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Della necessità di una revisione dell’Irpef e di altri elementi del sistema tributario si

P ARTE SECONDA

C RITICITÀ E LINEE DI RIFORMA DELL ’I RPEF

1. Della necessità di una revisione dell’Irpef e di altri elementi del sistema tributario si

discute da molti anni; tuttavia, le direzioni finora intraprese appaiono parziali e disorganiche. Recentemente, il dibattito sul tema si è fatto più serrato, anche in relazione all’esplicita menzione, nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e nell’ambito delle riforme di accompagnamento al Piano, di una possibile revisione dell’Irpef, con il duplice obiettivo di semplificare e razionalizzare la struttura del prelievo e di ridurre gradualmente il carico fiscale, preservando la progressività e l’equilibrio dei conti pubblici. Allo stesso fine, già nel PNRR, si prevede la presentazione al Parlamento, da parte del Governo ed entro il 31 luglio 2021, di un disegno di legge di delega da attuarsi per il tramite di uno o più decreti legislativi delegati. Al riguardo, si afferma nel Piano, il disegno di legge di delega terrà conto del documento conclusivo della Indagine conoscitiva sulla riforma dell’Irpef e altri aspetti del sistema tributario avviata dalle Commissioni parlamentari. In termini generali, la revisione dell’Irpef appare dunque centrale, in ragione sia di un crescente livello di insoddisfazione rispetto al suo funzionamento, sia della necessità di raccordare tale prelievo con gli altri elementi del sistema tributario. Questo obiettivo sarebbe funzionale non solo al recupero di un assetto più organico del sistema stesso, ma anche a garantire maggiore stabilità e certezza del prelievo agli operatori economici.

Preliminarmente all’analisi delle criticità dell’Irpef e alle possibili direzioni di riforma, è opportuno osservare che alcune delle attuali problematiche che caratterizzano il prelievo sui redditi personali hanno antiche origini. L’imposta personale sul reddito (Irpef) è infatti parte del sistema tributario entrato in vigore nella prima metà degli anni Settanta, ma tra il modo in cui il sistema fu pensato e la sua pratica realizzazione emersero significative differenze, con particolare riguardo al tentativo di istituire un’imposta onnicomprensiva personale e progressiva. Era questo un obiettivo particolarmente sentito ai tempi della riforma, dato che il previgente sistema tributario si fondava sulla prevalenza di imposte reali e proporzionali, dalle quali discendeva un certo grado di regressività del sistema. Il fondamento dell’imposta personale e progressiva sul reddito era costituito dal concetto di reddito entrata, una concezione di origine anglosassone riconducibile a Schanz (1896), Haig (1921) e Simons (1938), e che è divenuta nota con l’acronimo SHS1. Dal complesso dei redditi, al tempo, si previde di escludere gli incrementi di valore patrimoniale, da ricondurre a tassazione – al momento del realizzo – con un’imposta separata direttamente proporzionale all’incremento di valore, ma inversamente proporzionale al tempo di maturazione per penalizzare gli incrementi realizzati a fini speculativi. Inoltre, si propose che l’unità impositiva fosse rappresentata dal reddito familiare nella forma del cumulo dei redditi.

Il progetto di riforma, tuttavia, non si limitava all’introduzione di un’imposta sul reddito personale e progressiva; al contrario, nei piani dei riformatori del tempo, ad essa avrebbero dovuto essere affiancate un’imposta sul patrimonio, un’imposta sul reddito delle società di capitali, un’imposta sugli incrementi di valore patrimoniale, un’imposta sul valore aggiunto, un’imposta sui consumi al dettaglio2. Senza fornire dettagli in merito, il progetto di riforma prevedeva anche un riesame dell’imposta sulle successioni e donazioni, e l’abolizione dell’imposta di registro. Dal lato del prelievo sui redditi, si introdusse l’imposta sul reddito delle persone giuridiche (Irpeg), con l’obiettivo di superare il previgente sistema a doppia base patrimoniale e reddituale, dato che

1 Haig R.M. (1921), “The Concept of Income-Economic and Legal Aspects”, in Haig M. (ed.), The Federal Income

Tax, Columbia University Press, New York; Simons H.C. (1938), Personal Income Taxation: the Definition of Income as a Problem of Fiscal Policy, The University of Chicago Press, Chicago. Il lavoro di Schanz del 1896 è in tedesco e

non è stato tradotto in inglese: Schanz G. (1896), “Der Einkommensbegriff und die Einkommensteuergesetze”,

Finanz-Archiv, 13, 1-87.

