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C ONTI E G ASTALDI : FIGURE IN EVOLUZIONE

4. L' IRRESISTIBILE ASCESA DI S ICONE

4.4 C ONTI E G ASTALDI : FIGURE IN EVOLUZIONE

Ma c'è qualcosa di più. Si legge fra le righe un fenomeno davvero molto interessante, confermato in diversi passi. Quando gli Acheruntini arrivano presso Conza, la popolazione di quella città si riversa bellicosa contro di loro. E, d'altra parte, anche ad Acerenza la cittadinanza è compatta nel sostenere la causa di Sicone, schierandosi al suo fianco sia quando il principe Grimoaldo mostra intenti intimidatori, sia quando c'è da scontrarsi apertamente con le truppe di Radelchi. L'Anonimo ci parla addirittura di un exercitus conzano e di

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uno acheruntino . Ora, tutto questo non può essere puro frutto della fantasia dell'autore. Indica chiaramente che è in atto una dinamica molto significativa: le iudiciariæ (contee e gastaldati) si sentono organismi con una propria identità in qualche misura autonoma. Militarmente parlando si considerano un exercitus. Nel gastaldo o nel conte vedono già un piccolo signore che le rappresenta. La loro rivalità coi distretti contigui è accesissima, ma sono pronte a resistere anche ad imposizioni sgradite provenienti dalla Capitale. “Se morirai tu, moriremo anche noi con te; perciò stabiliamo tra noi un patto per mantenere intatta la nostra terra” dicono gli Acheruntini a Sicone mentre le vicende

95 Da una parte abbiamo un principe che dice “Caro nostra es; mane apud nos”, dall'altra

un ceto di ottimati in piena crisi di rigetto. Si vedrà in seguito come questa estraneità dei Siconi al tessuto aristocratico beneventano sarà ragione dei loro successi e della loro stessa rovina. Cfr. ANONIMO SALERNITANO, XLIII.

96 A

97 A

NONIMO SALERNITANO, XLIII.

98 P

AOLO DIACONO, IV 51 - V 9,16 - VI 30.

99 Cfr. C

ILENTO 1966, Le origini, p. 69.

sembrano precipitare e si profila uno scontro con lo stesso esercito del Principe. È chiaro che questo patto, questo “foedus”, costituisce una tipica manifestazione pattizia con cui un popolo si affida al suo signore in cambio di protezione. E ancor più interessante è che gli Acheruntini parlino di “terra nostra” in contrapposizione ad una terra altrui. In una frase, due concetti che ci fanno capire che trasformazione sia in atto. A fronte della straordinaria solidità interna emerge una frammentazione esterna sempre più marcata, un particolarismo che sta conducendo progressivamente verso il dominatus loci. Sia chiaro che né il gastaldo Sicone, né il conte Radelchi possono correttamente qualificarsi come signori territoriali o come feudatari. Ma, ormai, il passo è breve. Siamo già a metà del guado e a questo punto definirli

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mere articolazioni del potere centrale sarebbe riduttivo .

A questo punto si rende necessaria una digressione. Nel precedente capitolo si è contrapposta la figura del gastaldo nel Regno d'Italia a quella del gastaldo nel Ducato di Benevento. Entrambi avevano come compiti essenziali la gestione dei patrimoni demaniali sparsi sul territorio e l'amministrazione della giustizia. Tuttavia, i gastaldi della Langobardia Maior – designati direttamente dal re – rappresentavano un contrappeso al potere ducale, mentre quelli della Langobardia Minor – scelti dal duca stesso – mancavano di questa funzione e si limitavano ad essere meri amministratori locali dei suoi interessi. Già in questa prima fase, tuttavia, si ha notizia di un'altra figura dai contorni più sfumati: il comes. Nell'Italia meridionale sono scarsissime le testimonianze relative ad essi prima del 774; Paolo Diacono ci parla di due comites Capuæ: Trasamundo (che era stato uno dei principali artefici della strepitosa ascesa del duca Grimoaldo I al trono pavese) e Mitola

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(che sconfisse l'esercito bizantino di Costante II) . Un'iscrizione menziona

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poi Audvalt, “primus comes Capuæ” . Si potrebbe intuitivamente pensare, quindi, ad un Ducato diviso in gastaldati e contee, con queste ultime rette da una soggetto dotato di poteri più ampi rispetto a quelli del gastaldo. Ma, a quanto ci risulta, la differenza tra le due cariche non atteneva il quantum di attribuzioni amministrative riconosciute. Infatti “quello di comes deve esser considerato piuttosto un titolo che un ufficio e, in questo senso, non riproduce un'istituzione propriamente germanica” ma probabilmente deriva dal lontano periodo in cui i

