CAPITOLO 1: CONSUMI, CONSUMATORI, CONSUM-ATTORI
1. UN BACKGROUND TEORICO PER LE DECISIONI DI CONSUMO
1.5 RIFLESSIONI CONSUNTIVE
L’accesso all’uso di beni, la partecipazione al loro consumo è indispensabile all’individuo per sentirsi in relazione; una motivazione che spinge al possesso è insita quindi in un bisogno di controllo e di accesso alla produzione di significato, delineando la funzione informativa acquisita insieme ai significati della merce, che elabora strategie di inclusione sociale. La
ricchezza in questo senso è una possibilità di inclusione e di inserimento in processi di scambio facilitati, i quali a loro volta agevolano la relazione con l’altro perché consentono l’ingresso in gruppi e creano appartenenza; consumando, non esprimo solo la mia identità ma anche la relazione con gli altri utilizzando il prodotto, - o il brand a volte - come medium. Il valore del brand è un elemento centrale per l’attribuzione di identità nell’ipermodernità,
contribuendo alla costruzione e raccolta di esperienze significative condivise con il brand e con gli altri consumatori dello stesso. In questo senso il brand diventa un prodotto culturale collettivo della società. La differenza non è “cosa comprare” ma “cosa
scegliere”. La funzione principale del consumo è quella di dare significato (Douglas, Isherwood, 1984, p.69) e non quella della competizione, recuperandone un significato culturale (Minestroni, 2008, p.226) del consumo che serve per interpretare il mondo, un sistema comunicativo aperto e dinamico (Minestroni, 2008, p.259) che trasmette messaggi impliciti ed espliciti.
I prodotti diventano un’interfaccia trasparente della relazione e il consumo di conseguenza è un processo
attivo, in cui tutte le categorie sociali sono ridefinite e la domanda di beni è espressione del bisogno di informazione, razionalizzazione e relazione. La
relazione aiuta a superare l’asimmetria tra domanda e offerta e trasforma il consumatore in soggetto con cui dialogare (Fabris, 2008, p.239).
La valenza relazionale dei beni è amplificata dai
luoghi, virtuali o reali, in cui si espletano le pratiche di consumo. I luoghi del consumo oggi devono
rispondere anche ad un aumentato bisogno di socializzazione; la network society ha senz’altro permesso la creazione di un unico grande ambiente condiviso e al contempo ipersegmentato, in cui è possibile condividere con milioni di estranei la propria esperienza, sebbene siano percepiti come milioni di amici pronti a darci la propria sincera opinione. Gli individui si sentono così parte di una comunità fisica che diventa community virtuale. Una delle più comuni forme d’integrazione è infatti quella dei gruppi
costruiti intorno a prodotti o brand. Ci si può sentire partecipi ad essi solo col possesso di determinati beni, dove il senso di appartenenza ha una funzione
rassicuratrice. Il consumo si adegua così a uno standard, ma il singolo individuo può differenziarsi attraverso la scelta di altri bene, sfuggendo al livellamento omologante, anzi si differenzia parzialmente mantenendo la sicurezza
dell’appartenenza. Sono i rituali di consumo che permettono di definire ciò che è rilevante e di valore per la società o il gruppo sociale; hanno un ruolo di controllo, coesione e integrazione sociale,
influenzando gusti e comportamenti e costruendo relazioni dato che il consumo è un’azione sociale dotata di senso. Il marketing, tramite la pubblicità prima e lo storytelling e il content marketing poi, ha provato a esprimere i processi di significazione delle merci narrando delle storie; attraverso queste ha provato a fornire modelli e stili di vita cui aspirare. Per accedervi, è necessaria quella costellazione di beni narrata, conditio sine qua non di inclusione e appartenenza. In questo senso, i prodotti e i brand sono inseriti all’interno di un universo di significato, costruito sul marchio, dove i brand diventano satelliti l’uno dell’altro e costruiscono un network di significati, creando un’orbita di brand che accentra i relativi significati raggruppandoli: “il segreto del brand management è conferire alla marca dei valori immateriali, che derivano da processi di
comunicazione sociale esterni all’organizzazione proprietaria della marca” (Arvidsson, in Di Nallo, Paltrinieri, 2006, p.225).
