• Non ci sono risultati.

Capitolo 3: Interni trecenteschi: testimonianze sulla vita veneziana 57

3.6 Oggetti quotidiani 102

Come abbiamo già avuto modo di vedere, gli inventari utilizzati in questo lavoro come fonte principale, ci forniscono svariate informazioni su tipologie di oggetti diverse. Non sempre, infatti, ci troviamo di fronte a manufatti preziosi, rari, o significativi per ottenere informazioni sul ceto sociale, la vita o il gusto del proprietario.

La maggior parte dei beni censiti appartengono strettamente alla sfera della vita quotidiana, si tratta quindi di oggetti di poco valore, di uso comune, legati unicamente alle necessità.

Spesso, ad una prima analisi, i documenti sembrano presentarci una serie di informazioni non rilevanti per lo studio della cultura veneziana dell’epoca, ma ad una lettura più approfondita ci si rende conto che sono proprio queste tipologie di oggetti a veicolare la nostra conoscenza della vita all’interno dei palazzi.

Se quindi gli oggetti preziosi, rari o artistici contengono un interesse di per sé, l’interesse per questi beni comuni si rivela solamente nel momento in cui si cerchi di ricostruire la funzione di alcuni ambienti non specificati o l’uso di tali oggetti in contesti non consueti.

Barili, pentole e cassoniError! Bookmark not defined. con cibo stagionato265 diventano segnali della presenza di cantine, cucine e dispense, animali266 e attrezzi per il giardino testimonianze per stalle e orti all’interno delle proprietà.

Non è da sottovalutare inoltre la quantità di informazioni che possiamo ricavare dalla registrazione della vendita di tali beni. Sono in molti casi presenti i nomi degli acquirenti, che, come spesso accadeva all’epoca, sono registrati con il nome e la professione, i cognomi infatti, seppure in via di formazione in quest’epoca, non erano ancora in uso specialmente negli strati più bassi della società.

Questi beni se non venduti direttamente a chi ne usufruiva, andavano ad alimentare il mercato dell’usato, nelle mani degli strazzaroli,267 o di artigiani e mercanti al dettaglio che partecipavano alle aste per assicurarsi parte di questi oggetti, i quali,

                                                                                                                         

265 V. appendice, Nicolò Da Carrara. 266 V. appendice, Marco De Inzegneri.   267 V. appendice, Pietro Soranzo.

 

indipendentemente dallo stato di usura in cui si trovavano, venivano probabilmente riadattati, aggiustati, rinnovati o riutilizzati come nuove materie prime e immessi nuovamente nel mercato.

Ecco quindi che diventa importante anche l’inventariazione di abiti, calderoni, pentole o lenzuola rotte, “tristi”, “sbusade”, “tarmade”, “fruade”, o più semplicemente “vechie”. Sovente beni di uno stesso tipo, o utilizzati in uno stesso ambito, sono elencati uno di seguito all’altro, riuscendo a darci quindi anche nel caso di inventari non topografici una seppur parziale indicazione sulla loro appartenenza ad una stanza o ad un’altra.

Primi elementi indicativi per tale suddivisione sono chiaramente i mobili, ad individuare o meno con la loro presenza alcune specializzazioni degli ambienti.

Nel XIV secolo tuttavia non era ancora presente la specificità che si andrà creando nelle epoche successive. Se certamente sono utilizzati per i bisogni di vita primari come dormire, mangiare, sedersi e riporre gli oggetti268, non sempre ogni mobile era creato appositamente per una funzione. In molti casi si trattava di assi, posati su treppiedi, che venivano “montati” solamente nel momento in cui fosse stato necessario, dandoci quindi per l’epoca un’idea di mobile molto più “mobile” rispetto a quanto noi oggi lo intendiamo269.

Adatto a tutte le stanze e a tutti i beni, era il mobile “contenitore”, il più frequente a livello numerico: in ogni ambiente troviamo cofani, cassoni, arzele, scrigni, ecc., variError! Bookmark not defined. sinonimi per una medesima tipologia che non dichiarano particolari differenze se non per quanto riguarda le dimensioni270.

