L’alimentazione e gli stili di vita sono fondamentali per la prevenzione delle malattie croniche e degli effetti collaterali che possono infliggere i farmaci assunti.
In campo oncologico i dati indicano come l’adozione di stili di vita corretti renda possibile evitare quasi un caso di tumore su tre.
Correlando, infatti, le cause della malattia con l’alimentazione le attuali revisioni sistematiche della letteratura scientifica ci indicano come esista una relazione ben precisa tra alimentazione e tumori.
Uno degli scopi del progetto è stato quello di tenere sotto controllo un complesso di fattori di rischio, noto come sindrome metabolica.
Essa espone il paziente a patologie diabetiche, cardiovascolari, epatiche e a un maggior rischio di recidiva. E' considerata uno stato pre-clinico per tutte le patologie cronico-degenerative, tra cui quelle cerebrovascolari e i tumori.
Tali patologie, in Italia, secondo l'ultimo rapporto ISTAT, rappresentano le maggiori cause di mortalità (nel 37% dei casi la mortalità è dovuta alle malattie cardio- vascolari, nel 28% ai tumori).
La riduzione dei fattori di rischio che determinano la SM, come il grasso a livello addominale, i trigliceridi alti, il colesterolo HDL basso, la pressione arteriosa e la glicemia elevata, non solo sono fondamentali nella prevenzione primaria e terziaria dei tumori, ma riducono tutte le patologie croniche.
La ricerca indica di adottare le stesse strategie nutrizionali e di stili di vita sia per la prevenzione oncologica che per la prevenzione delle principali patologie cronico- degenerative.
Pertanto le linee guida per la prevenzione oncologica del Codice Europeo Contro il
Cancro sono sovrapponibili al decalogo di raccomandazioni del WCRF e a quelle
della Società Europea di Cardiologia per la prevenzione delle patologie cardiovascolari. Questo è molto importante poichè significa che non abbiamo alimentazioni diverse rispetto alle patologie da prevenire, ma che esiste un solo stile alimentare utile alla prevenzione.
Altro obiettivo è stato quello di affiancare i pazienti nel delicato momento della malattia, cercando di trasferire loro le conoscenze scientifiche per un corretto stile alimentare che possa migliorare la qualità di vita, essere coadiuvante nella terapia oncologica, ridurre il rischio di recidiva.
Il ciclo di incontri del progetto, prima a cadenza quindicinale, poi settimanale, si è svolto all'interno della sala riunioni del reparto di Oncologia: la Nutrizionista Dott.ssa M. Chiara Bassi, referente per la provincia Mantovana del conclusosi progetto Diana 5, insieme alla Psicologa e Psicoterapeuta dell' ASST di Mantova, Dott.ssa Chiara Iridile, hanno accompagnato il gruppo di pazienti e i loro famigliari, in questo percorso conoscitivo.
I partecipanti al progetto sono stati informati sulle raccomandazioni della ricerca scientifica per la prevenzione dei tumori e sulla letteratura corrente.
Unitamente all'informazione scientifica sul tema della corretta alimentazione, è stata fornita un'attività di counselling nutrizionale.
L’attività di counselling è definita dalla British Association for Counseling come: «uso della relazione abile e strutturato che sviluppi l’auto-consapevolezza,
l’accettazione delle emozioni, la crescita e le risorse personali. Il counseling può essere mirato alla definizione e alla soluzione di problemi specifici, alla presa di decisioni, ad affrontare i momenti di crisi, a confrontarsi con i propri sentimenti e i propri conflitti interiori e a migliorare le relazioni con gli altri. Il ruolo del counselor è quello di facilitare il lavoro del cliente in modo da rispettarne i valori, le risorse personali e la capacità di autodeterminazione».
La Task Force statunitense per la prevenzione ribadisce che l’intervento deve procedere attraverso il percorso delle 5 A (Assess, Advise, Agree, Assist, Arrange), per conoscere le abitudini alimentari e consigliarne una modificazione conseguente. Gli interventi comunicativi, della Nutrizionista e della Psicologa, durante gli incontri di gruppo, sono tesi a potenziare la conoscenza e la consapevolezza dei partecipanti
sull'utilizzo delle proprie risorse per affrontare i problemi: l'assetto è ben lontano da un intervento educazionale spesso direttivo.
I pazienti, stimolati da adeguate domande, sono stati aiutati a gestire le informazioni necessarie e, attraverso un ruolo attivo, hanno offerto le informazioni di cui già disponevano, hanno potuto riflettere sui tentativi di cambiamento dello stile alimentare già condotti, sugli insuccessi e sulle piccole conquiste, hanno espresso i loro dubbi e le loro difficoltà. E' il primo passo per iniziare a parlare di possibili strade da percorrere e rappresenta un piccolo movimento dall’impossibile al possibile.
