomento la letteratura è varia, si veda R. GUGLIELMO – M. SILVA, I diritti particolari del socio – Vicende della partecipazione tra regole legali ed autonomia statutaria, Consiglio Nazionale del

soggettivi”; il secondo li configura quali “posizioni giuridiche soggettive a valenza organizzativa”. Non di rado la dottrina qualifica il diritto particolare

come diritto individuale, assimilabile al concetto di diritto soggettivo143144145, e quindi spettante al socio uti singulus, posto nel suo esclusivo interesse, ricollegabile al socio come terzo, e non come membro del gruppo (per cui si rileva a carico degli altri soci un dovere di astensione). Argomentando, a favore di tale tesi, è stato rilevato dalla lettera dell’art. 2468, comma 4, c.c., in ragione della modifica con il consenso di tutti i soci, che tale circostanza si traduce nella pratica, con la sola rinunzia di chi ne fruisce, e dal fatto che il diritto di recesso in caso di modifica indiretta a maggioranza sarebbe qualificato quale strumento sanzionatorio del dovere di astensione in capo agli altri soci.

Occorre precisare che la regola dell’unanimità per la modica dei diritti particolari implica qualcosa di più del consenso del titolare del diritto: è necessario, infatti, il consenso di tutti i soci per il perfezionamento della modifica146, dunque anche di chi non è titolare del medesimo. Tale fattispecie si differenzia dall’ipotesi di

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   

risparmiatore” nella società a responsabilità limitata: diritti particolari e decisioni ex art. 2479 c.c., in Riv. dir. comm., 2006, p. 290 ss.

143 A favore di tale impostazione A. SANTUS – G. DE MARCHI, op. cit., p. 83. Secondo gli Autori i

diritti particolari sarebbero veri e propri diritti soggettivi, argomentando sulla base che tali diritti sono indisponibili a maggioranza e prescindono dal consenso del titolare. Contra, fra i molti, A. TRICOLI, op.

cit., p. 1029-1030 in nota (1), afferma di non comprendere il meccanismo in base al quale il titolare del

diritto non potrebbe disporne mediante la sua volontà.

144 In tali termini G. MARASÀ, Maggioranza e unanimità nelle modificazioni dell’atto costitutivo della s.r.l., in AA. VV., Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso diretto da P.

ABBADESSA e G.B. PORTALE, vol. III, Torino, 2006, p. 710.

145 In tal senso A. SANTUS – G. DE MARCHI, op. cit., p. 83, i quali ritengono non configurabile un

diritto soggettivo in senso proprio nel caso, invece, dei diritti sociali dell’art. 2468, comma 2, c.c., i quali possono ricondursi al concetto di interessi legittimi proprio del diritto amministrativo. Nel senso tradizionale del termine si intende per diritto soggettivo “la posizione giuridica che attribuisce un potere

giuridico rispetto al quale è rinvenibile una posizione di soggezione o un obbligo di prestazione”.

Gli Autori ne delineano i tratti più evidenti:

- diritti suscettibili di valutazione economica; - diritti certamente rinunciabili, anche a posteriori;

- diritti cui può certamente apporsi un termine (iniziale o finale) o una condizione (sospensiva o risolutiva);

- diritti cui può essere titolare qualunque soggetto, sia esso persona fisica o giuridica.

146 A. M. LEOZZAPPA, op. cit., p. 291 in nota (35), citando la considerazione di V. BUONOCORE, La società a responsabilità limitata, in La riforma del diritto societario, Torino, 2003, p. 170, rileva come “eccedendo nella prorompente deriva autonomistica, il legislatore sembra dimenticare – la dimenticanza non può considerarsi lieve – l’esistenza di un principio generale dell’ordinamento in virtù del quale è solo il titolare del diritto che può consentire che si disponga del suo diritto, quando si stabilisce testualmente che «salvo diversa disposizione (…) possono essere modificati con il consenso di tutti i soci»”. Asserisce, inoltre, che tale regola, conferma la natura organizzativa dei diritti, “nella misura in cui (…) opera sul piano delle condizioni di validità della delibera di modifica, comportandone l’annullabilità in difetto del consenso unanime”, infatti, la decisione può essere impugnata da ogni socio

cui all’art. 2376 c.c. in tema di assemblea speciale, ove si prevede che siano convocati esclusivamente i soci pregiudicati nella loro posizione, per cui ne deriva, che nel caso in esame, per definizione non sussiste tale titolarità in capo ai soggetti ai quali è richiesto il consenso unanime dall’art. 2468, comma 4, c.c. Dobbiamo considerare, inoltre, che tale regola ha carattere dispositivo, per cui si può adottare il regime convenzionale maggioritario. Alla luce di tali considerazioni ne deriva che “appare evidente che nessun nesso di necessità, né

logica né giuridica, si pone tra la modifica del diritto particolare e l’acquisizione del consenso del suo titolare”147.