All’interno dei processi di consumo, ben evidente con l’arrivo dei social network a contenuto visuale, si può accettare il concetto che esistano casi di trickle effect al rovescio o sottoconsumo ostentativo (Codeluppi, 2002, p.52), ovvero una scelta snobistica di acquistare prodotti modesti ma in grado di segnare uno status symbol e differenziare contraddistinguendo un gusto personale e raffinato di chi divulga questo acquisto. La ricchezza comunicativa dei beni non deve essere sminuita, anzi dovrebbe prevalere come fattore
determinante anche in caso di trickle effect. In tal senso, McCraken sostiene che anziché di
gocciolamento è preferibile ragionare in termini di
inseguimento e fuga. Questo concetto trova una
adeguata declinazione su canali come Instagram, dove i vari influencer condividono istanti di vita perfetti, perfettamente costruiti e vissuti a pieno, verso i quali si può dare il proprio placet e seguire (non a caso si parla di follower) fino alla prossima foto, collezionando via via momenti perfetti vissuti da altri.
Il nuovo consumatore Millennial – anticipando in parte riflessioni che approfondiremo nel Cap. 3 - incarna il cyberflaneur: con questa similitudine si può
apprezzare la ricchezza di sfaccettature e
l’emancipazione di chi osserva in modo distaccato quanto succede intorno, inseguendo solo la sua volontà. Se il flaneur era colui che si perdeva tra le strade della metropoli e viveva di apparenze e
relazioni superficiali, alla ricerca di sensazioni fugaci e soddisfacenti, oggi i Millennials incarnano questo spirito del tempo navigando tra un device e l’altro, rendendo la loro esperienza irregolare e frammentata nei reticoli del web, alla ricerca delle stesse sensazioni da vivere online e offline, dello shock emotivo e
sensoriale da vivere con leggerezza.
Codeluppi ha ripreso questo concetto con la
definizione di consumatore eclettico: una tendenza importante perché, proprio questo eclettismo tipico del flaneur, è trasversale ad altre caratteristiche. Per esempio, è frutto di cronica infedeltà (Codeluppi, 2002, p.158) rispetto ai prodotti e alle marche,
elemento che appunto caratterizza i consumatori odierni in quanto guidati da un processo continuo di ricerca di identità personale e sociale. I loro acquisti sono contraddistinti da mescolanza di prodotti e brand diversi: possono sembrare in contraddizione ma
rispondono un progetto di coerenza interna
(Codeluppi, ibidem) perseguendo come unico obiettivo la soddisfazione dei sensi e l’appagamento.
Sul piano dell’agire di consumo, questo diviene
frammentato, variabile e incostante. La molteplicità di stimoli verso cui l’individuo consumatore è esposto, e alla luce di una sua maggiore preparazione e
scaltrezza per diramare le informazioni contrastanti provenienti da questi stimoli, pone in questione il processo di scelta che da lineare si fa circolare, non limitandosi più a tradurre operativamente una
posizione sociale bensì un’autopercezione edonistica ed estetica rispetto a un idealtipo, un habitus, un
desiderata, che complessivamente traducono il profilo
di azione di consumo personale e raccontano l’identità nella sua varietà e voglia di sperimentazione. Questo melting pot di preferenze individuali, componente il proprio profilo di consumo individuale, presenta un basket di brand, prodotti, sensazioni che vanno a comporre il proprio stile di vita e la comunanza di queste preferenze “nelle modalità con cui mescolano le diverse marche e i diversi tipi di prodotti, nelle diverse situazioni di uso e di fruizione. Il risultato sono “<profili>, più che categorie, di consumatori” (Molteni, 2010).
2 Societing reload: ripensare il marketing in ottica
sociale
Le tematiche relative alla sociologia dei consumi si connettono continuamente con gli ambiti della
pubblicità e del marketing, in grado di fornire esempi di interpretazione e narrazioni della società cui si rivolgono. Marketing e pubblicità utilizzano delle euristiche pensando agli individui come target, ne provano a indirizzare le scelte di consumo e si configurano come attività che influenzano e
favoriscono i consumi. In tal senso, si configurano anche come una prova di applicazione pratica delle teorie sociologiche, e ne restituiscono un quadro rappresentativo che contribuisce alla formazione indiretta di un più grande scenario teorico, ampio e variegato, con incursioni nel campo economico. In altre parole, l’unione di teorie sociologiche e marketing permette di giungere e arricchire le conclusioni circa la teoria dei consumi e, giocoforza, modifica alcuni assunti di base. Per esempio, gli attori tradizionali si sono evoluti, e possono agire in modo da creare un’influenza in questo mercato in virtù di un assottigliamento delle differenze fra consumatore e impresa produttrice. Infatti, non sono più solo le imprese ad intraprendere azioni con effetti e
ripercussioni nello scambio economico e commerciale. Il marketing ha risposto alla crescente complessità sociale cercando di semplificare, utilizzando modelli teorici e astratti, sebbene rigorosi (Fabris, 2008,
p.219), e necessita della sociologia per comprendere il nuovo consumatore, le dinamiche di consumo che trascendono la dimensione economica e si fanno portatrici di significati culturali e sociali.
