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Parlare di “cultura di massa” riferendosi al periodo compreso tra il 1895 e il 1930 a Bologna, richiede senz'altro una premessa perché il termine entra nel vocabolario comune solo successivamente e in generale viene applicato dagli studiosi alla cultura italiana solamente a partire dal 19361. Inoltre il concetto di “cultura di massa” nei nostri ultimi

decenni ha assunto una accezione diversa, perché indica generalmente il periodo seguente alla Seconda guerra mondiale, ovvero un'epoca che porta con sé un insieme di pratiche e usi di gran lunga differenti da quelli che potevano caratterizzare la società italiana d'inizio Novecento. Il periodo qui preso in esame si trova inoltre sovrapposto a quel momento di forte transizione che è fissato tra il 1875 e il 1914, ovvero la cosiddetta “età degli imperi”2, di

passaggio dalla cultura ottocentesca conseguente all'affermazione della borghesia, a una sensibilità contemporanea acquisita attraverso l'esperienza devastante della Prima guerra mondiale. Concordando sulla necessità dell'utilizzo dell'espressione con le dovute cautele, e consapevoli della problematicità del periodo storico in esame, condividiamo però la posizione di Robert W. Rydell e Rob Kroes che ritengono il termine adatto anche per analizzare i cambiamenti della cultura americana – ed europea – di quegli anni perché richiama l'attenzione «sul ruolo fondamentale dell'ideologia per le strutture culturali»3.

Il decollo dell'industria culturale in Italia avviene agli inizi del Novecento e si modella infatti proprio attorno a una serie di convergenze fra industria, finanza e sistema politico italiano4. Leggere lo sviluppo dell'industria cinematografica italiana meramente come uno

strumento del potere politico senza considerarne la logica competitiva, l'intento economico e quello artistico è senz'altro scorretto, ma lo sarebbe anche ignorare come esso si sviluppi assieme alla stampa quotidiana e all'editoria economica, e come l'obiettivo non esplicitamente dichiarato di questa industrializzazione, che ha avuto inizio con il baraccone della fiera e il

nickelodeon, sia la “colonizzazione” delle immagini e dei sogni5. I prodotti culturali anche

1 FORGACS-GUNDLE 2007. 2 HOBSBAWM 20054.

3 RYDELL-KROES 2006, p. 9; sul dibattito americano retrostante l'utilizzo di questo termine rimandiamo anche

alle pp. 8-14.

4 Sul decollo dell'industria culturale italiana e una spiegazione delle motivazioni che inducono a seguire questo

modello rimandiamo a FORGACS 2000.

5 Scrive Edgar Morin: «Sin dagli inizi del XX secolo, il potere industriale ha esteso la sua sovranità sul globo.

Negli stessi anni, la colonizzazione dell'Africa, la dominazione sull'Asia sono un fatto compiuto. Ma ecco che ha inizio, nei baracconi e nei nickelodeon, la seconda industrializzazione: quella che si rivolge alle

agli inizi del Novecento derivano dall'impiego di precisi capitali finanziari (determinati e studiati dagli storici per altre industrie culturali, ma in maniera minore per le case di produzione cinematografiche del muto e in particolare per quelle italiane6), e questo ha una

ricaduta su una parte della popolazione in termini di egemonia. Scrive a questo proposito Forgacs ampliando la riflessione gramsciana:

L'egemonia si comprende meglio se intesa in quanto prodotto, da un verso, di una costante negoziazione di interessi tra il blocco al potere e i gruppi sociali che lo sostengono, cercando di influenzarne le scelte politiche, e dall'altro, di una deviazione o di un contenimento delle domande dei gruppi antagonisti. Implica quindi una serie di conflitti e di accordi negoziati o di temporanee armonizzazioni di interessi tra le industrie culturali e lo stato come pure tra il partito (o i partiti) al governo e l'opposizione politica7.

