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L’OMNICANALITÀ: INTEGRARE I CANALI DI COMUNICAZIONE PER UNO SCOPO COMUNE

CAPITOLO 2: DALL’ESPERIENZA AL VIAGGIO

3 IL CUSTOMER JOURNEY NELL’ECONOMIA DELL’ESPERIENZA: COSA VIVE E

3.1 L’OMNICANALITÀ: INTEGRARE I CANALI DI COMUNICAZIONE PER UNO SCOPO COMUNE

uno scopo comune

L’omnicanalità rappresenta una modalità di approccio al marketing e

alla vendita molto interessante nella misura in cui fonde le potenzialità del fisico (rapporto 1 a 1, orientamento al cliente, assistenza ecc.) con quelle del negozio digitale (always on e always ready, personalizzazione, sistemi di pagamento digitali, ecc.).

L’importanza di una continuità fra media, e punti di contatto, online e offline è alla base dell’omnicanalità, intesa come habitus tecnologico dell’individuo consumatore, giunto a una paradossale incapacità di

distinguere i confini – talora netti, talora indistinguibili – tra i diversi media, a causa della convergenza e dell’ibridazione esistente fra gli stessi, che dell’omnicanalità è causa e

conseguenza allo stesso tempo.

L’approccio al marketing omnicanale è necessario in un mondo in cui l’utenza è frammentata e impegnata in una moltitudine di luoghi fisici e digitali (Vianello Ferrandina, 2017, p.10). Per questo è logico – e necessario – aspettarsi che le aziende si orientino verso una migliore gestione della customer relationship, offrendo esperienze d’acquisto a valore

10 Secondo una ricerca dell’Osservatorio Digital Innovation del Politecnico di Milano, gli acquisti effettuati attraverso internet (a prescindere dal device utilizzato) sono appannaggio del 60% della popolazione italiana con più di 14 anni, circa 31,7 milioni di persone.

aggiunto, o semplicemente più

comode e adatte alle esigenze di oggi (ibidem), in modo che l’individuo possa muoversi agilmente fra i vari canali (Bettucci et al., 2016).

Le attività multicanale sono l’insieme delle attività coinvolte nella vendita di beni o servizi attraverso più di un canale. Questa definizione distingue la vendita multicanale dal marketing multimediale, che in genere implica l’uso di più canali con lo scopo di comunicare semplicemente con i clienti (Zhang et al., 2010, p.2). Attraverso l’omnicanalità si cerca di integrare tutti i canali e i touchpoint che interessano il processo di scelta, acquisto e vendita, poiché il processo d’acquisto diventa di fatto

un’esperienza anytime, anyplace,

anywhere. Una strategia omnicanale

si rende necessaria per rispondere alle richieste dell’individuo consumatore iper-connesso e proattivo, verso il quale è essenziale per il brand tracciare il suo profilo (buyer persona), armonizzando le sue

richieste di esperienza e di feedback.

La comunicazione di brand, procede verso una sempre maggiore

integrazione nei contenuti: un

messaggio unico, coerente, uniforme declinato secondo le specificità dei mezzi su cui viene veicolato, in quanto è per primo il destinatario consumatore che si aspetta di parlare con una sola voce del brand e non con un “coro”. L’omnicanalità riguarda un approccio guidato dai dati che mixa vendita10 e comunicazione, digitale e

analogico, proponente un’esperienza integrata seguita e monitorata

attraverso tutti i touchpoint, gestita in tempo reale sfruttando elementi di CRM e si svolge anytime e anywhere. Questo sottolinea anche l’importa dell’ascolto e del servizio legato

all’esperienza di acquisto e di vendita: maggiore è la customer satisfaction, maggiore è il passaparola e la

potenziale fedeltà e incremento di nuovi consumatori.

Una strategia omnicanale è differente da una single channel, crosschannel, multichannel (Vianello, 2017, Lemon, Verhoef, 2016), come di seguito e poi in figura 13:

➢ Single channel: Processo di vendita “tradizionale”, che sfrutta un solo canale (per esempio il solo punto vendita fisico, o solo l’e-commerce proprietario).