2 Si veda Bises B. (2014), “Introduzione. Il progetto di riforma tributaria della Commissione Cosciani cinquant’anni dopo”, in Bises B. (a cura di), Il progetto della riforma tributaria della Commissione Cosciani cinquant’anni dopo, Il Mulino, Bologna, pp. 7-44.

la tassazione patrimoniale – anche delle persone giuridiche – dopo la riforma sarebbe confluita nell’imposta ordinaria sul patrimonio.

Sul fronte delle imposte indirette, la principale innovazione era costituita dall’Imposta sul Valore Aggiunto (Iva), in sostituzione dell’Imposta Generale sull’Entrata (Ige), un’imposta plurifase sul valore pieno che entrò in vigore nel 1940. Nel progetto originario di riforma, inoltre, si pensò che l’Iva potesse applicarsi ad aliquota unica su tutti gli stadi produttivi, ad eccezione del passaggio dal dettagliante al consumatore. Nei piani riformatori, questo passaggio avrebbe dovuto essere oggetto di applicazione di un’imposta monofase da parte degli enti locali, attraverso l’Ico (successivamente definita imposta integrativa comunale sui consumi), anche con possibili differenziazioni di aliquota3. Il fatto che nella riforma degli anni Settanta, l’ipotesi di un’unica aliquota Iva sui passaggi intermedi non fosse stata scartata – se associata a una monofase con aliquote differenziate – lascia presumere che gli intenti redistributivi dell’Iva volessero essere confinati nel passaggio al consumo finale senza generare effetti di trascinamento negli stadi intermedi.

Nella sua concreta realizzazione, la riforma si presentò però difforme dal progetto, per varie ragioni che – in una certa misura – hanno fin da subito pregiudicato il cammino del sistema tributario. Innanzitutto, dall’Irpef furono esclusi gli interessi sui titoli di Stato (esenzione totale) e anche gli interessi sulle altre attività finanziarie, tassati con aliquote proporzionali. Sull’inclusione dei dividendi, invece, ci furono oscillazioni; la scelta iniziale fu quella di introdurli nella base imponibile dell’Irpef e di lasciar operare un sistema classico di doppia imposizione economica. Ma già dal 1974 (legge 216/1974) fu reintrodotta l’opzione per l’applicazione di una cedolare secca e, per evitare comunque la doppia imposizione degli utili nel caso di tassazione in sede Irpef, con legge 904/77 (legge Pandolfi) il sistema classico di imposizione dei dividendi fu sostituito da un sistema di integrazione completa, per la quale, attraverso il recupero in capo al socio dell’imposta pagata dalla società, il prelievo sui dividendi era determinato dall’aliquota marginale della persona fisica.

In secondo luogo, l’imposta ordinaria sul patrimonio non entrò mai in vigore; fu invece introdotta un’imposta locale sui redditi (Ilor), che sarà a sua volta abolita soltanto a seguito dell’introduzione dell’Irap nel 1998. In terzo luogo, a complicare la situazione della finanza territoriale fu la successiva decisione di non attuare l’imposta integrativa sui consumi, ma di estendere l’Iva anche sull’ultima fase. Questa estensione, tuttavia, consigliò di abbandonare il progetto di aliquota unica, in favore di una struttura a tre aliquote (12 per cento come aliquota ordinaria, 6 per cento come aliquota ridotta, 18 per cento come aliquota maggiorata) applicata solo a livello centrale. In quarto luogo, per le imposte sugli interessi furono previste aliquote differenziate in base alla natura dell’emittente. Infine, l’imposta di registro non fu abolita.