L'accesso ai prodotti dell'industria culturale cambia in modo notevole proprio in questi anni perché le classi lavoratrici, sempre più inurbate in conseguenza dell'industrializzazione, grazie a una serie di lotte operaie riescono a ottenere un miglioramento delle condizioni salariali (con un conseguente aumento della possibilità di investire nel divertimento) e una diminuzione dell'orario della settimana lavorativa (che permette un maggiore tempo libero dal lavoro). A ciò si aggiunge la maggiore diffusione dell'alfabetizzazione8 che sta cambiando

rapidamente gli interessi e le richieste. L'incremento della fruizione dei beni culturali da parte delle classi lavoratrici quindi è un fenomeno nuovo e di rilievo, e la cinematografia si colloca in prima linea nell'offerta culturale, perché grazie al basso costo del biglietto d'ingresso e all'universalità della comunicazione visiva, riesce a rivolgersi facilmente a tutti, divertendo ed emozionando. Inoltre le caratteristiche visionarie e meravigliose9 della cinematografia

sembrano soddisfare quella diffusa “curiosità visiva” che permea la società italiana d'inizio secolo, anche nell'opinione dei contemporanei come si evince da questa lucida analisi di Pio Foà, consigliere per il Piemonte dell'Istituto Minerva di Milano: «Una delle note più

immagini e ai sogni. La seconda colonizzazione, non più orizzontale, ma stavolta verticale, penetra nella grande Riserva che è l'anima umana» (MORIN 1963, p. 5).

6 Sono noti ad esempio i settori economici di provenienza delle aliquote azionarie dei maggiori quotidiani

nazionali del 1920 (FORGACS 2000, p. 57), ma non ci risulta che un'analisi comparata del genere sia stata

tentata per la provenienza comparata dei capitali delle società cinematografiche di produzione italiane degli anni Dieci.

7 Ivi, p. 47.

8 Ricordiamo che in quegli anni l'analfabetismo in Italia cala fortemente passando dal 62% del 1881 al 38% del

1911 su scala nazionale e in particolare dal 63% al 33% in Emilia-Romagna (Ivi, p. 24). Rydell e Kroes aggiungono come sia proprio l'egemonia la lezione storica che si deve trarre dalla storia della cultura americana, che invade in breve tempo e in quegli anni l'intera cultura europea (RYDELL-KROES 2006, p. 10).

9 L'importanza degli spettacoli ottici e in particolare del cinema per la cultura popolare è stata ampiamente

caratteristiche del nostro tempo è l'importanza crescente, della rappresentazione ottica e la molteplicità di mezzi per soddisfare la curiosità visiva. La quale costituisce la precipua fonte di divertimento, e ormai acquista una parte preponderante anche nell'istruzione»10.

Il termine “curiosità visiva” utilizzato da Foà sottende il complesso rapporto con le immagini, che venivano ricercate dal pubblico con avidità11. Un pubblico però non composto

solamente dalle classi popolari, ma anche dalle élites istruite, che infatti hanno subito preso posizione nei confronti della nascente industria culturale, chi impiegandovisi (come ad esempio il commediografo bolognese Alfredo Testoni di cui parleremo nei capp. XIII e XIV) e chi criticandone i modelli nel quadro di un generale abbassamento della qualità artistica degli spettacoli12. La cultura di massa però non è creata dagli intellettuali13 e i tentativi di

produzione cinematografica dell'intellighenzia letteraria e teatrale italiana finiscono per realizzare parzialmente, o solo per caso e dopo lotte estenuanti, i progetti che sono stati ideati, spesso con esiti scarsamente apprezzati14 (e questo è vero in particolare per la mai decollata

produzione cinematografica bolognese, come vedremo nel cap. XI). I prodotti culturali integrano elementi della tradizione “alta” con elementi “popolari” e possono essere consumati ogni giorno e in buona parte della giornata (senza quella tradizionale distinzione fra “arte” e “vita” che caratterizzava il periodo precedente15), certamente democratizzando il rapporto

delle masse con l'arte. Così il loisir in quanto tempo libero dal lavoro, si differenzia dal tempo tradizionale della festa (con le sue cerimonie collettive e i riti consolidati) rivolgendosi principalmente alla vita individuale, ai consumi e al benessere delle persone16.