➢ Multi channel: Il processo di acquisto si verifica attraverso almeno due canali (per esempio un brand che vende sia in

negozi fisici che in store monomarca); ogni canale è autonomo, non c’è integrazione né della comunicazione né dei KPI (es. fatturato, conversion) né dei clienti (chi compra offline non è lo stesso cliente che compra online; utenti diversi usano canali diversi).

➢ Cross channel: Prevede una anche minima integrazione tra i canali, come per es. l’acquisto on line ma la consegna del prodotto in negozio

(click&collect); in questo modo si attiva un un'interazione fra i percorsi e un coordinamento.

11 Basti pensare, per esempio, anche solo a un piccolo artigiano che crea pezzi unici prodotti a mano, li pubblicizza tramite i social network e un blog di cui è proprietario, e li spedisce mezzo posta.

➢ I canali di vendita sono molteplici, ordinati in modo sistemico e relazionale; offrono un'esperienza di marca

integrata e uniforme, a prescindere dal canale. Per metterla in pratica è necessario un processo che parta dai dati, dai quali trarre insight che permettano di passare all’esecuzione.

Le aziende che sfruttano un canale solo sono in diminuzione: questa è per lo più un’attività portata avanti dal negozio di quartiere e dalla vendita di vicinato, o da alcuni artigiani.

Altrimenti, le strategie di vendita si basano sempre di più su attività multichannel o cross channel11:

“With the explosion of mobile technologies and social media, multi-channel shopping has indeed become a journey in which customers choose the route they take and which, arguably, needs to be mapped to be understood” (Wolny, Charoensuksai, 2014, p.317).

Le attività cross channel sono legate a doppio filo anche alle attività di

promozione che sfruttano, necessariamente, diverse leve e strumenti di comunicazione e al processo di acquisto dell’individuo prosumer, che cerca su diversi siti il prezzo e le recensioni di un prodotto per poi acquistarlo laddove trova la situazione più comoda e conveniente. La multicanalità prevede una gestione parallela di canali differenti:

“Multichannel retailing is the set of activities involved in selling

merchandise or services to consumers through more than one channel” (Zhang et al, 2010, p.2).

L’omnicanalità si differenzia invece dalla multicanalità in quanto ottica totalizzante; diventa leva strategica e requisito basilare di azioni di

marketing di successo per un cliente ormai proattivo e con numerosi canali in cui espletare il processo di scelta e acquisto, dai quali si aspetta

un’esperienza di brand integrata e una transizione agevole fra l’uno e l’altro canale.

Attraverso una strategia omnicanale,

focalizzata su un percorso data→

insight→ esecuzione12, non solo la

comunicazione di marketing è

12 Evidenziato dall’Osservatorio Omnichannel customer experience del Politecnico di Milano. uniforme ma, di conseguenza, l’individuo consumatore riceve una comunicazione di brand identity coerente e omogenea. Al contempo, l’azienda può conoscere in modo approfondito il proprio consumatore dal punto di vista psicografico e comportamentale, e non solo idealizzare la buyer persona che invece finisce positivamente per sovrapporsi.

Dalla figura 13 si evince che il

marketing omnicanale si articola lungo un percorso fatto da diversi

touchpoint che pone l’individuo al centro e non lungo un funnel di conversione. Il consumatore può per esempio entrare in contatto coi brand andando sul sito, usare un chatbot per richiedere informazioni, recarsi presso un punto vendita (monomarca,

affiliato o franchising) e nel mentre controllare recensioni e prezzi

attraverso lo smartphone, compilare all’uscita un questionario di customer satisfaction da un tablet in store, interagire sui canali social, ricevere materiale promozionale via SMS o mail. Addirittura, spingersi verso i visori di realtà virtuale o realtà aumentata, per un’esperienza completa e a 360°.