Dalla rivisitazione di teorie di marketing e teorie sociologiche, per Fabris si apre al societing, alla presa d’atto che gli attori del mercato sono differenti per ruolo rispetto al passato ma soprattutto come “risposta imprenditoriale a una nuova condizione produttiva […] un nuovo modo di percepire il valore” (Cova, nella prefazione a Arvidsson, Giordano, 2013, p.12). Si affaccia quindi centrale il concetto di
pubblico: non si parla più solo di comunità – le quali sociologicamente sviluppano un’interazione profonda al proprio interno e con un prodotto/brand - ma di pubblici interconnessi fra loro ma con relazioni blande e instabili, vissute tramite l’interfaccia dei media. Marketing e sociologia lavorano fianco a fianco per seguire (o anticipare) lo studio e l’evoluzione della società, i cambiamenti dei target, e affrontarne la complessità. Strumenti disponibili a questo scopo sono forniti dal societing (Fabris, 2008), evoluzione del marketing per una filosofia con il mercato, in quanto disciplina che gravita intorno alla sociologia dei consumi. Il societing fornisce indicazioni utili per ricollocare lo studio del mercato nella società,
affermando l’evoluzione delle transazioni in relazioni costruite intorno a prodotti e brand i quali, più che in passato, hanno un valore simbolico, volto
immateriali, processi comunicativi e sociali. Fabris lo definisce precisamente come
“Il contesto a cui il marketing deve applicarsi, e il sistema di prodotti e servizi che deve
promuovere, è profondamente cambiato. È una società nuova dove produzione e consumo vedono abbattere i tradizionali steccati, e l’abituale separatezza, per divenire due facce di una medesima realtà. Societing significa porre l’enfasi su questi incisivi cambiamenti e
sottolineare che il mercato è parte della società, è un suo subsistema e non un hortum
clausum di esclusiva pertinenza degli
aziendalisti” (Fabris, Repubblica, 14 aprile 2008, Affari & Finanza, p.16).
La visione del societing è quella di un’evoluzione del marketing come filosofia orizzontale, sociale ed inclusiva (Kotler, 2016), che riconosce nuove forme di socialità in cui consumatori e produttori collaborano nell’intero processo e si incontrano lungo molteplici punti di contatto. Questa interpretazione non
demonizza il consumo, ma ne recupera il radicamento nella attuale società, che “non che guarda se stessa in funzione dei consumi” (Belardinelli, in Di Nallo,
Paltrinieri, 2006, p.96), ma dove sono aumentate le opportunità anche del consumo e le sue forme, in un valore più vicino al significato etimologico del cum-
sumo. Volendo confrontare i principi di marketing con
18 L’inglese in questo caso mantiene una sfumatura semantica più vicina al concetto originario espresso dall’Autore.
quelli del societing, possiamo approfittare del prospetto riassuntivo presente in Figura 1.
Nel societing mercato e consumatore non sono figure opposte ma cooperanti affinché lo scambio economico produca scambio di valore (Paltrinieri, Parmiggiani, 2008, p. 8), in quella che Beck (2003, La società cosmopolita) ha definito democrazia dei consumatori: infatti, quello che prevale non è il valore d’uso, bensì il valore di relazione, il linking value18 di Cova. Questo
valore esprime il desiderio di connessione e relazione con l’altro all’interno di una comunità – o tribù - di consumo fluida, che crea appartenenze e integrazioni
MARKETING
• Transazione
• Broadcasting
• Dimensione economica del
consumo
• Bisogno del consumatore
• Vista come senso principale
• Individualità
• Classi d'età
• Etica come difesa, non come
missione
SOCIETING
• Relazione
• Narrowcasting
• Cocreazione
• Esperienza con il
consumatore
• Coinvolgimento dei 5 sensi
• Comunità, network
• Generazioni
• Vocazione all'etica
in modi profondi o fugaci e dove questa volontà di legame diventa più importante del prodotto stesso (Fabris, 2003, p.292), lasciando spazio alla
virtualizzazione e alla limitazione spaziale del mondo fisico.
Il societing è un ponte tra marketing e sociologia che sistematizza i passaggi – da transazione a relazione, dal prodotto all’esperienza, dalla creazione a
cocreazione, da individuo a tribù e da mercato a network- in modo responsabile, dove le attività si svolgono nella società e non nel mercato,
rispolverando il “broadening the concept of marketing” di Kotler e Levy (Fabris, 2003, p.224), evidenziando i risvolti sociali di un’impresa sul mercato e sui
consumatori e potenziali consumatori che lo abitano19.