Essere aiutati nel vedere i piccoli progressi, nel valorizzarli e soprattutto nel rendere consapevoli i pazienti della presenza di risorse proprie è lo stimolo iniziale al percorso di cambiamento.
L'obiettivo, di ipotizzare e intravedere possibili e concreti percorsi di cambiamento, non è scindibile dalle relazioni interpersonali dei pazienti: la persona appartiene e si relaziona a sistemi e contesti differenti, come quello famigliare, quello lavorativo e quello sociale; unitamente a una cultura e una tradizione che danno valore alle relazioni e alle comunicazioni che le persone si scambiano.
Pertanto il coinvolgimento del sistema famiglia nell'intervento di counselling, per il cambiamento verso uno stile alimentare corretto, è molto importante (Pignone 2003). 3.2 Materiali e metodi:
Sono stati somministrati due tipologie differenti di questionari alimentari, uno dedicato ai partecipanti al primo incontro, l'altro ai partecipanti agli incontri successivi al primo.
L’obiettivo era valutare lo stile di vita prima di iniziare gli incontri e dopo al fine di capire l’efficacia di tale intervento. I partecipanti agli incontri sono state quasi tutte donne operate all'interno dell'Ospedale "C. Poma" di tumore alla mammella.
In Provincia di Mantova ogni hanno vengono diagnosticati circa 300 casi di tumore alla mammella, in linea con l'andamento epidemiologico nazionale e circa il 20% delle donne operate subisce recidive e metastasi con prognosi infausta.
Ai partecipanti è stato offerto il libro "Salute e tradizione: ricette di famiglia per
vivere in salute", con prefazione di: Dott.ssa Emanuela Anghinoni, direttrice del
dipartimento di prevenzione medico ASL di Mantova; Dott. Marco Chiesa, responsabile servizio igiene, alimenti e nutrizione ASL di Mantova; Dott.ssa Maria Chiara Bassi. Nel libro sono raccolte ricette tradizionali mantovane "povere ma buone" e tradotte "ricette ricche" rendendole povere. Si è cercato di trovare un giusto compromesso tra gusto e salute per riuscire ad unire due momenti: quello del piacere a tavola e quello della salute negli anni. Le ricette sono state raccolte e rielaborate dalle 83 donne mantovane partecipanti al progetto multicentrico DIANA5 (dieta e androgeni).
E' stato redatto un opuscolo informativo con suggerimenti alimentari utili a contrastare gli effetti collaterali delle terapie oncologiche quali chemioterapia e radioterapia che riporto a fine capitolo.
3.3 Risultati:
Sono stati raccolti: 17 questionari compilati dai pazienti partecipanti per la prima volta agli incontri e 15 questionari compilati dai pazienti che avevano già partecipato ad altri incontri.
Alla domanda "Quale motivo ti ha portato a seguire questi incontri?", in sette hanno dichiarato di aver richiesto di poter partecipare, sei pazienti sono state consigliate dal medico curante o da amici e famigliari (5). Solo due hanno riportato di partecipare per perdere peso. Quasi tutti (16/17), ritengono utili gli incontri ed altrettanti di aver ricevuto informazioni chiare.
Sette pazienti ritengono che lo stile alimentare sia abbastanza differente da quello consigliato, quattro lo ritengono molto differente e solo due poco.
Rispetto al seguire il nuovo stile alimentare, la maggior parte dei pazienti (11/17), pensano che occorrerà tempo ma riusciranno ad ottenere la modifica dello stile alimentare, in due lo ritengono semplice e in due difficile.
Secondo i pazienti, le principali difficoltà nel cambiare le abitudini alimentari, saranno principalmente: fare la spesa, reperire gli ingredienti e le materie prime per cucinare, troppo tempo per la preparazione dei piatti e cucinare menù diversi per se stessi e per la propria famiglia.
Nel secondo questionario, la maggioranza delle persone hanno dichiarato che preparare menù diversi e cambiare il modo di cucinare sono le maggiori difficoltà riscontrate, solo uno ha ritenuto difficoltoso fare la spesa e reperire gli ingredienti per le nuove ricette. Per la maggior parte (11/15) è risultato difficoltoso mantenere le nuove abitudini alimentari nel mangiare fuori di casa. Inoltre risulta che non sia necessario molto sacrificio per seguire la nuova alimentazione ma che comunque sia difficile cambiarla; anche se, dai risultati del secondo questionario, è emerso che la nuova alimentazione ha influito positivamente sullo stile di vita di 11 pazienti su 15. Di seguito i grafici che sintetizzano gli ulteriori risultati.