L’utilizzo di differenti materiali non sembra influire sul termine utilizzato; se chasse e chasselle sono prevalentemente di noce, ne troviamo anche esemplari in legno di cipresso e in abete:

[…]Item chaseta I de noxe271

[…]Item caxa Ia granda de antiprexo a ser Nicolo Baxeio272

[…] Item casella Ia dalbedo cum carte dentro273                                                                                                                          

268 A.V. V

ACCARI,Dentro il mobile, Vicenza 1992, p. 3.

269 M. C

OLLARETA,Arredi, suppellettili,decorazioni mobili, in «Arti e storia nel Medioevo. Del costruire: tecniche,

artisti, artigiani, committenti», a cura di CASTELNUOVO E.,SERGI G.,Torino 2003, vol. II, p. 317.

270 P. F

ORTINI BROWN,Behind the walls, in Venice reconsidered, Baltimore 2000, p. 315.

271 V. appendice, Lucia Acotanto. 272 V. appendice, Pietro Soranzo.

 

Una differenza tra cofanoError! Bookmark not defined. e cassone può essere ipotizzata invece sulla base dell’utilizzo dei termini. La compresenza nello stesso “Item” dei due termini sottintende delle differenze, mai esplicitate, che dovevano essere chiare all’epoca.

Nell’inventario di Bertuccio Grimani troviamo per esempio:

item chaxoni e chofany inferadi e chasele verdi274

se per le chasele si può pensare ad un rifermento alla dimensione, più difficile è capire quali caratteristiche distinguevano cassoniError! Bookmark not defined. e cofaniError! Bookmark not defined.. Secondo l’uso corrente il cofanoError!

Bookmark not defined. presenta un coperchio bombato, a differenza del cassone che si

configura come piatto alla sommità.

Al cofanoError! Bookmark not defined. doveva certamente essere riservata un’idea simile a quella di forziere, nella maggior parte dei casi, infatti, il cofano è descritto come ferado, inclodado o cum clave, caratteristiche che, tra i mobili contenitori, condivide solo con lo scrignoError! Bookmark not defined..

I materiali più utilizzati secondo gli inventari per questi mobili sono, come abbiamo visto, il legno di noce e di abete, spesso ricoperti di tessuto, pelliError! Bookmark not

defined., dipinti a tinta unita o con lo stemma di famiglia275.

[…] Item 2 cofani penti inferadi alarma a ser Nicolo Baxeio276 […] Item in un chophano peloso ferado […]277

[…] Io chason de noxe vechio depento dentro278

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                     

273 V. appendice, Donato Contarini. 274 V. appendice, Bertuccio Grimani. 275 M. C

OLLARETA,Arredi, suppellettili,decorazioni mobili...cit., p. 321.

276 V. appendice, Pietro Soranzo, dalla commissaria di Donato Corner.     277 V. appendice, Nicolò Da Carrara.

 

Qualsiasi oggetto poteva essere riposto in questi contenitori, che si configurano come l’unico mezzo per sistemare i beni in modo ordinato, spesso suddivisi in colti, quindi in spazi più piccoli creati con piani verticali.

5. Un cofano ferado cum clave, Andrea da Bologna, Nascita del Battista, Fermo, Pinacoteca. Particolare.

Da quanto emerge dagli inventari raramente i beni erano collocati nei cassoniError!

Bookmark not defined. a seconda del loro utilizzo. Sembra quindi permanere un certo

disordine dato dalla commissitione di oggetti diversi.

Come testimoniato dall’inventario di Andrea Duodo in una stessa cassaError!