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Longobardi erano stati assoldati nelle truppe bizantine come foederati . Quella di comes era infatti una carica militare bizantina e verosimilmente anche presso i Longobardi designò speciali onori militari. Nelle città strategiche, come Capua, vennero dunque insediati soggetti che il duca considerava particolarmente affidabili e capaci i quali, però, svolgevano contemporaneamente in quei luoghi anche l'ufficio di gastaldo coi relativi poteri: per questo capita di trovare scritto in alcune carte “dignitate comes, munere

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gastaldius” . I due termini in origine non erano quindi equivalenti né indicavano una potestà dello stesso tipo ma, siccome generalmente la qualità di conte implicava quella di gastaldo e in più conferiva anche una posizione di spicco nell'esercito, finì per esprimere un prestigio maggiore. Quello di comes diventò allora un titolo conferito solo a soggetti particolarmente influenti, assegnatari di civitates importanti. Ma, in ogni caso, entrambe le cariche non

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erano trasmissibili ai figli, non erano vitalizie e potevano essere revocate . Nell'esaminare i rapporti tra questi funzionari e il duca, non possiamo che notare due differenze tra Sud e Nord Italia. È vero, come abbiamo detto, che qui gastaldi e conti rappresentano un'emanazione del duca di Benevento, quindi sono teoricamente soggetti ad esso. È però anche vero che di duca ce n'è uno solo per un territorio molto più vasto: di conseguenza il suo potere era meno percepito nelle periferie lì dove invece conti e gastaldi tendevano a consolidare gradualmente la propria posizione. Questo fenomeno, dopo la caduta di Pavia, si deve essere accentuato ancora di più, se Arechi II ipotizzò una translatio regni e si considerò come un re. Quindi, va da sé che anche conti e gastaldi si trovarono in una posizione nuova. Non a caso è in questi anni che si moltiplicò la presenza di comites, forse ad imitazione di quanto Carlo stava

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facendo in Francia .

Riallacciandoci al filo del discorso, sia Radelchi conte di Conza sia Sicone gastaldo di Acerenza non sembrano più meri procuratori del principe di Benevento, amministratori tout-court di beni pubblici. Hanno titoli diversi, ma si comportano entrambi allo stesso modo: da signori di quella terra che

100 B

ERTOLINI 1968, pp. 483-484.

101 G

IANNONE 1723, Tomo I Libro VI pp. 385-386; CILENTO 1966, Le origini, p. 70; GASPARRI 1978 , pp. 38-39; “et a peu a peu les gastaldi des villes principales revendiquent plus volentiers le titre noveau”, come nota GAY 1904.

102 P

OUPARDIN 1907, pp. 30-49.

103 G

IANNONE 1723, p. 384. CILENTO 1966, Le origini, p. 68;

104 È esplicito in tal senso l'

ANONIMO SALERNITANO, XLVII.

105 Lo si capisce perché, quando Grimoaldo chiama Sicone a corte, specifica che

Acerenza potrà essere governata dai suoi figli: cosa, evidentemente, non automatica; vedi ANONIMO SALERNITANO, XLVII.

106 A

NONIMO SALERNITANO, XLIV.

107 A

NONIMO SALERNITANO, XLIII. Sugli usi civici nel Medioevo, cfr. COLOZZA 1924.

sentono ormai propria. È un modo di fare indicativo di una realtà costituzionale in rapida evoluzione. Sono stati entrambi nominati dal

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principe, devono ancora i fiscalia al Palatium , la loro non è una carica

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ereditaria e, soprattutto, sono ancora rimovibili ad nutum: “Ti sei tenuto qui un arrogante forestiero e gli hai anche consegnato Acerenza; se ti è gradito, cedigli anche Conza” dice un furibondo Radelchi a Grimoaldo IV, lasciando intravvedere la piena potestà del principe di assegnare a suo piacimento gastaldati e

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comitati .

Tuttavia, qualcosa è cambiato e questi gesti squisitamente politici ci portano a concludere che gastaldi e conti – nella prima metà del IX secolo – non sono ancora signori territoriali, ma neanche semplici burocrati di provincia.