La cinematografia ha così una ricaduta immediata su un'ampia e stratificata quantità di persone, modificando e colonizzando radicalmente l'immaginario collettivo di una 10 P. Foà, Sulle proiezioni luminose a scopo didattico, «La coltura popolare», a. I, n. 11-12, 1911, p. 476 (v.

anche cap. V, nota 1).

11 Ricordiamo la frase di Charles Baudelaire a proposito dello stéréoscope ripresa poi da Burch: «queste

migliaia di occhi avidi, che si chinavano sui fori dello stereoscopio come sui lucernari dell'infinito» (BURCH

2001, p. 13).

12 Tra quelle non specificamente rivolte al cinematografo degne di nota sono le critiche che Antonio Gramsci

muove nel 1917 su «L'Avanti!» al consorzio teatrale dei fratelli Chiarella a Torino, accusato di essere come un Barnum animato esclusivamente dai quattrini: «Se domani si sarà provato che è più conveniente adibire i teatri alla rivendita di noccioline e dei rinfreschi ghiacciati, l'industria teatrale non esiterà un istante a farsi rivenditrice di noccioline e di ghiacciate, pur mantenendo nella ditta l'aggettivo "teatrale"» (citato in FORGACS

2000, p. 72).

13 Queste constatazione si ritrova anche in Morin (MORIN 1963, p. 10).

14 Ricordiamo ad esempio in campo cinematografico la fredda accoglienza dei lavori della Silentium Film,

criticati dalle riviste di settore.

15 Questa differenza nell'esposizione delle opere d'arte nell'epoca della riproducibilità tecnica trasforma secondo

Walter Benjamin la funzione delle opere stesse, facendola rientrare nell'ambito della politica (BENJAMIN 2000,

p. 27).

popolazione e questo apporto era già chiaro agli inizi del Novecento, agli occhi di chi stava vivendo quell'epoca di trasformazione e cambiamento. Ripercorrendo infatti un bel discorso di Vittorio Manuele Orlando (all'epoca ex Ministro dell'Istruzione e presidente effettivo dell'Istituto Minerva), pronunciato nel 1913 presso il Teatro del Popolo di Milano, sottolineiamo come l'oratore vi affermi che si stava vivendo “un'epoca di prodigi” della quale il cinematografo era una delle espressioni:

[...] Ond'è che per la generazione nostra, la quale ha veduto il volo degli uomini e la navigazione sotto i mari, la macchina a turbina e la macchina per comporre, il telefono e il fonografo, la propagazione del pensiero su per i continenti e per gli oceani mediante le onde elettriche, per la generazione nostra – dico – la cinematografia, questo miracolo nuovo che sembra dovuto all'arte misteriosa di un negromante, viene armonicamente, quasi spontaneamente, a occupare il suo posto nell'insieme dei trionfi, che l'uman genio contemporaneo ha elevati a gloria di sè stesso, nei secoli17.

La cinematografia – continua Orlando – ha la caratteristica di essersi diffusa con una rapidità senza eguali, perché riesce a suscitare sensazioni intense e a divulgare cognizioni assoggettando prodigiosamente quella che egli chiama “la psiche sociale” e comunicando «direttamente a tutti e di tutto: essa, come direbbe il Poeta, va per gli occhi al core»18.

Come vedremo però nel corso di questa ricerca, proprio per questo motivo la cinematografia diviene fin da subito l'oggetto di una serie di forze, che mirano progressivamente a irreggimentare e condizionare lo sguardo dello spettatore: dalla produzione delle pellicole e dei loro contenuti, alla circolazione dei film, fino ad arrivare alla composizione dei programmi di sala dei cinematografi, tutto diviene progressivamente il risultato di una mediazione fra diverse istanze. Le osservazioni di Walter Benjamin ben si collegano al ruolo che viene ad assumere lo spettatore:

Nel giro di lunghi periodi storici, insieme coi modi complessivi di esistenza delle collettività umane, si modificano anche i modi e i generi della loro percezione sensoriale. Il modo secondo cui si organizza la percezione sensoriale umana – il medium in cui essa ha luogo –, non è condizionato soltanto in senso naturale, ma anche storico19.

