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C OERENZA E RESPONSABILITÀ NEL PERCORSO ESISTENZIALE E INTELLETTUALE DI E DITH S TEIN

Nel documento www.sfi.it Registrazione: ISSN 1128-9082 (pagine 160-169)

LE GRANDI QUESTIONI DELLA VITA NEL PENSIERO FEMMINILE

3. C OERENZA E RESPONSABILITÀ NEL PERCORSO ESISTENZIALE E INTELLETTUALE DI E DITH S TEIN

Michele Della Puppa

Sono tanti gli aspetti della vita e del pensiero di Edith Stein su cui merita indagare, dato il carattere poliedrico dei suoi interessi (filosofici, teologici, religiosi).

Dal punto di vista strettamente filosofico si è inserita nella corrente del pensiero fenomenologico, il cui fonda-tore è il filosofo tedesco Edmund Husserl, sviluppandolo in maniera originale per approdare al concetto di empa-tia.

Fondamentale è stato l’incontro con la metafisica di Tommaso D’Aquino e il personalismo di J.Maritain

Tra i numerosi scritti teologici e religiosi merita ricordare l’ultimo, Scientia Crucis, studio su San Giovanni della

Croce rimasto incompiuto e pubblicato dopo la sua morte, da cui emerge chiaramente l’approdo al misticismo

della Stein, che nel mistero della croce, che si manifesta attraverso il dolore, la sofferenza, la morte, riconosce la via maestra che riconduce il cristiano a Dio.

Ma, come sottolinea Angela Ales Bello (la maggiore studiosa italiana di Edith Stein), da un’attenta rilettura dei suoi scritti religiosi emerge anche una chiara anticipazione di quegli orientamenti che si affermeranno vent’anni dopo nel Concilio Vaticano 2°. Edith Stein quindi anticipatrice del Concilio? La risposta, come avremo modo di ve-rificare nel corso della relazione , non potrà che essere affermativa, soprattutto se prendiamo in considerazione le sue prese di posizione chiaramente controcorrente anche rispetto ad alcune posizioni ufficiali della Chiesa del tempo.

Il suo percorso esistenziale

Ci soffermeremo innanzitutto sulla sua vita, percorreremo i momenti più significativi della sua breve parabola esistenziale, il cui valore è andato oltre le dimensione filosofica come dimostra il processo di beatificazione porta-to a termine da Giovanni Paolo 2° nel 1992. Vi è un filo diretporta-to che lega la sua vita segnata da eventi drammatici, da scelte radicali e controcorrente e il suo pensiero, la sua elaborazione intellettuale che spazia in ambiti diversi, dalla filosofia, all’antropologia e alla teologia. È questo stretto rapporto tra vita e pensiero in Edith Stein che cer-cherò di mettere in luce in questa breve relazione.

Edith Stein nasce a Breslavia, allora Wroclaw, nella Germania orientale il 12 ottobre 1891, ultima di una fami-glia di undici figli di ebrei osservanti, il padre morì subito dopo la sua nascita. Nella prima gioventù, nonostante la profonda fede ebraica della madre, si allontana dalla fede religiosa per approdare, come lei stessa ebbe modo di affermare, verso l’ateismo.

Particolarmente brillante negli studi, inizia l’università a Breslavia dove ha l’opportunità di leggere una delle opere chiave di Edmund Husserl, allora professore all’università di Gottinga, Logische Untersunchungen (Ricerche Logiche). Affascinata dal suo pensiero si trasferisce a Gottinga; riconosce nella fenomenologia un metodo rigoro-so, capace di andare al nucleo essenziale delle questioni da affrontare. Guidata da tale metodo inizia in lei un pro-cesso di maturazione religiosa che la porta, attraverso la lettura di Teresa D’Avila, ad accostarsi al cristianesimo. Nel 1922 chiede il battesimo. Significativo il fatto che a farle da madrina è l’amica Hedwing, protestante, a dimo-strazione del fatto che la sua è stata una scelta assolutamente libera e consapevole e anche controcorrente.

Dirà un giorno Husserl, parlando della conversione di Edith Stein: “in lei tutto è autentico…ma, in fin dei conti,

c’è, in fondo a ogni ebreo, un assolutismo e un amore del martirio”. Ma è anche una scelta controcorrente perché

la pone per certi aspetti in contrasto con la mentalità allora dominante nel mondo ebraico, espressa dalle lapida-rie parole di Franz Rosenzweig: “divenendo cristiani non si è più ebrei, si è cessato completamente di esserlo.

An-zi… in verità non lo si è mai stati, altrimenti la viva appartenenza alla comunità sinagogale non avrebbe reso pos-sibile il passaggio al cristianesimo”. La madre di Edith infatti non accetterà mai che la figlia, che pur continuava a

frequentare con lei la sinagoga, si fosse convertita al cristianesimo, lo riteneva un tradimento, un rinnegare i beni più cari: il proprio popolo, la propria religione. A distanza di tempo la nipote di Edith, Susanne Batzdorff,

scrive-rà:”diventando cattolica nostra zia aveva abbandonato il suo popolo; il suo ingresso in convento manifestava di

fronte al mondo esterno una volontà di separarsi dal popolo ebreo”.

In realtà ricevere il battesimo non significa in alcun modo per Edith Stein rompere con il mondo ebraico, ella stessa afferma: “quando ero ragazza di 14 anni smisi di praticare la religione ebraica e per prima cosa, dopo il mio

ritorno a Dio, mi sono sentita ebrea”.

La conversione al cattolicesimo, avvenuta con il battesimo, non solo non segna alcun distacco dall’ebraismo, ma piuttosto segna una nuova riscoperta della propria ebraicità.

Dal punto di vista filosofico la sua conversione non comportò un rifiuto della fenomenologia, anzi pensò sem-pre a conciliare fenomenologia e teologia cristiana. Essa stessa ebbe modo di riconoscere: “… di Husserl si deve

dire che per il modo in cui si è diretto alle cose stesse ha insegnato a comprenderle intellettualmente in tutta la lo-ro forza. Ha liberato la conoscenza dall’arbitrio e dalla superbia ha condotto ad un atteggiamento conoscitivo semplice ed umile”.

Dopo un intenso periodo di insegnamento in istituti religiosi e università statali, nel 1933 viene privata della cattedra a causa delle leggi antisemite; successivamente chiede di essere ammessa nel Carmelo di Colonia dove prende il nome di Teresa Benedetta della Croce. Anche nel convento continua la sua attività filosofica e nel 1936 è pronta per le stampe la sua più importante opera filosofica: Essere finito e Essere eterno. Opera che non riesce a pubblicare. Dato il clima antisemita, nessuna casa editrice in Germania osava ospitare l’opera di un’ebrea.

Il 12 aprile 1933 Edith Stein consapevole della pesante persecuzione che si stava abbattendo sul popolo ebrai-co, decide di scrivere una lettera a Pio XI, lettera che è stata resa nota solo nel 2003, chiedendo espressamente un intervento diretto del Papa contro l’antisemitismo. Riportiamo alcuni passi particolarmente significativi in cui Stein arriva a denunciare il silenzio complice di alcuni ambienti ecclesiastici. Riferendosi alle leggi antisemite ema-nate dal regime nel 1933, afferma nella missiva: “… da settimane siamo spettatori in Germania di avvenimenti che

comportano un totale disprezzo della giustizia e dell’umanità, per non parlare dell’amore del prossimo. Per anni i capi del nazionalsocialismo hanno predicato l’odio contro gli ebrei. Ora che hanno ottenuto il potere e hanno ar-mato i loro seguaci, raccolgono i frutti dell’odio seminato… questo boicottaggio, che nega alle persone la possibili-tà di svolgere attivipossibili-tà economiche, la dignipossibili-tà di cittadini e la patria, ha indotto molti al suicidio. Sono convinta che si tratti di un fenomeno generale che provocherà molte altre vittime. Ma se la responsabilità ricade in gran parte su coloro che li hanno spinti a tale gesto, essa ricade anche su coloro che tacciono…. L’idolatria della razza e del potere dello stato con la quale la radio martella quotidianamente le masse, non è un’aperta eresia? Questa guerra di sterminio contro il sangue ebraico non è un oltraggio alla santissima umanità del nostro Salvatore?...noi tutti che guardiamo all’attuale situazione tedesca come figli fedeli della Chiesa, temiamo il peggio per l’immagine mondiale della Chiesa stessa, se il silenzio si prolunga ulteriormente. Siamo anche convinti che questo silenzio non può alla lunga ottenere la pace dall’attuale governo tedesco”.

Nel 1938 la situazione in Germania precipita a tal punto che il Carmelo non offre più alcuna garanzia di sicu-rezza. Edith, assieme alla sorella Rosa (anch’essa convertitasi al cattolicesimo) cerca rifugio in Olanda, nel carmelo di Echt. Qui si accosta agli scritti di san Giovanni della Croce ed inizia il saggio Scientia Crucis, rimasto incompiuto e pubblicato dopo la sua morte.

Nel 1940 l’Olanda viene invasa dalle armate tedesche per cui cessa di rappresentare un rifugio sicuro. Nel 1942, per rappresaglia contro i vescovi olandesi che avevano pubblicato un documento di condanna della perse-cuzione antisemita, viene arrestata assieme alla sorella Rosa dalla Gestapo e deportate ad Auschwitz e il 9 agosto dello stesso anno mandate alla camera a gas.

Nell’ultima lettera che, da deportata, era riuscita a far pervenire al Carmelo di Echt, scrive “si può acquistare

una scienza della Croce solo se si comincia a soffrire veramente il peso della Croce. Ne ho avuto l’intima convinzio-ne fin dal primo istante, e dal profondo del cuore ho detto: salve o Croce, unica speranza”.

Nel 1998 viene proclamata santa dalla Chiesa.

Nell’intento di ricostruire sinteticamente l’itinerario filosofico e intellettuale non possiamo non riconoscere un’estrema coerenza sia nell’evoluzione del suo pensiero che nel suo metodo; é il metodo fenomenologico che essa eredita dal suo maestro Edmund Husserl.

A questo proposito é interessante il parallelo con Tommaso D’Aquino che ci propone Angela Ales Bello nella sua monografia: come san Tommaso ha preso l’avvio da Aristotele, così Edith Stein, seguendo l’esortazione paoli-na “Esamipaoli-nate tutto e ritenete ciò che è ottimo”, afferma che è possibile andare alla scuola dei Greci e dei moder-ni avendo come criterio di scelta il ritorno alle cose stesse di cui aveva parlato Husserl.

Decisivo quindi, nella sua formazione filosofica, fu l’incontro con la fenomenologia di Edmund Husserl; essa vide in questo orientamento filosofico un pensiero veramente innovativo, una concezione della filosofia come scienza rigorosa.

La fenomenologia rompe con una tradizione filosofica ottocentesca intesa come sistema, come concezione globale della realtà per proporsi come metodo per mezzo del quale accostarsi al nucleo essenziale delle questioni da affrontare.

Attraverso il metodo fenomenologico è possibile giungere all’essenza dei fenomeni, ovvero della realtà così come si da originariamente alla nostra coscienza. Comunque il mondo che noi conosciamo ci è dato attraverso le strutture della soggettività, della nostra coscienza. In questo la fenomenologia si differenzia dall’idealismo otto-centesco che aveva ricondotto interamente la realtà oggettiva alla coscienza, affermando così un dominio assolu-to del pensiero sulla realtà.

Per arrivare al nucleo originario dei fenomeni, alla loro essenza, è necessario procedere alla messa tra paren-tesi (epoché, termine utilizzato da Husserl e ripreso dallo scetticismo greco). Ovvero per tornare alle cose come veramente sono è necessario liberarsi da preconcetti acquisiti e stratificati nella nostra coscienza. Dubitare di tut-to, mettere temporaneamente tra parentesi quella massa di esperienze, ricordi, convinzioni, fantasie che formano ogni soggetto umano.

La ricerca della verità con un metodo d’indagine filosofico capace di andare senza pregiudizi alle cose, connota l’itinerario filosofico di Edith Stein.

Con la riduzione eidetica Husserl intendeva giungere all’essenza originaria della realtà. Il concetto di essenza in Husserl assume un significato diverso rispetto alla metafisica classica: non fondamento della realtà naturale, pro-prietà fondamentale di ogni sostanza, ma ciò che si da originariamente alla nostra coscienza. All’essenza dei fe-nomeni si giunge attraverso un atto intuitivo che non crea e costruisce nulla; dirige semplicemente lo sguardo in-tellettuale su ciò che già c’è, su ciò che si manifesta.

Il fenomeno di cui parla Husserl non ha il senso kantiano di apparenza che richiama la cosa in sé, ma è ciò che si manifesta alla nostra coscienza. Inoltre la riduzione eidetica di Husserl, per quanto presenti delle affinità con il dubbio iperbolico di cartesiana memoria, se ne differenzia nettamente in quanto riconosce una realtà originaria (l’esistenza di un mondo diverso dal nostro io) che non può essere messa in discussione neppure in forma di sup-posizione.