Non solo canali integrati, ma anche una comunicazione che li segue e accompagna di pari passo. Sarebbe anche da abbandonare, come ha già fatto concretamente l’individuo

consumatore, la distinzione fra i canali online e offline e pensarli, appunto, come un unicum di gestione strategica e di messaggio comunicativo, perché è qui che risiede il punto chiave dell’omnicanalità: abbattere le

Figura 13: Rappresentazione grafica delle strategie single channel, multichannel e omnichannel. Fonte: vhttps://www.instoremag.it/attualita/la-suite-omnichannel-di-nextbi-ridefinisce-lesperienza-

distanze e le differenze fra i canali

e fra brand e consumatore. Vale a dire che il requisito fondamentale per l’omnicanalità è che i mezzi e i canali utilizzati non si cannibalizzino tra loro, ma che siano orchestrati in modo tale da offrire un’immagine di brand

univoca. Inoltre, una gestione integrata dei touchpoint in chiave omnichannel è utile per l’esperienza: “a seamless experience across

channels through channel integration will create a stronger customer

experience” (Lemon, Verhoef, 2015, p. 83; Bettucci et al., 2016): un’unica offerta esperienziale la quale, con l’integrazione dei canali, crei un unico

ecosistema di brand.

Una strategia omnicanale ha successo se riesce ad aumentare il livello di soddisfazione dei propri clienti, i quali tenderanno ad aumentare il customer

lifetime value con la loro fedeltà e

potranno consentire all’azienda di incrementare le strategie di attraction di nuovi consumatori diventando ambassador del brand; quindi, in

13 Per questo, per esempio, sono utili i mistery shopper, o le chiamate ai call center, per verificare e analizzare l’intero processo di approccio al consumatore e favorire la conoscenza delle buone pratiche e dei comportamenti.

14 Questo si estende alle performance del singolo canale e touchpoint, per evitare l’abbandono del canale e la potenziale infedeltà per un brand/prodotto in favore di un altro.

seconda istanza, una strategia

omnicanale ha successo quando riesce ad attrarre nuovi individui, offrendo una “seamless experience”.

Scegliere un approccio omnicanale richiede un enorme cambiamento di business per le aziende, che decidono di perdere parte del controllo e

demandarlo all’individuo, con cui intrattengono un rapporto tra pari, nel tentativo di comprendere appieno qual è il suo approccio con tutti i canali di comunicazione del brand13

corrispondente anche a un

cambiamento nella cultura d’impresa e un investimento nella formazione del personale. Bisogna considerare infatti che l’individuo consumatore prosumer è già informato, quanto il personale di vendita, da cui si aspetta “qualcosa in più” rispetto ciò che già conosce, perché ha già utilizzato molti strumenti a sua disposizione per informarsi e, se ha deciso di recarsi in negozio, è perché è già molto

motivato.

Tra i vantaggi di un approccio omnicanale al marketing (Vianello, Ferrandina, 2017) oltre quanto già detto sulla maggiore conoscenza del consumatore, c’è un potenziale incremento delle vendite a seguito della costruzione di relazioni più profonde e della maggiore

soddisfazione ed esperienza percepita e vissuta. Inoltre, è possibile ampliare i propri canali di vendita, aggiungendo momenti di contatto o migliorando quelli esistenti in virtù del

miglioramento di performance14,

reach e personalizzazione di ciascuno. Questo ovviamente a fronte di

formazione, necessaria per curare un cliente non passivo, con conseguenti investimenti a 360°, per far fronte anche alle necessità tecnologiche e infrastrutturali (Zhang et al, 2010, p.10), cambiamento di cultura

aziendale e interventi atti a vincere le resistenze degli stakeholder: “la progettazione del customer journey con visione omnichannel dev’essere vista come approccio di business, da

mettere al centro del piano industriale dell’azienda, non solo al marketing”15.

L’investimento economico può essere anche importante, stabilendo così un livello d’ingresso di non facile accesso e con un ROI almeno nel medio

periodo, e la necessità di una “profonda trasformazione che coinvolge organizzazione, processi persone, competenze e tecnologie” (Bettucci et al, 2016). A latere, un intervento in termini di comunicazione e non solo di marketing, con risorse interne e formazione dedicata, anche interdipartimentale (viene per

esempio coinvolta anche la supply chain), e una identity strutturata, condivisa, coesa, per affrontare una sfida cui i brand non possono

sottrarsi: “ike it or not, customers are omnichannel in their thinking and behavior. Sellers need to be as well. Omnichannel features initially

perceived as “nice add-ons” are becoming “must-haves” (Bell et al., 2014, p.53).