Bookmark not defined. potevano essere conservati oggetti diversi, coperteError! Bookmark not defined., strofinacci, bandiereError! Bookmark not defined.,

baciliError! Bookmark not defined., candeleError! Bookmark not defined.:

Se in la dita caxela lenfrascrite coxe

* in prima coltra I de drapo intaiada et I canevaça * coltra I de velexo blanca

* coltra I de velexio blanca

* coltra I de cendado terxe çalo e vermeio * coltra I de çendado a scaioni verde e vermeio * coltra I de velexo vermeio e çalo intaiada * coltra I de velexo çalo e vermeio intaiada * coltra I de velexo a onde

* coltra I de velexo a trexe

* bandiere III e penon I de çendado * soura inxegna I de sarça non complida * bacili VI

* peçi II de doplier de çera279.

Nel caso in cui i contenitori avessero funzioni specifiche, queste vengono descritte in aggiunta al nome generico.

Scrigni e casselle erano usate spesso per contenere documenti e quaderniError!

Bookmark not defined.280, le scatole erano destinate ad oggetti preziosi di piccole

                                                                                                                         

 

dimensioni, gioielli, bottoni, cinture, in un caso anche dei cappucci per il falcone281, in un’eccezione dentro ad una scatola è posta una pentola282.  

Legate al cibo erano invece generalmente le arzele: ne troviamo da farina, cum pan, da buratar, cum legnamen, soloError! Bookmark not defined. in un caso è utilizzata per conservare delle carte283.

Un coffin de carta è segnalato infine tra gli strumenti da orefice di Pietro di Bernadigio284.

Gli armadi erano concepiti in modo diverso dai moderni guardaroba, gli abiti, infatti, di pesante velluto e spesso tagliati, secondo la moda femminile, con evidente sciupio nella lunghezza del materiale, non venivano conservati appesi, ma distesi all’interno dei cassoniError! Bookmark not defined..

Pochi sono gli armari o armaruoli da drapi o da vesti che troviamo solamente negli inventari di Marco De Inzegneri e di Michele Contarini285.

Questo mobile, ricorrente ben 84 volte, è sovente accompagnato dalla descrizione dell’utilizzo molto vario che se ne faceva: inteso spesso come semplice nicchia scaffalata, chiusa da porte lignee286, come nel caso dell’armarol in muro di Marco De Inzegneri, o allo stesso riferimento di un coverclo intaiado d’armarol nell’inventario di Bertuccio da Pesaro, era sentita come una credenza per riporre il vasellame287, ma anche come dispensa per conservare il pane.

La definizione di armer da pan è certamente la più frequente nei documenti in esame. Se nel caso di Marino Magno288 la definizione non lascia spazio a dubbi, potrebbe verificarsi una certa ambiguità tra i termini “pani” e “panni”, facilitata proprio dalla nostra abitudine di legare l’armadio agli abiti.

È a mio avviso da escludere si tratti di un “armadio da panni”, nonostante la vicinanza ortografica delle due parole e il poco frequente raddoppio della consonante nasale all’epoca.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                     

280 V. appendice, Paolo Pasqualigo, Donato Contarini, Alvise Bembo. 281 V. appendice, Pietro Soranzo.

282 V. appendice, Sara Badoer. 283 V. appendice, Franceschino Giuda.   284 V. appendice, Pietro di Bernadigio.

285 V. appendice, Marco De Inzegneri, Michele Contarini.   286 G.V

ALENZANO,Una mirada a la decoració interior d’una residència medieval...cit., p. 161.

287 Si veda l’armer da chusina nell’inventario di Marchesina Boco e l’armario a scudelis di Cristina Pontremolo. 288 V. appendice, Marino Magno, “Item I armarium a pane”.