Tuttavia, questa interpretazione, che vede i diritti particolari quali diritti individuali, non sembra condivisibile 148 , se si considera la rilevanza

organizzativa di questi diritti. Inoltre, sarebbe incompatibile anche con la lettera dell’art. 2468, comma 4, c.c., che richiede il consenso di tutti i soci per la modifica dei diritti. È stato osservato che “il ruolo” attinente alla regola della modifica “deve essere colto non sul piano della tutela del singolo, ma della

realizzazione del programma societario” 149.

Nel secondo orientamento rappresentano figure “affievolite” in quanto soddisfano un “interesse sociale generale”150. Emerge pertanto che tali diritti dovrebbero essere qualificati come posizioni organizzative, quali regole di organizzazione. Esprimono l’interesse del gruppo stesso a individualizzare la posizione di uno o più soci per meglio realizzare il programma societario, costituendo uno strumento con cui i soci partecipano all’impresa151. Viene addotto lo stesso argomento della tesi precedente, ovvero l’art. 2468, comma 4,

                                                                                                               

147 Così l’opinione di A. M. LEOZAPPA, op. cit., p. 292-293. Così anche M. PERRINO, La «rilevanza del socio» nella s.r.l.: recesso, diritti particolari, esclusione, cit., p. 831, il quale esclude la natura

individuale dei diritti particolari, alla luce della considerazione per cui “solo l’immodificabilità senza il

consenso del singolo socio titolare del diritto che si vuole modificare, non l’unanimità di tutti i soci, sarebbe il regime coerente ad una ipotetica carenza di legittimazione della società, e perciò ad una catalogazione in termini di diritto del socio come terzo, invece che in quanto membro del gruppo”. 148 In tal senso: A. DACCÒ, «Diritti particolari» e recesso del socio nella s.r.l., cit., p. 114; P.

REVIGLIONO, op. cit., p. 143; G. PALMIERI, op. cit., p. 890.

149 A. M. LEOZAPPA, op. cit., p. 295.

150 In tal senso R. GUGLIELMO – M. SILVA, I diritti particolari del socio – Vicende della partecipazione tra regole legali ed autonomia statutaria, cit., p. 6. Come fanno notare, finiscono per “incidere profondamente sugli equilibri e sulle posizioni di forza all’interno della compagine sociale”. 151 Sul punto M. MAUGERI, Quali diritti particolari per il socio di società a responsabilità limitata?,

cit., p. 1491, il quale ritiene che l’attribuzione di un diritto particolare sia un elemento di equilibrio gestorio e patrimoniale della società, di interesse della società.

c.c., nella misura in cui rimette la modifica al consenso di tutti i soci, in quanto sono egualmente interessati alla vicenda, che potrebbe cambiare l’organizzazione della società. Si aggiunga l’art. 2473 c.c., in relazione al diritto di recesso a favore dei soci che «non hanno consentito (…) al compimento di operazioni che

comportano (…) una rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci a norma dell’art. 2468, quarto comma», il titolare del diritto si dimostra “impotente” nel

caso in cui la maggioranza dei soci decida di compiere tale operazione, e dispone dell’exit quale unica via di fuga152.

L’istituto presenta “elementi di matrice contrattuale, che presuppongono

l’accordo di tutti i soci, e non appaiono direttamente inquadrabili nell’organizzazione societaria, retta dalla regola di maggioranza”153. Inoltre i

soci possono scegliere se inserire tali pattuizioni nell’atto costitutivo, oppure in appositi contratti esterni. I patti parasociali prima della riforma erano il luogo di ricezione di tutte quelle contrattazioni che non potevano essere inserite nell’atto costitutivo per il loro contenuto in sé o per il loro carattere strettamente personale154155. La diversa collocazione fra patti parasociali e statuto determina

                                                                                                               

152 Sul punto, ancora, R. GUGLIELMO – M. SILVA, I diritti particolari del socio – Vicende della partecipazione tra regole legali ed autonomia statutaria, cit., p. 6.

153 Come rileva M. CAVANNA, op. cit., p. 102.

154 Come opinano A. SANTUS – G. DE MARCHI, op. cit., p. 82 in nota (12), tali patti potrebbero ancora

avere un’utilità dal lato della riservatezza e della mancanza di pubblicità, se non si ritiene valida l’interpretazione che ritiene applicabili gli oneri di cui agli artt. 2341-bis e 2341-ter c.c. E il loro utilizzo potrebbe risultare utile nel caso in cui l’inserimento di una clausola nell’atto costitutivo comportasse il diritto di recesso in caso al socio. Tale diritto non pare concesso nel caso in cui il socio fosse dissenziente alla pattuizione prevista nel patto parasociale. Conformemente, A. TRICOLI, op. cit., p. 1037, in nota (29), afferma che tali patti potranno riacquistare utilità in relazione ad interessi specifici ed ulteriori, come la riservatezza del patto, o, la sua efficacia meramente obbligatoria.