17 A Milano – Teatro del Popolo, «La coltura popolare», a. III, n. 5, 1913, p. 224. 18 Ivi, p. 225.

Lo spettatore in quest'ottica diventa oggetto di uno studio ad ampio raggio che prende in considerazione l'intera gamma di fattori che ne condizionano, in un determinato contesto storico e culturale, la fruizione delle immagini e ci sembra corretta l'espressione “regime scopico”20 per individuare questo statuto della visione, non solo come fenomeno fisiologico,

ma come risultante di una serie di schemi percettivi dovuti alle memorie e alle aspettative dello spettatore e però condizionati da molteplici valori sociali, culturali e tecnologici.

L'avvento della cinematografia è per tutti questi motivi strettamente connesso con la modernità e la conseguente “religione” del progresso, e questo rapporto è stato più volte oggetto di studio21. Anche per la città di Bologna esso ha coinciso con un momento di forte

modernizzazione del tessuto urbano e i luoghi di loisir si sono sovrapposti e adattati a tali cambiamenti. Anche se in maniera minore rispetto alle grandi metropoli industriali22, anche a

Bologna la merce è stata esposta e “spettacolarizzata” mediante una nuova comunicazione pubblicitaria che ha invaso gli spazi, seducendo l'immaginario dei cittadini e inducendone i consumi e i bisogni. Numerose Esposizioni23 vengono allestite fra l'entusiasmo della

borghesia bolognese (spesso ridicolizzato dai giornali umoristici locali come «Ehi! Ch'al scusa!»), e diventano il luogo di scambio di merci straniere e motivo di conoscenza di usi diversi, come avviene per la Grande Esposizione Emiliana del 1888 che porta ai bolognesi, fra altre novità, il café-chantant24. Le vetrine dei negozi si riempiono di nuove merci e si

abbelliscono con lumi e insegne Liberty25; nella città si diffondono per la prima volta i

cartelloni pubblicitari illustrati e policromi e poi le pubblicità luminose (§ II.4). L'informazione (§ II.12), lo sport (§ II.7) e la scienza (§ II.10) divengono per la prima volta uno spettacolo largamente condiviso e i bolognesi scoprono il “diverso” (§ II.9), lo “straniero” (§ II.8) e i luoghi lontani ed esotici (§ II.8-11). Nei paragrafi che seguono proveremo a fissare questi temi connessi con l'avvento della modernità a Bologna, pur 20 Su questo approccio di studio che ritiene essenziale interrogarsi sulla storicità della visione e che riprende da

Christian Metz il termine “regime scopico” rimandiamo all'introduzione di Antonio Somaini al volume SOMAINI 2005.

21 Per una selezione della sterminata bibliografia di riferimento rimandiamo a quella presentata da Alovisio

(ALOVISIO 2013, pp. 8-9).

22 Riprendendo le riflessioni di Benjamin è stato più volte notato come la città sia strettamente connessa allo spectare del consumatore borghese e come la diffusione della cinematografia e delle altre forme di spettacolo

ottico si collochi in una posizione interstiziale; rimandiamo a questo proposito a FIORENTINO 2001 e 2007.

23 La prima esposizione cittadina è l'Esposizione Agraria della provincia di Bologna del 1851, dedicata al

settore trainante della città di Bologna. Seguono poi l'Esposizione Emiliana del 1888, un'esposizione d'arte applicata nel 1892, l'Esposizione Nazionale di Orticoltura e Floricoltura del 1900, l'Esposizione dell'Industria italiana per il Materiale turistico del 1904 e l'Esposizione Nazionale della Guerra del 1918 (sull'argomento rimandiamo a GROSSI-RIMONDINI 1991, pp. 194-196; SIMONI 1987).