 

A sostegno dell’utilizzo dell’armadio come dispensa per i pani, e non per i panni, è la descrizione nell’inventario di Nicolò Bocasio dei tre esemplari presenti come:

III armeri de legno lo I con redi de rame da pan289

6. Particolare dell’inventario di Nicolò Bocasio. ASVe, Procuratori di San Marco de Citra, Commissarie, b. 128-129.

In questo caso, “pan” è chiaramente leggibile, reso senza abbreviature, e difficilmente confondibile con un “panni”. Il riferimento inoltre alle reti di rame che suddividevano gli spazi interni del mobile, non lascia, a mio avviso, dubbi sull’impossibilità di un utilizzo di tale spazio per gli abiti, che si sarebbero facilmente impigliati nella rete metallica. Sarebbe stato rischioso quindi appoggiarvi le ricche vesti, di tessuto operato impreziosito da perle e bottoni gioiello, mentre nel caso del pane, la struttura a rete consentiva certamente una più corretta conservazione mantenendo una aerazione costante su tutta la superficie rispetto ad una scaffalatura lignea che ne avrebbe trattenuto l’umidità interna.

Altrettanto frequenti sono gli armeri de rede per i quali non è specificata la funzione, che dobbiamo immaginare simile a quella esplicitata negli armadi da pane.

Interessante è l’utilizzo di armadi per disporre le armi e le armature: in 4 casi abbiamo un armer da arme290, cui vanno avvicinati gli armeri da spade291.

Legati alla devozione privata sono invece gli armaruoli da Sancti, ancora una volta nicchie, contenenti un’immagine sacra, spesso citati come armaroli con anchona.

Item armaruol I° da Sancti cum Ia anchona entro292 Item armarol I cum I ancona293

Non sembra verosimile per questi manufatti l’associazione con polittici in più pannelli richiudibili tramite cerniere, che sfuggono alle rappresentazioni iconografiche, appare

                                                                                                                         

289 V. appendice, Nicolò Bocasio.

290 V. appendice, Bertuccio da Pesaro, Nicolò Miani, Donato Contarini, Pietro Soranzo. 291 V. appendice, Andrea Duodo, Donato Contarini.

292 V. appendice, Marco De Inzegneri. 293 V. appendice, Sara Badoer.  

 

invece più concreto il riferimento a nicchie, simili a quella raffigurata nella scena del Patriarca Bertrando in preghiera, in questi casi richiudibili.

7. Anonimo, Polittico del Patriarca Bertrando in preghiera, particolare. Fine XIV secolo. Udine, Museo dell’opera del Duomo.

Ulteriore interesse, inerente la sfera culturale, ha per noi l’armarol da stuti, non presente in molti esemplari, ma rappresentato negli inventari di Donato Contarini e Pietro Soranzo294.

Non abbiamo testimonianze precise che ci spieghino in cosa consisteva questo armarolo, ma sembra sia anche questa volta una nicchia richiudibile con delle ante, contenente alcuni scaffali per riporre i libriError! Bookmark not defined. e probabilmente un piano dove era possibile scrivere o almeno tenere un codice aperto. Nemmeno l’iconografia ci aiuta nel comprendere le forme e l’utilizzo di questo armadio, che potrebbe essere però simile a quello che si può vedere sullo sfondo della Visione di Sant’Agostino di Guariento.

Nell’affresco appare una struttura lignea scaffalata, certamente contenente alcuni libriError! Bookmark not defined., posati di piatto come di consueto, nella quale è possibile intravedere un piano inclinato, più ampio degli altri, sul quale lo studioso poteva appoggiare i pesanti manoscritti per procedere nella lettura. Dall’arredo dei monasteri deriva infatti l’uso, che si svilupperà anche in ambito laico, di un piano scrittorio unito alla sedia attraverso una pedana comune295, che possiamo vedere ben documentata nella serie dei Domenicani illustri di Tommaso da Modena. Non è possibile sapere se tale tipologia abbia un legame con l’armarol da studi o se venisse più genericamente indicata come tavola o banco, ma certamente doveva essere presente un piano scrittorio soprattutto nei casi in cui troviamo testimoniata l’abitudine di scrivere come nel caso di Alvise Bembo che possiede gli strumenti per scrivere296.

                                                                                                                         

294 V. appendice, Donato Contarini, Pietro Soranzo. 295 M. C

OLLARETA,Arredi, suppellettili,decorazioni mobili...cit., p. 324.  