Questo grafico dimostra come le pazienti vedano il cambiamento alimentare proposto come un intervento a lungo termine.
Di seguito riporto alcuni grafici che illustrano le abitudini alimentari delle pazienti, commentandone i dati anche in riferimento ai risultati provenienti dal secondo questionario, somministrato ai pazienti agli incontri successivi al primo.
La legenda serie 1 e 2, si riferisce rispettivamente al questionario proposto la prima volta e a quello proposto in seguito
Oltre ai risultati di questo grafico, la maggior parte delle pazienti (14/17) dicono di non consumare bevande zuccherate (o con edulcoloranti) e quasi tutte (16/17) sono consapevoli che sia preferibile non consumare sciroppo di glucosio-fruttosio contenuto in biscotti, prodotti da forno, merendine….
Se dal grafico si deduce che la maggior parte delle partecipanti al primo incontro mangi salumi durante la settimana, dai risultati del secondo questionario si evince che la maggior parte dei partecipanti (12/15) ha dichiarato di aver evitato/limitato il consumo di insaccati durante la settimana.
La maggior parte dei partecipanti, al primo incontro, mangia carne rossa almeno una volta a settimana. Dai risultati del secondo questionario si evince che la maggior parte dei partecipanti (10/15) abbiano ulteriormente limitato il consumo di carne rossa.
La maggior parte dei pazienti (13/17), al primo incontro, mangia abitualmente dalle due alle tre porzioni di verdura al giorno.
Dal grafico si evince che la maggior parte dei pazienti, al primo incontro, consumano da 1 a 3 porzioni di frutta al giorno.
Dal grafico si evince che quasi tutti i pazienti, al primo incontro, mangiano da 1 a due volte pesce nella settimana.
Grafico A Grafico B
Confrontando i dati emersi dai due questionari si evince che: due persone, al primo incontro, non mangiavano mai legumi durante la settimana (mostrato nel grafico A sovra stante), mentre, agli incontri successivi, quasi tutti hanno introdotto nella loro dieta legumi almeno 1-2 volte a settimana (mostrato nel grafico B sovrastante).
Solo sei persone, al primo incontro, consumano sempre cereali integrali nell'arco della settimana.
In misura eguale, i pazienti, al primo incontro, consumano pane integrale o di semola di grano duro oppure piane bianco.
Dal grafico si evince che la maggior parte dei pazienti (11/17) al primo incontro consuma una volta alla settimana le patate.
Grafico A
Grafico B
I dati del primo incontro sovra rappresentati nel grafico A, dimostrano che almeno 8 pazienti, su 17, mangino piatti pronti/prodotti confezionati-industriali nella settimana; mentre i dati in riferimento agli incontri successivi al primo, grafico B, hanno rivelato che tutti i pazienti ne hanno limitato il loro consumo.
Tutti i pazienti al primo incontro hanno dichiarato di usare abitualmente olio evo per condire. Il paziente che ha espresso di utilizzare l'olio di semi, ha specificato che lo usa raramente e predilige l'utilizzo dell'olio extravergine di oliva.
Dai dati del secondo questionario infine, è emerso che 12 pazienti, su 15, hanno evitato il consumo di latte (su consiglio della Nutrizionista) ed hanno suggerito come azioni utili al progetto: corsi di cucina per imparare anche la pratica e l'uso corretto degli ingredienti, hanno richiesto in particolare ricette di dolci maggiormente salutari, che siano alternativi a quelli tradizionali, ricette con cereali integrali e la creazione di un sito web che possa aggiornarli costantemente sul tema.
3.4 Osservazioni:
Dall'analisi, dall'elaborazione e dal raffronto dei dati raccolti dai due questionari, è emerso che:
I pazienti vedono il cambiamento alimentare proposto come un intervento a lungo termine: al primo incontro 10 partecipanti ritenevano che il cambiamento dello stile alimentare fosse limitato al tempo di cura, mentre agli incontri successivi, tutti i partecipanti erano concordi nell'affermare che fosse per un lungo periodo dopo la cura o per tutta la vita e, nessuno, per il periodo limitato al tempo della cura.
