Kusama tornò in Giappone nel 1975. Il ritorno in patria fu fonte di ulteriore stress che aggravò le condizioni di salute dell’artista,95 costringendola nel 1977 a trasferirsi
89 YOSHIMOTO Midori, Kusama saves the world through self-obliteration, 2011, p. 3. 90 YOSHIMOTO, Kusama saves…, pp. 4-5.
91 KUSAMA Yayoi, flyer for Self-Obliteration at The Gate Theater, New York, 16-17 giugno 1967.
CICA/YK/6200.47. Kusama Archive.
92 storica dell’arte e dottoranda in Storia, Beni Culturali e Studi Internazionali presso l’Università di
Cagliari.
93 SMIGIEL, “The Unreal…”, p. 6.
94 Questo aspetto può essere direttamente collegato alla depressione maturata negli anni, che ha portato
Kusama a tentare più volte il suicidio.
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definitivamente al Seiwa Hospital, una struttura privata dove è tutt’ora in cura per le sue nevrosi.96
Analizzando le fonti scritte e visive, è possibile affermare come con il ritorno in Giappone si costituisca quella che è la vera relazione tra arte e self-therapy, impiegata non come cura definitiva ma congiuntamente alle dovute cure mediche.
Non avendo la stessa notorietà che aveva faticosamente guadagnato a New York, Kusama dovette ricominciare quasi da zero per inserirsi nel panorama dell’arte contemporanea giapponese, non senza episodi di grave stress che l’hanno portata al ricovero definitivo del 1977, ma anche alla produzione di numerose nuove opere come strumento di difesa,97
in affinità con il concetto di art therapy.
Con art therapy (arte terapia) si intende l’uso dell’arte come terapia in sé, in quanto viene considerata una forma efficace per migliorare i sintomi di patologie quali psicosi e schizofrenia.98 Come dichiarato dalla stessa artista in una intervista del 1999, lo stesso
istituto dove è in cura organizza programmi di arte terapia basati su diverse discipline, tra cui la pittura.99 Tuttavia, Kusama non prende parte a queste iniziative, preferendo
lavorare nel suo atelier privato posto nelle vicinanze dell’ospedale; si può quindi considerare l’operato di Kusama più come una self-therapy portata avanti individualmente e approvata dagli stessi medici curanti.100
Megan Dailey ha analizzato come il ricovero al Seiwa Hospital di Shinjuku abbia anche portato l’artista a una nuova consapevolezza di sé e a un cambio di rotta riguardante le tematiche delle proprie opere; nonostante concetti come la ripetizione e la self- obliteration siano ancora presenti, essi assumono una nuova connotazione positiva, fatta di emancipazione, ricordo e possibilità;101 Considerando fonti di altri studiosi e
analizzando le opere realizzate a partire da questo periodo, non posso che concordare con la sua interpretazione.
96 HOPTMAN, “Yayoi…”, p. 66. 97 DAILEY, Yayoi…, pp. 25-26
98 SUMA, CHANDRAN, SATHYANARAYANA, “The princess…”, p. 158. 99 TURNER, KUSAMA, “Yayoi…”, p. 68.
100 Ibid.
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Figura 9.
La figura 9 mostra l’artista in posa con alcune sculture presenti in Hi Konnichiwa (Hello!), installazione presentata alla mostra personale Kusamatrix: Kusama Yayoi tenutasi al Mori Art Museum dal 7 febbraio al 9 maggio 2004. La mostra consisteva in una serie di installazioni ambientali l’una collegata all’altra, sia risalenti agli Anni Sessanta che opere inedite di più recente realizzazione.102
Hi Konnichiwa (Hello!) è formata da una stanza le cui pareti bianche sono ricoperte da
120 diversi disegni raffiguranti ragazzine e adolescenti.103 Al suo interno sono inoltre
disposte alcune sculture, realizzate in schiuma di stirene e resina di uretano, raffiguranti cinque figure femminili e tre cani caratterizzati da colori sgargianti e rivestiti dagli iconici pois dell’artista. Le figure femminili e i cani sono adagiati su della paglia che funge loro da base, e posizionati attorno a Hanako, unica scultura floreale, anch’essa ricoperta di pois e posizionata al centro della stanza.104
102 “Kusamatorikkusu ni tsuite” (about Kusamatrix), in Mori Art Museum,
https://www.mori.art.museum/contents/kusamatrix/about/index.html, ultimo accesso 04/02/20.
103 SHIBUTAMI, pp. 138-139.
104 Catherine TAFT, “Dashing into the Future: Kusama’s Twenty-First Century”, in Laura HOPTMAN,
Udo KULTERMANN, TATEHATA Akira, Catherine TAFT (a cura di), Yayoi Kusama, Phaidon, Londra, 2000, p. 189.
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Dalle figure rappresentate risulta evidente come il tema portante dell’opera sia quello della giovinezza e della spensieratezza, delle quali Kusama ci mostra una versione gioiosa e idealizzata. Diversi critici, compresa Catherine Taft, hanno evidenziato come tra le cinque statue raffiguranti ragazzine ce ne sia una in particolare che potrebbe essere considerata come l’alter ego dell’artista stessa; si tratta di Yayoi-chan, che oltre ad avere lo stesso nome di Kusama indossa un abito a pois caratterizzato da protuberanze che ricordano molto le soft sculptures di forma fallica degli Anni Sessanta.105 La somiglianza
tra Kusama e Yayoi-chan è evidente; tuttavia analizzando le altre sculture ritengo che ognuna di esse possa rappresentare eventi o temi cari alla vita dell’artista, in particolare la figura di Taa-chan.