24 CRISTOFORI 1978, pp. 321-322.

25 Per un'idea delle merci esposte e di come venga curato l'aspetto esterno delle botteghe e dei caffè bolognesi

consapevoli che ognuno di essi apre nuovi spazi per una ricerca dedicata e maggiormente approfondita. Quanto segue vuole essere solo un quadro di riferimento, all'interno del quale riteniamo debbano essere indagate le vicende legate al diffondersi della cinematografia in città, tenendo ben presente che a Bologna negli anni presi in esame si partecipa solo di alcuni degli spettacoli e degli apparecchi del cosiddetto “pre-cinema”, che fanno parte di un insieme più ampio e di una cultura comune a diversi paesi, peraltro già ampiamente studiata in ambito nazionale da numerosi contributi26. Un breve esame della situazione economica cittadina e

dell'aspetto urbanistico nel periodo fra i due secoli sono quindi il punto di partenza imprescindibile per collocare il fenomeno oggetto di questo studio nel giusto contesto.

II.1 La lenta transizione dall'economia agricola alla modernizzazione industriale

La città di Bologna negli anni post-unitari è predominante nel panorama industriale emiliano-romagnolo, ma non si colloca fra i principali centri industriali italiani. L'economia locale è ancora prevalentemente agricola, e all'agricoltura sono legate le industrie più sviluppate, quella tessile e quella alimentare27. In particolare l'industria tessile, che aveva reso

ricca Bologna nei secoli XVII e XVIII, soprattutto per l'esclusiva lavorazione della seta, è già da tempo entrata in crisi in tutti i suoi settori, dall'industria laniera al cotone e alla canapa e con la scomparsa quasi totale dell'industria serica. La meccanizzazione del lavoro agricolo (abbinata all'ammodernamento dei mulini ad acqua e delle macchine per la brillatura del riso) aveva invece giovato al settore alimentare, che era in ampia crescita con delle eccellenze artigianali nella produzione di salumi, pasta, conserve alimentari, dolciumi (settore quest'ultimo in cui spicca la ditta Majani) e birra. Alle attività di carattere artigianale si contrapponevano nel settore alimentare manifatture più moderne, come la nascente industria saccarifera. L'altro importante settore che stava fronteggiando un lento e travagliato decollo era quello meccanico, che diventerà più importante negli anni seguenti con la produzione di macchine agricole. Le due eccellenze bolognesi nel settore meccanico sono delle vere e proprie piccole industrie come la Fonderia Calzoni e l'Officina meccanica De Morsier e Mengotti, uniche vere eccezioni verso una struttura di tipo più capitalista28. Altri settori, che

26 Principalmente i lavori di BRUNETTA 1997; MANNONI 2000; MANNONI-PESENTI CAMPAGNONI 2009; MINICI

ZOTTI 2001; altri sono riportati nella sezione apposita della bibliografia nella parte prima e nei paragrafi che

seguono.

27 Sull'industria bolognese alla fine dell'Ottocento rimandiamo a PRETI 1988, da dove abbiamo ricavato il

quadro che segue.

influiscono però scarsamente nel quadro, sono quello della produzione dei materiali edilizi, di rilievo in particolare per la produzione di laterizi, che vede in quegli anni l'impianto di diverse fornaci, e quello, però ancorato ad una lavorazione artigianale, della produzione del gesso tipico di quest'area; mentre in piena crisi risulta essere l'industria chimica. In altri settori industriali vi sono invece delle piccole realtà avanzate, come la Cartiera del Maglio a Pontecchio o la Manifattura Tabacchi e concerie e mobilifici. Nel 1888 Bologna ospitando per 189 giorni l'Esposizione Emiliana (di industria e agricoltura, belle arti e musica) tenta di rilanciare l'industria locale e di superare il proprio ruolo periferico sul piano nazionale, e questo evento, unito alle contemporanee celebrazioni per l'ottavo centenario dell'Università, porta in quell'anno in città migliaia di visitatori e segna un rilancio della fama dell'Ateneo.