296 V. appendice, Alvise Bembo: “penarol I da pene da scriver, per I de tolelle de scriver”.

 

8. Guariento, Visione di sant’Agostino, particolare, Padova, Chiesa degli Eremitani. 9. Tommaso da Modena, Domenicani illustri. Niccolò di Rouen, Treviso, Seminario, Sala Capitolare.

Tra i mobili fissi presenti nelle abitazioni, ruolo di rilevo aveva il letto, spesso inserito come primo oggetto negli inventari, risultando, nei casi in cui ne abbiamo indicazione, tra i beni più costosi dell’intera casa.

Particolare è, ai nostri occhi, la completa mancanza di privacy che questo ambiente presentava. Il letto era infatti sentito non soloError! Bookmark not defined. come luogo di riposo, ma anche come luogo di ricevimento, di accoglienza degli ospiti, probabilmente come noi oggi intendiamo il divano.

Il letto padronale viene indicato come “letieraError! Bookmark not defined.” nel caso in cui ci si riferisca alla struttura in legno, che, nei casi in cui è citata, viene descritta non tanto nelle sue forme, quanto nella sua funzionalità.

Alcune letiere sono presenti nell’inventario A di Donato Contarini297 :

Item letiera Ia cum I bancho de II colti […] Item letiera Ia nova […]

Prima letiera Ia da fameia […]

riconoscibili nell’ordine nella vendita registrata nel secondo inventario (B):

Item Ia [altra] letiera a dona Bertuza Contarini cum I banco cum 2 colti davanti lire soldos 2 denariorum 6 grossorum monete

Item Ia altra letiera a ser Francesco Contarini lire soldos I denariorum 4 grossorum 16 monete

Item Ia letiera pizola da fameia a Francesco Furlan lire soldos denariorum 9 grossorum monete.

                                                                                                                         

 

Nel primo caso notiamo registrata la consuetudine di strutturare la letiera con l’annessione di mobili contenitori: ai piedi del letto doveva quindi essere previsto un pancone con due suddivisioni interne per disporre oggetti298, come è frequentemente visibile nell’iconografia coeva. Spesso quindi troviamo cassoniError! Bookmark not

defined., panche o più genericamente tavole a delineare nettamente il perimetro del

giaciglio, anche se non sempre legate direttamente alla struttura lignea, ma semplicemente accostate al letto.

9. Giusto de’ Menabuoi, Nascita di Giovanni Battista, 1380 circa, Padova, Battistero.

Nei documenti in esame non abbiamo in nessun caso la registrazione della decorazione che il letto doveva avere, mancano quindi indicazioni chiare su forme e materiali. Tale lacuna, certamente legata al tipo di fonte utilizzato, non ci permette di comprendere se le strutture riccamente decorate, ben rappresentate nella pittura dell’epoca, fossero destinate solamente alla committenza più elevata o se fossero comuni anche per l’arredo meno ricercato. Ciò che rendeva prezioso il letto, era, come vedremo emergere indiscutibilmente dagli inventari, l’uso di molteplici tessuti d’arredo, preziosi e colorati. Ancora in questo inventario emerge una particolare situazione: nella cucina di Donato Contarini era presente una letiera pizola da fameia.

In cucina quindi dormiva, in un piccolo letto, senza alcuna intimità, una famiglia appartenente alla servitù, che aveva a disposizione:

Prima letiera Ia da fameia Item leto I de tella da fameia Item letesello I da chuna de tella

Item coltra Ia desmembrada da fameya cum tella blava et verde soto.299

                                                                                                                         

298  M. C

OLLARETA,Arredi, suppellettili,decorazioni mobili...cit., p. 320.  

 

La letiera non doveva quindi essere riservata soloError! Bookmark not defined. alla stanza padronale, ma possiamo immaginare che in questi casi fosse molto diversa nelle dimensioni e nella conformazione.

Altre citazioni di questo mobile sono presenti negli inventari di Nicolò Bocasio, Lucia Acotanto e Alvise Bembo, senza aggiungere però informazioni utili alla comprensione dell’oggetto.

