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T RACCE DI ASSOLUTISMO

1. U N POTERE ASSOLUTO ?

1.1 T RACCE DI ASSOLUTISMO

Il potere del princeps si fonda essenzialmente sull'enorme ricchezza di cui dispone, che non solo gli garantisce una vita lussuosa ma gli permette anche di

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comprarsi il favore dei sudditi con munifiche elargizioni . Questo patrimonio è ingente: si costituisce di case, chiese, fortificazioni ma anche di beni produttivi, come curtes e peschiere. Essi possono avere origini diverse: alcuni risalgono all'epoca della conquista ducale; altri erano proprietà regie acquisite dopo la caduta di Pavia (ammesso che esistessero nell’Italia Meridionale); altri ancora sono stati abbandonati dai legittimi proprietari con particolari procedure di rinuncia; infine, ci sono beni che vengono incamerati perché il titolare è morto senza lasciare eredi (res exfundatæ). Non bisogna poi dimenticare che anche i beni confiscati a traditori, cospiratori, omicidi e

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falsari rientrano nella disponibilità del principe . I fiumi, invece, sono beni pubblici ipso iure e forniscono anch'essi rendite considerevoli. Non manca poi il gettito fiscale, sottoforma di census, datio, pensio, responsaticum, escaticum, siliquaticum, plateaticum, porticum. Una città che vanta lo ius cudendi può inoltre avvantaggiarsi del signoraggio che scaturisce dalla produzione di moneta.

Bisogna specificare, però, che tutto questo patrimonio non fa riferimento alla persona fisica del principe bensì al Sacro Palazzo, inteso astrattamente come centro d'imputazione giuridica. Tuttavia, il monarca ha facoltà di disporne discrezionalmente come fosse cosa propria, e questo chiaramente ne amplifica il potere. A dire il vero, regola vuole che il principe emani un

354 È così da Sicone (che emargina Radelchi di Conza) fino a Siconolfo (che bandisce

Guaiferio).

355 Cfr. S

CHUPFER 1907, pp. 166-168; LORÉ 2013.

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præceptum concessionis solo su richiesta di un intercessor. Tale requisito di forma è stabilito per evitare attribuzioni arbitrarie da parte del monarca, ma si rivela una garanzia piuttosto fallace, dal momento che possono intercedere persino i parenti del principe ed i suoi più stretti collaboratori. La principessa Adelgisa sollecita la generosità del marito verso l'orefice Autulo, mentre il tesoriere Radelchi (poi principe) supplica Sicardo di donare un gualdo al

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solito Roffredo . Il tutto si traduce in un giro di favori tra pochi dignitari di Corte!

Accanto a questi fiscalia, il monarca godeva di un patrimonio privato, più o meno ingente a seconda dei casi, distinto nettamente dal Palazzo e sottoposto alle regole comuni.

La potenza del Principe viene poi esaltata attraverso la mitizzazione della sua immagine. Sulla scia di Arechi, anche i Siconi rimarcano in mille modi i tratti esteriori della regalità. Come l'illustre predecessore, hanno cura di mostrarsi zelanti benefattori della Chiesa, uomini religiosissimi ma anche

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spiriti intrepidi e virili .

L'Epitaffio di Sicone, ad esempio, insiste sulla sua fisicità statuaria: la bionda chioma, la carnagione chiara, la straordinaria altezza sono chiari segni di

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sangue purissimo, di un'identità pienamente longobarda . Non solo la letteratura celebra la gloria del principe: le miniature presenti sui codici raffigurano il monarca assiso su un trono d'oro, vestito di tunica e mantello, con una corona gemmata a tre cuspidi e una virga gigliata nella mano sinistra. Quest'ultima non è altro che il baculus, emblema del potere in uso anche a Costantinopoli e presso i Franchi. È appena il caso di sottolineare che corona e verga hanno un valore simbolico elevatissimo: stanno ad indicare la dignità

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ERTOLINI 2002, pp. 824-827 e 861-865.

358 Se dobbiamo cogliere una differenza, ai tempi di Arechi si nota un'esaltazione della

regalità più legata a modelli bizantini e sacrali, mentre coi Siconi si tende ad accentuare tratti più germanici e militari.

359 “Bello d'aspetto e occhi che illuminano il volto/ed una bionda chioma che ricopre il bianco

collo/alto di statura dall'alta stirpe dei Longobardi/sì da essere il più alto di tutti/simile ad un pino che, piantato nei campi coltivati/dalle radici si alzò levandosi sino al cielo”. L'identità germanica di Sicone è segno di nobiltà, tanto più in un contesto dove il vulgus longobardo si è già abbondantemente mescolato con l'etnia romana. L'appartenenza alla stirpe comincia a diventare, così, uno status symbol per poche famiglie che custodiscono un forte senso identitario: il concetto di nobiltà continua a definirsi in modo via via più netto in una società che, ai suoi primordi, lo ignorava totalmente e considerava tutti i liberi uguali tra loro. Dall'aristocrazia militare si sta passando, lentamente, all'aristocrazia di sangue.

regale che Sicone e Sicardo si attribuiscono, rifiutando categoricamente

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l'autorità pavese .

L'imago principis trova poi la massima esaltazione nella moneta, la cui produzione si raffina notevolmente e raggiunge gradi di elaborazione inusitati. “L'inventiva artistica trasformò la moneta in gioiello. E tali sono due soldi aurei, quello del principe Sicone con l'immagine di San Michele Arcangelo (…) l'altro con il volto

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del principe Sicardo disintegrato in infiniti tratti che moltiplicano il bagliore del metallo” . È interessante un raffronto tra i solidi di Sicardo e quelli del suo contemporaneo Teofilo, di Costantinopoli. Certamente il conio bizantino appare ancora più elegante e meticoloso, ma la distanza tra le due zecche si è notevolmente ridotta. L'iconografia, poi, è pressoché identica: Sicardo, come Teofilo, è raffigurato a mezzo busto con un globo crucigero nella destra, simbolo del potere di Cristo sul cosmo ma anche attributo della maiestas imperiale che domina il mondo: siamo di fronte ad una vera e propria usurpazione della simbologia bizantina, “furto” che peraltro rientra

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perfettamente nella grandeur beneventana . Come Teofilo, Sicardo indossa una corona sormontata da croce, ha la barba e porta i capelli un po' lunghi e arricciolati sulla nuca, secondo la moda orientale. Infine, il Princeps veste una tunica che richiama, inequivocabilmente, la classicità. Anche attraverso i segni esteriori, i Siconi intendono promuovere il mito della propria regalità: se un tempo i Longobardi imitavano il soldo bizantino per malcelato complesso d'inferiorità – se non per vera e propria contraffazione – adesso quella simbologia è utilizzata per incensare un potere sempre più simile a quello imperiale. Un potere sacro ed illimitato.

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360 Sulla cura dell'imago principis, T

AVIANI 1980: l'intervento è ampio ma concentrato perlopiù sulla figura di Arechi II.

361 G

ALASSO 1982, p. 139; un giudizio egualmente lusinghiero sulla qualità del prodotto viene espresso anche da BELLONI 1982.

362 Non si tratta certamente di una novità introdotta da Sicone e Sicardo: il globo

crucigero è già presente nelle emissioni del periodo ducale, tuttavia in quel periodo la moneta veniva coniata a nome dell'Imperatore e quindi l'immagine sovraimpressa è quella del non del duca. Il primo ad inserire il proprio nome per intero sulla moneta fu Grimoaldo III, che viene raffigurato tralatiziamente col globo.