155 P. M. SANFILIPPO, I patti parasociali, in I contratti per l’impresa. II. Banca, mercati, società, a cura

di GITTI G. – MAUGERI M. – NOTARI M., Bologna, 2012, p. 417 ss., analizza tali patti e si sofferma sui c.d. patti di gestione, ovvero i patti che hanno ad oggetto la programmazione e/o il controllo dell’attività amministrativa, anche oltre i confini dei criteri di decisione propri delle regole societarie (legali e statutarie). Inoltre, possono essere convenuti non solo tra soci, ma anche dai soggetti destinatari delle funzioni gestorie, e persino dai terzi. Sul tema parte degli interpreti hanno aderito alla tesi per la quale “la materia gestoria non potrebbe mai essere oggetto di un patto parasociale”. Ne deriva una

“chiusura all’autonomia privata” che non convince l’Autore, il quale non pone dubbi al fatto che

permanga il potere di scelta del comportamento da porre in essere in capo al titolare della funzione gestoria. Evidenzia come “il patto gestorio si muova sempre su un piano distinto da quello sociale, non

escludendo per ciò una diversa determinazione dell’amministratore in conformità ai suoi doveri gestori”.

Considera che “nessuno ha mai potuto dubitare (…) che il potere di revoca assembleare non contraddica

certo una corretta esplicazione delle funzioni di amministratore, nonostante quel potere ben consentirebbe al gruppo di controllo di esercitare in fatto diverse forme di influenza sulle scelte dell’organo amministrativo”. L’Autore rileva, inoltre, che “si cadrebbe nell’eccesso opposto” se “si desse credito all’idea dell’ammissibilità, sempre e comunque, di simili patti, facendo leva sulla libertà in punto di diritto dell’amministratore a determinarsi nelle scelte gestorie, o, genericamente, sulla

una diversa efficacia giuridica: nel primo caso meramente obbligatoria e nel secondo caso ad efficacia reale.

Più in generale, tale impostazione non è condivisa da altra parte della dottrina che ha sostenuto che le situazioni giuridiche riguardanti ciascun socio non sarebbero comprese nella nozione tradizionale di diritto soggettivo156. Del resto, la stessa categoria del diritto soggettivo in ambito societario è stata sottoposta a numerose critiche, tuttavia non è questa la sede per ricostruire in maniera puntuale gli studi compiuti sull’argomento.

Non c’è dubbio che i diritti particolari abbiano una natura «personale», in quanto strettamente connessi alla persona del socio. “Essi, per così dire, «colorano» di

peculiari contenuti la sua partecipazione sociale, distinguendosi dalle prerogative ordinariamente riconosciute agli altri soci”157.

Se facciamo riferimento alla tesi che vorrebbe l’unanimità sia per le modifiche158 dirette che per quelle indirette, i diritti particolari rappresenterebbero posizioni soggettive di natura personale e rilevanza interindividuale: a ben vedere il profilo contrattuale dovrebbe prevalere su quello organizzativo, quantomeno per le vicende modificative. Si è però replicato che i diritti particolari, nella fase

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   

meritevolezza dell’interesse ad indirizzare l’azione degli amministratori da parte di quegli azionisti che sarebbero comunque in grado di esercitare un’influenza dominante sugli amministratori stessi per averli eletti”. Infine, riconosce nel sindacato di gestione uno “strumento appropriato, che assicura al gruppo di controllo di interloquire sulle scelte da operarsi da parte degli amministratori fra più opzioni gestorie, in tesi tutte compatibili con l’interesse sociale e con l’obbligo di diligenza”, al fine di limitare la

discrezionalità degli amministratori fra scelte ugualmente lecite.

Nel caso in cui un patto di gestione fosse diretto al compimento di un atto di mala gestio da parte degli amministratori, verrebbe disapplicato, pertanto, così come se la clausola non esistesse. Tale tecnica permetterebbe di evitare che “un patto, pur meritevole di tutela e lecito, in astratto, finisca per realizzare

assetti ingiustificabili in concreto”. In definitiva la materia spinge “verso la disaggregazione di patti «buoni» e «cattivi»”.

156 Come rileva A. TRICOLI, op. cit., p. 1029 in nota (1), citando P. FERRO-LUZZI, I contratti associativi, Milano,1976, p. 234 ss., “ove vie è diritto soggettivo in senso proprio, si è per noi fuori o al termine del fenomeno associativo”: “se per diritto soggettivo si intende l’interesse protetto o la protezione dell’interesse, anzi che rigorosamente la qualificazione, e poi la qualificazione di lecito, di diritto soggettivo può continuare a parlarsi, ma il termine finisce per comprendere fenomeni fortemente eterogenei”. E poi “se la qualifica di doveroso inerisce ad un momento dell’attività di una figura di produzione, in funzione di sollecitarne l’investimento, se cioè quindi la qualifica investe un atto puntuale ed esaurisce il fenomeno, si pensi al credito al dividendo deliberato, allora siamo di nuovo al termine o al di fuori del fenomeno associativo”.

157 M. CAVANNA, op. cit., p. 157.

attuativa del fenomeno, si trasformino in posizioni organizzative che richiedono appunto la maggioranza per le modifiche indirette159.