In tutti gli altri documenti ci si riferisce al mobile dedicato al riposo semplicemente come “leto”, termine dunque utilizzato spesso sia in riferimento alla parte lignea, probabilmente non molto curata in questi casi, sia al materasso300.

Molti dovevano essere i casi, specialmente nel caso dei familiares, in cui il letto era un semplice materasso posato su un pancone, su tavole, o direttamente sul pavimento. Ogni altra indicazione su questo mobile, riguarda nei documenti solamente la dimensione, che viene fornita in modo generico come “grando” o “pizolo”.

L’aggettivo “piccolo”, unito, come nell’ultimo caso visto, ad un letto utilizzato da più persone, non è quindi da riferirsi, come noi faremmo oggi, ad un letto singolo in contrapposizione ad un letto a più piazze. Il letto destinato soloError! Bookmark not

defined. ad una persona, al di là delle dimensioni, era ritenuto all’epoca espressione di

ricchezza, sinonimo di una ricerca di intimità che solo le classi più agiate e i religiosi potevano permettersi.

Se non ne viene precisata la grandezza, è probabile che i letti siano da intendesi come grossi materassi senza struttura, destinati a più persone, che spesso per guadagnare spazio dormivano in senso opposto, cioè invertendo rispetto al compagno, testa e piedi301.

Non vi sono riferimenti ai materiali utilizzati per imbottire i materassi, probabilmente crine di cavallo o più semplicemente paglia302; soloError! Bookmark not defined. nell’inventario di Alvise Bembo compare un “leto de pluma”, certamente la soluzione più comoda e pregiata.

                                                                                                                         

300 G.V

ALENZANO,Una mirada a la decoració interior d’una residència medieval amb els ulls de Giotto, in «Viure a

palau a l’edat mitjana, segles XII-XV», exposició 16 juliol-19 setembre 2004, Fundació Caixa de Girona,Girona 2004, p. 158.  

301 Au lit au moyen âge, catalogue d'exposition 2011, a cura di D.A

LEXANDRE-BIDON,Paris 2011, p. 16.

302 G.V

 

Non utilizzati nelle case, ma ben rappresentati nei documenti sono i leti da galia, probabilmente delle semplici amache che consentivano il riposo anche durante la traversata in nave303.

Una struttura mobile doveva invece prevedere il leto da cariolla, dalla denominazione forse una brandina su ruote con un materasso, per la quale non è stato possibile trovare alcun riscontro, ma verosimilmente destinata agli infermi, presente negli inventari di Alvise Bembo, Michele Contarini e Pietro Salamon304.

Ai bimbi era riservata la chuna, specialmente i neonati dormivano in un piccolo letto posto a fianco alla madre, simile ad una cesta o ad un’amaca, separato, per evitare che il bambino venisse accidentalmente soffocato, durante la notte, dal peso dei genitori305.

10a e 10b. Tipologie di culla.

A sinistra, Bibbia glossata di Jean de Sy. Francia XIV secolo. Parigi, Biblioteca Nazionale, ms. Fr. 15397. A destra, culla a galia. Simone Martini, Polittico del Beato Agostino Novello e quattro suoi miracoli, particolare,

1325, Siena, Pinacoteca Nazionale, in deposito dalla Chiesa di Sant’Agostino.

Una concezione diversa da quella che noi oggi conosciamo aveva la tavola: raramente questo mobile era infatti in posizione fissa, era di consueto composto da assi su treppiediError! Bookmark not defined. che venivano assemblati al momento del bisogno.

Non ci sono quindi descrizioni particolareggiate della tavola, che quando è nella sua forma stabile si presenta spesso rotonda306.

Mobile o fissa, ha chiaramente tra le sue funzioni peculiari quella di ospitare il pasto, venendo descritta come tola da manzar o desco.

III tole da manzar con III pera de trespiedi307

La sola altra funzione dichiarata è l’utilizzo come appoggio attorno al letto: