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Dipartimento di Filosofia La Sapienza

nicole.cilia@uniroma1.it

 Introduzione

Il tema dell'intelligenza emotiva è piuttosto attuale e dibattuto all'interno del panorama scientifico della psicologia moderna. In generale, c'è unanimità nel definire l'intelligenza emotiva come la capacità di riconoscere le emozioni proprie e altrui in modo da poter strutturare e regolare adeguate relazioni sociali. Dal punto di vista delle scienze cognitive con il termine emozioni, si intendono degli stati affettivi intensi ma di breve durata, "potenziali d'azione che motivano il comportamento umano" (Lazarus e Folkman, 1984). Il concetto di emozione non si esaurisce però con "stato affettivo interno", in quanto le emozioni comprendono anche reazioni comportamentali e somatiche legate con un rapporto causa-effetto allo stato affettivo "attivo" in un determinato momento. Zajonc per primo (1980) indagò la relazione tra l’elaborazione cognitiva ed emotiva, contestando l’ipotesi cognitivista per la quale l'emozione insorgerebbe solo dopo che il nostro sistema cognitivo ha elaborato l'evento che l'ha scatenata. Per Zajonc, dunque, l'elaborazione emotiva di uno stimolo è, almeno in parte, indipendente dall'elaborazione cognitiva relativa al suo significato. Richard Lazarus (1982), al contrario di Zajonc, sostiene che le esperienze emotive sono sempre il risultato di valutazioni di tipo cognitivo: prima di provare un'emozione ci sarebbe una rapida e inconscia valutazione di tipo cognitivo, basata su pensieri e informazioni minime, che fa ricorso perfino a premesse irrazionali (distorsioni cognitive). Questo tipo di valutazioni cognitive, cioè che si formano rapidamente e provocano una risposta emotiva vengono definiti “processi cognitivi caldi” e sarebbero i precursori dell’emozione. I processi

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cognitivi più lenti, e che non attivano alcuna emozione, vengono invece definiti “processi cognitivi freddi”. Secondo Lazarus, i processi cognitivi caldi precedono sempre le emozioni. Il neuropsicologo LeDoux (1987), infine, si è inserito nella disputa occupando una posizione intermedia. L’autore sostiene cioè che sebbene, per elicitare un'emozione, sia necessaria una qualche forma di elaborazione, questa non coinvolge sistemi corticali ma, presumibilmente, solo subcorticali e quindi non consapevoli (Sherer et al., 2001).

LeDoux (1996) ha elaborato un modello in cui i processi di elaborazione precoce dell’informazione emozionale non sono delle elaborazioni cognitive ma delle elaborazioni affettive ("emotional computations"), che dipendono principalmente dall'amigdala. A sostegno di questa ipotesi esiste lo studio di Naumann et al. (1992) il quale, indagando i potenziali correlati alla presentazione visiva di aggettivi positivi, neutri e negativi, ha mostrato che il pattern dell’attività intracranica era differente in base al compito richiesto anche se gli stimoli erano uguali. Ciò fa pensare che l'elaborazione delle informazioni emozionali e cognitive siano separate. Inoltre, secondo LeDoux, le due forme di elaborazione hanno anche diversi scopi, le elaborazioni affettive servirebbero a valutare l’importanza dello stimolo, mentre quelle cognitive servirebbero ad ottenerne una buona rappresentazione. Dunque, le emozioni rappresentano un fenomeno psicofisiologico spesso evocato da stimoli rilevanti biologicamente. Le emozioni, per sostenere una risposta adattiva, modulano le azioni mobilitando risorse attentive, e più in generale cognitive, verso eventi presenti o futuri. Questo processo sembra richiedere una categorizzazione dello stimolo secondo un’accezione positiva o negativa e l’attivazione di comportamenti che implicano avvicinamento verso lo stimolo (approccio, acquisizione, consumo) oppure allontanamento dallo stimolo (evitamento, fuga, rifiuto, repulsione) (Cacioppo et al. 2000).

Molti studi si sono occupati recentemente di questo argomento cercando di individuare la relazione che lega le emozioni con i processi attentivi (Mathews e MacLeod, 2002; Bradley et al., 2000; Porges, 2011). Da questi studi si evince che l'attenzione rivesta un ruolo fondamentale nella selezione delle risposte emozionali adattive e che sia in grado di modulare l’insieme delle risposte ad uno stimolo emotigeno, secondo modalità congrue al significato motivazionale dello stimolo stesso.

2. Disegno sperimentale

Sulla base di quanto detto è stato messo a punto un disegno sperimentale avente lo scopo di dimostrare se e quanto il funzionamento attentivo influenzi l’elaborazione emozionale. Nell'ipotesi si sostiene che l'attenzione sia una funzione cognitiva importante per determinare il funzionamento emotivo di un soggetto. In particolar modo si è indagato come aspetti meta-cognitivi dell'attenzione come il controllo, lo switch e il monitoraggio siano importanti nel generare e mantenere gli stati ansiosi. Lo studio sperimentale ha previsto due task:

• Il primo indaga la flessibilità attentiva, cioè la capacità di mantenere il controllo sull'attenzione inibendo le distrazioni. A tal fine è stato utilizzato un paradigma molto noto cioè lo spatial cues, conosciuto anche come paradigma di Posner (1980).

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• Nel secondo è stato proposto un compito che indaga la relazione tra attenzione ed emozioni attraverso una rivisitazione del paradigma dello spatial cues, nella quale gli stimoli erano composti da immagini neutre e con significato affettivo.

A tutti i partecipanti viene somministrato un test per misurare il livello d'ansia di stato (STAI-1). In base al punteggio i soggetti sono stati divisi in due gruppi: soggetti con punteggi più alti (soggetti ansiosi) e soggetti la cui ansia era mantenuta sotto la soglia (soggetti non ansiosi). I due gruppi hanno permesso di verificare la correlazione tra i punteggi allo STAI e la capacità di controllare volontariamente l'allocazione delle riporse attentive nei due task. Infine, i soggetti indossavano un Eye-Tracker per monitorare i movimenti oculari durante lo svolgimento dei task.

La struttura del compito prevede la presentazione in serie di 32 trial ognuno dei quali composto da un punto di fissazione al centro dello schermo (una croce) e due slot bianchi, indicanti le posizioni in cui potrebbe apparire lo stimolo target. Durante il compito viene presentato un cue (un suggerimento) rappresentato da una freccia in corrispondenza del punto di fissazione, i soggetti vengono istruiti ad ignorare il cue e viene detto loro che il suggerimento non è affidabile in quanto è corretto solo nel 70% dei casi. Dopo 800 ms dall'apparizione del suggerimento, appare lo stimolo target. I casi in cui la freccia (cue) indica la posizione in cui apparirà effettivamente lo stimolo vengono chiamati trial "validi" (Fig. 1); viceversa, quando il suggerimento è sbagliato, cioè quando la freccia indica la parte opposta a dove apparirà lo stimolo target, i trial vengono definiti "non validi" (Fig. 2).

Ci si attende che nelle prove “valide” i soggetti mostrino performance migliori rispetto a quanto accade nelle prove “invalide”, questo perché il focus dell'attenzione viene spostato sul punto indicato dal “cue” (volontariamente).

Figura 1. Esempio di trial valido

Figura 2. Esempio di trial non valido

Per il secondo task è stato presentato un paradigma, emotional cues, che rappresenta la versione "emotiva" di quello proposto nel primo task. Questa volta non era presente un vero e proprio suggerimento. Si è cercato invece di

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