Nel complesso il quadro produttivo è però abbastanza statico, sospeso fra una agricoltura ancora decisamente dominante, ma scarsamente meccanizzata e un'industria che si sta lentamente espandendo proprio negli anni Novanta dell'Ottocento29. Le condizioni di

lavoro dei contadini e dei braccianti nelle campagne portarono anche nel Bolognese a violenti scioperi che si spostano presto dalle campagne alla città, facendo diffondere il consenso alle idee socialiste. I gruppi dominanti appaiono ancora legati alla nobiltà e alla proprietà terriera, ma questa élite si sta per la prima volta aprendo verso una borghesia colta30, che fra l'Unità

d'Italia e la Prima guerra mondiale comincia a prendere nelle proprie mani il governo della città (§ X.2.4), e questa apertura combinata al suffragio universale maschile fa sì che Bologna affronti il difficile periodo della Prima guerra mondiale sotto la guida della sua prima giunta socialista31 (cap. XVII).

Il sistema bancario locale, accresciuto negli anni fra il 1867 e il 187232, rimane

fortemente legato alla ricchezza agricola anche negli anni seguenti, come dimostra anche la creazione del 1901 del Consorzio Agrario finanziato da diverse banche in sostegno del credito agrario ed espressione del movimento cattolico33. Il 90% della ricchezza bolognese alla vigilia

della Prima guerra mondiale è raccolta in quattro grandi istituti bancari: la Cassa di Risparmio, la Banca Popolare di Credito, il Piccolo Credito Romagnolo e il Monte di Pietà e

29 Viene individuata in questo decennio la fase più accentuata di trasformazione capitalistica, che però nel

Bolognese è caratterizzata da complessi elementi di crisi e trasformazione (MASULLI 1980, pp. 97-175).

30 MALATESTA 2010. 31 ONOFRI 1966. 32 FORNASARI 1998. 33 Ivi, pp. 104-105.

tutti questi istituti si caratterizzano per una politica circospetta che escludeva sovvenzioni dirette all'iniziativa industriale34.

II.2 La ferrovia, il telegrafo e l'elettricità

Il primo passo verso l'avvento della modernità era stato per la città di Bologna la costruzione nel 185935 della stazione ferroviaria, avvenuta dopo un dibattito durato oltre un

decennio nell'area Nord della città in una zona di imprese manifatturiere compresa fra porta Galliera e il canale delle Moline (§ X.2.2). La posizione geografica della città la rende nel giro di pochi anni un importante snodo ferroviario, cerniera fra il Nord e il Sud del paese, fra l'Est e l'Ovest e anche collegamento tra i porti commerciali dell'Adriatico e quelli del Tirreno. In questo modo Bologna diventa un punto nevralgico di transito delle merci e dei passeggeri, velocemente collegata mediante Piacenza a Milano, Torino e La Spezia (e da qui a Genova e alla Francia), tramite Pistoia a Firenze e a Livorno (e da qui a Roma e Napoli), per mezzo di Ancona a Pescara fino ad arrivare alla Puglia36. Anche all'interno della città si pensa a un

servizio pubblico di trasporti realizzato però da una società belga37, prima con il tram a cavalli

nel 1880, che amplia il servizio e diventa a vapore fra 1880 e 1890 e infine elettrico a partire dal 1901. Ad accorciare le distanze giungono inoltre le telecomunicazioni con il telegrafo, poi il telegrafo senza fili e il telefono.

L'elettricità fa la prima comparsa in città nel 1881 per il Festival carnevalesco di piazza VIII Agosto, ma ancora nei primi anni del Novecento non era stato completato l'impianto centrale, costruito dalla ditta Ganz & Co. di Budapest, ed era in funzione solo un