Per ampliare questo concetto di marketing oltre lo scambio economico si deve pensare appunto al processo relazionale.
L’aumento di potere e discrezionalità dell’individuo generano una forte richiesta di qualità (Fabris, 2008, p.144), non sempre esaudita per via della
commodification provocando da una parte il nomadismo tra i brand e dall’altra una scelta dei percorsi di acquisto come elemento di riduzione di complessità.
È infine doveroso fare una precisazione. Pur
accogliendo e apprezzando l’impianto teorico, quando Fabris ha coniato l’idea di societing e ad un modello di
19 Pur accogliendo e apprezzando l’impianto teorico di Fabris, dobbiamo specificare che presenta tuttavia un limite: quando Fabris infatti pensa a un modello di società e applica ad essa una teoria del consumo, lo fa su una società che non è tuttavia “digitale” ma squisitamente analogica, offline. La realtà dei fatti ci suggerisce invece tutt’altro.
società in cui avrebbe potuto prendere luogo, ha fatto riferimento a una società che, a conti fatti, non era digitale ma analogica. Interconnessa e globale,
certamente, ma ancorata a sistemi di appartenenza e identità locali. Sebbene prefigurando quella che
sarebbe stata da lì a poco la società in rete, le riflessioni sul societing hanno origine da una società offline. La precisazione non intacca il valore della riflessione ma prende un atto di un limite che il tempo non ha concesso a Fabris di diramare e superare.
3 Il ruolo del consum-Attore nell’economia
dell’esperienza
Per trasferire i meccanismi di influenza sociale associati al possesso di beni, più che di effetto
gocciolamento si potrebbe parlare di contagio: la trasmissione di influenza non avviene in maniera esclusivamente verticistica ma secondo un
meccanismo di diffusione orizzontale e incostante, dove esistono delle cerchie concentriche al cui interno le differenziazioni si mescolano, sovrappongo e
ricompongono, secondo criteri ogni volta diversi (Paltrinieri, Parmiggiani, 2008, p.40) e gli individui sfruttano questa dimensione per trasmettere l’influenza dei gruppi di riferimento (Fabris, 2003, p.49).
L’individuo contemporaneo è eclettico, incoerente, sincretico, flessibile, costruisce percorsi discontinui e a volte contradditori, non lineari ma paradossalmente più razionali. Vive in un’epoca instabile e in continuo disequilibrio, dove vengono meno le strutture rigide e definite a priori che consentivano di inquadrare i comportamenti di consumo: in tal senso, acquista rilevanza non solo il comportamento di consumo ma l’intero processo, che dà valore all’esperienza in quanto soggettiva e dinamica.
Alcune teorie affidavano al consumo e alla società di massa un forte potere di influenza, di alienazione, rendendo l’individuo atomizzato e isolato, facile da manipolare e in continua tendenza al desiderio di bisogni non alla sua portata. Altre teorie
trasformavano la lotta di classe economica e sociale in una lotta di segni, dove i prodotti di consumo erano a tutti gli effetti strutture di linguaggio cariche di
significati socialmente e culturalmente condivisi. La società ipermoderna lascia invece spazio a un
soggetto attivo, consapevole e partecipe, che co-crea insieme ai brand i suoi percorsi di esperienza e gli oggetti che la consentono, in virtù di quel “capriccio” descritto da Bauman. Più che al bisogno l’individuo (non) pensa al desiderio, e costruisce intorno a questo capriccio estemporaneo una “società del desiderio”
20 Se pensiamo al concetto di standard package, ci rendiamo conto di quanto la “dotazione di base” nel mondo occidentale sia in nostro possesso; non si ha bisogno di desiderare qualcosa, se non la versione migliore o aggiuntiva di ciò che abbiamo già. Inoltre, a conferma di ciò consideriamo infatti che il consum-attore moderno esprime le proprie preferenze in maniera decrescente verso i bisogni (Ragone, in Di Nallo, Paltrinieri, 2006).
21 In questo senso la teoria dei meeting point accoglie le interpretazioni che negano la cultura come sistema e finiscono per accettare l’eterogeneizzazione e il movimento legato ai flussi culturali.
(Lipovetsky, 2007, p.XI), la quale vede nella promessa di soddisfazione il modo per raggiungere il benessere e la felicità. I nuovi bisogni appartengono alla sfera della desiderabilità sociale20; il desiderio è in divenire
e “all’esigenza pratica si sostituisce la ricerca” (Fabris, 2003, p.85), continua e inesauribile. Una ricerca che si esegue e compie attraverso i media digitali; è in
questo ambito con cui si può trovare spazio per il dialogo col nuovo consumatore.