Figura 10. Chii-chan e Nao-chan.
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Figura 11. Miiko-chan e Taa-chan.
La figura 10 mostra rispettivamente Chii-chan e Nao-chan. La prima indossa un abito raffigurante una Infinity Net nera su sfondo rosso, mentre la seconda indossa una calzamaglia a pois con un colletto simile a protuberanze falliche, anch’esso costellato di pois; gli elementi caratteristici di entrambe le sculture possono essere fatti risalire al periodo newyorkese, durante il quale Kusama produsse Infinity Nets su vasta scala ed era solita indossare calzamaglie sgargianti in occasione delle mostre collettive e personali. In figura 11 sono invece rappresentate le altre due sculture femminili dell’installazione; anche Miiko-chan indossa un abito con protuberanze falliche cucite sulla gonna, in una palette cromatica di uso comune da parte dell’artista106. Infine abbiamo Taa-chan, che a
mio avviso può essere considerata come l’alter ego di Kusama alla stessa maniera per cui la critica associa tale ruolo a Yayoi-chan; quest’ultima scultura dalle trecce rosse rivestite di pois bianchi indossa un outfit giallo a pois neri, riconducibile ai colori base delle opere che costituiscono l’installazione presentata alla Biennale del 1993 e allo stesso completo indossato dall’artista per l’occasione. Lo stesso colore di capelli scelto per la scultura può essere riconducibile alla parrucca rossa che Kusama è solita indossare nelle fotografie ufficiali che la ritraggono al lavoro o con le sue opere.
106 È interessante notare come la palette del vestiario di Miiko-chan coincida con una delle palette
cromatiche che nel 2012 verranno utilizzate nella collaborazione tra Kusama e Marc Jacobs per Louis Vuitton.
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Concentrandosi invece sui disegni che decorano le pareti della stanza, si può ipotizzare che piuttosto d’essere frutto delle allucinazioni e delle visioni dell’artista indichino un luogo immaginario, esterno a ogni tipo di preoccupazione.107 L’obliterazione del sé, data
sia dalla ripetizione dei disegni sulle pareti sia dai pattern che rivestono le sculture, assume in questo caso un significato positivo, come se fosse una via di fuga dall’intrappolamento della sofferenza umana.108
Figura 12.
La figura 12 mostra invece The Souls of Millions of Light Years Away, una più recente aggiunta alla serie delle Infinity Mirrored Rooms risalente al 2013; l’opera è esposta al Broad, un museo di arte contemporanea nel cuore di Los Angeles. Si tratta di un’installazione immersiva costituita da una singola stanza, in cui migliaia di luci a LED dai diversi colori pendono dal soffitto dipinto di nero, riflettendosi sia sulle pareti
107 SHIBUTAMI, “Hanazono…”, p. 138. 108 TAFT, “Dashing into…”, p. 191.
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ricoperte di specchi che sullo strato d’acqua che ricopre il pavimento.109 La stanza è
accessibile tramite una pedana posta al centro dalla quale è possibile immergersi appieno nell’atmosfera eterea creata da Kusama, la quale rimanda alla vastità dell’universo e di nuove galassie pronte per essere esplorate.
The Souls of Millions of Light Years Away presenta i temi di ripetizione e obliterazione
cari all’artista, ma in questa installazione, come per la precedente, sembrano abbandonare le connotazioni negative che avevano un tempo. A questo proposito è interessante riportare l’analisi condotta da Dailey, la quale dopo aver visto dal vivo l’opera la descrive come diversa dalle altre visitate110; Dailey pone l’enfasi sul concetto di possibilità, e su
come da questa installazione emerga un senso di rinascita e ottimismo per il futuro.111
Questa nuova consapevolezza può essere quindi ritrovata in tutte le opere realizzate dopo gli Anni Settanta, nelle quali Kusama è riuscita a giungere a una sua personale maturazione artistica.
Dalle analisi condotte in questi paragrafi, basate sulla relazione tra arte e nevrosi e sui derivanti temi di ossessione e ripetizione, possiamo quindi estrapolare due tratti distintivi dell’arte di Kusama. La prima vede, nel percorso artistico di Kusama, una stretta correlazione tra disturbi psichici e arte, la quale si delinea inizialmente come self-therapy per alleviare i propri disturbi, ma diventa nel periodo newyorkese dell’artista sia causa che cura delle proprie nevrosi, abbandonando così parzialmente il concetto terapeutico che la caratterizzava. Infine, concetti come ripetizione, ossessione e obliterazione sono stati sempre presenti ma negli Anni Settanta, probabilmente grazie anche alle cure a cui Kusama ha deciso di sottoporsi, assumono un nuovo significato. Se prima il concetto di
self obliteration portava con sé un’accezione negativa, ora l’obliterazione è da intendersi
come occasione per rendersi parte del tutto ed esplorare le infinite possibilità di The Souls
of Millions of Light Years Away, o per creare mondi immaginari e idealizzati caratterizzati
da un vero e proprio inno alla vita, come nel caso dell’installazione Hi Konnichiwa
(Hello!).
109 David DABLO, “Yayoi Kusama and her “Infinity Mirrored Rooms” at The Broad Museum”, in
Medium, 30 marzo 2018, https://medium.com/@thedaviddablo/yayoi-kusama-and-her-infinity-mirrored-
rooms-at-the-broad-museum-b309ebf993b1, ultimo accesso 01/12/19.
110 DAILEY, Yayoi…, p. 28. 111 DAILEY, Yayoi…, p. 29.
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