Infine, per far sì che un’esperienza col brand sia effettivamente omnicanale e non solo multicanale (sebbene questo

15 Giuliano Noci, direttore Osservatorio Omnichannel customer experience, Politecnico di Milano. Fonte:https://www.digital4.biz/marketing/big-data-e- analytics/omnichannel-customer-experience-serve-una-governance-orizzontale-su-dati-insights-ed-execution/

sia già un ottimo risultato), si deve tener conto dei seguenti principi coadiuvanti nella progettazione:

➢ Disponibilità all’ascolto su tutti i canali e touchpoint disponibili e coinvolti, rispettando la

persona, le sue aspettative e comprendendo i suoi desideri e stati d’animo;

➢ Coerenza, degli elementi di immagine, identità,

comunicazione del brand, che impattano direttamente sulla credibilità;

➢ Contesto, dove gli elementi contestuali e ambientali devono supportare l’esperienza e la brand experience (per es. tablet in-store);

➢ Gestione delle informazioni, ovvero la disponibilità delle informazioni sul cliente su ogni canale che questi utilizza (per es. i suoi dati di login, o di pagamento, sempre disponibili e memorizzati);

➢ Continuità olistica, ovvero la possibilità di riprendere azioni,

senza lasciare indietro informazioni o scelte già effettuate e senza doverle riprendere e ripetere permettendo di concludere un’azione sullo stesso canale e touchpoint senza rinvii ad altri (per es., un pagamento

finalizzato tramite app senza necessità di utilizzare un altro metodo su un altro canale). In ultima istanza, grande attenzione deve essere riposta nella ricezione e analisi del feedback, come ultimo baluardo per la realizzazione di una brand experience omnicanale

omogenea, e che le persone possano trovare piacevole, d’ispirazione e che vorranno ripetere.

3.2

La cassetta degli attrezzi: la

Customer Journey Map

La metafora del customer journey ha un output fisico e

georeferenziato rappresentato dalla customer journey map, la mappa del

viaggio del consumatore. Questa rappresenta una traduzione operativa che consente di tracciare

concretamente il percorso che porta ogni individuo a relazionarsi con i brand, e al contempo ad allineare gli obiettivi di brand con quelli

dell’individuo consumatore. La CJMap è uno strumento molto utile che

rappresenta l’intera interazione con un prodotto o servizio in modo

trasparente, uno strumento che contribuisce a risolvere la complessità e dare indicazioni circa il processo decisionale, attraverso

l’esplicitazione dei touchpoint.

Indica inoltre in modo chiaro i punti di forza e di debolezza di ciascuna fase dell’interazione, in particolare quelli che influiscono sull’esperienza dell’utente, mostrando anche le possibilità di miglioramento:

“Building a customer journey implies the observation of the user experience and the representation of that experience through its

touchpoints. The map provide

16 In questa accezione, la CJMap diventa uno strumento di storytelling bottom up; laddove un numero non rispecchia la sensazione di esperienza, un contenuto può farlo.

a visual support that facilitate understanding and assembling the sequence of activities and touchpoints that characterize the experience. […]

A typical process for this kind of activity can start by asking the participants to choose a persona (or create a persona), define a goal for this persona, pick up the touchpoints that allow reaching this goal and describe the experience flow across the different

touchpoints. Once the journey has been mapped, the game- boards can be used to highlight the gaps and opportunities of the experience, both from the perspective of the user and the provider” (Rau, 2017, p.227- 228).