L’individuo consumatore vuole infatti non solo fare parte del processo produttivo, ma conoscere anche gli step intermedi che portano a definizione il
prodotto/servizio con cui si interfaccia, o assicurarsi che l’azienda rispetti norme etiche di responsabilità sociale, verso i vari stakeholder. Oppure vuole conoscere la filiera produttiva, si informa sulla lista degli ingredienti di un prodotto, preferisce prodotti che rispettino norme etiche.
Queste sono le premesse per il meeting point, le cui unità di osservazione sono i flussi comunicazionali21
(Paltrinieri, Parmiggiani, 2008, p.40). Il concetto di meeting point vuole superare il concetto di target, etichetta che riguarda qualcosa di statico e “definito una volta per tutte” (Capeci, 2017, p.23) e una riduzione all’utilità dell’individuo, sostituendolo con
una traduzione più letterale di <obiettivo>, e
seguendo una teoria che vede i meeting point come aree in cui i flussi comunicativi si incontrano e in cui gli individui possono entrare ed uscire liberamente. I meeting point in questo senso rappresentano quindi dei touchpoint, dove azienda e individuo possono interfacciarsi e prepararsi congiuntamente ad un’azione (Paltrinieri, Parmiggiani, 2008, p.41). Diversamente dal modello di customer journey (v. oltre Cap. 2), nei meeting point il consumatore non è al centro del processo ma solo una delle parti, perché al centro c’è il processo di consumo, con
l’intenzione di monitorare l’evoluzione delle tendenze prima che queste vengano percepite. Il limite è però il portare il punto di forza sul
mercato come nei modelli market oriented, osservando il movimento dei consumatori nello spazio condiviso con aziende, prodotti e pratiche di consumo.
Il consumatore contemporaneo richiede invece un cambio di paradigma del marketing da market- oriented a consumer-oriented, in cui i consumatori non siano destinatari passivi di strategie, ma soggetto attivo col quale instaurare un dialogo e una relazione. I consumatori sono
progressivamente maturati e trasferiscono nell’acquisto la loro cultura sociale, identità, individualità e personalità, in un “pendolarismo identitario” (Franchi, 2008, p.33) che porta a
occupare spazi sociali differenti e mobili, frammentati,
e assumendo di conseguenza comportamenti diversi e difficili da classificare. Sostiene Fabris che “la
differenza con gli assiomi tradizionali per cui consumer
is king è che il consumatore ha acquisito un reale
potere e ha consapevolezza, quindi è insofferente verso le politiche di marketing tradizionale e verso la pubblicità” (Fabris, 2008, p. 235). Fabris, soprattutto, ha individuato tre concetti (Figura 2) da utilizzare come guida per comprendere le differenze esistenti fra l’aspetto razionale e emozionale del nuovo
consumatore postmoderno (Fabris, 2008, p.147):
•Coinvolgimento •Enfasi sensoriale
• Rimanda direttamente all'esperienza del consumatore (CX)
Immersione
•Pluralità di modelli cognitivi •Sincretismo
•Collage
Contaminazione
•Viaggio attraverso esperienze mutevoli •Continuo vagabondaggio
•Flaneur
Nomadismo
Figura 2: Le caratteristiche del consumatore postmoderno secondo Fabris, 2008, adattamento nostro.
Ma non basta allargare il range di variabili che
incidono sui comportamenti dei consumatori, occorre mutare la prospettiva di osservazione,
problematizzando il concetto stesso di stile di vita, che secondo Lipovetsky riguarda il singolo individuo,
perché è “libero dall’obbligo di plasmarsi secondo uno stile prestabilito e specifico, il turbo-consumatore appare un acquirente mobile che non deve rendere conto a chicchessia” (Lipovetsky, 2007, p. 87). Si assottiglia, insomma, la specificità dello stile di vita e soprattutto si parla di crescente individualizzazione delle società complesse per indicare la sempre maggiore autonomia dei soggetti, per il cui effetto l’identità sociale si sposta dal contenuto al processo: tramite questo processo l’individuo diventa la scelta delle proprie possibilità (Beck lo definiva homo
optionis).
L’obiettivo della ricerca dell'identità è quindi un
processo in divenire continuo, nel tentativo costante di ricerca di se stessi: l’identità non è mai definita una volta per tutte in modo stabile e perenne, ma si frantuma e si ricostruisce aggiungendo di volta in