Allo stato attuale, appare dunque complesso ipotizzare che una revisione dell’Irpef di natura non marginale possa essere realizzata senza considerare da un lato l’insieme delle criticità interne ad essa, in primis la storica e consolidata evasione del tributo, e dall’altro le relazioni tra questo e gli altri elementi del sistema tributario, le necessità di raccordo con il sistema di finanza territoriale, e le esigenze di coordinamento con il sistema di protezione sociale, con specifico riguardo alla struttura dei trasferimenti monetari. Un adeguato riequilibrio del sistema di prelievo, provato da numerosi interventi non organici che si sono succeduti negli anni, appare realizzabile soltanto attraverso un riesame delle finalità che con tale sistema si vogliono raggiungere, allo scopo di evitare che il prelievo sui redditi personali si faccia carico di obiettivi impropri, o più facilmente perseguibili con strumenti alternativi.

3 Una dettagliata ricostruzione è in Longobardi E. (2014), “L’imposizione sui consumi: l’imposta sul valore aggiunto e l’imposta generale sui consumi”, in Bises B. (a cura di), Il progetto della riforma tributaria della Commissione

UNA SINTESI QUANTITATIVA DELLE CARATTERISTICHE DELL’IRPEF

2. L’Irpef è attualmente l’imposta che in Italia produce maggior gettito. Secondo i dati di

preconsuntivo per il 2019 (di competenza giuridica) del Ministero dell’economia e delle finanze (MEF), il gettito dell’Irpef erariale è di 191,6 miliardi di euro, circa il 40 per cento del gettito tributario complessivo (471,6 miliardi di euro); il 70 per cento del gettito totale proviene da due sole imposte, Irpef e Iva (Grafico 1); l’imposta sul reddito delle società di capitali (Ires) produce un gettito pari a 32,7 miliardi di euro, circa il 17 per cento del gettito prodotto dall’Irpef. Le differenze in valore assoluto si riflettono anche sul peso del prelievo rispetto al Pil (Grafico 2). Secondo i dati OCSE riferiti al 2019, in Italia, la pressione fiscale è al 42,4 per cento, e i contributi sociali concorrono alla sua formazione per il 13,3 per cento. Al netto della contribuzione sociale, la pressione tributaria in senso stretto è in Italia pari al 29,1 per cento del Pil, a cui concorre l’Irpef per il 10,9 per cento e l’Iva per il 6,3 per cento. Le restanti entrate concorrono per meno del 12 per cento del Pil, cioè poco più di quanto l’Irpef contribuisce singolarmente. Rispetto agli altri paesi, inoltre, il peso dell’Irpef rispetto al Pil appare anche abbastanza elevato, di fatto preceduto solo dai paesi scandinavi, oltre al Belgio. Germania, Francia e Spagna, ad esempio, presentano tutte un peso dell’Irpef sul Pil inferiore a quello italiano (Grafico 3).

GRAFICO 1 IL GETTITO DELLE PRINCIPALI IMPOSTE IN ITALIA

Note: Valori in miliardi di euro, competenza giuridica, dati di pre-consuntivo riferiti al 2019. Fonte: elaborazione Corte dei conti su dati Ministero dell’economia e delle finanze, Appendici

Statistiche al Bollettino, marzo 2020

0,6 0,8 0,9 1,6 1,9 2,7 3,6 3,8 4,8 6,6 6,6 7,1 7,7 8,3 10,6 25,4 32,7 136,9 191,6 0 50 100 150 200 250 Accisa spiriti Successioni… Plusvalenze Ipotecarie Canone TV Accise energia… Accisa gas naturale

Imu immobili… Registro Bollo Gioco Assicurazioni Lotto Isos Accisa tabacchi Accise prodotti… Ires Iva Irpef

GRAFICO 2 PRESSIONE FISCALE E TRIBUTARIA IN SENSO STRETTO IN % DEL PIL

Note: PF=Pressione fiscale; CS=Contributi sociali; PT=Pressione tributaria in senso stretto. Dati al 2018. Fonte: elaborazione Corte dei conti su dati OECD, Revenue Statistics, 2020

GRAFICO 3 IL PESO DELL’IMPOSTA PERSONALE SUL PIL (2018)

Note: DAN=Danimarca; SVE=Svezia; FIN=Finlandia; BEL=Belgio; ITA=Italia, GER=Germania; FRA=Francia; AUS=Austria; GB=Gran Bretagna; OLA=Olanda; SPA=Spagna; IRL=Irlanda. Per la Danimarca, si deve tenere conto, nel confronto, che l’imposta personale sul reddito finanzia le prestazioni di sicurezza sociale. Il dato non è quindi direttamente comparabile con quello di altri paesi, in cui il finanziamento di quelle prestazioni avviene prevalentemente con contributi sociali.