In questo modo per Stein la Fenomenologia va a convergere con la Scolastica “nel respingere ogni arbitrio

soggettivo”, nella convinzione che “quel vedere, che è un ricevere passivo, è l’operazione più propria dell’intelletto nei confronti della quale ogni atto è solo preparatorio”.

Siamo chiaramente di fronte ad un orientamento nuovo e diverso rispetto a quella tendenza soggettivistica che segna e caratterizza il pensiero moderno e contemporaneo e che tende a ridurre l’oggetto al soggetto per af-fermare un dominio assoluto del pensiero sulla realtà.

Ma la Fenomenologia si pone in alternativa anche ad un realismo ingenuo che considera originariamente la nostra coscienza una tabula rasa. Per la fenomenologia il mondo di cui facciamo esperienza, che conosciamo, ci è dato attraverso le strutture della nostra soggettività, ma appare come qualcosa di distinto, di indipendente dalla nostra coscienza che tende quindi a qualcosa di diverso da essa.

Anche la scienza moderna si è accostata alla natura come ad una realtà diversa dalla coscienza, ma nel mo-mento in cui l’ha sottoposta al processo di matematizzazione, secondo Stein, l’ha piegata al dominio del soggetto, ha imposto un abito ideale soggettivo a quanto l’essere umano coglieva a livello percettivo. Invece, secondo il me-todo fenomenologico, ritornare alle cose, alla realtà così come si presenta originariamente alla nostra coscienza ci

permette di distinguere fra ciò che alla nostra coscienza si presenta spontaneamente come realtà ad essa irriduci-bile e ciò che è da essa costruito artificialmente.

Ma l’approccio fenomenologico da Husserl a Stein si pone in alternativa anche all’orientamento ermeneutico quale emerge in Gadamer, per il quale ogni interpretazione della realtà storica possiede già un presupposto inter-pretativo dal quale non ci si può liberare. Da qui al relativismo il passo è breve. Il soggettivismo gnoseologico, nel-le sue varie manifestazioni, genera secondo Stein solo illusioni e inganno. Il metodo fenomenologico, invece, ci permette di evitare tale inganno in quanto ci induce a cogliere ciò che l’evento dice, per mettere in risalto gli a-spetti oggettivi, nella consapevolezza che il nostro sforzo di conoscenza ha dei limiti, per cui non possiamo esauri-re la complessità di significati del fenomeno stesso. Secondo Edith Stein nessuna delle conoscenze umane può es-sere definitiva.

Ma il metodo fenomenologico secondo la Stein ha importanti implicazioni sul piano etico, ci induce infatti a ri-conoscere l’alterità e la sua irriducibilità all’io; nel momento in cui riconosco tale irriducibilità, riconosco nell’altro essere umano un fine e non un mezzo.

Sul problema dell’empatia

Uno dei contributi più significativi dell’elaborazione filosofica della Stein è l’approdo al concetto di empatia quale emerge innanzitutto nella sua dissertazione di laurea: Zum problem der einfulhung (Sul problema

dell’empatia). Un tema, quello dell’empatia, in realtà ripreso da Husserl ma da lui solo accennato.

Con il termine empatia Stein definisce l’atto mediante il quale facciamo esperienza di una coscienza estranea e della sua personalità; tale vissuto non scaturisce dal mio io ma da un altro soggetto, in un certo senso è estra-neo a me in quanto non è il mio vissuto, ma si annuncia a me, si rende manifesto al mio io nella mia esperienza vissuta. “È in questo modo - dice la Stein - che ogni persona coglie la vita psichica dell’altro”. Ma tra il proprio io e l’altro non può mai realizzarsi un’identificazione totale intesa come costituzione di un unico io: l’empatia non po-trà mai diventare unipatia (einfulhung e non einsfulhung), perché vana è la pretesa di cogliere e sperimentare pienamente il vissuto dell’altro.

Per illustrare l’empatia la Stein fa il seguente esempio “un amico viene da me e mi dice di avere perduto il

fra-tello e io mi rendo conto del suo dolore. Che cos’è questo rendersi conto?”

Una caratteristica importante del vissuto empatico consiste nel suo non essere originario quanto al contenu-to, ovvero il contenuto non emerge dal soggetto che empatizza ma si origina in un altro.

