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S ICARDO E LA SUA CORTE

“Consilium ne sperne meum, tibi prospera monstro: nec Rotfrit Alfano subdere, nec Alfanum abbate Rotfrit dicioni obtrivere (…) Habeant inter se rixa, et tu eorum dicioni

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calcare colla; te abscente facere minime committere pugna” . Così l'Anonimo Salernitano descrive il testamento morale che Sicone, sul letto di morte, avrebbe dettato a suo figlio.

Ma Sicardo, monarca ancora piuttosto giovane, non diede ascolto ai consigli paterni. Ben presto divenne succube dei suoi ministri che, essendo più adulti, esercitarono su di lui un'influenza profondamente negativa. Intendeva confermare la linea del predecessore e lo imitò in tutte le manifestazioni più evidenti, ma non seppe mantenersi allo stesso modo equidistante dai clan. La voluta continuità politica tra padre e figlio si evince dalla riconferma di tutto l'establishment palatino nelle supreme cariche, in deroga al regolare meccanismo di ricambio. Ma questa scelta si sarebbe rivelata un'arma a doppio taglio. Se Sicone aveva avuto gioco facile coi suoi collaboratori, membri di illustri famiglie ma pur sempre rampolli alle prime armi, Sicardo invece si ritrovò in posizione di timore reverenziale, dimostrandosi incapace di contenerne le ambizioni. È significativo che i due più importanti dignitari di Sicone restino ai massimi livelli di governo, scambiandosi vicendevolmente la carica: così, Radelchi diviene tesoriere e

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Roffredo referendario. Un certo Aione è nominato stolesayz , mentre

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194 Radelchi e Roffredo sono attestati rispettivamente come tesoriere e come

referendario già nell'832 e nell'833: cfr. BERTOLINI 2002, pp. 817-820 e 824-827. donazioni di Sicardo ad Autolo, cfr. BERTOLINI 2002, pp. 856-860 e 861-865; per quelle di Radelchi, pp. 892-894; per quelle di Radelgario pp. 895-897.

195 Una spericolata manovra monetaria (secondo A

RSLAN 2013, p. 1050) finalizzata a favorire l’affermazione del soldo beneventano sui mercati mediterranei tramite l’immissione di una quantità inaudita di nuovo denaro ed una contestuale riduzione del fino.

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RCHEMPERTO, XII.

Per le

Mentre per questi ultimi non possiamo affermare con certezza se ricoprirono l'incarico durante tutto il principato di Sicardo, per i primi due non c'è alcun dubbio: la loro presenza era costante come un'ombra scura che seguiva il Principe dappertutto. Curiosamente, tra i protagonisti della Corte beneventana, quello più spesso gratificato con donazioni di beni pubblici era Autulo, un semplice aurifex: non solo Sicardo, ma anche i suoi successori gli

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elargirono curtes e servi, dimostrandogli particolare benevolenza . La sua operatività a Corte è accertata quindi per un periodo estremamente ampio: stando alla diplomatica, almeno dall'838 all'850. Possibile che un semplice artigiano, per quanto abile e benvoluto, potesse ricevere così tante concessioni dal principe? La numismatica potrebbe offrirci una risposta: Autulo, probabilmente, non fu un orafo qualsiasi ma l'addetto alla coniazione di monete. Data la politica di espansione monetaria perseguita prima da

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Sicone e poi dallo stesso Sicardo , questa figura divenne particolarmente importante tra le mura del Sacro Palazzo. Di certo dimostrò spiccate competenze tecniche, se principi di diverse dinastie lo favorirono nonostante le mutate condizioni politiche.

1.1 UNARCHETIPOGIURIDICOELETTERARIO

Tra tutti i suoi dignitari Sicardo predilesse senz'altro Roffredo, che già ai tempi del Falco aveva dimostrato un animo torbido e spregiudicato. Costui “a tal punto circuì coi suoi inganni il suddetto Signore che quello non osava mai far nulla, neppure in via d'urgenza, in sua assenza o col suo dissenso (…) Sotto l'influsso del suo

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consiglio compiva numerose opere sacrileghe e biasimevoli” . Si realizzava, agli occhi del cronista pregno di cultura biblica, la stessa drammatica vicenda narrata dal Libro di Ester, lì dove Aman è la mente grigia dei turpi decreti di re Assuero contro il popolo ebreo. Un paragone erudito, che se da una parte individua

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AMALIO 1928, p. 222.

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RCHEMPERTO, XII.

come vero artefice delle nefandezze un ministro perfido che persegue il proprio tornaconto, dall'altra condanna la leggerezza del monarca che si lascia ingannare dalle sue lusinghe e, disinteressato alla politica, lascia troppo fare. Non a caso Aman – come il referendario Roffredo – custodisce il sigillo reale e, giovandosi del potere che esso comporta, compie scelleratezze in nome del Re. Ma l'arguta citazione biblica di Erchemperto risponde ad un preciso che trova mille altre espressioni nella Storia: quello del tiranno un po' debole di volontà – se non di mente – eccitato da un ministro ancor più malvagio. Uno storico beneventano ha definito Sicardo “il Tiberio del Ducato

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beneventano” che “ebbe il suo Seiano nello scellerato Roffrido” . Nell'esaminare la figura del tyrannus, allora, non si può fare a meno di considerare chi gli gravita intorno.

Il tiranno, infatti, incarna una figura ben diversa da quella del monarca assoluto: indica un disvalore, una violazione continua dei limiti costituzionali, non una illimitatezza intrinseca del potere. Per il primo c'è un esercizio della potestas qualitativamente perverso, per il secondo un'estensione quantita- tivamente infinita della stessa. Sicone – che era stato più autocratico del figlio e non aveva lasciato spazio ai suoi dignitari – si era rivelato in fondo un buon principe, perché dedito alla realizzazione del bene comune (e soprattutto del vulgus). Sicardo, invece, è certamente più arrogante, ma paradossalmente riconosce un ruolo più attivo alla sua corte. Entrambe le figure sono fuori dai limiti tracciati dalla tradizione, ma solo la seconda assume una negatività piena. Infatti, essa non realizza solo violazioni formali della costituzione materiale, ma ne umilia i valori con la sua crudeltà. Quanto ci sia di vero, e quanto di convenzionale, nel racconto delle cronache lo vedremo più avanti. Per ora, basti prendere atto che, a torto o a ragione, i nostri cronisti stanno inquadrando il governo di Sicardo in una categoria giuridicamente ben definita, ponendo le basi per giustificare quanto accadrà in futuro. Anche Roffredo rientra pienamente in questo schema. In lui c'è qualcosa di diabolico perché riesce a corrompere, raggirare e possedere il Principe, inducendolo ai più sconsiderati disegni: in quei due verbi adoperati da Erchemperto, “decipere” e “inlaqueare”, si coglie tutto questo, si sente la forza inestricabile di quei lacci invisibili con cui il ministro avvinghia il suo signore in una trama di vizi e di crimini: forse per inimicargli popolo, maggiorenti e familiari stessi al

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fine di poterlo poi uccidere e prenderne il posto . topoV

199 , LXIII.

200 È chiarissima la strategia di Buono nel suo Epitaffio, riportato integralmente da D I

MEO 1793, III, pp. 369-370.

201 G

IOVANNI DIACONO, LVII.

202 A

NONIMO SALERNITANO, LXIII.

203 A

NONIMO SALERNITANO, LXIII; cfr. RUSSO MAILLER 1981, pp. 105-107. ANONIMO SALERNITANO