Attraverso la CJMap è possibile

mettersi nei panni del consumatore e seguirlo, comprendere i suoi

atteggiamenti, comportamenti e preferenze, e capire come far convertire i contatti in clienti per permettere, poi, di fidelizzare

attraverso la retention e la customer satisfaction. Viceversa, è uno

strumento strategico che guida un brand a presidiare tutti i touchpoint, sia fisici quanto soprattutto quelli digitali, non solo nel momento di awareness, che si rende tanto più necessaria quanto più è articolato e numeroso il percorso attraverso i touchpoint: “customer journey

mapping to truly understand triggers of customer interest […] These maps are based on ethnographic research rather than untested models of customer psychology based on the funnel (Forrester research, 2010, p.7).

Inoltre, è uno strumento strategico perché consente di individuare il set di bisogni, esigenze e volontà degli individui, a conferma di quanto già delineato con l’individuazione delle buyer personas, e raccontarle16.

Da qui si evince quello che è il primo step per intraprendere la costruzione di una CJMap e quindi la costruzione di un costumer journey: elencare puntualmente tutti i touchpoint, fisici e digitali e la loro integrazione

phygital, ma anche i touchpoint gestiti

(managed) e guadagnati (earned e unmanaged) che compongono l’intero set a disposizione della buyer

persona; in altre parole, tracciare il

ciclo di vita del cliente all’interno

dei punti di contatto. In ognuno di questi touchpoint il livello di

coinvolgimento non sarà lo stesso, in ottemperanza a ciò che McLuhan descrisse a proposito di medium caldi e freddi, e tanto meno lo saranno le aspettative dell’individuo: in questo deve intervenire un orientamento di ergonomia e usabilità che analizzi le reazioni e le emozioni in merito a ciascun punto di contatto e che a monte possa convogliare un

sentimento positivo di accoglienza, empatia, design incentrato sull’utente. Tra i desiderata, invece, percezioni del marchio (brand image, identity e reputazione), metriche delle prestazioni operative, moments of

truth, opportunità di miglioramento e

altri elementi rivolti al cliente che possono fornire una visione

approfondita dell’esperienza dei clienti e non da ultimo tutte le possibili

criticità insorgenti in ogni momento di contatto.

Il disegno vero e proprio della CJMap è la fase strettamente operativa che segue quindi questo lungo processo di analisi, il cui output è un prodotto che soddisfa le esigenze conoscitive

dell’azienda ma con la forma (per lo più rappresentazione grafica o visiva) che più è ad essa congeniale ed efficace: materiali video, disegni, canva, una linea temporale, diagrammi e via di seguito.

Riassumendo graficamente il processo di costruzione di una CJMap si ha, quindi (Fig. 14):

Ogni punto di contatto diventa quindi un potenziale momento di attivazione e conversione, in cui creare

proattivamente esperienza e che può (deve) essere monitorato e tracciato in tempo reale, contribuendo alla costruzione di un database aggiornato contente le informazioni del proprio consumatore, per la costruzione proattiva di azioni di marketing che lo interessino in real time e in futuro. Infatti, “ciò che le persone desiderano condividere al momento della loro

interazione con la marca non è

casuale, ma rientra in un disegno più complesso e complessivo di

architettura esperienziale” (Maestri, Sassoon, op.cit., p.105-106), dove ogni esperienza genera desiderabilità negli altri, voglia di condivisione e quindi la creazione di una meta- esperienza, attraverso lo storytelling che di essa fanno le persone.

La creazione della CJMap dovrebbe essere una mappa temporale capace sia mostrare come si muove il

consumatore attraverso il customer

journey sia di trasmettere empatia, in virtù della centralità di esperienza e relazione, per tenere traccia di ciò che prova l’individuo in ogni punto di contatto. Inoltre, è essenziale che la mappa sia condivisa all’interno

dell’organizzazione, in modo che tutti i membri della stessa possano capire quanto è importante e essere brand ambassador, avere un sostegno interno, condividere le strategie di miglioramento e una mission. La creazione della mappa dovrebbe consentire azioni e soluzioni rapide,

incluse le aree in cui è possibile aumentare i livelli di engagement e l’esperienzialità, al fine di migliorare il ROI e ottimizzare efficienza ed

efficacia degli sforzi intrapresi.

3.3 Cosa sono i touchpoint e come