Colui che empatizza può giungere a prendere coscienza, a rendersi conto del vissuto dell’altro. Ma cosa signi-fica rendersi conto di un’esperienza vissuta estranea? Si tratta, come sottolinea Ales Bello, di atti esperienziali sui generis. Se qualcuno che incontro prova gioia o dolore, io posso capire cosa sta provando; ma non posso provare la sua gioia o il suo dolore, ma ho un’esperienza vissuta, un Erlebnis dell’una o dell’altro; mi rendo conto di non viverli in prima persona, perciò essi non sono per me originari, ma è originario il sentire che la persona li sta vi-vendo.

Vana quindi è la pretesa di cogliere pienamente l’esperienza dell’altro. L’empatia si realizza solo presuppo-nendo la salvaguardia dell’altro, della sua diversità e quanto ci distingue gli uni dagli altri non può essere solo la nostra corporeità, bensì il nostro vissuto interiore, l’insieme dei sentimenti e degli stati d’animo che accumuliamo, un mondo di valori verso cui indirizziamo la nostra volontà. Questo insieme costituisce quel nucleo individuale che ci rende persone uniche e irrepetibili, totalmente diverse ma capaci di entrare in comunicazione tra di noi.

Non è lecito allora cogliere l’altro, valutarne i suoi vissuti in base alle proprie esperienze, al proprio personale sentire, sarebbe questo un fare violenza sull’altro. L’altro mi dona direttamente la sua immagine prima ancora che io mi arroghi il diritto di costruirla a mia discrezione

Verso il misticismo

Come abbiamo già anticipato all’inizio attraverso un percorso esistenziale, filosofico e teologico, Edith Stein approda al misticismo che emerge in tutta la sua forza nell’ultimo suo scritto rimasto incompiuto e uscito postu-mo: Scienza Crucis. Già nel saggio Essere finito ed Essere eterno aveva accennato alla conoscenza mistica come ad

una conoscenza privilegiata che supera sia l’indagine intellettuale che la fede stessa in quanto ci pone direttamen-te in contatto con Dio. Ci consendirettamen-te di superare la limitadirettamen-tezza della situazione umana, in quanto l’iniziativa è presa direttamente da Dio.

Con queste parole Ales Bello ci introduce al misticismo della Stein:

“…la notte dei sensi è, quindi, la porta stretta che conduce alla vita. Anche la vita psichica subisce un cambia-mento: le passioni sono ridotte al silenzio, emergono solo le virtù: l’umiltà, la rassegnazione, l’obbedienza, e il co-raggio che consente il passaggio alla vita dello spirito. Ma anche qui è necessario attraversare una seconda notte, più buia della prima e più dolorosa, perché si tratta di sottrarre l’anima alla luce della ragione per far posto alla luce della fede… una conoscenza (quella che ci da la fede) dotata di certezza assoluta che sorpassa ogni altro sape-re e ogni altra scienza.

Si tratta allora di morire non solo ai sensi ma alla vita dello spirito, purificando le facoltà spirituali. È l’operazione più difficile perché tocca l’essere umano in quello che ha di specifico: l’intelletto, la memoria, la volon-tà. L’intelletto cede il posto alla fede, come conoscenza oscura, la memoria, che lega l’essere umano al proprio passato e quindi alla propria contingenza, lascia il posto alla speranza non connessa con ciò che dipende da noi e dalle altre creature ma da Dio; la volontà come tensione verso ciò che è limitato, si annulla e si apre alla carità. Si tratta di una seconda crocifissione in cui si salva la propria anima odiandola. Tutto ciò si è realizzato in Cristo che rappresenta per noi l’esempio da seguire”.

Per Edith Stein vivere con Cristo, immedesimarsi a lui significa portare la sua croce; così Edith descrive la sua adesione alla croce: “ chi appartiene a Cristo, deve vivere intera la viva maturità di Cristo, deve finalmente

incam-minarsi sulla via della croce verso il Getsemani e il Golgota. La natura umana che Cristo assunse, gli diede la possi-bilità di soffrire e morire… il dolore e la morte continuano nel suo corpo mistico e in ognuno dei suoi membri”.

Bibliografia di riferimento

Edith Stein, il problema dell’empatia, Milano 1986 Edith Stein, Essere finito e Essere eterno, Roma 1988 Edith Stein, Introduzione alla filosofia, Roma 1998 Edith Stein, La ricerca della verità, Roma 1993

Edith Stein, Scientia Crucis, studio su San Giovanni della Croce, Città del vaticano 1996

Nel documento www.sfi.it Registrazione: ISSN 1128-9082 (pagine 160-169)