In accordo alle raccomandazioni del WCRF "limitare il consumo di carni rosse ed
evitare il consumo di carni conservate"; dai dati provenienti dai questionari raccolti,
si deduce che:
• la maggior parte dei partecipanti (10/15), ha limitato il consumo di carne rossa, rispetto ai partecipanti al primo incontro che avevano riportato di mangiare carne rossa almeno 1 volta a settimana (10/17), 2 volte (2/17), 3 o più volte (1/17)
• la maggior parte dei partecipanti (12/15) ha evitato/limitato il consumo di carni conservate, rispetto ai partecipanti al primo incontro che avevano affermato di consumare salumi ed insaccati almeno 1 volta a settimana (8/17), due volte (4/17), 1 volta o più (1/17).
In accordo alla raccomandazione del WCRF "basare la propria alimentazione
raffinati e legumi in ogni pasto e un'ampia varietà di verdure non amidacee e di frutta", dai dati provenienti dai questionari raccolti, si deduce che:
• solo sei persone (su 17), al primo incontro, consumano sempre cereali integrali nell'arco della settimana. Sebbene non sia stato valutato il cambiamento alimentare nel merito, durante i colloqui si è cercato di promuoverne il consumo e, il fatto che molti pazienti abbiano specificatamente richiesto ricette nuove su come cucinarli, lascia pensare ne abbiano implementato il loro utilizzo. Per ridurre il consumo di pane bianco ad alto indice glicemico (IG) e incentivare il consumo di cereali integrali, si è raccomandato l'utilizzo di pane integrale o di semola di grano duro (tipo Altamura).
• due persone (su 17), al primo incontro, non consumano mai legumi durante la settimana, mentre agli incontri successivi, quasi tutti (13/17), hanno introdotto nella loro dieta i legumi almeno 1-2 volte a settimana. I dati provenienti dal primo questionario, circa l'assunzione del numero di porzioni di verdura al giorno, sono abbastanza positivi: la maggior parte delle pazienti (13/17), hanno riportato di assumerne 2-3 porzioni, queste sarebbero adeguate sebbene i limite dello studio sia stato quello di non poter stimare la grammatura assunta.
Dai dati del primo questionario, si evince che il numero di pazienti a non mangiare mai le patate nella settimana è troppo basso (4/17) e che la maggior parte ne consumi almeno una volta: per sostituire le patate è stata consigliata la batata (ipomoea
batatas L.), conosciuta anche come patata dolce. Essa non ha nessun legame con le
patate comuni (appartiene alla fam. delle Convolvulaceae e non delle Solanacea) e, oltre alle sue proprietà nutrizionali è nota anche per il suo basso IG.
• per quanto concerne il numero di porzioni di frutta al giorno, durante gli incontri, non è stato promosso un aumento del suo consumo. Infatti, circa metà delle pazienti ha riportato di assumere 2-3 o più di tre porzioni al giorno: considerando che la frutta ha un'alta concentrazione di fruttosio (si
rimanda per approfondimento al paragrafo 1.3, primo capitolo), è stato
consigliato di non superare le due porzioni giornaliere (200 g/die).
E' stato inoltre promosso il consumo di pesce nella settimana, specie di pesce azzurro, particolarmente ricco di omega-3 e acidi grassi polinsaturi, con attività anti- infiammatoria. Al contrario, è stato consigliato di evitare l'assunzione di latte vaccino, sostituendolo con bevande vegetali (avena, farro, soia etc), per ridurre i fattori di crescita (IGF1) e l'assunzione di proteine del latte, di stimolo per i fattori infiammatori.
In accordo alla raccomandazione del WCRF "limitare il consumo di alimenti ad alta
densità calorica ed evitare il consumo di bevande zuccherate", dai questionari
raccolti si deduce che:
• tutti i pazienti hanno limitato il consumo settimanale di piatti pronti/prodotti confezionati/industriali, questo cambiamento è del tutto positivo: infatti, questi alimenti, contengono elevate quantità di zuccheri e grassi e sono ad alta densità calorica.
• la maggior parte dei pazienti (14/17) al primo incontro, dicono di non consumare bevande zuccherate (o con edulcoloranti) e quasi tutte (16/17) sono consapevoli che sia preferibile non consumare sciroppo di glucosio- fruttosio o fruttosio.
Considerato che la maggior parte dei partecipanti (12/17) consumano settimanalmente, ed alcuni giornalmente, dolci con lo zucchero, sono state proposte ricette che potessero soddisfare "il bisogno di qualcosa di dolce" con qualcosa di più salutare.