Fonte: elaborazione Corte dei conti su dati OECD Revenue Statistics, 2020 42,4 13,3 29,1 10,9 6,3 4,3 2,4 1,9 0 5 10 15 20 25 30 35 40 45

PF CS PT Irpef Iva Altre indirette Proprietà Società Altre

24,4 12,7 12,3 12,1 10,8 10,4 9,5 9,4 9,1 8,0 7,6 7,0 ,00 5,00 10,00 15,00 20,00 25,00 30,00

Sul fronte interno, secondo i dati sulle dichiarazioni dei redditi dell’anno di imposta 2018, i redditi da lavoro dipendente e assimilati e da pensione rappresentano l’82,3 per cento del reddito complessivo dichiarato, con le restanti tipologie di reddito a concorrere per percentuali piuttosto esigue (Grafico 4). Alla concentrazione del reddito complessivo sui redditi da lavoro dipendente e pensione fa riscontro una concentrazione piuttosto marcata anche dei contribuenti, dato che quasi la metà degli stessi (43,9 per cento) dichiara redditi complessivi fino a 15 mila euro, mentre – complessivamente – il 79,2 per cento dichiara non più di 29 mila euro. Sul fronte opposto, il 2,4 per cento dichiara più di 75 mila euro, percentuale che si dimezza (1,2 per cento) qualora si considerino i dichiaranti al di sopra dei 100 mila euro (Grafico 5). Poco più di 40 mila contribuenti (meno dello 0,1 per cento) dichiara più di 300 mila euro. A questa distribuzione dei contribuenti si associa una distribuzione dell’imposta netta che indica come i 2/3 del gettito arrivi dai redditi compresi nel secondo e nel terzo scaglione, mentre poco più di ¼ (26,9 per cento) del gettito è imputabile all’ultimo scaglione di reddito, con il 6 per cento riconducibile ai circa 40 mila contribuenti che dichiarano più di 300 mila euro di reddito complessivo. Sopra i 300 mila euro, infine, il 48 per cento del reddito complessivo è ancora reddito di lavoro dipendente e pensione; contro il 17 per cento di reddito di lavoro autonomo, circa il 5 per cento di reddito di impresa, il 14,2 per cento di reddito da partecipazione, e poco più del 10 per cento di reddito da capitale.4

GRAFICO 4 COMPOSIZIONE DEL REDDITO COMPLESSIVO

ANNO DI IMPOSTA 2018

Note: LD=Lavoro dipendente e pensioni; DAA=Redditi dominicali, agrari e da allevamento; FAB=Redditi da fabbricati; LA=Redditi di lavoro autonomo; IMP=Redditi di impresa; PAR=Redditi di partecipazione; PCD=Plusvalenze, redditi da capitale e diversi; AL=Altri redditi.

Fonte: elaborazione Corte dei conti su Statistiche delle dichiarazioni dei redditi presentate nel 2019

4 Nelle dichiarazioni per l’anno di imposta 2018, tra i redditi da capitale rientrano gli utili derivanti da partecipazioni qualificate in società di capitali (formatesi con utili prodotti fino a tutto il 2017) che contribuiscono alla formazione del reddito complessivo per il 58,14 per cento del loro ammontare. Questa disposizione è stata modificata con la legge 205/2017, per la quale anche questo tipo di partecipazioni è ricondotto a tassazione con imposta sostitutiva del 26 per cento. È quindi probabile che, nei prossimi anni, il contributo al gettito di questi contribuenti tenda a ridursi.

GRAFICO 5 DISTRIBUZIONE PERCENTUALE DEI CONTRIBUENTI E DELL’IMPOSTA NETTA

ANNO DI IMPOSTA 2018

Note: La distribuzione per classi di reddito disponibile non consente di fermare il secondo scaglione a 28 mila euro. Sulla base della distribuzione disponibile nelle Statistiche delle dichiarazioni dei redditi, si è scelto di posizionarsi a 29 mila euro.

Fonte: elaborazione Corte dei conti su Statistiche delle dichiarazioni dei redditi presentate nel 2019

GLI OBIETTIVI DI UN SISTEMA DI PRELIEVO PERSONALE SUI REDDITI

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