Visto che tutti i pazienti usano olio evo per cucinare e/o condire, non è stata suggerita alcuna modifica in tal senso, se non consumarlo con moderazione e prediligere possibilmente olio evo che sia di buona qualità e spremuto a freddo. 3.5 Discussione:
Lo scopo principale di questi incontri è stato quello di diffondere maggior consapevolezza di una buona e sana alimentazione nei pazienti in prevenzione terziaria oncologica; a loro occorre fornire gli strumenti pratici e teorici nel superare le difficoltà del processo di cambiamento delle abitudini alimentari.
Cambiare costa fatica e non esiste la "modalità migliore": ogni persona è unica e uniche sono le relazioni che la contraddistinguono nel suo ambiente famigliare, sociale e lavorativo.
La disponibilità al cambiamento è stata riscontrata in tutti i pazienti che hanno partecipato agli incontri.
Occorre sottolineare però che: tre pazienti hanno partecipato agli incontri una sola volta, cinque vi hanno partecipato 2/3 volte e poi hanno abbandonato ed una anche se convocata non ha partecipato al progetto.
Quest'ultima, a priori, ha rifiutato il processo di cambiamento.
Il modello degli stadi del cambiamento di Prochaska e Di Clemente è il modo in cui le persone si muovono nei processi decisionali che portano a cambiamenti nella propria vita quotidiana: è come se si muovessero attraverso una serie di stadi che vanno dalla precontemplazione (quando non si pensa di cambiare) al mantenimento (quando il cambiamento diventa stile di vita). Entrano allora in gioco due fattori: l’importanza – perchè dovrei cambiare? – e la fiducia – come farò? – che modulano i tempi di passaggio attraverso i vari stadi e che devono essere tenuti in conto dai professionisti poichè i pazienti che hanno gradi diversi di disponibilità al cambiamento hanno bisogni diversi e non necessitano dello stesso tipo di aiuto. Per questo è importante un accompagnamento durante tutto il percorso di cambiamento.
I processi sono meccanismi personali che permettono all'individuo di progredire da uno stadio ad un altro e, quindi, di cambiare: insuccessi, tentativi falliti o imprevisti possono far retrocedere l'individuo da uno stadio a quello precedente.
E' fondamentale l’introduzione nel modello della possibilità di considerare le azioni non andate a buon fine non meramente come ricadute o fallimenti, ma come opportunità di ulteriore apprendimento; inoltre è necessario accompagnare e non abbandonare le pazienti, concentrando l’attenzione sulle buone abitudini intraprese favorendone il loro mantenimento.
Il cambiamento deve essere un processo graduale: chi stravolge il suo stile di vita nel primo mese, perchè ha sentito che è importante cambiare le cose, poi nel lungo periodo non regge.
Il nostro cervello ci evoca bei ricordi di fronte a determinati cibi e abitudini e questo consiglia un cambiamento graduale che il nostro organismo e soprattutto il nostro cervello è in grado di accettare.
Lo stile alimentare proposto non è restrittivo e limitante, evita la colpevolizzazione della deroga ma si propone di scindere l'ordinario dallo straordinario.
Ciò che si mangia quotidianamente deve essere diverso da quello che si mangia nelle occasioni di festa o conviviali: non può essere Natale tutti i giorni.
Il cibo non può e non deve essere da “ammalati”, esso rievocherebbe la malattia, la sofferenza, limitando il cambiamento al periodo di cura; mangiare deve essere un processo spontaneo semplice e naturale.
Offrendo questi spunti di riflessione, si è cercato di scindere il percorso del cambiamento dello stile alimentare dalla malattia. Il concetto di dieta come intervento è superato, perciò occorre offrire consigli pratici per apprezzare cibi diversi imparando a conoscerli e cucinarli ogni giorno. Lo scopo è proporre del cibo innanzitutto buono, poi salutare, che possa far parte dell'alimentazione quotidiana per tutti i membri della famiglia.
Solo due pazienti però si sono presentate agli incontri con altri membri della loro famiglia, ciò è un aspetto negativo poichè il cambio di stile di vita non appare come percorso condiviso.
La totalità dei pazienti è di genere femminile, il solo uomo contattato ha delegato la moglie agli incontri (!).
La cucina è considerata tradizionalmente come luogo di attività prevalentemente femminile. Sarebbe auspicabile, anche se spesso difficile, che sia il malato a cucinare, per acquisire consapevolezza di ciò che mangia, ma spesso sono le donne che si fanno carico di cucinare menù diversi e di spendere più tempo nella spesa. E' la donna che cucina per chi è in terapia (se stessa o un famigliare), diversamente dagli altri membri della famiglia: non si condivide più il desco.
Questo risulta senz’altro come aspetto negativo, spesso vissuto come transitorio e